Il Fronte dell’Uomo Qualunque: un liberalismo dimenticato

Dedichiamo questo articolo al Fronte Dell’Uomo Qualunque, movimento e, successivamente, un partito politico italiano sorto attorno all’omonimo giornale (L’Uomo qualunque) fondato a Roma nel 1944 dal commediografo e giornalista Guglielmo Giannini. Perché? Perché ritengo che egli abbia lasciato – almeno per noi liberali – un’eredità culturale importante. Un’eredità, probabilmente, considerata troppo povera. In questo articolo proverò a mettere l’accento su tantissimi contenuti liberali liberisti presenti nei saggi politici del commediografo italiano.
Siamo nel periodo 1943-44, l’Italia Fascista è in grave declino e Mussolini si rifugia al Nord con lo Stato Fantoccio della Repubblica Sociale, dopo l’esperienza di Salerno e con la successiva liberazione di Roma si tenta lentamente di creare un Governo e i partigiani e gli americani tentano di liberale il territorio dal dominio nazifascista. In tutto questo caos istituzionale arriva nelle edicole di Roma, mercoledì 27 dicembre 1944, il primo numero della testata giornalistica denominata «L’Uomo Qualunque». Il fondatore era Guglielmo Giannini (1891-1960), giornalista, scrittore e regista italiano. Il primo elemento che colpisce in modo particolare è il simbolo della testata.
Una delle coppie di mani appartiene alla tassazione, l’altra alla statizzazione che schiacchia una persona. Chi è questa persona? Vi rispondo con le stesse parole di Guglielmo Giannini.
Il borghese, il lavoratore onesto che lascia le sue ultime monete, schiacciato sotto il torchio
Lo scopo di Giannini era quello di dare voce alle opinioni dell’uomo della strada, contrario al regime dei partiti e ad ogni forma di statalizzazione. Fin da subito la posizione è chiarissima: abbasso tutti. Si considera antifascista e anticomunista e porta avanti una linea editoriale pungente e satirica. Il fenomeno avviato da Guglielmo Giannii fu erroneamente associato all’etichetta di Qualunquismo, che vuol dire “atteggiamento, morale e politico, polemico nei confronti dei partiti politici tradizionali in nome di una gestione tecnocratica e non ideologica del potere, assunto dai promotori e sostenitori del movimento qualunquista” (fonte Treccani).
In realtà dietro questa etichetta, il pensiero politico di Giannini e del Fronte dell’Uomo Qualunque, era molto più profondo e articolato. Proprio per questo ho deciso di parlare degli aspetti liberali che, a mio parere, sono stati poco analizzati e discussi nel corso della storia.
Il principio ispiratore è la libertà.
nella formula con cui fu enunciata dai Fondatori delle Nazioni Unite, Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill, Libertà di parola — Libertà di Religione — Libertà dal bisogno — Libertà dalla paura
Nello specifico, era un convinto sostenitore dello Stato Minimo. Non era d’accordo con il motto statalista mussoliniano “tutto nello Stato niente contro, al di fuori o al di sopra dello Stato”, ma era favorevole allo Stato Minimo (o Stato Amministrativo). La citazione dello storico Dino Cofrancesco (1942) penso sia la più adatta per descrivere l’idea di Stato di Giannini.
Uno Stato che si tiene lontano dal farsi attore sociale
Nel saggio di teoria politica scritto da Giannini, La Folla, insiste molto sulla questione del rapporto tra il cittadino e il governo statale, facendo vari esempi, dalla visione dello stato come «una scrivania alla quale sta seduto un impiegato che con un campanello può chiamare un poliziotto», all’idea di Stato al servizio del cittadino e non paternalista, all’opposizione allo «Stato scocciatore». Il suo obiettivo è quello contrastare la presenza dello stato nella vita sociale italiana, in quanto l’unica cosa di cui ha bisogno il cittadino qualunque (o l’uomo qualunque) è quello di essere amministrato. Di conseguenza, egli nonostante sia opportuno contrastare il comunismo e sia il capitalismo della grande industria, il suo programma politico era incentrato su un liberismo economico individuale.
Il tiranno c’è sempre, la rottura di coglioni c’è sempre; e sia l’uno che l’altra si valgono dello Stato e della forza oppressiva dello Stato per fare il proprio comodo e i propri interessi
Lui si ispirava all’idea libertaria di Henry Thoreau (1817-1862), filosofo e scrittore americano, nel quale nella sua opera Disobbedienza Civile, esprime la sua contrarietà nei confronti del governo invadente.
Il governo migliore è quello che governa di meno
A tal proposito, Giannini era favorevole ad un certo turnover della classe politica.
Vogliamo invece mettere i governanti nell’impossibilità di far male, o quanto meno, nelle condizioni di fare il minor male. […] Nessuno dovrebbe occupare una carica per più di due volte di seguito, nessuno dovrebbe essere presidente della Repubblica per più di due anni consecutivi, nessuno dovrebbe essere Capo del Governo per più di un anno, nessuno dovrebbe essere eletto deputato per più di due volte senza intervallo e via discorrendo.
Inoltre, lo Stato pretende di comportarsi come se fosse un privato cittadino, quindi pretende di fare commercio. Proprio le tasse vengono adottate per fare il “mestiere altrui” di imprenditore, per coprire le perdite economiche. Come dice anche lo stesso Giannini.
Lo Stato considera il Paese come una miniera da sfruttare i suoi abitanti come un gregge da tosare, scuoiare, squartare, cucinare, mangiare.
Quindi insisteva nel fare propaganda contro lo Stato Azienda, promosso dai comunisti, in particolare con Nikita Krusciov nel 1956.
la Ford e la Fiat, la Montecatini e la Standard saranno lo Stato, miei datori di lavoro e maestri, direttori di coscienza e confessori. Se un amministratore delegato s’incapriccerà di una donna di casa mia dovrò dargliela o finire in galera. È questa la perfezione che mi si promette con lo Stato Azienda che assorbe ogni iniziativa privata? Se è questa sono Contro questo Stato e ritengo più civile e progredita l’Età della Pietra, con tutti i suoi disagi compensati però dalla sua impagabile libertà.
Dal rifiuto al modello teorico di organizzazione statale proposto dai comunisti, Giannini è favorevole ad affidare l’economia nazionale nella sua totalità, ai privati.
Angelo Imbriani, autore del testo Vento del Sud : moderati, reazionari, qualunquisti, 1943-1948 (1996), spiega che l’idea di Stato di Giannini era:
un modello organizzativo dello stato estremamente suggestivo per il ceto medio dell’impiego e delle professioni, perché basato sulla valorizzazione delle competenze individuali e capace quindi di restituire a queste fasce sociali quel ruolo che esse temono di poter perdere o immaginano di aver già in parte perduto.
La visione di Stato di Giannini prevedeva il matrimonio tra Politica e Tecnica, in quanto dividerli vorrebbe dire:
vuol dire soltanto favorire la peste del politicantismo puro, astratto, metafisico, inutile e anzi dannoso; vuol dire Mussolini. ministro della guerra, Togliatti ministro della giustizia, Scoccimarro ministro delle Finanze, e quindi Mussolini, Togliatti, Scoccimarro alla perpetua ricerca di tecnici che attuino la loro politica (pericoloso doppione) con il risultato che o la tecnica si debba mettere al servizio della politica contorcendosi ai suoi voleri, o la politica debba cedere il posto alla tecnica snaturandosi fino al
proprio annullamento.
Guglielmo Giannini e il Fronte dell’Uomo Qualunque non aveva un rapporto buonissimo con il Partito Liberale Italiano. I contrasti con Benedetto Croce erano evidenti e difficili da risolvere. Il problema era soprattutto organizzativo e di comunicazione, in quanto Croce era per una politica di élite e Giannini era per una politica di massa. Lo stile populista di Giannini non era particolarmente ben visto, dunque, dagli ambienti liberali del Partito Liberale Italiano.
Il successo del Fronte dell’Uomo Qualunque fu tanto breve tanto quanto intenso. Ritengo per l’Italia che sia stata una grande occasione liberale mancata. Forse con un pizzico di lungimiranza, adottare una linea politica liberale di massa, probabilmente avrebbe evitato il declino del Partito Liberale Italiano che, a mio parere, si è sempre “intestardito” (e tuttora insiste) con la politica dei pochi o di élite.
Sarà bellissimo un domani raccontare e diffondere le opere di Guglielmo Giannini..

Livigno, esempio meraviglioso di Meno Tasse

Sapevate che esiste un comune che dal 1910 gode dello status di Luogo Extradoganale? Ebbene, esiste un comune in Italia che da oltre un secolo non paga alcun euro di IVA allo Stato italiano. Questo comune si chiama Livigno, nella provincia di Sondrio, in Lombardia. Parliamo di un comune di circa seimila abitanti.

Livigno si trova nell’Alta Valtellina a 1800 mt di quota. Un comune, territorialmente parlando, che si è sempre trovato in una situazione palesemente penalizzante, considerando che era abbastanza disconnesso e lontano rispetto ai centri urbani principali, come potrebbe essere in questo caso il capoluogo Sondrio.

Parliamo di un comune che nel 1910 era privo di collegamenti stradali e di attività commerciali, sicché l’economia era prevalentemente rurale. Pertanto, la Monarchia decise di mettere in condizione Livigno di non avere il carico fiscale sulle spalle, allo scopo di poter gestire al meglio il disagio provocato dalla posizione geografica.

A Livigno non viene pagata l’IVA, non ci sono alcune accise sul carburante o sui tabacchi, idem sugli alcolici. Ebbene, parliamo di uno straordinario caso di Meno Tasse.

Pertanto, siamo molto felici nell’annunciare che Livigno sia oggi uno dei comuni più ricchi in Italia. Livigno è la perfetta dimostrazione che la non presenza fiscale dello Stato permette agli stessi abitanti di poter investire meglio, di potersi arricchire meglio, di poter vivere meglio, senza dover ricorrere ad una montagnosa pressione fiscale, o a forme di assistenzialismo come il Reddito di Cittadinanza.

In primis, se nel 1910 Livigno era un comune rurale privo di infrastrutture degne di nota, con il passare degli anni sono stati fatti dei grossi passi in avanti su questo aspetto. Giusto per fare un breve elenco:

  • Passo del Foscagno, costruito nel 1914;
  • Strada Statale 301 del Foscagno, costruita nel 1914;
  • Passo della Forcola, che collega Livigno con la Svizzera, è aperto dal 2012.

Ma la vera incisività di Livigno, quasi da imbarazzare un politico italiano qualsiasi, è dal punto di vista economico e turistico. Oggi Livigno è una delle mete più ambite nelle stagioni invernali, con una serie innumerevole di servizi per le persone, tra bar, ristoranti, gioiellerie e negozi di vario genere.

Parliamo di un comune che offre una serie di servizi adattabile a qualsiasi esigenza, dalle famiglie ai single, dalle persone più anziane ai più giovani. Un territorio estremamente capitalista in grado di offrire servizi dal relax, locali notturno per il divertimento, giochi per i bambini, all’ebbrezza di divertirsi con le motoslitte.

Chiedo scusa se sembro qualcuno che vuole pubblicizzare una meta turistica o ricoprire di meriti qualcuno in particolare, ma non posso non essere entusiasta di questa meravigliosa realtà italiana di meno Stato e più Capitalismo. Livigno è la dimostrazione che il capitalismo vero, spontaneo e volontario e privo di interferenze statali è in grado di sopperire a tutto. Siamo passati da un territorio particolarmente penalizzato, isolato e rurale, ad un territorio estremamente servito, ricco e competitivo.

Per non parlare del passo in avanti dal punto di vista del costo delle case. Nel 1910 Livigno era banalmente un territorio di contadini con case rurali. Oggi lo stesso comune ha dei meravigliosi chalet di 80-85mq che costano circa 500.000€. Alla faccia di chi attacca i paradisi fiscali, quasi fosse un peccato mortale. Ben vengano i paradisi fiscali, se i risultati sono come Livigno.