La guerra nucleare (segreta) dell’Unione Sovietica

Grazie alla miniserie “Chernobyl”, il grande pubblico ha scoperto quanto il governo sovietico fosse disposto a sacrificare vite umane, comprese quelle dei suoi stessi cittadini, per salvaguardare il prestigio e la potenza dell’URSS. Questo, gli abitanti di Semipalatinsk lo sapevano già, in quanto lo hanno vissuto, e lo stanno vivendo, sulla loro pelle.

Per quarant’anni, dal 1949 al 1989, la città di Semipalatinsk (oggi Semej) in Kazakistan è stata il campo di battaglia di una guerra nucleare segreta, condotta dal governo dell’Unione Sovietica contro i cittadini sovietici. Sebbene tale guerra sia finita quasi trent’anni fa, e l’URSS stessa non esista più, la sua eredità di dolore e morte sopravvive ancora oggi.

La storia del poligono nucleare di Semipalatinsk iniziò con un uomo oggi quasi del tutto dimenticato ma il cui nome, nell’URSS verso la fine degli anni Quaranta, era temuto quasi quanto quello di Stalin stesso: Lavrentij Pavlovič Berija, capo dell’NKVD, la polizia segreta. Sul conto di Berija, è sufficiente sapere che Stalin in persona lo descriveva come “il nostro Himmler”.

All’epoca, la priorità assoluta per il regime comunista era quella di recuperare il vantaggio degli americani nella corsa agli armamenti nucleari. Per fare questo, era necessario un sito adatto ad ospitare il programma nucleare sovietico. Berija quindi, incaricato a tal proposito da Stalin, scelse il remoto sito di Semipalatinsk, descrivendo la regione come “disabitata”. Non era vero: nella vasta regione interessata dai test nucleari, vivevano quasi due milioni di persone[1].

Come per molte tragedie che hanno contraddistinto l’esistenza dell’Unione Sovietica, dall’Holodomor a Chernobyl, anche nel caso di Semipalatinsk è quasi impossibile definire con certezza il confine fra la stupidità del regime e la sua brutalità criminale: i test nucleari vennero condotti in un’area popolata per pura stupidità, o perché il governo sovietico era interessato a studiare gli effetti delle radiazioni sulla popolazione?

Gli elementi sembrerebbero dimostrare la seconda ipotesi. Per esempio, dalle testimonianze degli abitanti risultano diversi casi in cui i militari hanno costretto le persone ad uscire di casa durante i test nucleari[2], in modo da massimizzare la loro esposizione alle radiazioni e quindi la loro utilità come soggetti di studio involontari.

In ogni caso, tre cose sono innegabili: la portata della devastazione che il governo sovietico ha scatenato su Semipalatinsk, l’ossessione del regime per la segretezza al posto della sicurezza, e le vittime.

Fra il 1949 ed il 1963, in questa zona del Kazakistan (regione abitata, bisogna tenerlo a mente, da circa due milioni di persone) sono stati effettuati più di 110 test nucleari in superficie, con ordigni anche 25 volte più potenti di quello usato ad Hiroshima[3]. Dal 1963 fino all’abbandono del sito, i test si sono svolti sottoterra.

Sin dall’inizio le autorità sovietiche, come poi a Chernobyl, non si fecero scrupoli nel mentire ai loro cittadini: infatti, la sezione locale del PCUS, in seguito alla prima di una lunga serie di detonazioni nucleari, classificò l’evento come un semplice terremoto, nulla di cui preoccuparsi. Successivamente, nel 1957, venne stabilita nella zona una “Clinica anti-Brucellosis”, ufficialmente per monitorare i casi di tubercolosi, in realtà per osservare gli effetti dei test nucleari sui civili inconsapevoli[4]. Tali effetti non tardarono a manifestarsi.

Questo perché il regime comunista, nella sua superiore saggezza, aveva scelto come sito per detonare i suoi ordigni più devastanti una regione caratterizzata tutto l’anno da forti venti, che trasportarono in lungo e in largo le radiazioni, tanto che si stima che almeno 1,5 milioni di persone siano state esposte ad esse[5]. Forse il governo sovietico non l’aveva previsto, forse l’aveva previsto e ha deciso di ignorare le conseguenze, entrambe le ipotesi sono ugualmente plausibili.

Del resto, il PCUS aveva del lavoro ben più importante da svolgere: per esempio, trovare delle scuse. Infatti, quando le autorità kazake iniziarono a riportare a Mosca l’aumento repentino di tumori e malformazioni, il governo sovietico rispose prontamente incolpando la povertà della dieta kazaka, oppure la loro abitudine di bere tè troppo caldo[6].

Un esempio della vita ai tempi del poligono nucleare di Semipalatinsk: nel 1956, a seguito di un test in superficie, oltre 600 residenti della città di Ust-Kamenogorsk, a quasi 400 kilometri dal sito della detonazione, vennero ricoverati con evidenti sintomi da avvelenamento da radiazioni. Per un’inquietante coincidenza, non esistono documenti su cosa sia successo loro dopo il ricovero in ospedale[7].

I 600 abitanti di Ust-Kamenogorsk costituiscono però solo la punta dell’iceberg: degli 1,5 milioni di persone esposte alle radiazioni, 67000 sono state contaminate in modo grave, mentre oltre 40000 sono decedute[8], senza neanche sapere il perché della loro morte. Ma il lascito nucleare dell’URSS si estende, oltre che nello spazio, anche nel tempo: ad oggi, sebbene i test siano terminati trent’anni fa, il tasso di tumori e quello di malformazioni nei neonati restano marcatamente superiori alla media.

La triste vicenda del poligono nucleare di Semipalatinsk risulta ancora più rilevante se paragonata a quella di un suo sito gemello, attivo nello stesso periodo: il Nevada Test Site, negli Stati Uniti.

Superficialmente, fra i test nucleari condotti in Nevada e quelli condotti a Semipalatinsk non vi è alcuna differenza: in entrambi i casi, fino al 1963, il governo di una superpotenza ha condotto test nucleari in superficie in un’area tutt’altro che disabitata, ed in entrambi i casi c’è stato un costo in vite umane. Ma fra le due vicende ci sono anche delle fondamentali differenze.

In primo luogo, la trasparenza. Mentre il governo sovietico ha fatto finta di niente per decenni, fingendo d’ignorare la vera natura del poligono nucleare di Semipalatinsk, i cittadini americani erano perfettamente consapevoli di cosa fosse il Nevada Test Site, e non solo: in città come Las Vegas si registrò un vero e proprio boom turistico, grazie alle persone attratte dalla vista delle detonazioni in lontananza[9].

In secondo luogo, la sicurezza al posto della segretezza: mentre il PCUS si è concentrato sulla seconda, per nascondere ai propri cittadini la verità su Semipalatinsk, senza curarsi della loro sicurezza, il governo americano si è rivolto ai maggiori esperti di meteorologia per tracciare il percorso dei venti radioattivi, e salvaguardare così la salute degli abitanti nelle zone limitrofe[10]. Naturalmente, visto che anche il Nevada Test Site ha causato delle vittime, questo non ha funzionato perfettamente, ma proprio qui vi è la più grande differenza fra le due vicende.

Infatti, mentre nell’Unione Sovietica le proteste dei cittadini sono state ignorate nel migliore dei casi e nel peggiore dei casi chi ha protestato è finito in un gulag, i cittadini americani avevano la fortuna di vivere in un Paese libero, in cui il governo non gode di un arbitrio illimitato.

Più volte, nel corso dell’articolo, è stato menzionato il 1963 come anno in cui i test nucleari in superficie sono stati banditi in tutto il mondo. Questo bando, che ha avuto ripercussioni positive anche sugli sfortunati abitanti di Semipalatinsk, è stato reso possibile proprio grazie alle proteste delle vittime del Nevada Test Site, i cosiddetti “Downwinders”.

Nonostante questo importante successo, la strada era ancora lunga. Infatti, per decenni il governo americano ha rifiutato di accettare la responsabilità per i danni causati ai Downwinders. Alla fine, nel 1990, gli sforzi delle vittime sono stati coronati da successo, ed il governo degli Stati Uniti fu costretto a stabilire un fondo per risarcire i Downwinders. Ad oggi, questo fondo ha rilasciato risarcimenti per un totale di oltre 2 miliardi di dollari. Per offrire un paragone, le vittime del poligono nucleare di Semipalatinsk ricevono come risarcimento una somma pari a 12 dollari ogni mese[11].

In ultima analisi, quindi, perché gli abitanti di Semipalatinsk hanno sofferto un destino ben peggiore di quello dei Downwinders? Di sicuro, non perché gli americani fossero geneticamente più intelligenti o predisposti al bene rispetto ai sovietici.

Forse i politici americani erano uomini migliori rispetto ai burocrati del PCUS? In parte sì, ma non abbastanza (com’è stato già detto, il governo americano non ha deciso, di propria spontanea volontà, di porre fine ai test in superficie, di accettare la responsabilità per le vittime e di risarcirle, bensì è stato costretto a farlo).

Alla fine, un’unica cosa ha fatto la differenza fra i Downwinders e gli abitanti di Semipalatinsk: la libertà. La libertà di parola, la libertà di associazione, la libertà di protesta, strumenti che hanno consentito a normalissimi abitanti del Nevada di piegare ai propri voleri il governo della nazione più potente al mondo.

[1] [6] [8] https://www.peacelink.it/ecologia/a/3420.html

[2] https://www.google.com/amp/s/www.rferl.org/amp/Sixty_Years_After_First_Soviet_Nuclear_Test_Legacy_Of_Misery_Lives_On/1809712.html

[3] [5] [7] https://www.nature.com/articles/d41586-019-01034-8

[4] https://www.google.com/amp/s/thebulletin.org/2009/09/the-lasting-toll-of-semipalatinsks-nuclear-testing/amp/

[9] [10] [11] https://youtu.be/bByJdUw8KtE

 

 

 

 

Chernobyl e l’incalcolabile prezzo delle menzogne

Se prima temevo il prezzo della verità, ora io mi chiedo solamente: qual è il prezzo delle menzogne?
– Valery Legasov

L’ultima produzione di HBO, ampiamente acclamata dalla critica[1] e dal pubblico, è la serie Chernobyl. In 5 tesissimi episodi, la serie televisiva espone tutti i dettagli e i retroscena della famosa tragedia nucleare sovietica in maniera ineditamente cruda, feroce, viscerale.

Chernobyl riesce a esplorare tutta la carica drammatica di un nemico implacabile e invisibile: le radiazioni. Questo fantasma prende vita dai resti dell’esploso reattore 4 della Centrale Nucleare Vladimir I. Lenin, la famosa Centrale di Chernobyl, rendendo la storia di tutti i personaggi un vero supplizio. Tutti sono consapevoli di essere già stati condannati a morte – alcuni moriranno nel giro di giorni, altri in qualche mese, altri ancora in pochi anni.

Non si può scappare dalle radiazioni. Il fisico nucleare Legasov afferma a un certo punto che the atom is a humbling thing (traducibile con “l’atomo è qualcosa che ci rende più umili”), appena per sentirsi ribattere dal ministro Shcherbina it’s not humbling, it’s humiliating (parafrasando, non ci rende più umili, ci umilia). Nel contesto della serie, entrambi hanno ragione: i personaggi, tutti, senza esclusioni, si sentono tanto umili quanto umiliati di fronte all’ineluttabilità della catastrofe che li circonda. Il tocco finale è la colonna sonora, interamente registrata proprio all’interno di alcune centrali nucleari, che è capace di mantenere il telespettatore in un’estasi di suspense soffocante.

Come dicevo, Chernobyl vanta numerosi meriti cinematografici e i produttori hanno avuto la singolare capacità di far sì che il pubblico riuscisse a vivere l’ampia gamma di emozioni e angustie che le vittime della cittadina sovietica di Pripyat provarono all’epoca del disastro. Ma la serie va ben oltre: se molte volte rimaniamo soffocati di fronte al peso dell’ecatombe nucleare che si sviluppa davanti ai nostri occhi, non possiamo non rimanere asfissiati in maniera analoga di fronte al peso della devastazione sociale sovietica che fa da background alle tragedie narrate. Ed è quest’ultimo la causa del primo, concetto che è bene che risulti chiaro a tutti fin dal principio.

Mi spiego meglio: il catastrofico incidente nucleare di Chernobyl, responsabile della devastazione di una ricchissima regione, tale da renderla simile ai peggiori scenari dei film post-apocalittici[2], non è la vera – o, comunque, non l’unica – tragedia raccontata dalla serie.

Il vero flagello della serie è umano, troppo umano, ed è responsabile delle terribili conseguenze che destano l’orrore del pubblico durante 5 interi episodi. Chernobyl ci offre alcuni dei migliori insight circa le conseguenze della tirannia e della menzogna.

Jordan Peterson afferma che “in a true tyranny, everyone lies about everything all the time. And that’s why it’s hell”. 

La tragedia affonda ivi le proprie radici, nella persistente e completa negazione della realtà. In un regime totalitario regna il più assoluto dei relativismi. Non esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: esiste solamente la cieca obbedienza. Obbedire è essere liberi, se mi permettete di parafrasare le parole di George Orwell. Per tale motivo, tutti mentono su tutto. Tutti hanno bisogno di mentire su tutto per tutto il tempo.

E questa negazione della realtà, nel 1986, è una bomba a orologeria pronta a esplodere.

Il fatto che l’incidente in questione sia avvenuto proprio in una centrale nucleare intitolata a Vladimir I. Lenin è una di quelle tristi ironie della storia umana che non passa inosservata a uno sguardo attento. Il sistema delle centrali nucleari era, all’epoca, il grande orgoglio sovietico. L’Unione Sovietica possedeva un numero di centrali maggiore rispetto a qualsiasi altro Paese e la complessa rete di energia nucleare rappresentava la perfezione del socialismo, della pianificazione centralizzata, dei piani quinquennali di Stalin e del sistema istituzionale votato a obbedienza, gerarchia e ordine. Era una prova del fatto che il socialismo era in grado di raggiungere anche il più avanzato livello tecnologico: era sufficiente obbligare le persone a perseguirlo.

L’esplosione del reattore 4 seppellisce questa favola lungamente decantata. Dopo la catastrofe, il mondo intero nota che “il re è nudo” (e lo è sempre stato), anche i più alti esponenti del Partito Comunista Sovietico. Lo stesso Gorbachev, nelle sue memorie, sostiene espressamente che l’incidente è stato il grande responsabile della caduta dell’URSS.

Nella serie, egli afferma “our power comes from the perception of our power”, ossia che il reale potere dell’Unione Sovietica deriva dalla percezione che si ha di tale potere. È possibile sostituire il regime sovietico con qualsiasi regime collettivista, o, più semplicemente, con qualsiasi regime che, in maggiore o minor misura, preferisce appiattire l’individuo, trasformandolo in un mero ingranaggio del sistema. Laddove gli individui sono dei semplici mezzi, e non dei fini, le tragedie sono sempre all’orizzonte.

Continuando l’analisi, l’URSS si autosostenta grazie al potere delle apparenze, della percezione, della menzogna. Sfortunatamente per i sovietici, la Verità è già di per sé un potere, un potere in grado di annichilare le apparenze.

La Verità, così come la radioattività – che lascia il pubblico senza fiato in ogni singolo minuto della serie –, è ineluttabile, trascendentale, e può essere mortale. E Chernobyl è stata in grado d’intrecciare simbolo e tragedia numerose volte nei 5 episodi. Il pubblico si sente soffocato, sì, perché le radiazioni rappresentano una minaccia troppo grande alla vita di tutti i personaggi, ma si sente anche, talvolta incoscientemente, asfissiato dal peso incontestabile della Verità, della realtà che s’impone con la forza anche con chi si rifiuta di vederla e affrontarla.

Risulta chiaro fin dall’inizio che l’incidente della centrale nucleare è il risultato di una serie di menzogne in crescendo, che finiscono per sommergere tutta la delicata attività dell’impianto in un mare d’ignoranza e decisioni irresponsabili e imprudenti. Non poteva esservi un altro finale possibile in un contesto del genere.

Gli operatori addetti alla sala di controllo mentono a loro stessi, accettando l’autorità abusiva e insignificante di Anatoly Dyatlov, per paura del potere che questi detiene all’interno del regime. I superiori di Dyatlov, a loro volta, hanno mentito più e più volte nel programma dei test della centrale, disobbedendo a tutti i protocolli e alle linee guida delle operazioni di controllo di sicurezza: il reattore 4 era stato inaugurato anni prima dell’incidente e i responsabili della centrale erano stati insigniti con tutti gli onori sovietici possibili in una cerimonia che altro non era che una pantomima, dal momento che l’ultimo test di sicurezza previsto, requisito essenziale per garantire il corretto funzionamento del reattore, non era mai stato eseguito. Tutta la ricerca e la progettazione delle centrali nucleari dell’Unione Sovietica era una grande farsa, in cui era stato possibile occultare e distruggere pagine e pagine di ricerca scientifica i cui risultati potevano risultare scomodi per il regime.

E lo stesso processo atto a individuare i colpevoli di questo disastro finisce con l’essere anch’esso una farsa,  una vera e propria montatura, che acquisisce un senso solo per gli individui coinvolti, parte integrante di un sistema schiavo della menzogna, delle apparenze, della forma e della liturgia insensata.

Se non ti piace o ti risulta scomoda la Verità contenuta nella conclusione di una ricerca scientifica in ambito fisico-nucleare, non vi è nulla di più semplice che distruggerla ed esiliare il ricercatore. È in questo modo che i sovietici affrontavano la Verità. Pensavano che fosse il metodo più facile. Ma aveva ragione Ayn Rand, quando diceva che “puoi anche ignorare la realtà, ma non puoi ignorare le conseguenze della realtà”.

Distruggere tutti i registri dei centri di ricerca nucleare in cui si fa riferimento al fatto che i reattori RMBK non sarebbero sicuri, non li rende sicuri, ma semplicemente ostacola la ricerca di metodi e protocolli atti a incrementarne la sicurezza e a ridurre rischi operazionali potenzialmente letali. Quei reattori non erano dotati di un sistema di spegnimento d’emergenza che fosse realmente efficace. E, seppur consci di ciò, gli scienziati responsabili portarono comunque avanti il progetto. Il risultato di questo climax di menzogne non poteva essere diverso da quello che poi avvenne: il reattore 4 esplose durante un test di sicurezza, creando un immenso Nuclear Wasteland.

Chernobyl è la prova che l’uomo, in fin dei conti, può scegliere se aggrapparsi alla menzogna o alla Verità, ma la sua scelta avrà necessariamente un costo, delle conseguenze. È impossibile fuggire dalle conseguenze.

Ignorare la tragedia – o mentire su di essa – è una scelta. Purtroppo però la realtà ti divorerà comunque, che tu la riconosca oppure no.

L’altra opzione è accettare la realtà, e, in tal caso, l’uomo è portato al sacrificio finale. Il sacrificio è il pesante fardello che portiamo e, se siamo in grado di sopportarlo, se lo portiamo con coscienza, possiamo affrontare a testa alta le dure conseguenze della realtà. Perseverare nella menzogna non solo coltiva tragedie, ma ci priva anche della capacità di affrontarle quando queste accadono davanti ai nostri occhi.

Questo è uno dei punti forti della serie.

Chernobyl dimostra che l’unica forma di salvarsi e salvare il prossimo è accettare la realtà. Legasov e Shcherbina interrompono il ciclo di menzogne e sono i primi ad accettare come un fatto il verificarsi dell’esplosione. Tutti gli altri personaggi prima di loro non fanno che ripetere l’insana domanda “ma come può un reattore RBMK esplodere?”, come se la supposta impossibilità teorica – o la ripetizione delle proprie convinzioni – possa essere capace di cambiare la realtà. Dyatlov non ammetteva l’esplosione del reattore, neanche dopo i reiterati rapporti dei suoi sottoposti, che entravano nella sala di comando vomitando, col viso ustionato, la pelle che si disfaceva sotto i loro occhi, la disperazione stampata sul volto. “State avendo delle allucinazioni”, concludeva Dyatlov.

Legasov, al contrario, accetta la realtà dell’esplosione del reattore fin dall’inizio. A partire da lì, con il fortunato aiuto del ministro Shcherbina, decide di sacrificarsi per impedire la trasformazione di mezza Europa in un deserto nucleare, con la consequenziale morte di decine o centinaia di milioni di persone. Il sacrificio può essere compiuto solo dopo essere entrati effettivamente in comunione con la Verità – o con la realtà. Ed è pertanto possibile solo una volta interrotto il ciclo di (auto)inganni, dopo aver percepito che non sono gli altri ad avere le allucinazioni.

In un determinato momento della serie, l’incisivo Shcherbina dice a Legasov: “Hai già lavorato in miniera? Ti do un consiglio: di’ la verità. Questi uomini lavorano nell’oscurità. Vedono tutto”.

Gli unici qualificati per cercare di stabilizzare l’azione potenzialmente distruttiva del nucleo – che potrebbe causare un’esplosione termoelettrica in grado di far saltare in aria gli altri 3 reattori di Chernobyl – sono i minatori, incaricati di scavare un tunnel sotto il reattore per consentirne il raffreddamento prima che il nucleo incandescente sciolga le strutture circostanti raggiungendo le cisterne d’acqua. I minatori sono anche uomini che vivono nell’oscurità e che non sopportano le menzogne; si importano della vita dei propri compagni e ricercano la verità in ogni parola. Proprio per questo, sono uomini che non accettano le menzogne ufficiali delle autorità statali.

I minatori possono anche obbedire agli ordini del governo sovietico – cosa che effettivamente fanno, votandosi volontariamente al sacrificio finale –, ma solamente dopo aver saputo esattamente cosa stanno affrontando. Difatti, sono disposti a morire pur di non vendere la propria coscienza ai burocrati sovietici, nel caso in cui non mostrino loro i fatti così come stavano. Fatto sta che i minatori impediscono che la menzogna penetri nelle loro coscienze.

A causa dell’attività del nucleo di uranio, il calore durante gli scavi aumenta tanto che questi sono costretti a lavorare nudi per poterlo sopportare. Ciò non sminuisce la loro dignità, bensì la mette ancor più in evidenza agli occhi degli altri. I minatori non si vergognano di essere nudi di fronte alle autorità e al resto del mondo. In realtà, simbolicamente, i minatori sono sempre stati nudi, ancora prima di togliersi i vestiti.

La serie termina con Legasov che, in una delle più profonde conclusioni di una serie TV, sentenzia: “i nostri segreti e le nostre menzogne sono praticamente ciò che ci definisce. Quando la verità offende, noi mentiamo, ancora e ancora, fino a dimenticarci della sua esistenza… ma la verità continua a esistere. Ogni menzogna che raccontiamo genera un debito con la verità. E prima o poi questo debito va pagato.”

“Quando la verità offende, noi mentiamo”. Nonostante ciò, Chernobyl e Ayn Rand ci provano che mentire è impossibile, perché il debito (per Chernobyl) e le conseguenze (per la Rand) dovranno inevitabilmente essere pagati.

La menzogna altro non è che un modo per ritardare un’esazione inevitabile da parte della realtà, il più puntuale dei creditori.

Ogni domanda scomoda che scegliamo di non fare per quieto vivere, ogni volta che accettiamo a capo chino le più evidenti distorsioni della realtà, ogni verità che ci offende, è semplicemente un indebitamento crescente nei confronti della realtà. Sempre Peterson ci insegna che “dire la verità è trarre all’Essere la più accettabile delle realtà. La verità costruisce edifici che possono rimanere in piedi per migliaia di anni. La verità alimenta e veste i poveri, e rende le nazioni ricche e sicure. […] La verità è la più grande e inesauribile risorsa naturale. È la luce nell’oscurità. […] In Paradiso, tutti dicono la verità. È questo che lo rende il Paradiso”.

Chernobyl ci fa pensare alla nostra civiltà, che accetta sempre più che vengano corrotte le proprie istituzioni, il proprio linguaggio e i propri valori fondanti, tra cui il più grande di essi, la libertà. Ci mostra che si cede sempre maggior spazio, codardamente e convenientemente, al politicamente corretto, alle reiterate farse ideologiche e allo stretto prisma marxista per l’interpretazione della complessa e ricchissima realtà sociale. Chernobyl ci dimostra come la nostra civiltà, una volta basata nella Verità e nella ragione, sia stata ora ricostruita sulle fragili basi della menzogna e del relativismo. Ci costringe a guardarci allo specchio, e ciò che vediamo non ci piace.

In una delle ultime scene, la telecamera riprende un dipinto sulla parete di una vecchia scuola della cittadina di Pripyat, in cui è rappresentata una donna con un bambino in braccio. La parete risulta scollata e la bocca della donna, distrutta.

La serie si chiude così, con un’eloquente allerta sui costi del silenzio e della nostra distruttiva passività. La radioattività, la centrale nucleare, l’esplosione, Pripyat. Nulla avviene per caso, niente è fortuito. La Verità è il più puntuale e severo dei creditori e, a questo ritmo, il sacrificio può finire con l’essere la nostra unica via d’uscita possibile.

Il registro ufficiale russo dichiara ancora oggi che vi furono solamente 31 vittime nell’incidente di Chernobyl.

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[1] Chernobyl ha ottenuto il voto 9.6 sul sito IMDb, il che la rende la serie TV meglio valutata della storia, superando anche serie di alto livello come Breaking Bad e Game of Thrones.

[2] Secondo le stime, quell’immensa regione rimarrà inospitale per i prossimi 24.000 anni.