Intervista a Giancristiano Desiderio

Per il blog dell’Istituto Liberale ho avuto il piacevole compito di intervistare Giancristiano Desiderio, scrittore e giornalista campano, che ha da poco pubblicato un interessante saggio dal titolo “Croce ed Einaudi. Teoria e pratica del liberalismo”, edito da Rubbettino.

Partendo da quest’opera cercheremo poi di allargare il nostro sguardo su tematiche che il Prof. Desiderio ha dimostrato di avere a cuore e che toccano da vicino la sensibilità dei liberali. Infine, ci soffermeremo su alcuni aspetti filosofici del liberalismo di Benedetto Croce, punto di riferimento del nostro autore, confrontati con quelli di un altro grande pensatore liberale del Novecento.

Prof. Desiderio, il suo libro dà una lettura nuova e per così dire “conciliante” di quello che lei chiama discussione e non polemica tra Croce ed Einaudi. Ci spiega cosa l’ha spinta a soffermarsi su un tema già così ampiamente dibattuto in passato?

Sì, è vero: quando si parla di Croce ed Einaudi si nomina sempre la loro polemica e si sottolinea il momento del disaccordo piuttosto che la loro intesa. E’ probabile che ciò dipenda dalla storia politica del liberalismo italiano.

Infatti, se si leggono direttamente le fonti, ossia gli scritti dei due grandi uomini di pensiero e di azione, si potrà constatare che il filosofo e l’economista discussero con l’evidente intenzione di intendersi a partire da un problema comune: la difesa della libertà dalla mentalità autoritaria e totalitaria dei tempi che vivevano e contro la quale lottavano.

In realtà, io non do una lettura accademica del rapporto tra Croce ed Einaudi e privilegio il problema della loro discussione. Si può notare, inoltre, che mentre l’amicizia tra Croce e Gentile porterà a incomprensioni e inimicizia, la collaborazione tra Croce ed Einaudi ci consegna una vera cultura della libertà di cui il nostro Paese oggi ha un disperato bisogno.

Il sito che pubblicherà questa intervista ha un’impostazione liberista, per la quale le libertà economiche rappresentano un presupposto fondamentale per la libertà “tout court”. Ci può chiarire il ruolo del liberismo nella concezione di Benedetto Croce? Perché ritiene scorretto riscontrare in questa visione un’apertura allo statalismo?

Il problema di Croce era questo: pensare la libertà con la libertà stessa per non farla dipendere né da un’economia, né da uno Stato, né da una chiesa, né da un partito. La sua “religione della libertà” è proprio questo: la libertà come fondamento della storia umana.

La critica che muove al liberismo è la critica che muove a chi pensa lo stesso liberismo non come scienza economica o azione utile ma come sistema morale. Ciò che Croce vuole evitare, e Einaudi esprime il suo accordo, è una sorta di marxismo capovolto.

Croce, del resto, è il pensatore dell’Utile e non potrebbe mai pensare ad una soppressione del pensiero economico che, invece, si limita a concepire nella sua distinzione. La “religione della libertà” è l’inverso dello statalismo e funziona come una messa in fuorigioco o di decostruzione della mentalità totalitaria.

Lei ricostruisce nel suo libro il rapporto di reciproca stima e fratellanza tra Croce ed Einaudi, quasi a sottolineare i notevoli punti di convergenza rispetto a quelli di divisione. Entrambi inoltre si impegnarono attivamente per la ricostituzione del Partito Liberale. Guardando alla realtà di oggi, non pensa che l’Italia abbia dimenticato la lezione e l’esempio di questi due grandi uomini?

Einaudi e Croce collaborarono tanto sul piano della conoscenza e dello schiarimento dei concetti di liberismo e liberalismo quanto sul piano dell’azione e della rifondazione politica del partito liberale. Che la cultura italiana abbia dimenticato la loro lezione è indubbio: in Italia prevale una mentalità statalista sia nella vita economica che in quella culturale e morale.

Sia per Croce che per Einaudi la cultura era indipendente ed autonoma rispetto alla sfera dello Stato. Einaudi arrivò a non votare l’articolo 33 della Costituzione che prevede l’esame di Stato e Croce è il maggior rappresentante della cultura libera ossia non organizzata in istituzioni. In fondo, si tratta di due eretici a tutti gli effetti soprattutto perché furono non solo antifascisti ma anche anticomunisti.

Personalmente consiglio a tutti la lettura della sua opera, specialmente a giovani liberali (e non liberali naturalmente) che vogliono approfondire le motivazioni etiche del liberalismo, le quali prevalgono in entrambi i protagonisti del Suo libro.

Per chi volesse approfondire segnaliamo inoltre l’ultimissima fatica del nostro autore “Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce II.  Parega e Paralipomena”, edito da Aras, secondo volume della biografia di Benedetto Croce.

Ma veniamo ora a un’ altra opera che lei ha pubblicato qualche anno fa e che proprio in questi giorni di emergenza coronavirus appare di stringente attualità: “L’individualismo statalista. La vera religione degli italiani”. Ci può spiegare in breve la Sua tesi e se eventualmente crede che questo atteggiamento sia riscontrabile anche nella maniera in cui l’Italia ha affrontato il COVID-19?

La tesi è semplice: nella cultura italiana il cattolicesimo e il comunismo hanno toccato l’anima più profonda degli Italiani perché hanno offerto l’idea che lo Stato possa essere una sorta di istituzione salvifica che chiede l’anima per salvare il corpo. Ma si tratta di uno scambio illecito perché Parigi non vale e non può valere una messa.

Se si è disposti a fare questo scambio ci si priva degli anticorpi necessari – la cultura, il pensiero, il giudizio, la conoscenza, la storia, la scienza – per limitare il potere e si coltiva l’idea perversa di usarlo indebitamente per i propri fini.

Si tratta di miopia perché non solo non si ottengono vantaggi propri ma si corrompe anche lo stesso potere statale che così risulterà assente nel momento della necessità. Non è forse accaduto proprio questo nell’esperienza tragica dell’epidemia del Covid-19?

Un altro tema che da sempre La appassiona è quello della scuola e dell’istruzione. Ci spiega il suo punto di vista sul sistema educativo italiano?  Quale deve essere a Suo parere la principale preoccupazione di un liberale nell’affrontare il tema della scuola?

Se si vuole capire qualcosa della crisi irreversibile della scuola italiana è necessario rivolgersi alla cultura liberale. Luigi Einaudi sapeva molto bene che la riforma più importante da fare era l’abolizione del valore legale dei titoli di studio per ridare nuovamente valore proprio allo studio, alla scuola, all’università.

Il valore legale del diploma e della laurea sono un autentico veleno che è stato immesso nel sistema dell’istruzione. Quando nel 1969 si uscì dal sistema della scuola di Gentile rimase in piedi proprio il valore legale del diploma che indirizzò, come una sorta di bussola nascosta, la scuola di massa.

Oggi è necessario ripensare la storia della scuola italiana. Se lo si facesse si vedrebbe che non c’è altro da fare che passare dal modello della “scuola di Stato” al modello della “scuola libera”. La differenza è chiara: mentre il primo modello, con il valore legale dei titoli di studio ossia con il monopolio, vieta il secondo modello, il secondo modello ossia la scuola libera non elimina il primo ossia la scuola di Stato.

La riforma da fare, dunque, è nei fatti stessi, è un’esigenza della stessa storia della scuola italiana. Inoltre è anche, come si dice, a costo zero! Basterebbe sostituire gli esami di licenza con gli esami di ammissione e lasciare gli esami di Stato solo come esami extra-scolastici per le abilitazioni. Perché non lo si fa? Per due motivi: per ideologia e per ignoranza.

Per concludere vorrei affrontare un tema più specificatamente filosofico: diversi studiosi hanno riscontrato nell’idea crociana di “accadimento” una sostanziale affinità con l’idea hayekiana di “ordine spontaneo”. Lei concorda? E sempre restando su Hayek, l’austriaco individua nell’abuso della conoscenza, ovvero nella “presunzione fatale” di possedere un sapere superiore e totale sulla realtà, la causa delle maggiori tendenze illiberali e totalitarie. Lei ritiene che anche in questo si riscontra un’importante affinità con i presupposti gnoseologici del pensiero di Benedetto Croce?

Le affinità tra Croce ed Hayek sono molte e sono giustificate soprattutto dalla cultura storica. L’accadimento non è il frutto di un progetto o di una conoscenza elaborata da una mente o da un professore o da un computer ma è il risultato delle libere azioni degli uomini che nessuna conoscenza può predeterminare.

Le forme di totalitarismo sono sempre il frutto di un abuso della conoscenza con cui si tenta di giustificare il potere. La filosofia di Croce è per sua intima natura anti-totalitaria perché la sola forma di conoscenza umana è semplicemente il giudizio storico.

Perché alla fine dei conti il potere va limitato? Perché nessuna conoscenza può giustificare un potere senza limiti. Ma è proprio quanto cercano di fare le ideologie che ritengono di possedere una conoscenza straordinaria con la quale, come diceva Marx, risolvere l’enigma della storia. Con questa presunzione fatale negano la libertà per garantire sicurezza. Ma è un inganno perché se si nega la libertà non si avrà mai sicurezza. La classica trappola per topi.