Perché il mondo ha bisogno di libertà economica

Immaginate di svegliarvi una mattina in un letto diverso dal vostro; tutti si rivolgono a voi chiamandovi Presidente e chiedendovi di risolvere i più disparati problemi nazionali: migliorare le condizioni di vita, creare posti di lavoro, ridurre l’inquinamento, e così via.

Sono indubbiamente questioni molto complesse e non sapreste gestirle nemmeno singolarmente, figurarsi tutte insieme. Tuttavia, uno dei vostri consiglieri si fa avanti e suggerisce che, in realtà, tali problematiche possono essere affrontate in contemporanea tramite una particolare strategia politica: aumentare la libertà economica.

Chiunque sarebbe scettico. Il mondo è complicato, e non esiste una soluzione universale a tutti i dilemmi moderni. Eppure, i dati suggeriscono il contrario.

CHE COS’È LA LIBERTÀ ECONOMICA?

A livello concettuale, la libertà economica è definita come “il diritto fondamentale di ogni essere umano di controllare il suo lavoro e la sua proprietà”. Una società economicamente libera è quella in cui: 

  • gli individui sono liberi di lavorare, produrre, consumare e investire in qualsiasi modo preferiscano;
  • i governi permettono che lavoro, capitali e beni si muovano liberamente, ed evitano coercizioni o limitazioni della libertà oltre a quelle necessarie per proteggere e mantenere la libertà stessa.

Ogni anno The Heritage Foundation, un influente think tank statunitense, compila l’Indice di Libertà Economica, assegnando ad ogni paese del mondo un punteggio indicativo di quanto sia libera la sua economia; tale punteggio è calcolato a partire da 12 fattori raggruppati in 4 macro aree.

Tale indice, data la sua natura numerica, risulta particolarmente efficace per effettuare analisi statistiche di correlazione con altre variabili.

IL POTERE DELLA LIBERTÀ ECONOMICA

Il libero mercato arricchisce tutte le parti coinvolte. Questo è l’assunto su cui si basa l’ideologia liberista, e l’analisi di correlazione tra libertà economica e PIL pro capite (per potere d’acquisto) ne dimostra la validità. Il PIL pro capite, misura del reddito medio dei cittadini di un paese, risulta infatti essere fortemente connesso con l’indice di libertà economica. 

Il grafico di seguito, comprendente tutti i paesi del mondo, mostra la relazione tra libertà economica e PIL pro capite, rappresentate rispettivamente sull’asse X e sull’asse Y; ogni punto rappresenta un paese.

Come si nota, nel mondo vi è una correlazione fortemente positiva tra libertà economica e PIL pro capite, al punto che la linea di tendenza assume andamento esponenziale. Il coefficiente di correlazione è di 0,65, e il coefficiente R2 è di 0,43; tali valori significano che l’indice di libertà economica riesce, da solo, a spiegare il 43% delle variazioni nel PIL pro capite.  

In generale, risulta chiaro come i paesi liberi riescano a raggiungere livelli di ricchezza enormemente superiori a quelli non liberi.

L’Italia si posiziona appena sopra la linea di demarcazione tra paesi non liberi e paesi liberi, classificandosi come “moderatamente libera”. La libertà economica italiana risulta infatti una delle più basse in tutta Europa e ultima in Europa occidentale: peggio di noi solo la Grecia e alcuni paesi dell’Ex Unione Sovietica e dell’Ex Jugoslavia.

Il grafico mondiale risulta comunque avere molto rumore, con paesi che deviano notevolmente dalla linea di tendenza. Generalmente, tali anomalie possono essere spiegate piuttosto facilmente: i paesi eccessivamente più ricchi del previsto sono tipicamente paesi petroliferi oppure paradisi fiscali, mentre i paesi eccessivamente al di sotto della linea di tendenza hanno raggiunto buoni livelli di libertà economica solo in tempi recenti e non hanno quindi ancora avuto modo di raccoglierne i frutti.

Ulteriori informazioni emergono dall’analisi regione per regione:

Ad eccezione dell’Europa, vi è sempre una relazione esponenziale tra libertà economica e ricchezza media. La correlazione, pur oscillando tra lo 0,43 dell’Africa Sub-Sahariana e lo 0,73 dell’Asia Pacific, rimane sempre positiva: 

all’aumentare della libertà economica, la ricchezza aumenta SEMPRE.

Tuttavia, tale meccanismo risulta essere più debole nelle Americhe e in Africa Sub-Sahariana. Non è certo una sorpresa: le due regioni sono le più pericolose del pianeta, con altissimi tassi di violenza dovuti a narcotraffico e guerriglie; tale assenza delle sicurezze essenziali, unita a instabilità politica, corruzione diffusa e scarsità di infrastrutture, scoraggia gli investimenti in attività produttive, limitando fortemente il potere della libertà economica. Ciò non significa comunque che essa sia inefficace: in America Centro-Meridionale -ad eccezione di Trinidad e Tobago, piccolo paese insulare ricco di petrolio, e le Bahamas, centro finanziario offshore- il paese più libero, il Cile, risulta essere anche quello più ricco.

SI potrebbe argomentare che, se effettivamente tali problematiche fossero sufficienti a spiegare una relazione più debole, il coefficiente di correlazione del Medio Oriente e Nord Africa, una delle regioni più travagliate del globo, dovrebbe avere un valore ben più basso di 0,62, addirittura superiore a quello europeo. Ancora una volta, la spiegazione è semplice: i dati non tengono conto di ben 4 paesi (Libia, Siria, Iraq, Yemen) attualmente scossi da lunghe guerre e per cui non è possibile calcolare l’indice di libertà economica. 

In sintesi, quando si prendono in considerazione solo paesi (relativamente) stabili, la forte relazione tra libertà economica e PIL pro capite è ripristinata.

La libertà economica risulta particolarmente potente nella regione Asia Pacific (Subcontinente Indiano, Estremo Oriente, Oceania), dove la curva esponenziale è molto ripida e seguita quasi perfettamente dai paesi; le uniche anomalie sono Macao, principale hub del gioco d’azzardo (e del riciclaggio) del Pacifico, e il Brunei, micro stato ricchissimo di petrolio. Qualora non si considerino tali due eccezioni, la correlazione raggiunge addirittura un impressionante 0,86.

Non vi sono dubbi: se una mattina vi risvegliaste nei panni del presidente di un paese di questa regione, aumentare la libertà economica sarebbe il modo più rapido ed efficace per arricchire i vostri cittadini.

A questo punto, avrete sicuramente già pensato all’obiezione più ovvia: correlation is not causation, ossia correlazione non implica causalità. La presenza di una forte correlazione tra libertà economica e reddito medio non significa che le variazioni di quest’ultimo siano causate dalle variazioni nella libertà: potrebbe esserci una causa comune a monte che spinge le due variabili a comportarsi nello stesso modo, oppure la relazione potrebbe essere inversa, e sarebbe la maggiore ricchezza a spingere i governi a liberalizzare l’economia. 

La seconda ipotesi può essere facilmente smentita, dal momento che, in tutti i grafici, vi sono molte più anomalie al di sopra della linea di tendenza che non al di sotto; ossia, è molto più comune che un paese già ricco (grazie alle sue risorse naturali o a particolari condizioni storiche, legali o fiscali) decida di mantenere un’economia più chiusa che non di aprirla. E, soprattutto, se un paese senza particolari risorse fosse comunque in grado di arricchirsi senza aumentare la libertà economica, che motivo avrebbe per farlo?

Rimane quindi l’ipotesi della causa comune. Ma quale potrebbe essere tale causa? Risposta breve: nessuna. Non esiste nessuna ragione a monte che riesca a spiegare una relazione così forte e onnipresente nel mondo. Al contrario, le teorie economiche e i numerosi paesi che hanno avuto notevoli percorsi di sviluppo dopo aver cominciato ad aprire le loro economie dimostrano chiaramente che, in questo caso, non si tratta di semplice correlazione, ma di vera e propria causalità: liberalizzare l’economia porta ad uno standard di vita più alto.

Non si può abolire la povertà con una legge. Ciò che la legge può fare è creare opportunità, e non c’è opportunità più grande della libertà.

Ma il potere della libertà economica non si ferma qui. paesi più liberi hanno maggiore mobilità sociale ascendente, con correlazione di 0,74. 

In parole povere, in un paese più libero, è più facile che il figlio riesca a diventare più ricco dei genitori.

Inoltre, paesi a economia libera hanno migliori performance ambientali, con correlazione di 0,66, risultando quindi più sostenibili. 

La libertà economica non migliora solo le condizioni dei cittadini, ma anche quelle dell’ambiente.

SI potrebbe proseguire a lungo: la pagina The Power of Economic Freedom, del sito di Heritage Foundation, mostra come la libertà economica influenzi positivamente l’imprenditorialità, la crescita economica, lo sviluppo umano, l’innovazione e molto altro.

I dati non mentono. L’umanità è sulla strada giusta, il mondo non è mai stato un posto migliore e non possiamo permetterci di fermarci ora. 

La libertà economica non è una certo una panacea universale a tutti i mali del mondo, ma è uno degli strumenti più potenti in nostro possesso.

Non sprechiamolo.

Perché Greta Thunberg non salverà l’ambiente (ma il capitalismo sì)

La società negli ultimi duecento anni attraverso l’industrializzazione ha raggiunto livelli di comfort inauditi. Abbiamo sconfitto i grandi morbi dei secoli scorsi come mortalità infantile, poliomielite, meningite, malaria e fame. In cambio abbiamo ottenuto ricchezza, cibo a volontà e mezzi per spostarci in ogni parte del mondo.

Tutto ciò però ci è costato tanto. A causa dell’enorme crescita industriale, le emissioni di gas serra sono aumentate vertiginosamente provocando un aumento delle temperature. 

Media della temperatura globale

Per questo milioni di persone sono scese in piazza a Roma insieme a Greta Thunberg – giovane attivista svedese per il surriscaldamento globale – a ricordarci ancora una volta perché siamo spacciati e come moriremo tutti se non agiamo con azioni drastiche subito. (Ovviamente non riportando nessun dato scientifico a sostegno della sua tesi).

Secondo Greta il futuro dell’umanità è stato venduto perché poche persone possano fare soldi. L’unico modo per fermare il declino dell’ambiente e porre fine alla distruzione del mondo, che – secondo l’attivista – avverrà intorno al 2030, è quello di ridurre le emissioni del CO2 del 50%.

La giovane attivista propone di agire attraverso azioni concrete, politiche innovative, e soprattutto un nuovo modello di sviluppo. Ma c’è un problema: quali?

Quale sarebbe la magica panacea in grado di favorire lo sviluppo economico e nello stesso tempo salvaguardare l’ambiente?

Purtroppo è comune a tutti gli attivisti raccontare una realtà drammatica e catastrofica distorcendo la società attuale. Saranno sempre pronti a concentrare la nostra attenzione con storie eccitanti e distopiche.

Ma il cambiamento climatico è un problema serio, e come tale va affrontato in maniera razionale e scientifica. Bisogna prendere un bel respiro, analizzare i dati  e stare attenti a non intraprendere azioni drastiche. Gli allarmismi da parte di ragazzini di tutto il mondo non portano a nessuna azione concreta da intraprendere. 

In poche parole per risolvere questo enorme problema bisogna guardare in faccia la realtà.

Cerchiamo di fare il punto

La popolazione mondiale è composta da oltre sette miliardi di individui, dei quali un miliardo e mezzo circa, vivono in paesi sviluppati e hanno a disposizione cibo, acqua e cure a volontà (come gli Americani e gli Europei). I restanti cinque miliardi e mezzo, invece, vivono in paesi in via di sviluppo, cioè in condizioni di vita medio/basse (Cinesi o Indiani).

Ora c’è un problema: non possiamo fermare l’innovazione, non per cattiveria e malvagità ma perché semplicemente non si può pragmaticamente fare. Come si nega a sette miliardi di individui di fermare completamente il processo di industrializzazione per tornare ai livelli di iniquità del pleistocene? È oggettivamente impossibile.

Non si può, come propongono Greta e i suoi compagni d’avventura, dimezzare le emissione di CO2 o di altri gas serra per un semplice motivo: l’economia e la società attuale crollerebbe.

La soluzione quindi deve essere un’altra, anzi esiste già: il liberismo e il sistema economico capitalista.

Sembra un’antitesi affermare che il sistema industriale, la causa dei principali fattori di riscaldamento globale, dovrebbe essere lo stesso che ci permetta di risolvere il problema. Ma è cosi. (Prima di chiudere la pagina e tornare alla vostra home di Facebook, per favore continuate a leggere).

Emissioni di CO2 in paesi sviluppati (sinistra) e in paesi in via di sviluppo (destra)

Questi due grafici rappresentano le emissioni di CO2, il principale gas serra, emessi, nel primo, dai paesi sviluppati, mentre nel secondo, da paesi in via di sviluppo.

Grazie ai grafici possiamo sviluppare due asserzioni interessanti:

  1. È evidente come le emissioni dei “greenhouse gas” crescono esponenzialmente nei paesi in via di sviluppo mentre nei paesi sviluppati, dopo una crescita, diminuiscono.
  2. In generale si nota come nella prima fase dello sviluppo economico i paesi, a causa di macchinari e mezzi più vecchi, causano un enorme emissione di gas serra, per poi diminuire nel secondo periodo, nel quale i vari paesi riescono ad ottenere mezzi più efficienti che permettono un migliore uso delle risorse energetiche.

Infatti fra il 2007 e il 2017 le emissioni di CO2 sono diminuite dell’11% in USA e UE e aumentate del 29% in Asia e del 24% in Africa.* [2] E lo stesso sta avvenendo per tutti gli altri gas serra.

Emissioni di CO2 totale in paesi in via di sviluppo (developing Nation) e paesi sviluppati (developed Nation).
Si nota chiaramente come le emissioni nei paesi sviluppati stanno diminuendo.

Questo avviene poiché rispetto alle nazioni in via di sviluppo, i paesi più ricchi adottano sistemi sempre meno inquinanti grazie allo sviluppo capitalistico. 

In poche parole, il capitalismo, la nascita di nuove aziende e innovazioni, salveranno l’ambiente, Greta con la sua retorica apocalittica del “ora o mai più” no. (Anzi, rischia di far solo danni).

Certo, non dobbiamo aspettare le rimodernamenti industriali per salvare il pianeta, occorre nel frattempo assumersi le proprie responsabilità e agire consapevolmente cercando di avere uno stile di vita rispettoso nel confronti del clima e dell’ambiente.

Ma, a differenza di quanto Greta e gli altri attivisti vogliano farci credere, l’umanità non è spacciata, il riscaldamento globale non è un fenomeno irreversibile, bensì risolvibile (se affrontato cautamente con raziocinio), ma soprattutto ci ricorda ancora una volta come il capitalismo possa essere la valida soluzione anche a problemi così complessi.

Note

[1]  https://data.worldbank.org/indicator/en.atm.co2e.kt?end=2014&start=1960&view=chart

[2] https://wattsupwiththat.com/2018/07/03/bp-data-analysis-global-co2-emissions-1965-2017/

[3] https://wattsupwiththat.com/2018/07/03/bp-data-analysis-global-co2-emissions-1965-2017/

* Per il dato numero [2] il merito di averlo divulgato va a Costantino de Blasi su un suo post di Facebook (https://www.facebook.com/Sktrrbrain?epa=SEARCH_BOX)

Capitalismo o socialismo? Guardiamo i numeri

Ignoriamo la propaganda da entrambe le parti, non serve.
Siamo nel 2018, dati sulle performance dei vari stati ce ne sono molti e possiamo sapere in che misura pratichino capitalismo o socialismo.
Guardiamo ai fatti.

L’indice che misura la libertà economica

L’Economic Freedom World index (EFW) misura il grado con cui le politiche e le istituzioni dei paesi supportano la libertà economica.
E’ diviso in 5 macro-aree di analisi.

  1. Dimensione del governo – All’aumentare delle spese, delle tasse e della dimensione delle imprese controllate dal governo, il processo decisionale del governo è sostituito alla scelta individuale e la libertà economica diminuisce.
  2. Sistema giuridico e diritti di proprietà – La protezione delle persone e delle loro proprietà ottenute legalmente è un elemento centrale sia della libertà economica sia della società civile. E’ la funzione più importante del governo.
  3. Denaro stabile – L’inflazione erode il valore di salari e dei risparmi legalmente guadagnati. Per proteggere i diritti di proprietà è essenziale che il denaro sia stabile e affidabile. Quando l’inflazione non è solo alta ma anche volatile, diventa difficile per le persone pianificare il futuro e quindi usufruire efficacemente della libertà economica.
  4. Libertà di commercio internazionale – La libertà di scambiare, comprare, vendere, stipulare contratti, e così via, è essenziale per la libertà economica. Si riduce quando la libertà di scambio non include imprese e individui in altre nazioni .
  5. Regolamentazioni – I Governi non solo utilizzano una serie di strumenti per limitare il diritto di scambio a livello internazionale, ma possono anche sviluppare regolamenti che limitano il diritto di scambiare, ottenere credito, assumere, lavorare per chi desideri o gestire liberamente la propria attività.

Adesso che abbiamo una misura della libertà economica ovvero del grado con cui uno stato attua politiche socialiste o capitaliste, possiamo metterlo in relazione agli indici che misurano il benessere.

 

I numeri

Gli stati sono divisi in quattro gruppi dal meno libero al più libero economicamente.
Il prodotto interno lordo pro capite aggiustato per potere d’acquisto è drasticamente più alto nei paesi economicamente liberi:

 

Anche la crescita del reddito è più alta.

Che dire dell’aspettativa di vita?

 

E dei diritti politici e libertà civili?

 

 

Qualcuno di voi starà pensando “Va bene, va bene, il capitalismo è efficiente, crea ricchezza, aumenta l’aspettativa di vita e assicura diritti politici e libertà civili, ma i ricchi diventano più ricchi e i poveri diventano più poveri, c’è troppa diseguaglianza”.
Legittimo. Andiamo a vedere come se la cavano i poveri.
Questo è il grafico della percentuale di reddito detenuto dal 10% di popolazione più povero:

 

Ci aspetteremmo che nei paesi capitalisti i poveri non abbiano niente perchè “privati della ricchezza dalle fasce di popolazione più alte” mentre nei paesi socialisti, dove c’è una maggiore ridistribuzione della ricchezza, i poveri detengano una percentuale di reddito maggiore.
Come si può osservare dal grafico notiamo che non c’è correlazione tra libertà economica e divario tra ricchi e poveri.
Se andiamo a vedere in che condizioni si trova questo 10% di popolazione il trend è evidente:

 

Nei paesi economicamente liberi i poveri hanno un reddito decisamente maggiore.
Questo grafico rappresenta il tasso di povertà estrema e moderata:

 

 

I poveri se la cavano decisamente meglio nei paesi capitalisti sotto ogni punto di vista e sono anche in numero decisamente minore.
Quante volte si sente dire che le tasse, le regolamentazioni e i gioverni servono per aiutarei poveri?
Quante volte si sente dire che la ridistribuzione della ricchezza è necessaria per diminuire la povertà e aiutare le classi più disagiate?
Quante volte si sente dire che il capitalismo è disumano perchè sfrutta e non aiuta i poveri?
I dati parlano chiaro. Il modo migliore per aiutare i poveri non è togliere ai ricchi ma liberalizzare l’economia.

Visto che non siamo persone superficiali e “i soldi non fanno la felicità” confrontiamo anche un indice non strettamente economico.
Il World Happiness Index delle Nazioni Unite misura la felicità chiedendo alle persone di valutare la loro vita su una scala da 0 a 10 dove 0 è la peggiore vita possano avere e 10 la migliore.
Anche in questo caso il trend è evidente:

 

 

Ma parliamo di ambiente. Quante volte sentiamo dire che il capitalismo distrugge il pianeta.
Mettiamo in relazione l’EFW con l’Enviromental Performance Index (2006):

A quanto pare le economie più liberalizzate sono anche quelle che rispettano maggiormente l’ambiente.
Sia perchè sono più ricche, sia perchè la proprietà pubblica è, per sua natura, più soggetta all’abuso e al danneggiamento rispetto alla proprietà privata.

 

Conclusione

La libertà economica è vincente sotto ogni punto di vista.
E’ incredibile che a più di cent’anni dalla morte di Karl Marx si parli ancora di socialismo e che molti lo considerino un sistema economico e sociale superiore, da attuare e diffondere.

 

Fonte: www.fraserinstitute.org

 

Questo articolo è indicizzato su www.it.conpinion.com.
Il motore di ricerca per trovare l’opinione contraria.