I 10 presidenti più libertari degli Stati Uniti

Molti presidenti lungo il corso della storia statunitense hanno ispirato quello che oggi è il movimento libertario, contribuendo al rafforzamento delle basi della dottrina liberale.

 

Ronald Reagan

10. Ronald Reagan

Reagan è l’unico presidente post-1929 in elenco ed è uno dei due presidenti libertari di tutto il ventesimo secolo. Reagan ha spesso affermato che “il cuore e l’anima” del conservatorismo è il libertarismo. Inoltre, fu molto meno guerrafondaio di quanto alcuni conservatori -e non- moderni desiderino ricordare. Molti dei suoi sforzi per ridurre il governo furono ostacolati dal Congresso (e lo stesso Reagan favorì un governo con grandi poteri con progetti come la “war on drugs”, bisogna pur ammettere avesse qualche difetto) e persino dai membri del suo stesso partito, ma comunque Reagan combatté duramente per diminuire il perimetro statale, fino all’ultimo giorno del suo secondo mandato.

 

Zachary Taylor

9. Zachary Taylor

Taylor fu presidente per poco più di un anno, prima della sua morte nel 1850. Firmò il trattato Clayton-Bulwer con il Regno Unito, che impedì a entrambi i paesi di impadronirsi del Canale del Nicaragua. Nel tentativo di impedire che la schiavitù si estendesse a sud-ovest, si oppose al Compromesso del 1850.

 

Rutherford B. Hayes

8. Rutherford B. Hayes

Hayes visse e governò durante la fine dell’Era della Ricostruzione (1863-1877), lavorando per proteggere gli americani neri che erano oppressi nel sud. Era a favore del gold standard e mise fine al “sistema del bottino” (Spoil System, ossia il cambio degli alti dirigenti con il cambiare del governo), designando così i funzionari del governo per merito e non attraverso le loro associazioni politiche. Era un forte seguace della Dottrina Monroe, ossia riteneva che gli Stati Uniti non dovessero intervenire negli affari di altri paesi. Tuttavia, usò le truppe federali per sedare il famoso sciopero chiamato Great Railway Strike.

 

George Washington

7. George Washington

Al padre degli Stati Uniti d’America, George Washington, venne affidato un incredibile lavoro: avrebbe dovuto dare l’esempio a tutte le persone che lo avrebbero seguito nel governo degli uomini liberi. Si rifiutò sempre di essere nominato in termini regali e si dimise dopo il suo secondo mandato, nonostante le insistenze. Nel suo discorso di addio, avvertì della possibilità di stringere alleanze all’estero, nonché alleanza con un intero sistema di partiti politici vicini alla causa della Libertà. Purtroppo, ha anche uno scheletro nell’armadio: nominò e seguì il consiglio del difensore della banca centrale Alexander Hamilton e usò l’esercito per sedare la ribellione del whisky.

 

Martin Van Buren

6. Martin Van Buren

Van Buren cercò la diplomazia con il Messico, in contrasto con le politiche di guerra di Andrew Jackson. Sostenne con vigore l’idea di dazi più bassi e difese allo strenuo il libero scambio. Durante il Panico del 1837 (forte depressione economica), praticò politiche di libero mercato e si rifiutò di coinvolgere il governo federale. Tuttavia, Van Buren aderì al piano Trail of Tears (deportazione forzata dei nativi americani in riserve) promulgato da Andrew Jackson.

 

John Tyler

5. John Tyler

Tyler entrò in carica dopo la morte di William Henry Harrison (che alcuni potrebbero dire fosse stato il presidente più libertario perché non visse abbastanza a lungo per portare avanti anche solo una minima iniziativa). Tyler governò quasi 4 anni e usò spesso il suo potere di veto, ad esempio per cancellare i fondi alle banche. Concluse la Seconda Guerra Seminole contro alcuni nativi americani e non usò truppe federali durante la Ribellione di Dorr. Tuttavia, fece annettere il Texas, che in seguito portò alla guerra tra il Messico e gli Stati Uniti.

 

Thomas Jefferson

4. Thomas Jefferson

Considerato da molti come l’epitome del libertarismo moderno, Jefferson fece tutto il possibile per attuare politiche a favore della libertà una volta diventato presidente. Eliminò gran parte dell’eccesso del governo “hamiltoniano” che i presidenti Washington e Adams si erano lasciati alle spalle. Vietò la schiavitù nel territorio del nord-ovest e proibì il commercio internazionale degli schiavi nel 1807. Mentre alcuni libertari possono criticare l’acquisto della Louisiana, è documentato che Jefferson fu molto esitante e premuroso circa la costituzionalità di queste azioni.

 

James Madison

3. James Madison

Il padre della Costituzione continuò lungo la strada ereditata dal suo predecessore Jefferson. Grazie alle politiche economiche di successo di Jefferson, Madison ereditò un surplus di bilancio e optò per ridurre le tasse. L’assalto alla enorme struttura del governo nazionale di Hamilton continuò. Pose il veto sulla creazione della Seconda Banca nel 1814. Dopo la guerra del 1812, Madison dovette trattare con un Congresso di totale opposizione, permettendo che i poteri governativi lievitassero. Tuttavia, nel suo atto finale di presidente, Madison pose il veto ai dividendi della Seconda Banca nel 1817 e colse  l’occasione per criticare il Congresso per aver interpretato così ampiamente i poteri di imposizione e di spesa della Costituzione.

 

2. Grover Cleveland

L’unico presidente a d aver governato in due mandati non consecutivi, Cleveland fu uno dei pochi democratici favorevoli al minarchismo. Dopo la sua elezione, proprio come Hayes, combatté duramente contro lo Spoil System e ha inoltre ridotto il numero di lavoratori governativi. Si oppose all’imperialismo americano e in diverse occasioni impedì agli Stati Uniti di intraprendere azioni militari.

 

1. Calvin Coolidge

Calvin Coolidge

Silent Cal” è in cima alla nostra lista per il suo ruolo nel consolidare i principi libertari di oggi. Come Reagan, Coolidge usò il pulpito intimidatorio nel tentativo di cambiare la percezione di come il governo dovrebbe funzionare. In un’epoca che ha visto come presidenti i grandi personaggi delle alte tasse e delle enormi spese governative come Theodore Roosevelt, Woodrow Wilson, Herbert Hoover e Franklin Roosevelt, il nostro Coolidge si distinse notevolmente.

Venne eletto nel 1923 e prestò servizio per quasi sei anni alla Casa Bianca. Ridusse sostanzialmente le tasse in almeno tre occasioni e inserì attori del laissez-faire presso agenzie governative come la Federal Trade Commission e la Interstate Commerce Commission. Il debito federale venne ridotto di un quarto dopo un’epoca che aveva visto crescere i governi statali e locali in modo esponenziale. Coolidge pose il veto alle sovvenzioni agricole e respinse l’intervento federale nel controllo delle inondazioni.

 

Tradotto da Alessio Cotroneo dal partner hispanoamericano Mas Libertad.

Liberalismo e Anarchia: analogie e differenze

Negli ultimi anni si è potuto vedere come i movimenti per la libertà e quelli per l’anarchia si siano avvicinati, dando luogo a gruppi sempre più gremiti di libertari e simpatici anarco-capitalisti. Cosa li unisce? Cosa li differenzia?

Facciamo un passo indietro, perché è già avvenuto che il Liberalismo e un altro movimento si accostassero: in seguito alla Rivoluzione Francese il liberalismo si è trovato in stretto rapporto con il movimento per la democrazia ¹; entrambi chiedevano l’abolizione dei privilegi e lottavano per le costituzioni.

In quelle lotte i liberali e i democratici hanno condiviso il mezzo, tuttavia mantenendo due differenti fini da raggiungere: il liberalismo pone l’attenzione sulle funzioni del governo e sulla limitazione del potere, mentre per i movimenti democratici la questione centrale è quella di chi debba detenere il potere.

In parole povere: i democratici chiedevano che al Re si sostituisse il Popolo, conferendo alla volontà popolare la scelta dei governanti e, dunque, dei provvedimenti da adottare. Adatto alla situazione è Tocqueville, il quale ha egregiamente illustrato quali siano i problemi della democrazia pura e di come possa diventare facilmente una dittatura della maggioranza.

Torniamo al presente. Ora inizia ad essere più semplice riconoscere i liberali dai democratici, oggi conosciuti -causando molta confusione- come “liberals“; e quasi per ironia c’è la compensazione dall’altro lato, dove si iniziano a confondere i confini fra liberalismo e anarchia, causando non pochi problemi a chi si approccia al mondo della Libertà.

Chi mi sta leggendo ed è libertario sino all’estremo probabilmente storcerà il naso a questa citazione di Hayek ²:

Il liberalismo si distingue nettamente dall’anarchismo e riconosce che, se tutti devono essere quanto più liberi, la coercizione non può essere eliminata, ma soltanto ridotta al minimo indispensabile, per impedire a chicchessia di esercitare una coercizione arbitraria a danno di altri.

I movimenti anarchici tendono all’annullamento di tutte le leggi statali, mentre i liberali chiedono la loro minimizzazione a quelle necessarie e fondamentali. Ora sorgerebbe un’affermazione in contrasto alla mia nel lettore anarchico o volontarista: se si inizia a fare leggi in maniera arbitraria, benché minime, non si finisce più! E invece non è così o, meglio, sono sbagliate le premesse: le norme volute dal liberalismo non sono decise in maniera arbitraria o costruttivista, bensì sono suscettibili di essere scoperte, così come ogni legge nella Natura.

Il NAP (Non-Aggression-Pact: Principio di Non Aggressione) non è abbastanza per mantenere in piedi il comune vivere degli individui, è dunque necessario cercare le leggi intrinseche nelle relazioni degli esseri umani intraprese con altri o con l’ambiente circostante.

Un suggerimento, geniale ma al contempo evidente in sé, arriva sempre da Hayek³:

La fede nell’esistenza di norme di mera condotta, suscettibili di essere scoperte (e quindi non frutto di una costruzione arbitraria) poggia sul fatto che la grande maggioranza di queste norme è sempre assolutamente accettata.

Ovviamente ci si riferisce a norme individuali, sulle quali siamo veramente tutti abbastanza d’accordo: chi potrebbe ritenere lecito uccidere, rubare il frutto del lavoro di un altro o infrangerne le libertà?

Invece, quando si passa dal particolare (l’Individuo) all’universale (l’umanità, la collettività) il discorso si complica per ciascuno, poiché quel che si chiede sarà sovente in contrasto con le norme di mera condotta individuali: come si potrebbe sostenere la redistribuzione della ricchezza, l’espropriazione, l’imposizione di una volontà sulle altre?

Ecco, dunque, che se il lettore anarchico o estremamente libertario mi stava leggendo storcendo il naso, ora è probabile che guardi con meno diffidenza la mia posizione. Indubbiamente per molti anni, forse per qualche secolo, liberali e anarchici lotteranno fianco a fianco per il raggiungimento di fini comuni: la diminuzione della burocrazia, l’abbassamento del carico fiscale, l’emancipazione dallo Stato.

Alcuni sostengono che il liberalismo possa essere un passo verso l’anarchia, non ne escludo la possibilità, ma reputo sia altamente improbabile: per evitare la coercizione altrui sarà sempre necessaria una minima coercizione che imponga il rispetto delle norme di mera condotta.

Pertanto, se le differenze si fondano sia sui principi sia sugli obiettivi, l’applicazione dei principi di ambe le parti conduce ad una strada che pare essere la stessa lungo una buona parte del tragitto: oggi la libertà del cittadino è talmente limitata, sia nell’ambito civile sia in quello economico, ma persino in quello privato, che non si possono ignorare il positivismo giuridico, il dirigismo, il capitalismo di Stato, le sovvenzioni per categorie, il protezionismo, la diversificazione del trattamento fiscale a seconda di chi si è o cosa si fa e… la lista potrebbe continuare per altre centinaia di righe.

Alla luce di ciò, è indiscutibile e insindacabile la tacita alleanza fra liberalismo e anarchia, purché rimanga chiaro il confine fra i due campi d’idee, per dar semina della cultura insieme e cogliere i frutti da scagliare contro il collettivismo prima che questi distrugga definitivamente le nostre libertà.

1: Liberalismo, p.54, Friedrich Von Hayek
2: ibidem
3: ibidem