Quegli ebrei che sopravvissero grazie al contante

Il 13 maggio 1939, da Amburgo salpava la MS St. Louis, transatlantico al comando del capitano Gustav Schröder, tedesco anti-nazista. A bordo c’erano 930 ebrei che, perseguitati in Germania e consapevoli della ghettizzazione in corso, avevano radunato tutto ciò che avevano e comprato biglietti e visti turistici per entrare a Cuba, dove intendevano stanziarsi.

Giunti a Cuba, solo pochissimi di loro vennero accettati poiché le leggi sull’immigrazione erano cambiate e i visti non erano più validi. Inutili furono anche gli appelli a Stati Uniti e Canada: la St. Louis dovette riattraversare l’Atlantico e fare rotta verso Anversa, dove approdò il 17 giugno, dopo oltre un mese in mare.

Gli esuli ebrei, rifiutati nel Nuovo Continente, trovarono rifugio in Gran Bretagna, Belgio, Francia e Olanda. Chi conosce un po’ di storia potrà intuire la loro sorte. 84 morirono in Belgio, 84 in Olanda, 86 in Francia, e 1 soltanto in Gran Bretagna a causa dei bombardamenti.

Qualche anno più tardi, in Germania l’apparato repressivo funzionava a pieno regime. A tonnellate, i corpi degli ebrei eliminati venivano smaltiti in forni crematori, bruciati in grosse fosse comuni, o seppelliti in luoghi remoti lontani dalle città. L’ex soldato polacco Chaim Engel fu uno degli sfortunati internati del campo di sterminio di Sobibor, circa 11 chilometri a sud-est di Wlodawa.

Chaim Engel era nei sonderkommando, le unità di internati adibiti a compiti come gestire i cadaveri, spogliare i nuovi arrivati, depredarne e catalogarne gli averi, eseguire lavori di manutenzione al campo, e così via. In un magazzino di stoccaggio dei vestiti conobbe Selma, colei che sarà la sua futura sposa. Insieme, presero parte al piano di evasione organizzato da alcuni prigionieri dell’Armata Rossa, il 14 ottobre 1943.

Uccisero delle guardie SS con pugnali e asce trovati tra i bagagli sottratti ai prigionieri, indossarono le divise dei tedeschi, e radunarono tutti i prigionieri per l’appello. Il piano era condurli fuori dal campo fingendo di portarli al lavoro, così da ingannare le vere guardie del campo. Purtroppo, i prigionieri (non consapevoli del piano) credettero di essere stati radunati per essere sterminati, e scoppiò il caos.

Tra mitragliatrici e mine, Chaim e Selma riuscirono miracolosamente a lasciare il campo insieme a pochi altri prigionieri. Fuggirono nei boschi e giunsero a un vicino villaggio. Chaim e Selma erano stati previdenti: durante il loro lavoro coi bagagli avevano raccolto un po’ per volta degli oggetti di valore, oro, dollari americani e qualunque cosa potesse essere scambiata.

Riuscirono quindi a pagare lautamente una famiglia del villaggio affinché li nascondesse. I tedeschi arrivarono, catturarono alcuni prigionieri rifugiatisi nel villaggio, e li fucilarono. Chaim e Selma invece, ben nascosti, la fecero franca. La loro vita finirà in tarda età, negli Stati Uniti.

Cos’hanno in comune queste due storie, oltre all’evidente brutalità del regime nazista?

Agli ebrei di queste due storie, non uniche nel loro genere, fu tolto ogni diritto dal regime nazista, persino lo status di esseri umani. Ma neanche il regime nazista poté privarli della ricchezza che avevano accumulato e della possibilità di usarla per comprare beni e servizi. Nonostante la distruzione delle attività commerciali di ebrei, nonostante i prelievi dai conti correnti, nonostante le deportazioni nei ghetti, gli ebrei riuscirono sempre a portare con sé contante e metalli preziosi coi quali scavalcare ogni divieto legale.

La zona grigia tra legalità e illegalità fu la loro salvezza. Lo “stato di natura” in cui un umano scambia qualcosa con un altro umano, senza intermediari. Se il regime nazista avesse potuto bloccare i conti correnti e abolire completamente il contante, gli ebrei sarebbero stati privati anche di quei pochi mezzi per comprare un biglietto e fuggire via, per comprare del pane in nero, per pagarsi un rifugio, dei vestiti, corrompere una guardia, e così via.

Gli ebrei della St. Louis furono sfortunati, ma come loro, migliaia e migliaia di ebrei si allontanarono dalla Germania prima che fosse troppo tardi. Un blocco dei conti correnti li avrebbe irrimediabilmente imprigionati nel loro Paese, dove sarebbero stati condotti al macello come bestie inermi. Chaim Engel ebbe moltissima fortuna rispetto agli altri internati di Sobibor, ma se poté sopravvivere fuori dal lager fu solo grazie al denaro e all’oro che aveva rubato ai suoi sfortunati correligionari massacrati.

Il contatto diretto e fisico con il denaro, un mercato basato sullo scambio manuale, tangibile, naturale, furono elementi essenziali per Chaim Engel. Nei ghetti ripuliti dai rastrellamenti sopravvissero a lungo numerosi ebrei nascosti tra le macerie. Anche costoro comprarono ciò di cui avevano bisogno grazie ai risparmi che il regime nazista non aveva potuto raggiungere. Ma se per pagare del cibo fosse stato richiesto loro di mostrare una carta di credito associata a un conto corrente, sarebbero morti di fame.

La prospettiva di smaterializzare la ricchezza e delegarne per legge l’intera gestione al sistema bancario è il sogno di ogni regime totalitario come quello nazista. Resta quasi impossibile raggiungere il denaro nascosto nelle abitazioni private, che sono milioni, ma è facilissimo agire coattivamente su poche banche e, in pochi secondi, bloccare l’accesso ai conti correnti ai cittadini sgraditi. In un batter d’occhio lo Stato può impoverire completamente un cittadino.

Ciò non significa che i metodi di pagamento elettronici vadano demonizzati o vietati. Questi restano un’ottima invenzione, ma è l’abolizione del contante ad essere una deriva molto pericolosa, perché colpirebbe principalmente i poveri, gli ultimi, gli sgraditi. Permetterebbe allo Stato di decidere chi vive e chi muore.

Nessuno crede davvero di potersi ritrovare sotto una spietata dittatura, eppure accade ancora nel mondo. Preservare la libertà è un nostro compito, nessun altro lo farà per noi. Il contante non salvò tutti gli ebrei dalla persecuzione, questo è chiaro, ma permise a molti di fuggire o di sopravvivere nell’illegalità. Questo non va mai dimenticato.

 

Fonti:
https://www.ushmm.org/educators/teaching-materials/national-history-day/research-topics/the-st.-louis
https://www.jewishvirtuallibrary.org/the-tragedy-of-s-s-st-louis
https://www.britannica.com/topic/MS-St-Louis-German-ship
https://www.sobiborinterviews.nl/en/component/content/article/65
https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/id-card/chaim-engel

Dazi e cannoni

Attraversando le strade di Bordeaux nel 1808, il console americano W. Lee rilevò lo stato di totale abbandono della città, e scrisse nei suoi appunti di viaggio che «Grass is growing in the streets of this city. The beautiful port is totally deserted»1 . Il commissario di polizia, in un rapporto, parlava di miseria estrema e di mancanza quasi totale di lavoro. A Livorno il numero di famiglie iscritte nel registro dei poveri aumentò da 2.512 nel 1810 a oltre 20.000 nel 18132. Le due città, seppur lontanissime, erano state colpite dalla guerra di Napoleone. Non dai suoi formidabili cannoni, ma da qualcosa di più letale, subdolo e radicale: il blocco commerciale.

Verso la fine del 1808, Napoleone aveva imposto all’Impero francese e alle repubbliche sorelle il tristemente famoso blocco continentale, un sistema di dazi e divieti nei confronti della Gran Bretagna e delle sue colonie. L’idea, in verità, fu di tre economisti fisiocratici che osservarono come la Gran Bretagna avesse gradualmente abbandonato l’agricoltura in favore dell’industria. Con il blocco continentale, la Francia bloccò tutte le esportazioni agricole dal continente verso la perfida Albione, indebolendola; nel contempo, avrebbe impedito ai manufatti britannici di avere uno sbocco commerciale nel continente, causando una crisi economica all’odiato nemico e eliminando la concorrenza per le industrie francesi.

Le cose non andarono esattamente così. Il blocco indebolì certamente l’economia inglese, ma solo in minima parte: casi di contrabbando, filtrazioni, corruzione o addirittura elusione delle regole dettate dall’Imperatore (lo stesso zar russo tentò di aggirare il blocco) furono così diffusi da permettere ugualmente il commercio. Si pensi che ad Amburgo, nel 1810, il direttore della dogana ammetteva che dalle 15 alle 20 mila persone (circa un sesto della popolazione) vivevano unicamente grazie ai proventi delle filtrazioni3, cioè di piccoli contrabbandi con le regioni confinanti.  Inoltre, gli stessi cittadini francesi furono duramente colpiti dal blocco, poiché i manufatti francesi erano molto più costosi di quelli inglesi o coloniali.

Emblematico fu il caso svizzero. Il blocco continentale eliminò la concorrenza britannica nel settore tessile, che in Svizzera conobbe una notevole espansione (1808-14). Il numero di stabilimenti aumentò a «60 nel cant. Zurigo, a 17 nel cant. San Gallo e a sette nella regione appenzellese. Imprenditori che si rifacevano al modello britannico come Johann Caspar Zellweger a Trogen o Hans Caspar Escher a Zurigo trovarono, malgrado gli ostacoli posti dai franc., nuovi sbocchi commerciali in Germania e realizzarono durante la congiuntura bellica ricavi elevati»4. Caduto Napoleone e ripristinato il libero commercio, le industrie tessili svizzere furono travolte dalla concorrenza britannica e fallirono.

Nello studio di Napoleone ci si sofferma spesso sul suo genio strategico, sulle sue artiglierie e sulle conquiste. Ben poco si dice riguardo il blocco continentale, un’arma che sfuggì di mano a Napoleone, impoverendo la sua stessa gente ancor prima che gli inglesi. Nel ventunesimo secolo è essenziale ricordare la lezione del blocco continentale. Per Napoleone, il protezionismo economico e i dazi furono parte integrante della guerra. Sebbene confusamente e con i già rilevati errori, Napoleone intuì come il blocco dei commerci causasse povertà, non crescita economica. Fu cieco sugli effetti interni, ma va detto che nei suoi piani il blocco doveva essere una misura temporanea, accessoria all’invasione delle isole britanniche – mai avvenuta.

I dazi doganali, nonostante ciò che vuole vendere la propaganda, funzionano oggi allo stesso modo di duecento anni fa. Aiutano un settore a crescere eliminando la concorrenza più produttiva e conveniente, ma colpiscono tutti i consumatori, indiscriminatamente. Un produttore di maglie italiano che può vendere il suo prodotto a 20 euro vedrà sicuramente male l’arrivo di un produttore cinese che può vendere lo stesso prodotto a 5 euro. I dazi hanno il compito di compensare al divario dei prezzi, così che anche il venditore cinese, dovendo pagare una tassa in più, dovrà alzare il prezzo del suo prodotto. Chi perde è il consumatore. Comprare un prodotto di 5 euro significa risparmiarne 15, da poter impiegare in altri commerci presso altri venditori che hanno diritto di restare sul mercato tanto quanto il venditore di maglie. E’ vero che il settore tessile nazionale verrebbe danneggiato – nessuno lo nega – ma è anche vero che il consumatore (soprattutto il più povero) potrebbe permettersi di comprare più prodotti con quei 20 euro che un tempo avrebbe speso per un solo bene.

Purtroppo questo è un esempio. I dazi hanno effetti ancora peggiori, nella pratica. Spesso le nazioni estere verso cui vengono innalzate barriere doganali, rispondono con le medesime contromisure. In breve tempo, anche le esportazioni verso l’estero subiscono un duro colpo, poiché anche i venditori nazionali saranno costretti a vendere le merci a prezzo più caro sui mercati stranieri – vendendo quindi di meno.

L’intero gioco si conclude in un totale impoverimento, da una parte e dell’altra. Come duecento anni fa. Perché le leggi dell’economia sono immutabili, ma la memoria è troppo corta.

 

1 “I negozianti delle città portuali in età napoleonica: Amburgo, Bordeaux e Livorno di fronte al blocco continentale, 1806 – 1813”, S. Marzagalli, p. 358, Istituto Universitario Europeo, Dipartimento di Storia e Civiltà, 16 dicembre 1993.

2 “I negozianti delle città portuali in età napoleonica: Amburgo, Bordeaux e Livorno di fronte al blocco continentale, 1806 – 1813”, S. Marzagalli, p. 359, Istituto Universitario Europeo, Dipartimento di Storia e Civiltà, 16 dicembre 1993.

3 “I negozianti delle città portuali in età napoleonica: Amburgo, Bordeaux e Livorno di fronte al blocco continentale, 1806 – 1813”, S. Marzagalli, pp. 264 e seg., Istituto Universitario Europeo, Dipartimento di Storia e Civiltà, 16 dicembre 1993.

4 “Blocco continentale”, A. Fankhauser, Dizionario Storico della Svizzera, 19 maggio 2004.