Il revisionismo iconoclasta: siete uomini o bestie infantili?

La morte di George Floyd ci consente di riflettere sull’incapacità di alcune persone di metabolizzare il nostro passato, un’opportunità di osservare ancora una volta il lato oscuro della nostra natura umana.

Se egli in vita è stato infatti vittima dell’abuso di potere, in morte è oggetto di sfruttamento da parte della giustizia morale promossa dalla distorta cultura marxista della lotta di classe.

Guardate a tal proposito chi sono i nuovi bersagli della furia dei manifestanti, ovvero delle decisioni emotive di alcune imprese: si spazia da personaggi storici come Frank Rizzo, il generale Lee e le statue dei soldati confederati, Colombo, Churchill, Cecil Rhodes, Francis Drake, Gandhi, Vittorio Emanuele II, Montanelli ecc, a film come “Via col Vento”, cartoni di Pippo e Paperino, piuttosto che dolciumi come i cioccolatini moretti.

Che cosa c’entra tutto questo con la morte di un afroamericano? Meno di zero.

La verità è che dell’uomo chiamato George Floyd non gliene frega più niente a nessuno; il dibattitto – come sempre accade – trascende il singolo episodio per spostarsi ai temi dei massimi sistemi, agli scontri tra civiltà e barbarie contro cui chiunque non solo si ritenga essere umano (e quindi uomo di civiltà e coscienza): il revisionismo storico fondato sulla morale contemporanea.

Statue, film, documenti ecc non sono solo cose, ma bensì le testimonianze del nostro passato, di quello che è il nostro retaggio culturale e l’evoluzione della società che noi costituiamo.

La violenza della distruzione e della censura è una minaccia per ognuno di noi e il progresso della nostra civiltà, un nuovo “terrore”, una nuova damnatio memoriae, un’operazione totalitaria (Cesario, Atlantico – 11/06/2020) figlia della confusione tra metodo di studio e diritto d’opinione, un errore questo così rilevante che su di esso si è implicitamente espresso uno dei nostri massimi esponenti nel suo (forse) più importante testo: Ludwig Von Mises in Human Action.

Appoggiare tale revisionismo significa voler ignorare tre questioni fondamentali:

1) cos’è la storia;
2) la metodologia rispetto ad essa;
3) la distinzione tra comprensione e approvazione, ovvero giustificazione.

La storia non è una scienza, ma bensì la disciplina che raccoglie e riordina tutti i dati dell’esperienza relativa all’azione umana, dalla quale è infatti scritta; dunque essa considera quelli che sono gli atti e fatti dovuti alla nostra scelta dei mezzi con cui perseguire le nostre finalità.

Tuttavia, tale decisione è in realtà condizionata da due fattori: eredità e ambiente.

Ogni nostra azione (dalla più semplice scelta di cosa mangiare, al come relazionarci con le altre persone) dipende infatti sia dalle “qualità biologiche” ereditate dalla nostra famiglia che dall’influenza esercitata dall’ambiente che ci circonda: ognuno di noi non vive come uomo in abstracto, ma bensì come figlio della sua famiglia, della sua razza, del suo popolo e della sua età […] come seguace di talune idee (pur potendo farsene di proprie totalmente nuove).

Cosa c’entra tutto questo con il revisionismo e la furia iconoclasta? C’entra il fatto che sono proprio le nostre radici (e quindi il nostro futuro) ad esserne minacciate da tale agire.

Il compito della storia è di mostrare quanto è accaduto in passato, consentendoci di divenire più saggi e giudiziosi nonostante l’impossibilità a priori di avere resoconti fedeli, completi e imparziali dei fatti.

Lo studio del passato si avvale infatti di tutti gli strumenti forniti dalle scienze sociali e naturali, ma nel momento in cui si giunge ai c.d. “dati ultimi” ( cioè non spiegabili dall’odierno stato della tecnica) ecco subentrare il giudizio di valore dello storico che è si condizionato dalla sua formazione ed idee, ma si tratta pur sempre di mera discrezionalità tecnica, non morale!

Nei testi di storia non vi è mai una corretta rappresentazione integrale e approfondita di ogni singolo fatto, poiché uno storico non riporta i fatti come sono accaduti, ma bensì seleziona questo insieme di altrui giudizi di valore sulla base della sua visione del mondo: lo storico non agisce sulla base di pregiudizi, ma puntando ad acquisire la conoscenza (fine ultimo della ricerca).
Chi considera gli eventi come arsenale di armi per esprimere la propria ostilità di parte con l’esclusione di tutto ciò che non accetta, è un mero apologeta, un semplice pappagallo al servizio della propaganda della corrente di turno.

E questo vale tanto per l’accademia che per noi poveri mortali profani nella nostra vita di ogni giorno!

Perché? Perché distruggere, censura e/o revisionare la storia significa non volerla studiare nell’unico modo corretto per farlo: la comprensione.

Attenzione però: il significato delle parole di scienza e accademia non coincide necessariamente con quello che ordinariamente intendiamo; e questo è proprio uno di quei casi.

La storia è una catena di eventi dalle caratteristiche specifiche uniche e individuali; volerla conoscere significa apprendere, analizzare e accertare che un individuo (ovvero un gruppo) è stato impegnato in una data azione che discende da certi giudizi di valore e da scelte che mirano al conseguimento di determinati fini.

Tradotto? Comprendere significa acquisire delle informazioni (specie quelle di contesto) senza travisarle, modificarle o ometterle in forza di qualsivoglia giudizio morale o etico!

Comprendere non è sinonimo di giustificare, sminuire o esaltare i fatti!
Se vogliamo conoscere il passato dobbiamo allora accettare che un evento storico non può essere descritto senza riferimento alle persone coinvolte, al luogo e alla data in cui esso avviene, per quanto poi questo ci possa portare a dare dei giudizi negativi delle vicende esaminate: dobbiamo accettare che le metriche di giudizio non sono uguali nei secoli!

È infatti diritto di ognuno di noi avere un’opinione su un determinato personaggio o vicenda, nessuno può pretendere che la comprensione storica produca risultati che debbano essere accettati da tutti gli uomini (Mises, p. 101); tuttavia questo non legittima distruzione, distorsione e violenza contro persone ed oggetti: la storia non la si apprende solo sui libri, ma anche dallo studio dei resti, dall’ascolto delle testimonianze orali, dalla visione di opere e monumenti.

La storia può essere riscritta solo se vi è stato un aggiornamento di quelle tecniche delle scienze naturali e sociali che utilizziamo per studiare gli eventi; il resto è solo un tentativo di damnatio memorie, un’attività simbolo dei periodi più bui della nostra civiltà con cui:

1) si vuole negare ciò che siamo stati (vi ricordate del processo di innocentizzazione di Zeno?);

2) rigettiamo la natura umana stessa e la sua debolezza: nella nostra mente vi sono tutti i sentimenti umani; tutti noi abbiamo una componente razzista, omofoba, avversa al diverso ecc. Ciò che ci differenzia è quale lato scegliamo di far emergere, una possibilità condizionata anche dal contesto ambientale (lo stato della tecnica di oggi è quello di 600 anni fa?);

3) si commette a propria volta un atto di razzismo/negazionismo/autoritarismo verso ciò che reputiamo tale: l’unica cosa che cambia è il bersaglio, mentre i nostri sensi di colpa sono annichiliti dal nostro presunto senso di superiorità morale che nessuno di noi avrà mai.

Decidere la storia attraverso il giudizio morale è sbagliato e pericoloso, nonché ipocrita e senza una fine: oggi noi siamo giudici, domani saremo i giudicati.
La morale è figlia del tempo e dei pensieri di parte: lasciarla andare fuori controllo significa impedire qualsiasi progressione, condannandoci ad un eterno e stagnante presente, figlio della regressione che da tali atti scaturisce, così descritto da Orwell in 1984:

Ogni disco è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e ogni edificio è stato rinominato, ogni data è stata modificata. E il processo continua giorno per giorno e minuto per minuto. La storia si è fermata. Nulla esiste tranne il presente senza fine in cui il Partito ha sempre ragione.”

Perché tali parole?
Perché la verità di fondo è che nessuno di noi può reputarsi onnisciente: siamo tutti degli esseri imperfetti, con colpe e responsabilità che se non lo sono considerate oggi, lo saranno dai nostri discendenti domani che invero avranno perso la possibilità di conoscere correttamente ciò che siamo stati, anche negli aspetti più brutali.
Volete un esempio della pericolosità di tale processo? Giusto per citare alcuni personaggi:

  • Marx ed Engels erano omofobi e sessisti;
  • Keynes era un bissessuale pedofilo;
  • Dante avrebbe espresso (secondo alcuni) sentimenti antisemiti e islamofobi nella Divina Commedia;
  • Aristotele riteneva la schiavitù una legge naturale, scrivendo frasi come “è evidente che taluni sono per natura liberi, altri, schiavi, e che per costoro è giusto essere schiavi”(Politica, Libro I);
  • Voltaire e Wagner erano antisemiti;
  • Gramsci considerava il jazz “musica da negri”

Vogliamo passare ai monumenti? Ok: siete pronti a perdere qualsiasi resto della civiltà romana?
Pensate alla sola area di Roma che si estende tra l’Anfiteatro Flavio e Piazza Venezia: nel Colosseo sono morte migliaia di persone (gladiatori, schiavi, cristiani ecc) per divertimenti che oggi consideriamo barbari; la Colonna Traiana mostra la conquista della Dacia da parte di Traiano, con i vinti raffigurati in catene; l’Altare della Patria celebra la carneficina della I° Guerra Mondiale (non sarebbe forse offensivo per austriaci e tedeschi?), mentre Palazzo Venezia con il balcone di Mussolini è lì davanti. Eppure sono ancora tutti lì.

Dunque lo capite ora che la furia iconoclasta della giustizia morale non risparmia niente e nessuno? Che nessuno di noi è moralmente superiore per fare ciò?
Lo sapevate che se durante la Rivoluzione francese furono distrutte 28 statue di re biblici a Notre Dame perché scambiati per re di Francia, oggi nell’assalto alla statua di Churchill vi era chi sbandierava bandiere con la faccia del terrorista omofobo Ernesto Guevara della Sierna, alias Il Che?

Lo capite quindi che abbattere monumenti, distruggere libri o rimuovere film e serie tv (a quanto pare vogliono rimuovere persino la serie tv Hazzard per l’ambientazione sudista) è regressivo e pericoloso, nonché demenziale e pretestuoso?

Come si è passati infatti dalle statue di Colombo e Churchill ad attaccare la Kellog’s perché i Rice Krispies hanno tre ragazzi bianchi a rappresentare il marchio mentre i Coco Pops hanno una scimmia ?

Invero cosa differenzia tali azioni da quella dei talebani contro i Buddha di Bamiyan, dei terroristi dell’ISIS contro le rovine di Ninive, Nimrud e Palmira, ovvero del regime di Hitler nel tracciare la falsa storia della superiorità ariana?
La mera convinzione dell’essere nel giusto secondo la propria visione valoriale? È davvero questa la differenza legittimante? Loro cattivi, noi no?

La storia deve essere studiata, perché solo così possiamo comprendere ciò che eravamo e siamo divenuti; in tal senso Mises ci indica due aspetti metodologici fondamentali:

1) un evento storico non può essere descritto senza riferimento alle persone coinvolte, al luogo e alla data in cui esso avviene, altrimenti sarebbe qualcosa che ricade nell’ambito oggettivo delle scienze naturali;

2) lo scontro di gruppi in conflitto può essere trattato dal punto di vista delle idee, dei motivi e degli scopi che determinano gli atti dell’una e dell’altra parte […] per comprendere le loro azioni, lo storico deve tuttavia tentare di vedere le cose come esse sono apparse agli uomini che hanno agito in quel contesto, non soltanto come noi le vediamo ora sulla base della nostra conoscenza attuale; tale aspetto è soprattutto utile su casi come quelli di Cristoforo Colombo (il quale non può essere accusato dei successivi crimini dei conquistadores).

Senza passato non vi è futuro, senza conoscenza non vi è libertà, risoluzione dei problemi umani, progresso e civiltà: signore e signori non esisterà mai il giudizio morale definitivo della storia: nessuno è salvo, nessuno è innocente.

Noi dobbiamo accettare il fatto che ogni epoca storica ha i propri valori e forma mentis: ciò che per noi oggi è legittimo ed etico, domani o ieri non era considerato tale e viceversa; dobbiamo accettare che noi siamo figli anche di atti violenti e criminali, che alla nostra attuale realtà hanno contributo anche esseri criminali e disumani.

Accettate ciò che siamo stati e rispettate il metodo: negare ciò che è stato perché non ci piace favorisce il suo sostanziale ritorno; cambiano le idee e i simboli, ma gli atti disumani restano.
È nostro dovere comprendere, lasciando ogni giudizio morale al successivo dibattito: gli stessi principi fondanti della civiltà quali la libertà e la responsabilità sono emanazione di tale violenza.

La razza umana è tutto ciò: questa è la nostra realtà, questo è il nostro retaggio.
Siete esseri senzienti o bestie infantili che pensano ancora di risolvere i problemi chiudendo gli occhi perché il mostro è sotto il letto e se non lo vedi tu, lui non vede te?

 

Fonti:

Aristotele, Politica.

Cesario, M. (2020), Historia magistra vitae: come nel passato, la furia iconoclasta di oggi lascia presagire solo un nuovo “terrore”, Atlantico, 11/06/2020

Nepi, M. (2020), I cereali Coco Pops accusati di razzismo: “Perché una scimmia come mascotte?”, TPI, 16/06/2020

Redazione (2020), L’iconoclastia antirazzista è inutile e pericolosa, dice un’antirazzista militante, AGI, 11/06/2020

Von Mises, L (2016), L’azione umana. Trattato di economia, Rubettino.

Liberismo: male assoluto, da sinistra a destra

Mai come in questi anni si è assistito a così tanti attacchi al liberismo e ai suoi principi, veri e propri assalti condotti con una ferocia pari soltanto alle disarmanti mancanze dei loro autori, un carnevale di carenze i cui deleteri effetti spingono molti a cercare rifugio nella vera minaccia al nostro sistema economico e sociale: il collettivismo.

Gli eventi globali dell’ultimo biennio confermano tale trend (dalle distorsioni dei seguaci di Greta Thunberg, alle guerre commerciali, dalle recenti sommosse in Cile, all’ancor più recente vittoria peronista in Argentina) e l’Italia – ahimè – non è tutt’altro che estranea a ciò: siamo letteralmente ostaggio di un’allucinante propaganda anti-liberale portata avanti con ogni mezzo.

I nostri social network sono invasi da soggetti che – senza arte né parte – attaccano la libertà in qualunque sua fattispecie, ignoranti del fatto che se essi possono esprimere le loro opinioni – configurandosi talvolta in un vero e proprio abuso di tale possibilità – lo devono proprio a quella libertà che tanto odiano e contestano; e attenzione: non finisce qui.

Infatti, a tale problema se ne aggiunge ben presto un altro: la disinformante propaganda politica di partiti provenienti da ogni schieramento. Eh già figlioli: oggi non abbiamo più soltanto la storica sinistra collettivista ad attaccarci, bensì vi è anche la c.d. destra sovranista e populista a farsi avanti, con i suoi rappresentati e sostenitori che – utilizzando un linguaggio di meri slogan e distorsioni della verità – si riempiono tanto la bocca con la parola libertà, pur non potendosi neanche vantare di saper scrivere questo termine, che – in caso sia sfuggito – è il fondamento della nostra stessa civiltà.

A riprova di ciò, proprio stamattina mi è stato girato il link di un “articolo/opinione” redatto da uno di tali sostenitori, un testo così mal scritto e ricco di menzogne sul conto di noi liberali (per non parlare poi degli errori in ambito economico, sociologico e storico) che mi sono sentito in dovere di smontare ognuna di esse, ma attenzione: questo articolo non rappresenta (almeno direttamente) la mia risposta alle accuse mosse da tale individuo (infatti, per quello ho scritto un apposito articolo nel relativo blog), ma bensì è la risposta a 5 delle principali menzogne sul liberismo che ci vengono costantemente propinate dalla propaganda politica sia essa di destra che di sinistra.

1) il liberismo è un tipo di economia basato esclusivamente sul mercato, senza alcun intervento statale

Se la persona con cui parli parte con questa affermazione, stai certo che sa meno di 0 di questa “ideologia”, poiché:

  • il liberismo non riguarda solo la dimensione economica della società, ma anche quella dei diritti e delle libertà individuali e sociali

La distinzione tra liberismo e liberalismo è un errore prettamente italiano, dovuto a Croce e corretto già all’epoca da Einaudi, poiché senza libertà economica non vi sono libertà sociali e viceversa; a tal proposito, tra noi liberali si è soliti dire che chi vuole solo le libertà economiche (leggasi minor pressione fiscale) è un “fascista che si crede liberale solo perché vuole pagare meno tasse”, mentre chi vuole solo le sociali (leggasi legalizzazione delle sostanze stupefacenti) è un “socialista che si crede liberale solo perché vuole legalizzare la ganja”, sebbene la differenza tra le due categorie è nulla, come ci ricorda il nostro caro Hayek.

2) il liberismo esclude a priori l’intervento statale

Non molti lo sanno (il che comunque non giustifica tali soggetti), ma i liberali si dividono in più correnti di pensiero che vanno dal liberismo sociale (su di essa l’opinione non è unanime perché fa riferimento al pensiero di gente come Keynes) all’anarco-capitalismo.

Ebbene, l’assenza di intervento statale è una caratteristica proprio di quest’ultima corrente, mentre i liberali classici (tra i quali il sottoscritto) riconosco la necessità di un intervento statale in ambito economico, sebbene ridotto al minimo e di tipo negativo, visto che lo Stato è sì un male necessario, ma resta pur sempre un male ed in quanto tale si presenta come una tendenza masochista, la quale può essere solo personale, non un “gusto” da imporre a tutti.

3) il fallimento del modello liberale di Stato in questi anni è palese

La risposta più diretta a questa affermazione è in realtà una domanda: dove è mai stato veramente attuato il liberismo in questi anni?

Questo ricorda molto i comunisti quando affermano che il vero comunismo non è mai stato attuato (mai che riconoscano la realtà laddove i casi storici, o quelli odierni di Venezuela e Corea del Nord, hanno certificato il loro fallimento), ma da dottore e studente di economia io sono abituato a ragionare sui dati e basandoci sull’Index of Economic Freedom, sono 4 i Paesi più liberali al mondo: Hong Kong, Singapore, Nuova Zelanda e Svizzera.

Ora, domanda: siamo tutti per caso come Hong Kong o la Svizzera? Come si fa a parlare del trionfo del liberismo in un periodo storico ove lo Stato interviene massicciamente nel sistema economico?

E attenzione: non mi si venga a dire che è proprio colpa del fallimento del liberismo.

Infatti, per chi come me è cresciuto e ha studiato durante la Crisi, sa che essa è stata originata – manco a farlo apposta eh – proprio dallo Stato e dalle sue Istituzioni, con politiche monetarie espansive fuori controllo (leggasi FED), legislazione inadeguata (leggasi normativa finanziaria) e una socialistica gestione delle politiche fiscali.

4) l’Europa è un leviatano liberale e l’austerity, con conseguente aumento delle tasse, tagli della spesa pubblica e incremento dei prezzi ne è la sua massima emanazione

Ora, tralasciando l’ultimo punto che è palese ignoranza economica (l’aumento dei prezzi nel corso del tempo è detta inflazione. Se essa vi fosse veramente, com’è allora che la BCE continua a drogare il sistema a suon di QE e altre politiche espansive?), dobbiamo chiarire due cose in materia di austerità:

  • il liberismo – nel voler un minor ruolo dello Stato nella società sul fronte economico – richiede due politiche congiunte: minor spesa e MENO TASSE!
  • l’austerità non è colpa del liberismo, bensì (indovina un po’) dello Stato.

Infatti lo Stato – al pari di famiglie, imprese e terzo settore – è un’azienda soggetta al funzionamento delle leggi dell’economia, tra le quali quelle del mercato e se esso spreca i soldi dei cittadini (N.B.: ricordatevi gli insegnatemi di Margaret Thatcher: non esistono i soldi dello stato, ma solo quelli dei contribuenti), violando ogni principio di sana e prudente gestione, non c’è da meravigliarsi se con la crisi salta ogni senso di stabilità e i finanziatori richiedono di conseguenza un maggior tasso d’interesse.

Infatti, giusto per fare un po’ di sana cultura economico-finanziaria, una delle leggi alla base del funzionamento del sistema economico è quella della relazione positiva tra rischio e remunerazione; della serie, non mi si venga a dire che se Tizio è un pessimo debitore e vi chiede dei soldi, voi non glieli concedete senza chiedere una maggior tutela a fronte del rischio che correte nel privarvi della possibilità di usare tale denaro per altre attività più sicure?

5) la globalizzazione e il libero commercio sono un cancro liberista che uccide le nostre imprese

Questa è una delle affermazioni che personalmente mi dà più fastidio, tant’è che sul punto sto scrivendo un articolo di risposta su chi festeggia i dazi e per questo, qui mi limiterò a fare alcune riprese fondamentali, partendo da un caloroso invito: leggetevi La verità, vi prego, sul neoliberismo di Mingardi.

Infatti egli – in vari paragrafi – affronta proprio il tema della globalizzazione, dei trattati internazionali e della suddivisione del lavoro, smontando ogni fake news con un linguaggio che non richiede altre capacità se non quelle basilari di lettura (e comprensione) dell’italiano.

Detto ciò, a chi invoca il “protezionismo intelligente” (espressione a dir poco ossimorica), io sollevo qui le seguenti osservazioni:

  • principio cardine dell’economia: i bisogni dell’uomo sono illimitati, mentre le risorse sono scarse;
  • la specializzazione nella produzione risale alla Preistoria, tant’è che è da qui che nasce il mercato e i vantaggi derivanti dalla specializzazione e commercio fra paesi, sia per il sistema produttivo che per i consumatori, sono stati dimostrati mica l’altro ieri, ma bensì da Ricardo nei Principi di Economia Politica (1817) con la legge dei vantaggi comparati;
  • il liberismo non solo è a favore del libero commercio, ma è contrario allo sfruttamento dei lavoratori e a un sistema produttivo che danneggia l’ambiente; infatti, lo sfruttamento danneggia tanto la libertà sociale quanto quell’economica.

5) il liberismo privilegia i poteri forti

Senza scomodare la scuola austriaca sul ruolo dell’individuo e il funzionamento del sistema economico, mi limito a citare i ragionamenti di un altro economista classico, il padre dell’economia moderna (tanto contestato da Rothbard per la sua teoria del valore) Adam Smith.

Infatti egli, nella sua “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”, afferma che la condizione per il corretto funzionamento del mercato è la libera concorrenza, con un processo di formazione dei prezzi che non deve subire ingerenza da attori esterni (leggasi Stato), salvo nel ridurre ciò che ostacola ciò, IVI INCLUSI I POTERI MONOPOLISTICI & C.

Con quest’ultimo punto, termino qui questa prima analisi dei luoghi più comuni sul liberismo affermati tanto dalla sinistra quanto dalla sedicente destra.

Ad oggi, più che mai bisogna ricordare un principio fondamentale che io stesso ripresi nell’introduzione alla mia tesi di laurea triennale: la libertà e l’agire dei singoli individui è ciò che storicamente ha fatto crescere ed evolvere la nostra società.

Oggi ciò viene costantemente disconosciuto e il nostro sistema socio-economico viene azzoppato dall’agire fuori controllo di quel Kraken che è lo Stato e a fronte di ciò, la domanda è sempre quella: perché dare credito a chi invoca maggiore intervento statale? Perché ad oggi molti invocato l’intervento di una destra sovranista e antiliberista, usando quella stessa libertà che tanto detestano?

Per rendere a pieno la gravità di tale agire, vedete questo Paese come la propria casa che va in fiamme: al posto di metterti al sicuro e chiamare i pompieri, ti ci chiudi dentro inneggiando ai piromani.

Della serie, liberi di farlo ma senza imporre i vostri errori agli altri.