Miracolo economico anni ’60? Merito di Einaudi

L’anno scorso (si riferisce al 1959, aggiunta mia) il Daily Mail cominciò a lodare l’Italia parlando di “miracolo economico”. Quest’anno il “Financial Times” dà l’Oscar delle monete alla lira. Grazie a Fellini siamo diventati per il mondo intero il paese della Dolce Vita. Finirà che ci monteremo la testa. Anzi: si monteranno la testa i nostri politici, così pronti a convincersi che la ricchezza privata si produce perché essi possano metterci le mani sopra.

Il Miracolo Economico non è stato miracoloso, ma spontaneo. Non ha seguito lo Schema Vanoni, lo ha travolto.

Così Sergio Ricossa racconta e commenta il miracolo economico italiano degli anni cinquanta-sessanta. Nel titolo, se lo avete notato, ho scritto “grazie Einaudi”. Perché proprio Luigi Einaudi se lui è stato solo il governatore della Banca d’Italia e il Ministro delle Finanze fino al 1948, oltre ad essere stato presidente della repubblica fino al 1955? Perché durante il brevissimo periodo da ministro (con la collaborazione di Donato Menichella, successore di Einaudi al ruolo di governatore della Banca d’Italia), Luigi Einaudi riuscì a salvare la Lira, adottando misure parsimoniose sia per quanto riguarda la spesa pubblica e sia per i cittadini, adottando misure anti-inflazionistiche.

I liberisti, guidati da Einaudi, riuscirono a bloccare l’offensiva socialcomunista che avevano un progetto finalizzato a produrre un livello di gettito elevato, utili per il risanamento dei conti pubblici e per porre le basi per una pianificazione economica, in stile Unione Sovietica. Questa pianificazione economica, esattamente, consisteva nell’affidare una parte importante della gestione della ricostruzione alla mano dello Stato per inserire il nostro paese all’interno di un tipo di sistema economico nel quale lo stato potesse esercitare una forma di intervento e controllo piuttosto incisiva.

La strada per la ripresa, secondo il PCI, era quella dell’imposta, attraverso una redistribuzione di ricchezza fra le classi più ricche e le classi più povere e più colpite dalla guerra. Per non parlare, inoltre, dell’idea di istituire una tassazione straordinaria a varie forme di liquidità e titoli di Stato che, solo dal pensiero, provocò talmente terrore alle persone che immediatamente andarono a ritirare i propri depositi bancari e postali.

Einaudi e i liberali erano fortemente contrari e volevano puntare a manovre politiche che riuscissero a tenere buoni i cittadini tenendo a bada l’inflazione e senza penalizzare chi era già stato penalizzato in precedenza (scusate il gioco di parole). Si puntava ad affrontare i problemi in cui si trovavano le finanze statali in gran parte con ordinari strumenti di politica economica e fiscale, e alle difficili condizioni economiche del sistema con strumenti tipici di una politica economica liberale: diminuzione della spesa pubblica, incentivazione del risparmio, libertà di iniziativa privata, aumento del reddito prodotto dalle imprese, innescando così il circolo virtuoso di maggior produzione, maggiori risorse risparmiate, maggiore accumulazione di capitali, maggiori investimenti, maggiore ricchezza, prestiti pubblici, assoluto divieto di emissione di nuova moneta e pressione fiscale non eccessiva.

Un carico fiscale più leggero avrebbe favorito maggiori risorse per la produzione di ricchezza che, una volta aumentata, avrebbe prodotto anche maggiori entrate fiscali ordinarie, contribuendo in tal modo ad una progressiva eliminazione del disavanzo di bilancio. L’obiettivo era anche la stabilizzazione della moneta che, una volta ottenuta, avrebbe permesso di rendere il settore pubblico sempre più minimo, permettendo ai privati di svolgere la parte preponderante nel processo ricostruttivo; quasi come se ci fosse una mano invisibile (come quella auspicata da Adam Smith) che avrebbe garantito l’equilibrio di mercato alle cui leggi anche lo Stato, seppure con compiti suoi propri di rimozione degli ostacoli alla libera iniziativa e di garanzia del suo libero sviluppo, avrebbe dovuto sottostare.

In quel brevissimo periodo, Einaudi non riuscì ad ottenere tutti gli suoi obiettivi (d’altronde non era nemmeno il presidente del consiglio), ma almeno evitò le forti pressioni dei socialcomunisti. Purtroppo anche la pressione e l’influenza liberale dello stesso Luigi Einaudi andò a calare con l’avvicinarsi della scadenza del suo mandato da presidente della repubblica.

In contemporanea, i governanti durante il periodo del miracolo economico italiano si presero i meriti; mi sto riferendo alla Democrazia Cristiana post-De Gasperi primeggiata da persone come Gronchi e Fanfani che sostenevano – rispettivamente – che “l’industria pubblica può sopravvivere senza profitti” e che “se qualcuno ha un problema, lo Stato glielo deve risolvere”. In particolare, vennero dati molti meriti allo Schema Vanoni che puntava alla piena occupazione, alla creazione di nuovi posti di lavoro. Peccato però che il limite dello stesso schema fosse quello di preoccuparsi che la manodopera fosse abbondante dimenticando – però – che è il capitale favorisce l’occupazione. Pertanto si è preso dei meriti quasi per caso.

In realtà, il vero merito fu di Luigi Einaudi, grazie alla sua azione di stabilizzazione monetaria che attuò dall’estate 1947, salvando l’Italia e gli italiani da un’inflazione che avrebbe provocato dei seri problemi all’economia. Ottenendo questo risultato non provocò direttamente il miracolo economico, ma fu il punto di partenza per qualcosa di spontaneo e straordinario come quello accaduto alla fine degli anni cinquanta e inizio sessanta.

Peccato però che ingredienti come intervento statale in economia per controllare, con il sostegno sindacale e dei consigli di gestione, l’iniziativa privata (pianificazione); nazionalizzazioni; riforma agraria – tutte misure realizzate dal 1955 fino agli anni settanta – non solo resero la Lira sempre più debole, non solo la spesa pubblica sempre più alta, non solo meno ricchezza privata, ma anche un’Italia sempre più povera e mediocre. Ma come insegna, lo stesso Einaudi, se punti sulla spesa pubblica e alla stabilità della moneta, metti in condizione la tua nazione di poter puntare al meglio e alla crescita.

1945-1955: Quando Einaudi impediva le riforme socialiste

11 maggio 1955. Apparentemente una data normalissima, priva di significato. In realtà, questo fu l’ultimo giorno da Presidente della Repubblica di Luigi Einaudi (1874-1961). In questa data, morì quel poco di liberalismo che influenzava, o almeno tentava, le politiche, che tentava di influenzare i governi. Quel Liberalismo che aveva fondato l’Italia, morì. Morì naturalmente, che sia chiaro. Il problema era – come accadde anche all’indomani della morte di Cavour – l’assenza di eredi che potessero mantenere alta la bandiera del liberalismo anche dopo l’uscita di un grandissimo come Einaudi. Per usucapione, l’Italia venne prese dai cattolici e dai comunisti.

La presenza di Einaudi fu fondamentale nel decennio 1945-1955, sia prima come Governatore della Banca d’Italia, sia come ministro del Bilancio e sia dopo come presidente della Repubblica. Non si trovava nel’ambiente adatto. Era il periodo della convivenza tra liberali, cattolici e comunisti; in particolare, i comunisti chiedevano procedimenti di epurazione per chiunque, Agnelli, Valletta e Pirelli in primis; gli stessi comunisti scioperano e chiedevano a gran voce, occupando le prefetture, le dimissioni e l’allontanamento dello stesso Einaudi. Se vogliamo essere chiari e onesti, potremmo dire che Einaudi è stato protagonista attivo fino al 1948 e fino al 1955 è stato protagonista passivo. Se prima di diventare presidente della Repubblica riusciva ad adottare misure liberali, durante la presidenza, almeno in parte, riuscì ad evitare qualche misura statalista di troppo.

La situazione migliorò nel 1947. Alcide De Gasperi, (1881-1954) nel suo quarto governo, decise di scaricare i comunisti e di coinvolgere i liberali. Luigi Einaudi diventò Ministro del Bilancio e Giuseppe Grassi Ministro Grazia e Giustizia. In meno di dodici mesi, Luigi Einaudi riuscì a salvare la Lira, grazie anche a misure anti-inflazionistiche e anche alla fiducia dei risparmiatori. E’ un momento straordinario per il liberalismo: lo stesso Einaudi è il simbolo della parsimonia ed è amato dai cittadini. Il lavoro compiuto da Einaudi era sostenuto da Donato Menichella, governatore di fatto della Banca d’Italia, e da Mario Scelba, ministro dell’Interno, che ebbe il merito di mantenere l’ordine pubblico.

Il 18 aprile 1948 ci fu la storica sconfitta elettorale dei socialisti e dei comunisti.  Luigi Einaudi diventò il presidente della Repubblica, il primo eletto dal parlamento repubblicano. Da questo momento in poi, per il liberismo di Einaudi iniziò il declino. Il keynesismo americano, come dimostrato dal Progetto di Salvataggio Marshall, era dominante negli ambienti del governo De Gasperi V. Proprio Roberto Tremelloni, esponente del Partito Socialdemocratico Italiano, venne nominato ministro delegato alla presidenza del Comitato Interministeriale per la Ricostruzione, nato per gestire e per ottimizzare il Piano Marshall.

Alcide De Gasperi non era un liberale, ma nemmeno il classico statalista puro. Da denunciare, almeno da parte di noi liberali, l’istituzione del Piano Cassa del Mezzogiorno (1950). Con la Cassa del Mezzogiorno, lo stato italiano inizia con lo spreco di miliardi e miliardi di lire, ingrassando i notabili presenti nei territori meridionali. In ogni caso, l’inizio spropositato e inefficiente dello Stato inizierà proprio dopo la fine del Governo De Gasperi del 1953, ma soprattutto dopo la fine della presidenza di Einaudi del 1955. Chiuso il capitolo Einaudiano, iniziò il capitolo di Giovanni Gronchi, nuovo presidente della Repubblica. Questo nuovo capitolo è l’inizio del dominio delle politiche stataliste e socialiste, che prevede uno Stato super-interventista, dando massimo sviluppo e sfogo al Piano IRI, fregandosene di eventuali debiti. Con lui inizia il motto “Privatizzare gli utili, Socializzare le perdite“.

D’altronde, riferendosi all’Industria Pubblica, il presidente della Repubblica Gronchi ebbe il coraggio di dire:

L’industria privata non sopravvive senza profitti, l’industria pubblica sì

Più chiaro di così…