Dall’economia alla cultura: l’evoluzione del Marxismo

Spesso da oltreoceano arrivano neologismi come “marxismo culturale”, tradotti nel nostro Paese con espressioni come “radical chic” o anche “buonisti”.
Ci si riferisce con questi epiteti a personaggi come Roberto Saviano, Laura Boldrini e, più recentemente, Domenico Lucano, il discusso sindaco di Riace.

Un elemento che però non viene mai discusso da questi esponenti culturali/politici è l’economia, stessa cosa per i loro corrispondenti d’oltreoceano: le battaglie che li vedono protagonisti sono quelle sociali, tanto da dare via al fenomeno del “social justice warrior” negli Stati Uniti e in Italia dei “buonisti del politicamente corretto”.

Ma l’espressione “marxismo culturale” è vista come invenzione delle destre populiste per giustificare il loro razzismo, sessismo ed omofobia.
Eppure, i leader socialisti scrivono di questa strategia da decenni ormai.

Per esempio, il il libro scritto dai teorici socialisti Ernesto Laclau e Chantal Mouffe del 1985 intitolato “Egemonia e strategia socialista”,
ispirato dall’articolo da loro scritto nel 1981 con il titolo “strategia socialista, e ora?”. Ma cosa scrissero in questo articolo? Per gli autori la “lotta politica socialista” era entrata in una nuova era:
la tradizionale lotta di classe e l’analisi delle contraddizioni economiche del capitalismo hanno avuto difficoltà ad affermarsi (visti anche gli orrori delle dittature comuniste).
Pertanto, la nozione di lotta di classe doveva essere modificata, includendo gruppi non classificabili in una classe economica.

Il loro desiderio era dunque di incorporare donne, minoranze etniche, omosessuali e movimenti anti-istituzionali in un movimento socialista modificando oppressi ed oppressori: non più proletari oppressi da borghesi ma donne oppresse da uomini, neri oppressi da bianchi, omosessuali oppressi da eterosessuali e così via; perché la società ora non era solo più capitalista, era anche sessista e patriarcale, oltre che razzista ed omofoba.

La sfida per Laclau e Mouffe era riunire tutte queste categorie con obiettivi differenti sotto l’egida del socialismo, sviluppando un’ideologia organica: non è un caso che il socialismo si sia allineato negli ultimi trent’anni al movimento femminista ed in esso si sia sviluppato il concetto di intersezionalità per descrivere la sovrapposizione (o “intersezione”) di diverse identità sociali e le relative possibili particolari discriminazioni, oppressioni o dominazioni.

Il nuovo obiettivo del marxismo diventa dunque, secondo questa nuova ideologia, la soppressione di tutte le relazioni di dominazione e di creare “un’uguaglianza genuina e partecipazione a tutti i livelli della società”.

Ovviamente un’uguaglianza di risultato come nella vecchia teoria socialista di Marx: “da ognuno secondo le proprie capacità, ad ognuno secondo i propri bisogni”.
Il risultato? Il virus del socialismo, implicitamente desiderato da tutte le sinistre, ha contagiato importanti battaglie sociali, snaturandole.

Pur essendo stato sconfessato in tutti i modi dalla storia, il nuovo obiettivo del Marxismo è responsabile delle divisioni in Occidente, creando politiche d’identità che mettono in contrapposizione diversi sessi e diverse razze, frammentando la società. Se vi chiedete da cosa sia scaturita questa divisione così profonda nella società (tanto da dare risalto alle destre populiste), ora avete la risposta.

Il fenomeno del marxismo culturale è quindi tutt’altro che un’invenzione: è una vera e propria strategia di rebranding del socialismo.