Sono passati 16 mesi da quando Sadiq Khan, il sindaco di Londra, ha messo al bando le pubblicità immorali, da allora la situazione nella capitale inglese non è affatto migliorata, ne è la prova il mancato rinnovo alla licenza di Uber.
Tralasciando il fatto che due anni fa sostenesse di essere un Uber user e la sua incoerenza, possiamo tornare liberamente a parlare di bikini. Cosa che, invece, non si può fare a Londra.
Le tette di Emily Ratajkowski non fanno male a nessuno, eppure sono su Instagram, Facebook, Twitter, nei meandri del web e forse forse arrivano persino nel deep web. Come lei, migliaia di fitness model, modelle in bikini, attrici e ragazze di bella presenza pubblicano con una buona frequenza fotografie da calendario sexy.
E, diciamocelo chiaramente, anche le ragazze non resistono ad un bel manzo che dimostri di avere anche un cervello. Cosa c’è di male nell’apprezzare certe caratteristiche estetiche? Che siano dettate da canoni sociali o da gusti personali.
La moralità presuppone che qualcosa sia un bene e qualcos’altro un male: è una questione privata, come la religione, a cui dovrà pensare l’Individuo. Oggi si asserisce sia sbagliato mostrare il corpo femminile con la scusante di non offendere chi non rientra in determinati parametri o di non indurre alla depressione chi è più sensibile all’argomento, un po’ come se gli Individui non fossero capaci di discernere cosa sia giusto per loro; un domani la censura potrebbe spettare ai giornali, alle televisioni, ai siti web.
Questa idea di celare la comunità dietro ad una teca di vetro rende la comunità stessa estremamente instabile, poiché sempre più assuefatta dalla protezione dello Stato dai “pericoli morali”. Chiameranno sempre più spesso a gran voce l’intervento della censura, a proteggere fasce di popolazione che potrebbero sentirsi offese o umiliate al confronto.
Il futuro che loro vogliono è un futuro senza le tette della Ratajkowski; è questo il futuro che vogliamo anche noi Liberali?