Conoscere Thatcher: reagire al dominio socialista

Se un liberale non crede che la proprietà privata sia uno dei principali baluardi della libertà personale, farà meglio a creare un governo con i socialisti. In effetti uno dei motivi del nostro fallimento elettorale è che la gente pensa che troppi dei conservatori siano diventati dei socialisti.

Così scrisse nel suo libro autobiografico “Come sono arrivata a Downing Street” (1996) – all’indomani di una sconfitta elettorale dei primi anni settanta – , Margaret Thatcher o Maggie, Primo Ministro del Regno Unito dal 1978 al 1990, la prima donna della storia britannica, liberale liberista che rialzò una nazione collassata da Sindacalismo, Burocrazia, Tasse, Capitalismo di Stato, Assistenzialismo.

Una vera Rivoluzione se consideriamo che riuscì a realizzare delle riforme nella nazione nella quale i socialisti laburisti inventarono il Welfare State con il loro slogan “Dalla Culla Alla Tomba”. La citazione suddetta vuole essere la dimostrazione come Maggie volesse svegliare dal torpore una forza politica, come quella dei Conservative Party, incapace di reagire al dominio ideologico dei socialisti. La mediocrità, tipica della cultura socialista, aveva contagiato i conservatori che davano l’impressione di aver perso la loro identità.

Riprendendo il suo libro autobiografico, direi che sarebbe opportuno riprendere un altro passo importante.

La causa principale del crescente allentamento della gente dai partiti politici è il troppo governo. La competizione tra i partiti nell’offrire livelli sempre più alti di benessere, aveva diffuso la convinzione che il governo fosse in grado di fare qualsiasi cosa e aveva offerto ai socialisti l’opportunità di estendere massicciamente l’intervento statale.

In questo passo, è chiaro come Maggie sia del parere che la crisi del secondo dopo-guerra e la conseguente riforma del Welfare State, aveva favorito come risultato quello di convincere tutti che la politica dovesse essere l’unica voce in capitolo sulla quotidianità (e i vari problemi) delle persone. L’idea della Thatcher è che i partiti politici erano diventati quasi come dei portatori di soluzioni ai problemi, come Lei stessa diceva.

«Abbiamo attraversato un periodo in cui troppi bambini e troppi adulti facevano ragionamenti del tipo: “Ho un problema, ci deve pensare il governo a risolverlo!”, oppure “Ho un problema e ho il diritto di farmelo risolvere dal governo”, o “Sono senza casa, il governo me ne deve dare una”. E così affibbiavano i loro problemi alla società.

Anche i conservatori erano caduti in questa sorta di trappola che lo ha portato a tanti fallimenti durante i periodi al governo. Proprio per questo motivo è opportuno ritrovare quell’identità perduta, riportando il focus sulla libertà del cittadino, sulla famiglia. Non aveva timori nel portare avanti quei valori borghesi, che nessuno fino a quel voleva toccare, proprio perché erano diventate delle parole “intoccabili” secondo le regole del “politicamente corretto” del Regno Unito del ventennio 50′-70′.

Se nei valori borghesi rientrano l’incoraggiamento della diversità e della scelta personale, l’offerta di equi incentivi e ricompense per l’abilità e l’impegno nel lavoro, la conservazione di efficaci barriere contro l’eccessivo potere dello stato e la fede nella più ampia distribuzione della proprietà individuale, allora credo che siano valori da difendere.

Perciò quando decise di candidarsi per la leadership del Conservative Party, aveva l’intenzione di esaltare l’individualismo e le potenzialità del cittadino, senza che riceva alcuna aggressione fiscale da parte dello Stato.

Sono convinta che occorra giudicare una persone per i loro meriti e non per la loro provenienza. Credo che la persona che è pronta a lavorare più sodo è quella a cui spetta il compenso maggiore, un compenso che dovrebbe restargli anche dopo le tasse. Dobbiamo appoggiare i lavori e non gli imboscati: che non è solo lecito ma lodevole voler migliorare la propria famiglia con il proprio impegno.

Mettersi in gioco contro i socialisti è possibile anche in Italia. Noi de L’Individualista Feroce riteniamo che non sia giusto nascondersi e temere il giudizio di chi, con la forza, sia maggioritario. Non solo diffondendo le idee, ma anche impegnarsi sempre di più sul campo più importante, quello politico, poiché è l’unico in cui è possibile realizzare delle riforme – forse rivoluzionarie per noi liberali, chissà – per risvegliarci dall’incubo statalista-socialista. Riforme come quelle sul ruolo dello Stato, tanto desiderata dalla stessa Maggie.

«Lo Stato deve essere un servitore, non un padrone. Non ci devono essere tentazioni paternaliste. Il paternalismo è nemico della libertà e della responsabilità. Benché si mostri sorridente e umano, è come tutti gli altri tipi di governo interventista: soffoca gli sforzi di tutti, fiacca le imprese, incoraggia la dipendenza e promuove la corruzione».

Il posto pubblico non deve essere un posto “a vita”

Qualche giorno fa in Sicilia si è verificato uno scontro verbale tra politica e vescovi sulle retribuzioni dei funzionari della pubblica amministrazione della Regione Sicilia. A quanto pare, sarebbero molto più alte rispetto a quelle dei dipendenti pubblici degli Stati Uniti d’America. Questo “scontro” mi ha permesso di fare una riflessione sulla situazione dei dipendenti pubblici, non solo siciliani, ma direi di tutta Italia.

La sensazione è che i dipendenti pubblici vivono in una situazione di “paradiso consapevole ma giustificato”. Cosa vuol dire? Mi riferisco al fatto che, non tanto le forze dell’ordine, piuttosto i dipendenti della pubblica amministrazione e delle aziende statali, in quanto godono di generosi privilegi, hanno il posto a vita (il famigerato Posto Fisso), ma proprio perché tanti ex-politici vivono sulle spalle dello Stato (vedi vitalizi o nomine nei consigli d’amministrazione), si giustificano con il fatto che loro ricevono meno di quello che dovrebbero.

In tutta questa storia, buona parte delle colpe è dei sindacati che sono riusciti nel rafforzare la posizione dei dipendenti pubblici, favorendo lo sport nazionale dell’assenteismo. Infatti, licenziare è una pratica molto complessa.
Ma le colpe sono anche della cultura del welfare in Italia. Nel corso dei decenni, i governanti – nazionali o locali – hanno usato il posto da dipendente pubblico per due motivi. Il primo come “mancia elettorale“, quindi per premiare chi ti permetteva di vincere le elezioni. Il secondo come “rimedio alla disoccupazione”. Questo secondo aspetto non è da sottovalutare se consideriamo che lo Stato è il principale datore di lavoro proprio nelle regioni maggiormente in difficoltà.

Riepilogando, il rapporto governanti-dipendenti della pubblica amministrazione si basa su un reciproco “ricatto”, poiché il primo deve coccolare il secondo per evitare ripercussioni elettorali, perciò quest’ultimo si permette il “lusso” di poter fare tutto quello che vuole.

Chi ci rimette? Ci rimettono i cittadini che pagano le (altissime) tasse per ricevere uno scarso servizio da chi lavora nella pubblica amministrazione. Infatti, il dipendente pubblico non ha alcun incentivo a lavorare bene, se in ogni caso non ha il rischio di perdere il lavoro e riceverà un lauto compenso. E ci rimette anche quel dipendente pubblico onesto che si vergogna dei suoi colleghi.

Come rimediare a questa situazione? Partendo dal presupposto che molte aziende statali dovrebbero essere vendute, bisogna riformare la figura del funzionario nella pubblica amministrazione.

La mia proposta sarebbe quella, con il servizio civile nazionale, di dare la possibilità ai neolaureati in ambiti amministrativi di poter iniziare a fare esperienza sul campo per almeno 3 anni. Licenziare le figure lavorative poco utili e, per chi viene confermato, i contratti dovranno essere a tempo determinato di 3 anni con la possibilità di rinnovo automatico, per favorire il turnover. La retribuzione del dipendente pubblico avrà una parte fissa e una parte a provvigione sulla base delle pratiche gestite. Per qualsiasi pratica avviata dal cittadino, sarà designato un funzionario responsabile che dovrà occuparsi della conclusione della pratica, in modo soddisfacente e in tempi brevi.

Questo perché ritengo che la pubblica amministrazione non debba creare problemi per il cittadino e che il dipendente pubblico debba essere a sua completa disposizione. Non sarebbe malvagio dare l’opportunità di integrare la crescita professionale dei giovani con la possibilità di lavorare a servizio dei cittadini.