Lo “Stato privato”: la monarchia in una società libera

Premessa: nella seguente riflessione si vuole dare una prospettiva diversa delle questioni istituzionali, rimanendo nell’ambito ampio e ricco di sfaccettature del liberalismo. Parlerò in particolare della monarchia e di come essa può essere compatibile con quella che chiamiamo “società libera”. Il sottoscritto è un conservatore libertario (paleolibertario), perché crede che lo Stato e la pianificazione dell’economia e della vita dei cittadini abbiano minato alla base i pilastri della società “tradizionale” , frutto spontaneo della volontaria collaborazione umana.

In quest’ottica qualsiasi intervento statale costituisce un’alternativa opposta alla libera prosecuzione della società naturale. Approfondirò questa particolare visione in altre occasioni, era però necessario precisare la mia posizione per correttezza verso chi legge e per avvertire che termini come liberale e libertario sono usati secondo questo insieme di valori. Naturalmente quello liberale è un mondo vasto all’interno del quale chi la pensa come me occupa, potremmo dire, l’ estrema destra, e non mi aspetto che tutti i liberali concordino con me

La mia però è UNA visione, e nella PLURALITÀ delle nostre voci la presento volentieri per arricchire un dibattito che ha un unico fine per tutti noi, quello della ricerca della libertà, della tutela della proprietà privata, della possibilità per ciascuno di disporre dei propri soldi senza che sia lo Stato a dirgli come deve usarli.

Un liberale che voglia avere una visione il più possibile completa e coerente della società non può, a un certo punto della sua formazione, non domandarsi quale sia la “forma di governo” più compatibile con i propri valori. Si tratta di una domanda non facile da affrontare perchè, comunque si affronti il discorso, a un certo punto dovremo pur arrivare a chiederci: “la libertà è compatibile con la democrazia?”

La democrazia, che già Hayek definiva un “mezzo”, non il “fine” di un liberale, non può essere oggetto di discussione senza rischiare accuse pesanti di tendenza al totalitarismo. Una visione pragmatica delle cose con una prospettiva nel breve termine naturalmente ci impone di riconoscere che un sistema democratico ha indiscutibili vantaggi, ma se ci fermiamo a questo il nostro ragionamento diventa sterile.

Abbiamo il diritto, al di là delle questioni urgenti che richiedono risposte immediate nel concreto e nel possibile, di tracciare situazioni ideali, di immaginare, di sognare. Di sicuro una cosa non ci interessa: pianificare. Quello lo lasciamo ai socialisti. Proviamo quindi ad affrontare il tema della forma di governo “migliore” o, come direbbero gli anarcocapitalisti, “meno incompatibile” per una società libera.

Cosa realmente interessa a un liberale? Naturalmente la tutela della libertà personale e della proprietà privata, nonché la tutela del diritto a fare di questa proprietà ciò che si vuole una volta rispettata la proprietà altrui. Per un liberale rigoroso qualsiasi forma di coercizione e prelievo fiscale costituisce un attacco alla proprietà privata.

Visto che ogni forma di governo prevede un grado di coercizione e un grado di tassazione per mantenere il proprio potere, dovremmo dire che la sola esistenza di qualsiasi tipo di governo è incompatibile con la piena libertà individuale. Finché ci sarà un’agenzia che con la forza potrà esercitare il monopolio fiscale non potremo mai fare ciò che vogliamo con i nostri soldi, e questa è una privazione di libertà a tutti gli effetti.

I grandi pensatori liberali si sono scontrati spesso con questa contraddizione e hanno tentato di aggirarla con diverse giustificazioni, almeno fino all’avvento degli anarcocapitalisti duri e puri, alla Rothbard per intenderci, che sono stati molto meno aperti a concedere possibilità allo “Stato”, per quanto “minimo”, che pochi liberali avevano osato rinnegare completamente.

Non volendo tracciare qui, poiché ci saranno altre occasioni per farlo, un modello di società anarco-capitalista pura, in cui l’ordine si mantiene senza Stato ma spontaneamente seguendo il libero mercato, mi limiterò a parlare di una delle possibili forme di governo “meno incompatibili” con la proprietà privata: la monarchia.

Il tema della monarchia viene coraggiosamente affrontato da Hans Hermann Hoppe, filosofo ed economista paleolibertario e an-cap, che nella sua opera “Democrazia: il dio che ha fallito” tenta di immaginare una società realmente libera. Per Hoppe questo tipo di società si realizza solo con l’anarcocapitalismo, e quindi in assenza dello Stato.

Nessuno però realmente pensa che non possano esistere gradi intermedi e che le alternative all’anarchia di mercato siano tutte uguali tra loro, ed ecco che Hoppe analizza le due forme di governo che hanno caratterizzato la storia occidentale, monarchia e democrazia, e si chiede quale delle due sia il meno peggio per la proprietà privata. La risposta secondo Hoppe sarà, lo anticipo subito, la monarchia. Ma non per un semplice “tradizionalismo”: le ragioni sono, una volta di più, economiche.

Innanzitutto bisogna capire che la monarchia di cui parliamo e di cui parla Hoppe non è una monarchia parlamentare: la stragrande maggioranza di queste monarchie odierne ha, per gli aspetti che ci interessano, sistemi molto simili alle repubbliche democratiche, come il sistema parlamentare, il welfare state etc… e nemmeno si parla di totalitarismi monarchici o cose del genere. Stiamo parlando di società liberali e libertarie e di come raggiungerle, e quindi andiamo a considerare quelle forme di governo in cui il potere può essere più agevolmente limitato.

Lo Stato monarchico più interessante da analizzare in rapporto allo sviluppo della proprietà privata è quello ereditario in cui, idea che oggi può suonare medievale, lo Stato stesso è proprietà del re. Si tratta a tutti gli effetti di uno “Stato privato”. Il re, come ogni detentore del potere statale, attua una coercizione su un determinato territorio, e i proventi della tassazione affluiscono direttamente nelle sue casse private.

Questo monarca può erogare qualche genere di servizio con le risorse raccolte, in genere si limiterà a difendere i propri territori dalle aggressioni di monarchi vicini in competizione con lui, ma non avrà mai, secondo la visione paleolibertaria, l’interesse a un’impostazione fiscale oppressiva e a un uso della coercizione troppo esteso.

Questo perché il re, nonostante da una prospettiva libertaria sia da considerarsi il monopolista della coercizione, agisce a tutti gli effetti come un privato. Se lo Stato è “suo”, avrà interesse alla prosperità della società, poiché da questa dipendono le sue fortune. Ma non solo, ci sono altri fattori da tenere in considerazione.

Se il Re agisce come privato, teniamo conto che ogni privato si muove nel mercato in base al proprio tasso di preferenza temporale, in parole povere in base alla preferenza che da al godere di maggiori ricchezze oggi a rispetto a un risparmio per il domani. Più questo tasso si abbassa, e questo nel mercato avviene per motivi diversi, e più si è portati a ragionare nell’ottica del futuro, della previdenza e del risparmio: quelli che possiamo chiamare ragionamenti a lungo termine.

Ci sono vari fattori che possono far variare il tasso di preferenza temporale, in genere però possiamo dire che, se un individuo sa che avrà solo un tot di tempo per sfruttare una determinata occasione, il tasso di preferenza si alzerà e lo porterà ad agire con un ottica incentrata sul breve termine. Il bambino che non conosce il mondo e non ha concetti ancora chiari di tempo ha un alto tasso di preferenza temporale che lo porta a ragionare nel brevissimo termine, così come il tasso di preferenza temporale si abbassa per il padre di famiglia di mezza età che ragiona per il futuro del proprio nucleo familiare e torna ad alzarsi quando un individuo giunge nella vecchiaia e può voler tendere a concludere i propri affari prima di morire.

Il re non è un amministratore, come è invece un presidente eletto di uno stato democratico, ma un proprietario, e quindi il suo tasso di preferenza temporale sarà più basso, poiché il bene che amministra è suo e a vita, e non per la semplice durata di un mandato che in genere dura pochi anni. Inoltre, anche tenendo conto di pratiche come l’abdicazione e del destino che accomuna il re a tutti gli uomini, la morte, il fatto di lasciare il “bene-Stato” in eredità a un suo familiare, in genere un figlio, non farà che abbassare ulteriormente il suo tasso di preferenza temporale e porterà il re a ragionare ancora di più sul lungo termine.

Un tasso di preferenza temporale più basso vuol dire risparmio e moderazione oggi in favore di un valore domani, quindi è chiaro che il Re in questo modo sarà meno portato ad atti come una coercizione eccessiva e una tassazione opprimente, perché questo potrebbe portarlo un domani a vedere la popolazione insorgere per la coercizione e gli introiti calare per aver distrutto l’economia imponendo troppe tasse. Sia chiaro, non stiamo tracciando un’utopia monarchica, semplicemente affermando che più sotto questo tipo di monarchia che in democrazia si verificano queste condizioni.

Con la monarchia cade quella grande “illusione” secondo cui il potere è “pubblico” ed esiste una cosa come l’interesse pubblico perseguito dallo Stato. Tutto questo non esiste, secondo Hoppe, nemmeno nella democrazia. Nella monarchia almeno le cose sono ben chiare, le responsabilità ricadono su un individuo che ha maggiori pressioni che potremmo chiamare “di mercato” perché l’amministrazione del suo bene sia condotta meglio e possa durare più a lungo.

Il vantaggio sta proprio nel fatto che una monarchia, non avendo la “legittimazione popolare” (che se va contro la proprietà privata non è positiva, basti pensare al socialismo) è meno portata, se vuole mantenersi, ad estendere i propri poteri oltre un certo limite. Certamente ricordate che parliamo di “Stato privato” e non di “monarchia parlamentare”, dove la legittimazione democratica può consentire al governo di instaurare il socialismo e ledere la proprietà privata senza possibilità di contestazioni efficaci.

Hoppe si avventura anche in innumerevoli esempi storici che non voglio riportare in un articolo generale, ma che potranno essere trattati in approfondimenti più curati con una più ampia visione storica. Cito soltanto come secondo questa particolare visione di idee il passaggio da monarchia a democrazia abbia avuto effetti nefasti anche nella caratterizzazione di un nuovo fenomeno che ha portato alla fine di milioni di vite umane: la guerra totale.

Quando la guerra ha cessato di essere una contesa tra principi per questioni territoriali risolvibile con politiche matrimoniali o muovendo eserciti di professionisti pagati dal sovrano, è divenuta sempre più una questione di popoli contro popoli, di ideologie contrapposte, di nazioni intere mobilitate con la leva militare. Gli obiettivi hanno iniziato a coinvolgere non solo questo o quel signorotto locale o questo o quell’esercito, ma gli stessi civili, che hanno perso quel valore di taxpayers per cui anche il più cinico invasore avrebbe potuto tenere alla loro incolumità sperando di tassarli una volta conquistati, e sono diventati parte, per quanto passiva, di scontri sanguinari.

Tutti questi elementi, che col tempo potranno essere analizzati meglio e in modo più specifico, vogliono stimolare il dibattito ultimamente un po’ stagnante sulle forme di governo in ambito liberale. La conclusione di Hoppe, come ho già detto, non è propriamente monarchica, ma rigorosamente anarcocapitalista. Se la monarchia può avere dei pregi per un liberale è giusto che questi pregi diventino temi di dibattito, così come porteremo nel dibattito vantaggi e svantaggi di una democrazia. L’idea di “stato privato” come tracciato qui può tornare estremamente utile a mio avviso: nonostante non trovi applicazione nell’immediato, il solo fatto di conoscerne le caratteristiche può essere per il libertario una bussola con cui orientarsi per tentare di cambiare gradualmente il mondo in cui vive.

 

Liechtenstein, uno Stato liberale retto da un monarca miniarchico

Lassù, sul giovane Reno, sporge dalle alture alpine il Liechtenstein. Queste sono le prime parole dell’inno di uno dei Paesi più particolari del mondo, il Liechtenstein.

Frutto della necessità della famiglia austriaca Von Liechtenstein di avere un territorio sotto il governo diretto dell’Imperatore per partecipare alla Dieta, solo nel 1938, dopo più di 200 anni, i principi del Liechtenstein vanno a viverci.

Da una prima occhiata, pare uno Stato poco interessante per un progetto liberale: monarchia costituzionale con un forte potere del Principe regnante che può nominare giudici, sciogliere il governo e porre veto su ogni legge. Inoltre è uno Stato fortemente cattolico: la fede cattolica è ufficiale e, ad esempio, l’aborto è vietato quasi in ogni caso.

Basta tuttavia un’analisi più approfondita per convincersi dell’utilità di analizzare il caso del Principato del Liechtenstein: è uno dei Paesi con il PIL pro capite più alto al mondo; la pressione fiscale è di poco superiore al 15% e c’è un forte uso della democrazia diretta. Ma, soprattutto, c’è uno Stato leggero che lascia ai propri cittadini un’enorme libertà di scelta. Libertà solo nella propria scelta economica ma anche su questioni che in Italia sarebbero impensabili, come rovesciare la monarchia, cambiare regnante o secedere.

Abituati culturalmente a considerare la monarchia come un retaggio del passato che vuole conservare l’antichità, potremmo immaginare che il popolo del Liechtenstein abbia conquistato queste libertà in una costante lotta contro un tradizionalismo monarchico.

Ma il vero catalizzatore di queste riforme, alle volte così estreme da venir rigettate dal popolo, è stato il Principe del Liechtenstein Giovanni Adamo II. Questo, incaricato dal padre negli anni ’70 di riordinare il patrimonio di famiglia, si convinse di come per uno Stato fosse necessaria un’ampia decentralizzazione, la possibilità di cambiare Stato o di fondarne uno nuovo per le comunità locali. Ciò visto anche come incentivo allo Stato a rimanere concorrenziale e utile e, in generale, invertendo il paradigma che quindi vede lo Stato al servizio del cittadino.

Il Principe si dimostra essere fermamente contrario al protezionismo, che considera come una misura che rallenta il progresso e favorisce la povertà, ed anche al proibizionismo sulle droghe, a supporto della lotta alla malavita. Ha sottolineato come l’inventore della guerra alla droga sarebbe un buon candidato ad un ipotetico premio Nobel per la stupidità. In questo, comunque, il popolo non l’ha seguito e le droghe sono tuttora illegali nel Principato.

Pur avendo ampi poteri, non ne ha mai abusato e non ha mai usato il suo diritto di veto. Il padre lo usò solo una volta, per porre veto su una legge sulle riserve di caccia; il figlio, reggente, l’ha minacciato due volte: sull’aborto e sul potere di veto stesso.

Nel 2003, Giovanni Adamo vince un referendum che permette alla Costituzione da lui emendata di entrare in vigore e inserire questi principi nel suo Stato. Ma già da prima si impegnò per essi: nel 1993, poco dopo l’ingresso del Liechtenstein nelle Nazioni Unite, fece all’Assemblea Generale un discorso difendendo il diritto di autodeterminazione e chiedendone una reale applicazione e garanzia a livello internazionale. Gli Stati nazionali, ovviamente, hanno rigettato la proposta.

Ma l’obiettivo del principe era ben più libertario: avrebbe voluto stabilire persino il diritto di secedere dallo Stato per il singolo individuo. A impedirlo è stata semplicemente l’impossibilità di coniugare tale norma con il diritto internazionale, che difficilmente prevede la fattispecie di Stati-individuo.

Nel 2009 viene pubblicato il suo volume “Lo Stato nel Terzo Millennio” in cui, dopo un’attenta analisi storica, ipotizza un nuovo modello di Stato applicabile sia a grandi Stati come l’Italia sia agli Stati piccoli come il Principato. Un modello basato sullo Stato come impresa pacifica al servizio dell’umanità e dei propri cittadini, che decentri fortemente spese e amministrazioni e garantendo i diritti fondamentali delegando le infrastrutture alle autonomie ed ai comuni.

È chiaro come il successo del Liechtenstein sia dovuto anche al non aver dovuto affrontare spese militari e diplomatiche, essendo il tutto demandato alla vicina Confederazione Svizzera. Ma se gli Stati europei agissero in tal modo, riducendo il peso dello Stato nella vita dei cittadini, riconoscendo il loro diritto di scegliere nel libero mercato e riconoscendo decentramento e autodeterminazione delegando la difesa ad un’entità unica (magari lasciando il diritto di essere armati ai cittadini) non sarebbe già un inizio?