Poll Tax, esperimento liberale malriuscito?

Chi mi conosce è perfettamente a conoscenza di quanto sia thatcheriano. Io adoro Maggie Thatcher, adoro la sua politica, adoro il suo carattere e, grazie anche alle tante letture sul suo operato, non potrei dire che avrei fatto qualcosa di diverso, rispetto a quanto ha fatto lei.

Non è solo una questione di idee. La politica non è così semplice come potrebbe apparire per alcuni accademici. Sono anch’io uno studioso, però ritengo che la politica, per quanto non sia per tutti, non è fatta solo di schemini, di matematica, di logica.

Scusatemi se prendo una citazione scritta per il calcio e il tifoso calcistico di Fabrizio Caramagna.

“Per un tifoso ci sono molte più terre inesplorate in un campo da calcio che in ogni altro angolo del mondo. E ogni partita è un viaggio alla scoperta di qualcosa di mai visto.”

Perché ho voluto riprendere questa citazione? Perché ritengo che sia la perfetta citazione del politico. Il politico, all’interno delle sue mure, ha una visione e un progetto ben preciso. Al di fuori, deve incontrare numerose esternalità. Il politico che avrà le capacità di gestire questo viaggio “misterioso”, riuscirà nel suo obiettivo. Il problema da non sottovalutare è quando il politico non è in grado di produrre un progetto ben preciso.

Non è il caso di Margaret Thatcher. Lei aveva un obiettivo ben preciso. Per raggiungerlo licenziava ministri, collaboratori, aveva mezzo partito contro. Margaret Thatcher aveva carattere, aveva una mentalità vincente e vinse tanto.

Il suo obiettivo era chiarissimo, specie se leggiamo una della sue storiche citazioni.

“Ho assunto la carica con un deliberato intento: cambiare la Gran Bretagna da società dipendente a società autosufficiente, da una nazione “dare-a-me” ad una nazione “fai-da-te”. Una Gran Bretagna “alzati e fai”, invece di una Gran Bretagna “siediti e aspetta”

Però alcuni liberali, quando sentono parlare della Thatcher, pensano solo ad una cosa: Poll Tax. Questa tassa viene considerata l’errore più grande della Thatcher. La macchia più grande del suo percorso politico.

In questo articolo, proverò a dimostrare perché la Poll Tax non è la classica tassa socialista; proverò a dimostrare perché la Poll Tax è una decisione liberale.
La premessa iniziale sul fatto che il politico debba vivere, ogni giorno, un viaggio misterioso è stata fatta proprio in riferimento alla Poll Tax.

La Poll Tax fu un esperimento straordinario liberale della Thatcher. Misura politica, purtroppo, irrealizzabile proprio perché esistono delle numerose variabili esterne. La Poll Tax è la dimostrazione che la teoria in politica non basta. Proverò a spiegare perché la Poll tax sia una politica liberista.

La Poll Tax era un testatico, una tassa sulla persona. Il presupposto della Thatcher era che considerava antimercato che i cittadini pagassero le tasse locali sulla base del reddito.

Esempio:
Cittadino A (reddito 100000). Per acquistare il pane spenderà 2.
Cittadino B (reddito 1000). Per acquistare il pane spenderà 2.
Perché per le spese locali, per ricevere lo stesso servizio perché il primo deve spendere il 30% e il secondo il 20%?

Pertanto, la Thatcher voleva che, come nel mercato, la tassa fosse personale. Il costo per te deve essere pari al mio. Non più proporzionale al reddito, ma allo stesso prezzo per tutti. Come nel caso del voto, se il mio voto ha lo stesso valore per te, anche le tasse devono essere di pari trattamento.

Una mossa audace ma molto rischiosa. La Poll Tax, sin da subito, riscontrava alcuni limiti difficili da colmare. Se nel mercato, il cittadino decide di acquistare un bene X volontariamente, quando si tratta di pagare le tasse, spesso e volentieri, il prelievo dello Stato è riscosso coattivamente. Per non parlare del fatto che se acquisto il pane è perché voglio soddisfarmi consumando il pane comperato. Nel caso delle tasse, i cittadini sono spesso costretti a pagare per soddisfare un’esigenza collettiva, piuttosto che personale.

Inoltre, il secondo problema della Poll Tax era dovuto al fatto che diventa una tassa insufficiente se lo Stato ha una spesa pubblica medio-alta. Se la tassa è individuale, quindi alla portata di tutti (per esempio, 100€ all’anno per tutti), deve essere drasticamente abbassata per tutti. Un aspetto sicuramente positivo, soprattutto per noi liberali che vogliamo una tassazione minima, ma difficilmente applicabile nel brevissimo futuro, se pensiamo all’Italia e ad alcuni paesi europei.

Il terzo problema è dovuto al fatto che la Thatcher aveva dato libertà ai consigli locali di applicare liberamente l’aliquota della Poll Tax, con il risultato inevitabile che qualche governo locale esagerò, provocando disordini sociali. Questo terzo problema sarebbe stato evitato se il governo avesse imposto, sin da subito, dei limiti ben precisi alla scelta dei governi locali.

In conclusione,
Possiamo tirare tre Pro e tre Contro, in riferimento alla Poll Tax della Thatcher.

PRO

La Poll Tax rispetta il reddito del cittadino, in quanto la tassa è personale e uguale per tutti.
La Poll Tax tende ad abbassare drasticamente la pressione fiscale locale.
La Poll Tax presuppone un livello basso di spesa pubblica.

CONTRO

La Poll Tax non tiene conto delle diverse dinamiche che esistono nel rapporto cittadino/mercato rispetto al rapporto cittadino/stato.
La Poll Tax funziona se lo Stato ha un livello di spesa pubblica ai minimi storici.
La Poll Tax, visto che si tratta di una tassa alla portata di tutti, è una tassa insufficiente per soddisfare le esigenze statali.

La rivoluzione liberale che sconvolse Praga

Praga, 16 novembre 1989.

Il comunismo europeo stava iniziando a dare segni di cedimento, pochi giorni prima era crollato il Muro di Berlino, ma la leadership comunista cecoslovacca, capitanata da Husák, leader imposto da Mosca dopo i fatti della Primavera di Praga, sembrava salda: Era stato deciso che i cambiamento gorbacioviani del sistema politico sarebbero stati implementati dopo il 1990, possibilmente nel 1992 o 1993.

A differenza di Stati come la Polonia, dove la dissidenza di Solidarnosc esisteva da anni e muoveva decine di migliaia di persone in Cecoslovacchia la dissidenza era piccola e guidata non da un politico ma da un drammaturgo: Václav Havel.

Ma il 17 novembre cambiò tutto: Il 17 novembre 1939, infatti, il governo nazista del Protettorato di Boemia e Moravia uccise molti studenti oppositori del regime e nel 1989 varie sigle studentesche scesero in piazza per ricordarli e, rapidamente, il ricordo divenne protesta contro il totalitarismo comunista.

In tutto il mondo le TV trasmisero le immagini dei manifestanti che armati di bandiera cecoslovacca facevano tintinnare le chiavi e facevano il segno della vittoria, adottato come simbolo dai dissidenti e dallo stesso Havel.

In pochi giorni il governo comunista fu costretto, prima sotto la leadership di  Ladislav Adamec e poi di Marián Čalfa, a lasciare spazio all’opposizione e il 29 dicembre Václav Havel salì al Castello di Praga dopo essere stato eletto Presidente della Cecoslovacchia. Pochi mesi dopo vennero convocate le libere elezioni, vinte dal Forum Civico, all’epoca guidato da un nome caro ai liberisti euroscettici: Václav Klaus.

Come mai la rivoluzione di Velluto è più interessante delle altre rivoluzioni dell’autunno delle nazioni?

La ragione è che fu una “liberální revoluce“, una “rivoluzione liberale“, e lo fu inconsapevolmente.

In molti Stati comunisti il cambiamento fu praticamente un fatto interno al Partito Comunista, alle volte misto a questioni nazionali mai risolte, come in URSS, in Bulgaria e in Ungheria, in Germania Est e Polonia fu il trionfo del cristianesimo democratico mentre in Romania ci fu una rivoluzione violenta che però non eliminò l’infrastruttura comunista.

In Cecoslovacchia la rivoluzione fu quasi inaspettata e il movimento risalente a Charta 77, documento firmato da 200 dissidenti nel 1977 chiedendo il rispetto dei diritti dell’uomo, non era capace di portare avanti il tutto. All’epoca il movimento della dissidenza era principalmente composto da membri della società civile e molti dei dissidenti politici erano socialisti democratici epurati dopo il 1969. Non proprio la patria del liberalismo.

Tuttavia con la politicizzazione la rivoluzione di Velluto assunse connotati fortemente liberali: Il Forum Civico era dominato da forze liberali e liberiste, con la componente socialdemocratica minima.

Nel 1990 il Forum si divise in Parlamento: La maggioranza andò con Klaus nel Partito Civico Democratico, che proponeva un rapido passaggio al libero mercato, la componente più vicina al liberalismo sociale scelse invece il Movimento Civico, che scomparve dalla scena politica in poco tempo, non raggiungendo lo sbarramento del 5%. I pochi socialdemocratici si unirono al Partito Socialdemocratico, rifondato dopo la rivoluzione e perseguitato durante il comunismo. Prendano nota i sedicenti socialdemocratici che gioiscono per le vittorie del comunismo.

La Repubblica Ceca, nel frattempo nata da una secessione, avversata dal Presidente ma non impedita, si avviò al libero mercato ed oggi è una delle principali economie emergenti d’Europa, con una disoccupazione ampiamente sotto il 4% e un debito del 35% del PIL. Anche Havel, inizialmente dubbioso su alcune riforme di Klaus come la mancanza del diritto di prelazione nelle privatizzazioni dei negozi assegnati dai comunisti, ebbe da ammettere che fu il sistema migliore per adeguare il mercato ai cittadini e non viceversa.

Havel supportò dunque la transizione all’economia di mercato ma ebbe dissidi con Klaus, principalmente su temi etici e sociali ma anche sul fatto che la privatizzazione fatta rapidamente potesse favorire corruzione e monopolismo. A vedere altri Stati che hanno seguito un cammino simile a quello ceco non si può negare che fu un timore fondato, tuttavia in Repubblica ceca tale modello ha funzionato abbastanza bene, garantendo benessere e crescita che il comunismo non avrebbe mai garantito.

E tutto ciò fu garantito da una collaborazione, non priva di dissidi, tra le forze liberali ceche: Dal liberalismo verde di Havel al liberismo duro e puro di Klaus all’euroliberalismo del Principe Carlo di Schwarzenberg, che ha lasciato una Cechia venticinquesima al mondo per libertà economica, paradiso europeo dei portatori di armi e, soprattutto, senza leggi corporativiste e di limitazione delle libertà di pensiero d’epoca fascista.