La società negli ultimi duecento anni attraverso l’industrializzazione ha raggiunto livelli di comfort inauditi. Abbiamo sconfitto i grandi morbi dei secoli scorsi come mortalità infantile, poliomielite, meningite, malaria e fame. In cambio abbiamo ottenuto ricchezza, cibo a volontà e mezzi per spostarci in ogni parte del mondo.
Tutto ciò però ci è costato tanto. A causa dell’enorme crescita industriale, le emissioni di gas serra sono aumentate vertiginosamente provocando un aumento delle temperature.
Per questo milioni di persone sono scese in piazza a Roma insieme a Greta Thunberg – giovane attivista svedese per il surriscaldamento globale – a ricordarci ancora una volta perché siamo spacciati e come moriremo tutti se non agiamo con azioni drastiche subito. (Ovviamente non riportando nessun dato scientifico a sostegno della sua tesi).
Secondo Greta il futuro dell’umanità è stato venduto perché poche persone possano fare soldi. L’unico modo per fermare il declino dell’ambiente e porre fine alla distruzione del mondo, che – secondo l’attivista – avverrà intorno al 2030, è quello di ridurre le emissioni del CO2 del 50%.
La giovane attivista propone di agire attraverso azioni concrete, politiche innovative, e soprattutto un nuovo modello di sviluppo. Ma c’è un problema: quali?
Quale sarebbe la magica panacea in grado di favorire lo sviluppo economico e nello stesso tempo salvaguardare l’ambiente?
Purtroppo è comune a tutti gli attivisti raccontare una realtà drammatica e catastrofica distorcendo la società attuale. Saranno sempre pronti a concentrare la nostra attenzione con storie eccitanti e distopiche.
Ma il cambiamento climatico è un problema serio, e come tale va affrontato in maniera razionale e scientifica. Bisogna prendere un bel respiro, analizzare i dati e stare attenti a non intraprendere azioni drastiche. Gli allarmismi da parte di ragazzini di tutto il mondo non portano a nessuna azione concreta da intraprendere.
In poche parole per risolvere questo enorme problema bisogna guardare in faccia la realtà.
Cerchiamo di fare il punto
La popolazione mondiale è composta da oltre sette miliardi di individui, dei quali un miliardo e mezzo circa, vivono in paesi sviluppati e hanno a disposizione cibo, acqua e cure a volontà (come gli Americani e gli Europei). I restanti cinque miliardi e mezzo, invece, vivono in paesi in via di sviluppo, cioè in condizioni di vita medio/basse (Cinesi o Indiani).
Ora c’è un problema: non possiamo fermare l’innovazione, non per cattiveria e malvagità ma perché semplicemente non si può pragmaticamente fare. Come si nega a sette miliardi di individui di fermare completamente il processo di industrializzazione per tornare ai livelli di iniquità del pleistocene? È oggettivamente impossibile.
Non si può, come propongono Greta e i suoi compagni d’avventura, dimezzare le emissione di CO2 o di altri gas serra per un semplice motivo: l’economia e la società attuale crollerebbe.
La soluzione quindi deve essere un’altra, anzi esiste già: il liberismo e il sistema economico capitalista.
Sembra un’antitesi affermare che il sistema industriale, la causa dei principali fattori di riscaldamento globale, dovrebbe essere lo stesso che ci permetta di risolvere il problema. Ma è cosi. (Prima di chiudere la pagina e tornare alla vostra home di Facebook, per favore continuate a leggere).
Questi due grafici rappresentano le emissioni di CO2, il principale gas serra, emessi, nel primo, dai paesi sviluppati, mentre nel secondo, da paesi in via di sviluppo.
Grazie ai grafici possiamo sviluppare due asserzioni interessanti:
- È evidente come le emissioni dei “greenhouse gas” crescono esponenzialmente nei paesi in via di sviluppo mentre nei paesi sviluppati, dopo una crescita, diminuiscono.
- In generale si nota come nella prima fase dello sviluppo economico i paesi, a causa di macchinari e mezzi più vecchi, causano un enorme emissione di gas serra, per poi diminuire nel secondo periodo, nel quale i vari paesi riescono ad ottenere mezzi più efficienti che permettono un migliore uso delle risorse energetiche.
Infatti fra il 2007 e il 2017 le emissioni di CO2 sono diminuite dell’11% in USA e UE e aumentate del 29% in Asia e del 24% in Africa.* [2] E lo stesso sta avvenendo per tutti gli altri gas serra.
Questo avviene poiché rispetto alle nazioni in via di sviluppo, i paesi più ricchi adottano sistemi sempre meno inquinanti grazie allo sviluppo capitalistico.
In poche parole, il capitalismo, la nascita di nuove aziende e innovazioni, salveranno l’ambiente, Greta con la sua retorica apocalittica del “ora o mai più” no. (Anzi, rischia di far solo danni).
Certo, non dobbiamo aspettare le rimodernamenti industriali per salvare il pianeta, occorre nel frattempo assumersi le proprie responsabilità e agire consapevolmente cercando di avere uno stile di vita rispettoso nel confronti del clima e dell’ambiente.
Ma, a differenza di quanto Greta e gli altri attivisti vogliano farci credere, l’umanità non è spacciata, il riscaldamento globale non è un fenomeno irreversibile, bensì risolvibile (se affrontato cautamente con raziocinio), ma soprattutto ci ricorda ancora una volta come il capitalismo possa essere la valida soluzione anche a problemi così complessi.
Note
[1] https://data.worldbank.org/indicator/en.atm.co2e.kt?end=2014&start=1960&view=chart
[2] https://wattsupwiththat.com/2018/07/03/bp-data-analysis-global-co2-emissions-1965-2017/
[3] https://wattsupwiththat.com/2018/07/03/bp-data-analysis-global-co2-emissions-1965-2017/
* Per il dato numero [2] il merito di averlo divulgato va a Costantino de Blasi su un suo post di Facebook (https://www.facebook.com/Sktrrbrain?epa=SEARCH_BOX)