Sicurezza: monopolio di Stato o partnership?

Il Presidente Mattarella, nel promulgare la (scarna) riforma della legittima difesa approvata qualche settimana fa in Parlamento, ha inviato un messaggio alle Camere che, in sintesi semplice, difende il primato statale nella sicurezza.

Ma oggi è davvero il modello più efficiente?

A mio parere no. Infatti il modello di Stato unico esercente della sicurezza probabilmente aveva senso anni fa, quando il crimine era cosa più rara, meno violenta e non esisteva un pericolo terrorismo come quello odierno.

Oggi, tuttavia, con una sempre maggiore decentralizzazione, il rischio è che lo Stato non possa garantire nemmeno volendolo, coi fondi che ha, una sicurezza dignitosa. Infatti sono all’ordine del giorno notizie di crimini vari come aggressioni, rapine e furti in casa.

Lo Stato potrà mai difenderci totalmente da ciò? No, perché la totale sicurezza richiederebbe di annichilire totalmente la libertà, come ben disse Benjamin Franklin con la celebre frase “un popolo che sacrifica la libertà per briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza

Totale sicurezza richiederebbe, infatti, una totale presenza dello Stato, in sostanza uno Stato totalitario. Non a caso, oggi, uno degli Stati più sicuri al mondo è la Corea del Nord.

Si può parlare di ragionevole sicurezza che lo Stato può garantire. Ma ha un costo. L’Italia, ad esempio, ha un alto numero di agenti di polizia per abitanti, con un costo elevato, circa 600.000€ l’anno per agente, eppure non offre un servizio di eccellenza.

In effetti, garantire un servizio di polizia in via esclusiva ha una complessità non da poco: devi avere abbastanza agenti in strada, incluse quelle più piccole, per rendere poco appetibile il delinquere;  ma anche abbastanza agenti per indagare sui reati commessi, intervenire in urgenza in caso di necessità e per gestire i detenuti.

Alcuni di questi compiti sono, ovviamente, fattibili solo per una forza dell’ordine organizzata. Ma se vedessimo nei cittadini non dei sudditi che devono essere difesi solo ed esclusivamente dalle forze dell’ordine ma come dei soggetti in grado di difendersi e collaborare con le forze dell’ordine?

In tal modo da monopolio si passerebbe a partnership: La Polizia collabora coi cittadini, ad esempio con corsi di  autodifesa, ed interviene in casi di emergenza e per indagare sui reati.

Ma, come già spiegavo in un altro articolo, non si può fare questo discorso senza parlare di riforma della legge sulle armi.

Alcuni reati, infatti, non si fermano con le belle parole ma con le armi, letali o meno. Un aggressore si ferma con lo spray al peperoncino, un invasore con i proiettili di gomma e un terrorista con un proiettile ben piazzato.

Certo, si possono attendere le forze dell’ordine, ma nel frattempo magari l’aggressione è diventata stupro, l’invasione omicidio e l’irruzione terrorista strage.

Semplicemente: la Polizia deve arrivare e, nel mentre, il cittadino è inerme difronte a banditi illegalmente armati. E un terrorista non ha problemi ad uccidere decine se non centinaia di persone inermi mentre la polizia armata arriva.

L’errore, qui, è confondere la sicurezza collettiva (servizi segreti, ordine pubblico e simile), che è giusto che sia affare di un’entità collettiva come la Polizia, con quella individuale, che non può sempre rispondere ai tempi di un’entità collettiva. È quindi necessario dare gli strumenti all’individuo per difendersi da solo, un concetto ben diverso, sia chiaro, dal farsi giustizia da solo.

La difesa della proprietà è sempre legittima: impariamo dagli U.S.A.

Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto”, ed è il caso di rileggerlo bene così da assimilarne il contenuto.

Ditemi quale altro esempio di libertà dovremmo avere oltre a questo: ad uno Stato nato dalla ribellione agli imperi britannico e spagnolo. Una condizione, questa, per la quale viene riconosciuto il diritto al cittadino di armarsi in difesa della propria libertà, garantendogli il diritto anche di uccidere in caso di necessità. 

Oggi le esigenze sono mutate ma i principi rimangono solidi: la libertà è un bene supremo che deve esser difeso costi quel che costi. Non esistono imperi che, colonizzando territori, sottomettono popoli interi. O meglio: non avviene certamente nel modo classico che tutti noi immaginiamo, e dell’avanzata dell’islam in Europa parleremo in un’altra occasione. La minaccia alla libertà individuale, e alle sue colonne portanti come la proprietà privata, è sempre in agguato ed è nostro dovere essere sempre vigili, accorti, pronti a reclamare uno dei pochissimi diritti di cui pretendiamo di godere: quello alla libertà.

Si dice che un cittadino abbia tra i suoi più pericolosi nemici lo Stato, il quale, in virtù del suo potere, si impone prescrivendo condotte e rendendone illecite altre. Tutto normale, vien da dire, a meno che non si sfoci nell’esagerazione e nell’eccesso di norme, classica situazione in cui troppe sfaccettature della vita dei singoli vengono regolamentate sottraendo a questi ultimi la possibilità di autodeterminarsi completamente.

Torna utile quanto enunciato dal secondo emendamento: uno Stato libero, per esser veramente tale, deve proteggersi anche da sé stesso e dall’andazzo maldestro che può intraprendere. E lo Stato siamo tutti noi, altroché vittimismo, ed è dunque nostro dovere la civile ribellione di cui parlava Henry David Thoreau nella sua Disobbedienza civile. Non possiamo delegare a qualcun altro la tutela delle nostre libertà, perché ne siamo noi e soltanto noi i titolari. 

Prima che la collettività, deve essere tutelato l’interesse dei singoli, essendo la collettività stessa formata da gruppi di persone che decidono di associarsi. È dunque più che ragionevole pretendere di poter difendere la proprietà privata dalle incursioni dei malintenzionati che affliggono le nostre città. La pretesa di obbligare i cittadini a non difendersi, e con sé stessi anche le proprie famiglie, per la supposta tutela della collettività, snocciolando le statistiche per le quali la legittima difesa finirebbe per ledere anche gli innocenti, è folle perché in virtù di certe astratte previsioni verrebbe menomata una libertà concreta.

Quest’ultima consiste nel difendere la abitazione ove ognuno di noi vive e gli affetti che tale immobile contiene, intendendo con ciò prima di tutto le persone, la famiglia, e poi i beni materiali ivi contenuti. La possibilità di essere proprietario di un immobile, ottenuto tramite una trattativa culminata in una acquisto, si svuota di significato se diviene alla mercé di chiunque voglia usufruirne abusivamente, intendendo implicitamente con ciò che la proprietà privata è un furto.

Ed è ancor più grave che sia un organo dello Stato, quello legislativo, che legiferando in tal senso inibisce i suoi cittadini dal difendere le proprie abitazioni da ladri e malfattori garantendogli sanzioni di enorme portata. Addirittura essi passano dalla parte del torto, pur avendo subito una violenza grave, nel momento in cui si trovano obbligati da una sentenza a risarcire la famiglia del delinquente dalla cui aggressione si sono difesi. 

Siamo pieni di buontemponi che, parlando di un non meglio diritto alla casa, difendono coloro che occupano gli immobili altrui, accampando a difesa di questo abominio l’utilità sociale che deve avere tale immobile. Utilità sociale che, per definizione, non esiste e quindi può essere tirata da una parte all’altra in base alle esigenze momentanee, finendo inesorabilmente col menomare la proprietà privata di un soggetto qualunque. Da questo concetto malsano a giustificare i ladri perché magari indigenti, il passo è breve. Ed è già accaduto che qualche sociologo da serie C lo affermasse tanto per garantirsi qualche minuto di applausi in più.

Ce lo insegna la più grande democrazia del mondo che per esser liberi si deve, spesso, anche essere armati. E se qualche buonista ritiene che casa propria debba essere a disposizione di chiunque voglia depredarla o bivaccarci, non saremo certo noi a ledere questa sua libertà di scelta.