Come la libertà economica ha salvato la Nuova Zelanda

Nel 1975 la Nuova Zelanda aveva un punteggio di libertà economica pari a 5.60. Per mettere la questione in prospettiva oggi la Grecia ha un mero 6.93, mentre la Francia un 7.30 scarso.

40 anni fa l’economia neozelandese era fortemente statalista, al livello di quello dell’Etiopia, ma le politiche economiche poi sono cambiate radicalmente, introducendo delle riforme pro libero mercato.  Oggi è tra le 5 economie con più libertà al mondo, a seguito di Hong Kong e Singapore.

 

Negli anni 50 il loro GDP per capita era il terzo al mondo, ma nel 1984 è sceso al ventisettesimo posto, scendendo allo stesso livello di Portogallo e Turchia. Come se non bastasse la disoccupazione ha raggiunto l’11.6% e per 23 anni consecutivi hanno fatto deficit, che, spesso, raggiungeva il 40% del proprio GDP.

Il loro debito, calcolandolo in valore relativo, ha raggiunto il 65% e la loro affidabilità creditizia ha continuato ad essere declassata. La spesa pubblica aveva raggiunto il 44% e il flusso di capitali  continuava ad espatriare in altri paesi più economicamente convenienti. Inoltre i controlli e il management dello stato erano molto rigidi in tutti gli ambiti dell’attività economica.

Gli scambi coi paesi esteri erano divenuti così restrittivi tanto che per abbonarsi a riviste come l’Economist ci voleva il permesso del ministro delle finanze. Era proibito comprare azioni in paesi esteri senza rinunciare alla propria cittadinanza. C’erano controlli dei prezzi su tutti i beni e servizi, sui negozi e su tutti i servizi forniti dalle imprese. C’erano persino leggi sul salario minimo e alcune imponevano un blocco sugli stipendi, tanto che i datori di lavoro non riuscivano ad aumentare la paga ai propri dipendenti, né  tantomeno potevano ricevere bonus, qualora avessero voluto.

Le restrizioni alle importazioni erano severe tanto che era lo stato a decidere quali merci potessero essere importate e quali fossero vietate. E come ciliegina sulla torta molte imprese continuavano ad essere sussidiate per essere mantenute in vita, mentre molti giovani cominciavano a lasciare il paese.

 

Tagli draconiani alla spesa pubblica

Il dipartimento dei trasporti aveva 5.600 dipendenti e una volta completate le riforme ce n’erano solo più 53, le guardie forestali erano 17 mila e sono state ridotte a 17.

Il ministero del lavoro aveva 28 mila dipendenti e ne hanno lasciato solo UNO, il ministro stesso. Una volta licenziati questi dipendenti erano riusciti ad avere un salario 3 volte superiore rispetto a quello che guadagnavano prima, inoltre la loro produttività era aumentata del 60%  rispetto a ciò che facevano di solito.

Sono state svendute telecomunicazioni, compagnie aeree, servizi nel campo dei sistemi informatici, uffici stampa, compagnie assicurative, banche, titoli, mutui, ferrovie, servizi bus, hotel, compagnie di trasporto, servizi consultivi per l’agricoltura. Una volta svenduti la produttività è aumentata e i prezzi sono scesi, di conseguenza l’accumulo di capitali è aumentato esponenzialmente. Inoltre lo stato ha deciso che alcune agenzie dovessero comunque rimanere statali.

Hanno ridotto il sistema di controllo del traffico aereo lasciando una sola agenzia che, però non poteva chiedere alcun finanziamento dallo stato. Così il miliardo all’anno sperperato per le 35 agenzie si è trasformato in profitto, così lo stato si è ritrovato con più entrate. hanno tolto tutti i i sussidi all’agricoltura e si pensava che sarebbe nata una corporazione agricola che potesse fare cartello dei prezzi, invece sono nate tante aziende agricole familiari.

Hanno abbassato la tassazione per gli stipendi più alti dal 66% al 33% e per quelli più bassi dal 33% al 19% che è divenuta flaxt per tutti quelli con i redditi minimi. E’ stata imposta una tassa sui consumi del 10% e allo stesso tempo hanno abolito tutte le tasse sull’accumulo di capitale, sulle proprietà. Il pacchetto di riforme è stato presentato al pubblico come un gioco a somma zero dove si era previsto che lo stato avrebbe avuto le stesse entrate di prima,  ma così non è stato.

Le entrate sono aumentate del 20%, quindi al di sopra delle aspettative. Questo è stato possibile grazie alla Curva di Laffer, secondo cui lo stato non può tassare oltre un certo limite, altrimenti le entrate diminuiscono. Quando si ha più lavoro e stipendi più alti lo stato riesce a prendere una fetta in più della torta.

Dando un’occhiata alla tabella si può notare come nei 5 anni, dal 1991 al 1997, periodo in cui c’è stato un blocco nell’aumento della spesa, diminuita negli anni a seguire, aumentando così l’output fino al decennio scorso, quando è scoppiata la crisi.

 

Da come si può notare questo grafico dimostra come la spesa sia sempre stata tagliata in relazione all’andamento produttivo dell’economia.

 

Oggi la Nuova Zelanda detiene il terzo podio al mondo per libertà economica, il secondo sistema di tassazione migliore al mondo per competitività e al sesto posto per soddisfazione di vita.

 

Come diventare Libertariano in 5 semplici passi

 

Mi piacerebbe illustrarvi come si diventa libertari in 5 semplici passi, io ancora non ci ho provato ma sono pronto per far come quei che va di notte, che porta il lume dietro e fa le persone dotte.

In seguito le fasi del pensiero che bisogna percorrere passo dopo passo, ragionamento dopo ragionamento:

  1. Requisiti fondamentali:  è fondamentale portare un enorme rispetto alle decisioni individuali, ovvero alla libertà di scelta, e alla capacità delle persone di decidere per sé stesse e per il proprio interesse. Non si può essere protezionisti e dire cos’è meglio per gli altri; come diceva qualcuno: gli stupidi imparano dalle proprie esperienze, mentre i saggi imparano da quelle altrui.
  2. Livello principiante: bisogna avere una totale sfiducia nei confronti della capacità del governo di rendere migliori la società, gli individui, le loro vite, il mercato; allo stesso modo non si devono accettare le persone che ne obbligano altre a fare ciò che non vogliono. Ogni azione è volontaria.
  3. Livello intermedio: il proibizionismo è inutile, ad esempio quando si parla di droghe; è importante tollerare gli omosessuali, poiché la loro è una scelta che viene effettuata nella sfera privata e rientra nelle libertà dell’Individuo; insomma, ognuno vive come vuole e non possiamo proibirglielo.
  4. Livello esperto: le tasse sono un furto. Totale scetticismo nei confronti dello stato e della redistribuzione del capitale. I tributi, in generale, sono un male necessario a garantire le funzioni fondamentali della società.
  5. Livello leggendario: il Libero Mercato, nel suo insieme di rapporti fra entità che scambiano beni, servizi, sentimenti e ricordi, è sacro ed inviolabile, si autoregola, non necessità di interferenze. Gli anarchici che piazzavano bombe per distruggere l’ordine prestabilito, in fondo, non erano così nel torto. Il massimo valore è la vita individuale, nessuno può dare direzioni su come vada vissuta la vita, non esiste il welfare, l’autoritarismo ed il collettivismo sono la rappresentazione del demonio.

Se sulla carta ti sembra facile, prova a sperimentarlo sulla tua pelle.

 

 

 

Il miracolo economico della Rep.Ceca: dal socialismo all’Europa

In vista delle elezioni parlamentari del paese, esaminiamo il cambio di rotta dell’economia ceca dopo essersi liberata dalla camicia di forza dello statalismo sovietico. Come ha fatto la nazione ceca a generare uno sviluppo economico così sostenuto nel lungo periodo e a diventare uno dei centri più dinamici del mercato unico?

Dopo la dissoluzione del blocco comunista, iniziata con le rivoluzione nei paesi dell’Europa dell’est a cavallo tra gli anni ottanta e gli anni novanta, e il fallimento de facto del socialismo e della pianificazione centralizzata dell’economia, tutti i paesi che precedentemente facevano parte del patto di Varsavia dovettero risollevare un economia completamente disastrata e sempre più atrofizzata dall’incipiente inflazione, ripristinare i diritti di proprietà, sviluppare un mercato interno e cercare di attrarre capitali esteri.

Storicamente parlando, la Cecoslovacchia fu una delle economia più avanzate, visto la sua lunga tradizione industriale, ad adottare un sistema di pianificazione socialista dell’economia: aveva delle grandissime potenzialità di crescita economica nel secondo dopoguerra, ma in poco tempo, dopo una lieve crescita del PIL nell’età dell’oro grazie all’industrializzazione forzosa, seguì le orme del URSS e, intorno agli anni settanta, le contraddizioni insite nel sistema diventarono palesi.

La scarsa efficienza degli investimenti statali deriva dalle difficoltà insite nella pianificazione dei processi produttivi che prevedeva una fase di organizzazione della produzione, una di politica del prezzo e, infine, un’imposizione del prodotto nel mercato; diversamente da quanto accadeva in un sistema capitalistico. Perciò le risorse venivano allocate senza tener conto dei costi opportunità dei fattori di produzione, con un costante aumento del deficit statale.

Ciò era possibile solo con una politica monetaria espansiva e inflazionistica, poiché oltre a mantenere in vita settori industriali obsoleti e in perdita, si doveva acquietare una popolazione sempre più povera, e soprattutto rifornirla di beni di consumo. Tra il 1950 e il 1970, il PIL dell’Europa orientale era pari al 50% di quello dell’Europa occidentale, e nel 1990 sarebbe sceso al 30% del PIL Europeo.

A distanza di quasi 30 anni dal crollo del blocco socialista, le economie dell’est Europa presentano un quadro dell’economia nazionale ben diverso rispetto all’era sovietica e post sovietica e rappresentano ormai uno dei poli con maggiore attrazione di capitali esteri, in particolare la Polonia e la Rep.Ceca.

La recente storia economica della Rep.Ceca è un classico esempio contemporaneo di come l’apertura con l’esterno, il ripristino dei diritti di proprietà, il libero commercio, il capitalismo e la democrazia rappresentativa abbiano avuto effetti costruttivi sulle economia che prima erano socialiste. Ma non solo. È un esempio di come questi prerequisiti, coadiuvati dal vantaggio dell’arretratezza, siano i principi cardine che stanno alla base della crescita economica.

Possiamo individuare tre ragioni alla base di questo fenomeno:

  • Il trasferimento tecnologico e l’importazione della maggior parte delle tecnologie industriali dal vicino tedesco, paese leader nel settore, si sono tradotti in un miglioramento della qualità nel settore manifatturiero ceco, in particolare nel comparto automobilistico.

  • Il prodotto nazionale lordo è dato dalla somma di tutti i settori e ovviamente fra questi vi sono grandi differenze in termini di produttività: le dimensioni dei settori tradizionali a bassa produttività (commercio al dettaglio, servizi…) sono in genere piccole nei paesi economicamente avanzati e numerosi nei paesi arretrati. Di conseguenza, le economie più povere recupereranno terreno rispetto a quelle più ricche con il semplice spostamento della forza lavoro da settori a bassa produttività, come l’agricoltura, a settori ad alta produttività, come l’industria, rendendo comunque i settori tradizionali più efficienti e dinamici.

  • In questa prima fase, partendo da livelli salari molto bassi, i paesi poveri registreranno maggior quantità di investimenti, poiché presentano un rapporto capitale-lavoro molto basso. Ma soprattutto, registreranno tassi di crescita del PIL annuo di gran lunga superiore a quelli delle economie già industrializzate.

Difatti, dall’entrata nell’Unione Europea nel 2004, la Rep.Ceca, così come gli altri paesi dell’Europa dell’est, ha conosciuto un’espansione economica senza precedenti, passando da un tasso di incremento del PIL intorno al 1,9% nel 2003 al 6,9% del 2006, a fronte di quello tedesco passato dallo -0,3% nel 2003 al 3,7% del 2006. Dopo essersi ripresa dalla recessione del 2008, il paese ceco è tornato ad essere dinamico nel mercato europeo (con un modesto calo durante la breve recessione del 2011-13) registrando nel 2015 un tasso di crescita del PIL del 5,3%, a fronte di quello tedesco intorno al 1,7% nello stesso anno. Anche gli scambi commerciali hanno conosciuto un’espansione notevole dal 2011 al 2016 con un tasso di crescita delle esportazioni del 2,61%, passando da $151 miliardi a $160 miliardi, e una diminuzione delle importazioni, passate da $149 miliardi a 138 miliardi. La Repubblica Ceca è la conferma di come il vantaggio dell’arretratezza, la convergenza tecnologica e culturale e l’apertura commerciale siano le fondamenta su cui edificare una crescita economica e sociale sostenuta nel tempo. 

Come paradossalmente aveva predetto Karl Marx, i sistemi sociali che creano benessere materiale e progresso sociale si autoconsolidano, mentre quelli che non sono in grado di creare e garantire prosperità falliscono, per poi crollare sotto il peso delle proprie contraddizioni.

Il mito Scandinavo: il successo economico dell’estremo Nord dell’Europa

Per anni i partiti di ispirazione socialista ci hanno portato a modello il sistema economico di Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca, sbandierati come emblema del successo del socialismo in Europa, in particolare ponendo l’accento sull’eccellenza del welfare state di questi paesi. Posto che l’efficienza di quest’ultimo non sia messo in dubbio, i dati lo confermano, ho ritenuto necessario andare ad indagare quali siano le ragioni che hanno reso questi paesi così economicamente avanzati.

Analizzando la questione superficialmente si potrebbe pensare che l’equazione “Scandinavia=socialdemocrazia” sia corretta, ma approfondendo maggiormente la questione, la verità risulta immediata e lampante: il successo economico dei paesi scandinavi è semplicemente sinonimo di libertà d’impresa, riforme pro-mercato e mentalità capitalista.

Dato che, a differenza di altri, noi non parliamo per slogan o ideologie ma per fatti, riporto alcuni dati emblematici, cercando anche di spiegarli per i non addetti ai lavori:

  • Index of Economic Freedom: è un indice che misura il grado di libertà economica di un paese, estrapolato analizzando dodici categorie di libertà economica fra cui: diritto di proprietà e sua difesa, incidenza fiscale, facilità e libertà di fare impresa e apertura al libero scambio.Nella graduatoria per il 2017, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia sono rispettivamente al 18°, 19°, 24° e 25° posto. Gli Stati Uniti sono a 17°, il Regno Unito al 12°. La Germania, che è considerato il Benchmark economico di riferimento per l’Europa, è al 26°, l’Italia al 79° posto. Dal 1996 (primo anno di rilevazione) a oggi, Svezia e Finlandia hanno visto un miglioramento delle condizioni di libertà economica del 13,5 % e del 10,3%. L’Italia solo dell’1,6%. (fonte: http://www.heritage.org/index/ranking ).
  • Total Tax Rate: è l’aliquota fiscale totale sui profitti commerciali, più semplicemente misura il grado di imposizione fiscale sui profitti delle imprese. Per il 2016, in Danimarca si è registrato un TTR del 25%, in Finlandia del 38,1%, in Norvegia del 39,5%, in Svezia del 49,1%. Per fare un paragone, e rendere più comprensibili i dati, negli Stati Uniti si è registrato un TTR del 44%, nel Regno Unito del 30,9%, in Germania del 48,9%, nell’ultimamente tanto vituperata Irlanda del 26%, in Italia del 62%. (fonte: https://data.worldbank.org/indicator/IC.TAX.TOTL.CP.ZS ).
  • Individual Real Tax Rate: è un indicatore che misura in percentuale il livello di tassazione reale applicato ad ogni singola persona (ovvero i contributi per la previdenza sociale + le tasse sul reddito + l’IVA, diviso il salario lordo reale di una singola persona). Per il 2016, in Danimarca è pari al 41,49%, in Finlandia è pari al 47,33%, in Svezia è del 47,13%. In Germania è pari al 52,36%, in Irlanda del 32,61%, nel Regno Unito è pari al 35,29%, in Italia è pari al 50,13%. (NdA. I dati per la Norvegia non sono disponibili poiché lo studio che si è preso come riferimento riguarda solo i 28 paesi appartenenti all’UE). (fonte: http://www.institutmolinari.org/IMG/pdf/tax-burden-eu-2016.pdf ).
  • Ease of Doing Business: classifica redatta dalla Banca Mondiale, analizzando la facilità di un imprenditore medio nell’aprire una propria attività commerciale, a livello globale. Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia sono rispettivamente al 3°, 6°, 9° e 13° posto. Gli Stati Uniti sono all’8°, il Regno Unito al 7°, la Germania al 17°, l’Italia al 50° posto. (fonte: http://www.doingbusiness.org/rankings ).

 

Questi fantastici risultati in termini economici sono frutto di riforme economiche strutturali di puro stampo liberista, volte alla globalizzazione ed estremamente connesse al commercio internazionale. Grazie a queste riforme, questi paesi hanno avuto le risorse per mettere in piedi quel sistema di welfare tanto agognato.

In altre parole, il cosiddetto mito del socialismo-democratico Scandinavo è in realtà, ironicamente, finanziato da uno dei più grandi progetti capitalisti al mondo.

Dunque la conclusione è chiara e semplice: il successo economico di un paese dipende dal grado di libertà economica vigente in esso, sia in termini fiscali che burocratici. La libertà d’impresa e, di conseguenza, la maggior capacità di creare ricchezza e una bassa imposizione fiscale sono la chiave della prosperità sociale ed economica di un paese.

Le tette della Ratajkowski non offendono nessuno

Sono passati 16 mesi da quando Sadiq Khan, il sindaco di Londra, ha messo al bando le pubblicità immorali, da allora la situazione nella capitale inglese non è affatto migliorata, ne è la prova il mancato rinnovo alla licenza di Uber.

Tralasciando il fatto che due anni fa sostenesse di essere un Uber user e la sua incoerenza, possiamo tornare liberamente a parlare di bikini. Cosa che, invece, non si può fare a Londra.
Le tette di Emily Ratajkowski non fanno male a nessuno, eppure sono su Instagram, Facebook, Twitter, nei meandri del web e forse forse arrivano persino nel deep web. Come lei, migliaia di fitness model, modelle in bikini, attrici e ragazze di bella presenza pubblicano con una buona frequenza fotografie da calendario sexy.

E, diciamocelo chiaramente, anche le ragazze non resistono ad un bel manzo che dimostri di avere anche un cervello. Cosa c’è di male nell’apprezzare certe caratteristiche estetiche? Che siano dettate da canoni sociali o da gusti personali.

La moralità presuppone che qualcosa sia un bene e qualcos’altro un male: è una questione privata, come la religione, a cui dovrà pensare l’Individuo. Oggi si asserisce sia sbagliato mostrare il corpo femminile con la scusante di non offendere chi non rientra in determinati parametri o di non indurre alla depressione chi è più sensibile all’argomento, un po’ come se gli Individui non fossero capaci di discernere cosa sia giusto per loro; un domani la censura potrebbe spettare ai giornali, alle televisioni, ai siti web.

Questa idea di celare la comunità dietro ad una teca di vetro rende la comunità stessa estremamente instabile, poiché sempre più assuefatta dalla protezione dello Stato dai “pericoli morali”. Chiameranno sempre più spesso a gran voce l’intervento della censura, a proteggere fasce di popolazione che potrebbero sentirsi offese o umiliate al confronto.

Il futuro che loro vogliono è un futuro senza le tette della Ratajkowski; è questo il futuro che vogliamo anche noi Liberali?

Riflessione Liberale sul Comunismo

Il comunismo è la volontà di controllare tutto, è la paura della libertà.
In psicologia la mania del controllo è riconosciuta come un disturbo ossessivo-compulsivo della personalità, in politica viene chiamata socialismo.

Vediamo insieme questo brano:
“I rapporti borghesi di scambio e di produzione, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna, che ha creato magicamente mezzi di produzione e di scambio così potenti, fanno pensare a quello stregone che non è più capace di dominare le potenze oscure che egli stesso ha evocato.”

Lo stregone ha evocato il più grande distributore di ricchezza il cui gettone di pagamento è il merito. Un mercato non va regolato, bensì deve avere un dress code all’ingresso: chi accede non deve avere la possibilità di sovrastare la Libertà altrui e deve produrre con le stesse regole della concorrenza (conseguenza del punto precedente).

Tuttavia, nel sopra citato passo del Manifesto è ben evidente l’incapacità di riconoscere la disvelazione della Libertà, di credere in un sistema autoregolante a cui gli Individui possano accedere senza intermediari.

Posto lo stato come intermediario del mercato, sappiamo che esso può approfittare della sua posizione di superiorità e dettare le regole (è proprio ciò che vuole il comunismo, asserendo si riesca a farlo per il bene della società), da cui forzare determinati settori, ammalare la produzione dando assistenza ad imprese che secondo la “Distruzione creativa” di Schumpeter dovrebbero perire per essere sostituite dall’innovazione, falsificare e forzare la domanda dando incentivi sul consumo di qualcosa oltre le richieste (e non per forza secondo le esigenze) degli Individui.

L’insegnamento di Hegel era che bisognasse prendere atto della realtà e interpretarla come fosse un manoscritto sacro e inviolabile.
Con Marx l’interpretazione diventa studio scientifico, per cui fa delle previsioni completamente deterministiche dando come ipotesi il controllo del mercato, dei mezzi di produzione e dei rapporti di scambio, produzione e proprietà.

Il marxismo ha il merito di aver superato l’idealismo, il quale fa del concreto una manifestazione dell’astratto, ciò nonostante sostituisce ed evolve tale rapporto dualistico realtà-idea con una biunivocità fra la società caotica reale e la possibilità di regolarla con le idee.

La mania del controllo viene descritta con i seguenti sintomi su Wikipedia:
– Tendenza a conformarsi a procedure, abitudini o regole in modo eccessivo e non flessibile (=la cessione di tutti i rapporti allo Stato-padrone)
– Occorrenza di pensieri o comportamenti ripetitivi (=necessità di stabilire una staticità sociale nella vita dell’essere umano, inducendolo ad una vita ripetitiva in cui si dà quel che si può e si riceve ciò che si necessita)
– Costante perfezionismo (=materialismo dialettico con finale rivoluzione e dittatura del proletariato al fine di iniziare il processo di perfezionamento perfetto della società)

Mi spiace dirlo, o forse no, ma il comunismo è una malattia mentale ed i suoi derivati non sono altro che forme più lievi di essa.
Una incapacità di accettare la Libertà, di accettare che non esista un ordine prestabilito delle cose, di accettare l’autodeterminazione dell’Individuo.

di Alessio Cotroneo