I fallimenti dell’Italia derivano dal Neoliberismo?

 

Turboliberismo, Deregulation, Instabilità economica e disuguaglianze? Nel dibattito politico e mediatico è facile sentire spesso questi termini, con la convinzione, da parte di molti, che i fallimenti economici del nostro Paese derivino da una politica economica Liberista. Cos’è il Liberismo? Ad oggi con Neoliberismo (espressione che sembra quasi lasciar trapelare un’ accezione negativa, usata con disprezzo, spesso, nel linguaggio comune dei talk show italiani ) si indica la dottrina di applicazione del sistema capitalista o meglio di un sistema di libero mercato. Esso consiste nella creazione di uno stato minimo, di uno sviluppo di una libera concorrenza, che viene incentivata da una bassa imposizione fiscale e una burocrazia snella. Per stato minimo, si intende uno stato che non interviene nell’economia,ma che, citando Hayek: “stabilisca le regole del gioco”. E questo per quale motivo? Quali sono i benefici di una politica di Lasseiz Faire, invece che predicare l’intervento dello stato nell’economia? Lo stato per intervenire nell’economia, deve procurarsi le risorse. Questo è possibile farlo in tre modi: 1) Stampando Moneta: questo è il metodo più folle di tutti; quante volte, avete sentito economisti affermare che basterebbe riacquistare la sovranità monetaria, per poter stampare moneta e così finanziare una ripresa economica. Se si immette moneta (stampata) nel mercato si verrà a creare un fenomeno chiamato inflazione, che consiste nella svalutazione della moneta, cui consegue un aumento dei prezzi e in aggiunta anche un aumento dei tassi d’interesse sul debito pubblico. 2) Deficit: L’idea che lo stato tramite la costruzione delle infrastrutture, finanziate attraverso il ricorso al debito, possa portare ad una crescita duratura è ormai diventato pensiero unico in Italia. Riflettendo attentamente però, attuare una politica economica Keynesiana a lungo andare può portare così tanti vantaggi? Lo stato si indebita: prende infatti in prestito soldi che poi dovrà ridare (o meglio le generazioni successive dovranno ridare) con un interesse più o meno alto; il tasso di interesse dipenderà dalla stabilità economica di uno stato e dalla fiducia che gli investitori internazionali hanno verso esso. Dunque, in conclusione, maggior deficit lo stato farà maggiori, in molti casi, saranno anche i tassi da pagare in futuro. In questo sistema, non è il mercato  a decidere dove allocare le risorse più opportune, bensì il pianificatore centrale che, nel momento in cui investirà in un determinato settore andrà a creare un danno ai vari settori concorrenti. Una volta superate le norme burocratiche ed eventuali indagini, come accade spesso in Italia, per concussione o peculato, la crescita che si verrà a creare a seguito degli investimenti fatti, non sarà una reale crescita dell’economia generalizzata, data da un aumento degli scambi tra privati, ma bensì una crescita drogata dall’immissione di denaro da parte dello stato. Come è semplice comprendere questo modo di creare crescita sarà a breve termine come testimoniato d’altronde dalle parole Keynes: “Sul lungo periodo siam tutti morti” e non comprenderà un aumento generale del l’economia, ma solo di determinati settori decisi dal pianificatore centrale. Una volta finito l’effetto della “droga” per non ricadere in “astinenza”, ovvero in crisi, si dovrà fare rifermento al medesimo strumento. 3) Alzare le imposte: Un ennesimo inasprimento delle imposte porterebbe il nostro Paese, come del resto tutti gli altri, ad un disastro economico senza precedenti. La cosiddetta Patrimoniale o la Robibtax, tasse etiche in nome della giustizia sociale, atte a colpire i ricchi, porterebbero ad un aumento della già consistente fuga di capitali dal nostro paese. Chi mai verrebbe ad investire in italia sapendo che oltre alla tassazione al 68% gli verrà anche tassato il patrimonio? Il nostro Paese malgrado il generalizzato astio verso i ricchi o le multinazionali nutre i suoi settori di punta come il settore automobilistico o navale, ma anche il campo della moda. Questo proprio grazie ad investimenti privati da parte di milionari e miliardari che, ovviamente, non rimarrebbero in Italia, nel caso in cui le condizioni lavorative divenissero ancora più sfavorevoli. L’Italia quindi è un paese Liberista? La risposta è assolutamente no. Anzi, è uno dei Paesi meno liberista d’Europa. Il nostro Paese ha fatto largo uso delle politiche economiche stataliste che ho descritto sopra. L’Italia negli anni ha fatto largo uso della spesa in deficit, come testimonia il nostro 136% di debito pubblico, che, a causa della crisi Covid, si attesterà per il prossimo anno per almeno un 158%. L’Italia è la prima in Europa per tasse sul lavoro, con il 68,4%,  e si trova al 80 esimo posto mondiale per libertà economica. Ha una burocrazia invadente, che si trova tra le più fitte e tortuose, una spesa per Pubblica Amministrazione che conta il 5.2% del PIL mentre la media europea è circa del 4%. Ha una pressione fiscale sulle imprese che arriva fino al 68% ed un Cuneo fiscale altissimo che rendono costosissimo per le imprese assumere nuovi dipendenti . Per citare altri dati, ha una pressione fiscale generale 45% spesa pubblica al  50% circa. Quindi cos’è che serve al nostro Paese? Un cambio di rotta, abbandonare lo statalismo che ha caratterizzato l’Italia per tutta la sua storia Repubblicana e abbracciare una svolta liberale, attuabile tramite: privatizzazioni, taglio di tasse e flessibilità sul lavoro.