L’assistenzialismo: come affrontarlo? – Rubrica “Welfare secondo un Liberista”

Nel primo articolo della rubrica “Welfare secondo un Liberista” ci siamo lasciati con un quesito.

Le politiche sociali possono svilupparsi tramite la coesione volontaria dei cittadini, l’autogestione del welfare, l’autogoverno del proprio vicinato o delle proprie cause sociali?

Non esiste risposta migliore se non quella di raccontare, passo dopo passo, come si approccia un liberista rispetto al tema del Welfare. In questo articolo, spiegherò come il liberista vede il tema dell’assistenzialismo.

Si dicono tante grandi bugie sul nostro conto. Un socialista è perfettamente convinto che per un liberista, il povero può morire di fame. Ci disegnano come dei perfetti ricchi borghesi.

Peccato però che non ci sia bisogno di fare troppi esempi su quanti liberali liberisti possiedano un reddito normale, in media con tutto il resto della popolazione. Potrei raccontare la mia vita, il mio percorso di vita.

Ebbene, io provengo da una famiglia, dal punto di vista economico, con qualche debolezza. Quando iniziai il mio percorso universitario, emigrando a Torino, avevo la consapevolezza di non avere alle spalle una famiglia forte. Sicuramente presente, ma non abbastanza da garantirmi una tranquillità economica.

Sono diventato liberista, sicuramente grazie agli studi, ma anche approcciandomi alla vita. Finito gli studi, inizi a lavorare. In quel momento capisci che hai di fronte dei grossi handicap. Essere assunto da un’azienda è molto difficile: in una grossa azienda devi fare i conti con la realtà: da una parte ci sono gli assunti “storici”, gli assunti figli dello Statuto dei Lavoratori, assunti con tanto di contratto indeterminato e protezione in-toto dei Sindacati.

Licenziare non è semplice, ma intanto la crisi è forte. Siamo alla fine del 2015 e l’inizio del 2016. Sembra che ci siano dei risvegli economici, ma è tutta apparenza. Con la crisi sul groppone, con un costo esorbitante del personale, le aziende ricorrono ad altri sistemi: contratti interinali, contratti a collaborazione, i voucher. Trovi di tutto, insomma. Ah si, poi ci sono gli immancabili stage.

Mentre inizio a cercare lavoro, vengo a scoprire di aver perso un treno: nel 2015, esattamente nel primo semestre, arrivano gli sgravi fiscali sui contratti a tempo indeterminato attuati dal Governo; una gran sfortuna, io stavo studiando, ero all’università in quel periodo, ora che ho concluso gli studi, mi rimangono le bricioline. I residui, insomma: grazie governo.

Nel frattempo, anche un mio amico stava cercando lavoro. Mi dice però che si sente molto sconsolato. Lui aveva più di 30 anni e perdeva tanti di quei “privilegi” utili per l’assunzione.

Per farla breve, sono esattamente quattro anni che lavoro. Ho cambiato tante aziende, sicuramente, ma ho sempre lavorato. Nonostante tutto, vuoi per la mia cultura politica, vuoi perché sono ambizioso, ho acquisito una mia filosofia di vita. Penso che alla mia età, giovane, l’unica cosa che posso fare è maturare, crescere, fare gavetta.

Questo non vuol dire vivere senza diritti, ma che alla nostra età abbiamo da dimostrare, non da chiedere. Poi, la vita è una scala sociale. Se sai salire sei stato bravo, altrimenti sei stato scadente.

Per un liberista la frase di Bill Gates, “Se sei nato povero non è colpa tua, ma se muori povero è colpa tua”, è una frase che rientra molto nelle mie dinamiche di pensiero.

Guardiamo la realtà italiana: ho appena fatto un piccolo racconto di come vive un giovane che entra nel mondo del lavoro. Entriamo in un contesto con una marea di “protezioni sociali“. Il difetto principale dell’assistenzialismo è che protegge il passato o il presente, ma non il futuro.

Protegge chi chiede in quel momento una copertura, ma penalizza tutto il resto. Il Governo del 2015 decise per gli sgravi fiscali per i contratti a tempo indeterminato, fu una decisione elettorale, probabilmente, ma che maturò tantissime assunzioni; in quel momento molti giovani non erano disponibili per entrare nel mercato del lavoro ed una volta pronti, i “rubinetti” erano ormai chiusi.

Anche perché l’assistenzialismo non potrà mai garantire una protezione universale, perché il meccanismo lo impedisce. Esattamente, parliamo di un meccanismo che prevede che chi produce reddito “protegga” chi non produce reddito. Ebbene, quando una categoria tende ad essere assistita dallo Stato, i detentori di reddito, esclusi dall’assistenzialismo, devono sobbarcarsi il peso.

Chi sono gli esclusi di oggi? Direi una donna casalinga che ha deciso da poco di immettersi nel lavoro; noi giovani che finiamo la scuola o l’università; chi si ritrova disoccupato a 50 anni.

Ecco, prima ho detto che l’assistenzialismo protegge il presente, ma non il futuro. Ebbene, l’esempio lampante sono il cambio di rotta genitori-figli. Storicamente, dall’ottocento fino a qualche anno fa, i figli tendevano ad essere sempre più ricchi dei genitori. Ebbene, quest’anno e prossimamente, per la prima volta, i genitori saranno più ricchi dei figli. Questo non era mai accaduto.

Ma esiste una categoria di esclusi non annunciata. I detentori di reddito. Cosa succede se chi ha un reddito si ritrova con le stesse difficoltà di chi non possiede un reddito?

Allo stesso attuale, diciamo che si ha ben poco su cui poter sperare. Anche analizzando il mio presente, direi che mi ritrovo in questa situazione: lavoro, ho uno stipendio, ma sono accompagnato da una spaventosa fragilità economica; basterebbe un soffio di vento per passare un mese complicato, eppure, per lo Stato, io non godo di alcun aiuto assistenziale. Al massimo, gli assegni famigliari se hai un figlio. Ma io non ho figli. Altra esclusione.

Alla prossima…