Crisi identitarie, errori e scomuniche della sinistra occidentale

Da anni il populismo di destra, il cosiddetto sovranismo, ha preso le redini della scena politica mondiale: arrivato al potere in diverse realtà sociali (locali e nazionali), lo sciovinismo ultra-conservatore (ma ultra-statalista nel dirigismo economico e nel bastone per quanto riguarda sicurezza ed immigrazione) sembrerebbe molto più appealing di tutte le forme di progressismo riciclato. In altri termini, nella promessa pauperista del “più sicurezza”, “più Stato”, “più isolazionismo”, i partiti demagogici e populisti di destra hanno più successo dei loro cugini di sinistra. Come mai questi ultimi, nonostante posseggano l’ampio arsenale retorico di populismo, sembrano in perenne crisi? Perché dalla fine della Guerra Fredda i partiti di sinistra – sia nella loro versione populista che in quella moderata – si sono via via eclissati in Occidente?

Ilvo Diamanti e Marc Lazar (Popolocrazia) spiegano che «è prassi comune associare il populismo all’estrema destra. Nella maggior parte dei media, viene fatto probabilmente per semplificazione. Nel mondo della politica viene fatto soprattutto dalla sinistra, che lancia […] un anatema contro qualsiasi movimento o leader che si appella al popolo su basi che non le vanno a genio, e cerca così di riattivare a fini strategici la potente arma della mobilitazione antifascista per vincere le elezioni o per minimizzare l’ampiezza di una disfatta elettorale.» A parte lo stantio appello antifascista – che non fa altro che svilire il concetto – sono poche le idee che i movimenti di sinistra hanno portato nel dibattito pubblico degli ultimi anni; d’alta parte, l’atteggiamento di scomunica nei confronti dell’avversario politico ha sempre trovato riscontri a sinistra. Il tutto parte dal fatto che da tre quarti di secolo la sinistra, specialmente quella italiana, (si) è costretta a «campare di Antifascismo» per dirla con Giampaolo Pansa. Un Fascismo del tutto immaginario: un comodo feticcio.

A sinistra si crede sempre di disporre del “monopolio del bene”. Nel Novecento erano i proletari, i poveri, i cosiddetti ultimi, ma via via, come scrive Luca Ricolfi (Sinistra e popolo), «proprio perché aveva cessato di occuparsi seriamente degli ultimi, la sinistra è stata costretta a cambiare pelle, puntando buona parte delle sue carte su temi soft, o non strettamente economici: diritti dei gay, coppie di fatto, quote rosa, aborto, fecondazione assistita, ambiente, riscaldamento globale, pena di morte, indulto, amnistia, depenalizzazione dei reati minori, eutanasia, testamento biologico, linguaggio sessista, omofobia, alimentazione corretta, diritti degli animali […] Proprio perché non si occupava più di operai, braccianti e disoccupati nativi, alla sinistra non è parso vero di avere a disposizione degli “ultimi” di cui farsi paladina.» Da qui l’attenzione nei confronti dei migranti e la strumentalizzazione dei medesimi; questo, un fenomeno che dunque non appartiene solo alla destra populista.

Il monopolio e il fascino che i movimenti cosiddetti progressisti esercitavano nei confronti delle classi operaie – il più delle volte mai veramente aiutate da chi a parole diceva di difenderle – sembra essersi recentemente spezzato a favore di altri movimenti (verdi e populismo di destra, ad esempio). I movimenti della sinistra occidentale si sono progressivamente staccati dal loro elettorato di riferimento: non stupisce dunque che il mondo progressista si sia rivolto ad altri soggetti. Continua Ricolfi: «la sinistra ha bisogno, un assoluto bisogno, degli immigrati e delle politiche dell’accoglienza perché i migranti, in quanto deboli e ultimi per definizione, sono l’unico segno rimasto della sua vocazione a occuparsi di chi sta in basso. I migranti sono la sua patente di progressismo, la sua assicurazione contro il naufragio della propria identità.»

La sinistra di oggi scomunica i volgari, si autoproclama nobile minoranza eletta; proprio come le élite del passato che tanto criticavano. La sinistra di oggi risulta arrogante e scollata dalle esigenze dei più e questo viene percepito dall’elettorato. La sinistra di oggi riconosce di aver perso la presa sulla società, ma comunque si sente moralmente superiore rispetto alla plebe. La sinistra di oggi è assolutamente autoreferenziale, parla – tre quarti di secolo dopo – di totalitarismo di destra, giustificando il Comunismo “occidentale” all’acqua di rose. La sinistra di oggi è ossessionata dal Fascismo, facendo finta di non sapere che non c’è alcun Fascismo alle porte; il Fascismo è un atteggiamento di intolleranza, violenza e annichilimento della libertà, corroborato dal dirigismo statalista: proprio come lo è il suo genitore, il Socialismo. La sinistra di oggi offende la memoria della Resistenza (un patrimonio nazionale e politicamente eterogeneo, non l’arma della superiorità morale). La sinistra di oggi ammira Sergio Marchionne; quello che, seguendo una certa retorica di qualche anno fa, stava nel “salotto borghese”, frequentava gli ex presidenti americani e i big del tech.

Arrivata al potere negli anni Novanta (dopo un breve revival negli anni Settanta), la sinistra occidentale ha incassato i dividendi delle politiche neoliberiste, poi prolungate nel tempo e nello spazio per non scomparire politicamente. In altri termini, la sinistra della Terza via, la New Left, la Neue Mitte, ha cavalcato il potente equino neoliberale, salvo poi mandarlo al macello: perduta l’identità sotto le macerie del Muro di Berlino (che a sinistra tutti hanno tollerato e/o hanno fatto finta di non vedere per quasi tre decenni), la sinistra ha deciso che per rimanere a galla fosse necessario abbracciare il grande nemico: non solo copiare grossolanamente, ma anche dilatare deleteriamente le idee di Milton Friedman, salvo poi prenderne tatticamente le distanze e parlare di “neoliberismo”. A parte che una volta arrivata al potere in Occidente non ha (fortunatamente) stabilito il Socialismo che hanno predicato nei decenni passati, la sinistra post-comunista occidentale ha operato una virata culturale identitaria ed economica importante che è stata percepita dal suo elettorato come inaccettabile.

In quella che scienziati politici come Timothy Snyder e Ivan Krastev hanno definito la “politica dell’imitazione”, la sinistra ha continuato a praticare (a suo modo) politiche liberiste iniziate dai conservatori liberali e ha abusato della deregulation (che, se troppo estesa e smoderata, non ha fa che danneggiare le classi operaie). Perso dunque il proprio elettorato di riferimento, la sinistra di oggi racconta storielle e filastrocche sui migranti; non vede i disagi delle masse che si sentono tradite dalla gauche au caviar e oggi votano i movimenti della destra xenofoba. Molti leader a sinistra non solo hanno conti milionari in banca e sono sempre pronti per la photo-opportunity, ergendosi a guru e guide morali. Per dirla con Sergio Ricossa (Straborghese) a sinistra «amano il popolo come astrazione, lo detestano probabilmente come insieme di persone vive, e cioè rumorose, sudate, invadenti, volgari. Il popolo vivo sembra essere sopportabile solo se lo si guarda dall’alto di un palco ben isolato ed elevato.»

Il concetto di sicurezza a sinistra sembra non trovare ospitalità: il che, intendiamoci, non vuol dire che a sinistra si è per il Far West o l’incitamento alla violenza. Di nuovo un illuminante Ricolfi: «per offrire protezione, bisognerebbe riconoscere l’esistenza di un pericolo. E la sinistra questo passo non pare in grado di compierlo. Anzi, con i suoi politici, i suoi giornalisti, i suoi intellettuali […] la sinistra impegna le sue migliori energie comunicative per dissolvere i problemi che la gente normale percepisce come tali […] La gente pensa che gli immigrati siano un pericolo? La sinistra le spiega che […] gli immigrati sono una straordinaria occasione di arricchimento culturale. La gente pensa che la globalizzazione sia una minaccia? La sinistra le spiega che si tratta di una grande opportunità. La gente pensa che l’Unione Europea sia un problema? La sinistra le spiega che l’Europa […] è la soluzione. La gente pensa che il terrorismo islamico abbia dichiarato guerra all’Occidente? La sinistra le spiega che […]  l’Islam non c’entra nulla».

Distanza dal senso comune, indifferenza verso i fatti e gli “ultimi” che una volta diceva di proteggere, sentimento di superiorità morale, la convinzione di essere sempre “la parte migliore del paese”: il tutto portato avanti con lo strumento della scomunica morale dell’avversario. Dall’alto di un trono immaginario e sacerdotale, la sinistra non solo ha perso la sua “vocazione” operaista (se mai l’abbia avuta), ma si è spinta a nascondere a se stessa le proprie inadeguatezze e al contempo ha dipinto l’avversario politico (che le ha rubato il monopolio sullo scontento) come male irrimediabile. I partiti della sinistra occidentale si sono autodefiniti progressisti, ma non hanno capito le svolte storiche imposte dalla globalizzazione; si sono malamente riciclate; hanno abbracciato il grande nemico neoliberale; sono diventate elitarie. Hanno perso la loro identità.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

Su Marchionne – C’è un pezzo di paese che ogni giorno si getta nella mischia e che per sempre lo ringrazierà

Ho letto molto su Marchionne e ho letto parole confuse e confusamente gettate sui fogli dai suoi detrattori. E poi mi chiedevo, “ma che cavolo si deve avere nel cervello per affermare che lui ha fatto del male all’azienda o all’Italia o ai famigerati operai?”. Una risposta tecnica non esiste, perché l’unico motivo di tanto astio e di tante parole al vento riguarda la genialità di Marchionne: personaggi come lui, unici nel suo genere, attirano per forza di cose critiche insensate e rancori ideologici.

Un quotidiano che riporta sulla sua testata la scritta “quotidiano comunista” non potrà che detestare uomini come lui, i quali hanno fatto dell’esaltazione dell’individualismo e dell’economia di mercato i propri caratteri distintivi. Raggiungendo obiettivi insperati, ottenendo successo, vincendo su larga scala, evidenziando ancora una volta come questa sia l’unica strada che conduca al benessere collettivo.

In pratica, si deve partire dagli individui e dalla tutela riconosciuta alla loro libertà per tentare di raggiungere il benessere della collettività. Il processo contrario, il voler porre l’accento sui così detti diritti sociali, porta soltanto miseria e povertà poiché non tiene conto del fatto che il mucchio è composto da singoli. Ed è questa una realtà innegabile.

Chi la nega annaspa nella burrasca della faziosità ideologica. Chi la nega vorrebbe negare la possibilità delle azienda di spostare le proprie sedi in paesi meno avversi all’imprenditoria, sostenendo al contempo che una tassazione progressiva (non proporzionale eh) e un bastonamento continuo della ricchezza debbano essere i tratti distintivi di un paese ove “la forbice della disuguaglianza di allarga sempre più”. Ed è evidente che in un paese intrappolato in questa giungla di pregiudizi e corporativismi un’azienda non possa sperare di prosperare.

La tassazione progressiva non si limita a far pagare più tasse a chi guadagna di più, ma lo punisce imponendogli di pagare in modo sempre maggiore fino a togliere la voglia a chicchessia di impegnarsi in un’attività che generi ricchezza. La burocrazia, assieme alle tasse, rende la vita tecnicamente difficile e in salita per gli adempimenti e le scadenze da rispettare. Il modello è quello secondo cui è lo Stato a fare un favore all’imprenditore, concedendogli il permesso di lavorare sul proprio territorio, e non il contrario.

E i diritti richiesti ogni giorno a gran voce renderanno sempre più angusto lo spazio concesso alla libertà, perché i diritti di cui cianciano sindacati e sinistri non sono quelli di cui parla la dichiarazione d’indipendenza americana, ovvero quelli che vivono in noi sin dalla nostra nascita, bensì quelli che verrebbero creati artificialmente dallo Stato tramite decretino.

Oggi, come abbiamo letto tutti, viene richiesto a gran voce anche il diritto di togliere a Cristiano Ronaldo la possibilità di guadagnare quanto il mercato gli offre. Hanno scioperato gli operai Fiat per i 30 milioni di euro che Ronaldo percepirà dalla Juventus, ritenendo che anche loro abbiano diritto ad un trattamento migliore e non si spiega su quale base. La verità è che questo è un paese ove il messaggio sottile veicolato dice che siccome non si può esser tutti ricchi, allora è meglio esser tutti poveri, ignorando le caratteristiche di ognuno di noi, degli individui, che comporteranno retribuzioni e riconoscimenti diversi ottenuti tramite la libera pattuizione tra le parti in gioco.

È chiaro perché il concetto di diritti non va di pari passo con quello di libertà? La rigidità dietro a questa mentalità era sconosciuta a Sergio Marchionne il quale, laureato in filosofia, affermava che “non so se la filosofia mi abbia reso un avvocato migliore o un amministratore delegato migliore, ma mi ha aperto gli occhi. Ha aperto la mia mente ad altro”. La flessibilità non è solo quella del dipendente licenziabile, ma anche della mente di tutti noi e riguarda la nostra capacità di movimento all’interno del paese e del mondo, delle aspirazioni e delle inclinazioni personali.

La flessibilità che ha portato il laureato in filosofia Marchionne a divenire uno dei più grandi manager della storia è la medesima per la quale ognuno di noi, in Occidente e in Occidente soltanto, può svegliarsi la mattina, rinfrescarsi la faccia e guardare il tizio allo specchio per comprendere quali siano i suoi sogni nel cassetto. Lavorare, adoperarsi, ascoltare testa e anima per rincorrere quell’entità astratta di cui sentiamo parlare sin da bambini che si chiama “sogni”. 

La sfida, l’impronta personale lasciata, la responsabilità per ciò che si fa, dirigere gli eventi anziché lasciare che si producano e sfuggano dalle nostre mani. E poi la mischia, la concorrenza, creare ogni mattina qualcosa di nuovo o migliorare ciò che precedentemente era stato fatto. Non vivere mai due giorni allo stesso modo perché è sempre possibile innovare quel che era stato creato il giorno prima. Marchionne era un manager innovatore, che è una rarità.

Marchionne non dirigeva alcunché: Marchionne distruggeva per ricreare qualcosa di nuovo e di accattivante, e difatti affermava sempre che la caratteristica del suo modo di lavorare era sempre e immancabilmente una: rispondere alle esigenze del mercato, e produrre le Ferrari per gli emiri e la Panda per il ceto medio. Vi è qualcosa di eroico e di grandioso in questa predisposizione dell’uomo di azienda di capire quali siano le esigenze e le necessità della clientela, elaborando proposte nuove, mettendo in gioco quanto già fatto in passato, col dubbio che i bisogni mutino e che quindi anche le sue proposte debbano seguire quel tracciato. 

Marchionne non sarebbe mai sceso in politica perché diceva che il suo mestiere era il metalmeccanico. Mi domando cos’abbia pensato negli ultimi mesi dell’impronta assistenzialistica che il Movimento 5 stelle vuol dare alle politiche del governo in carica. Penso alle sue esortazioni a crearsi le opportunità, a partecipare alla rissa, partecipando attivamente al gioco senza sostare in panchina. Un pezzo di questo paese, quel pezzo che ha voluto garantirsi la paghetta mensile denominata reddito di cittadinanza, non cambierà mai.

Per troppo tempo sono mancate al governo persone come lui capaci di pronunciare quelle parole. Per troppo tempo è stata utilizzata la pubblica amministrazione come ammortizzatore sociale, creando la famosa situazione paradossale dei forestali calabresi che raddoppiano i ranger di tutto il Canada. Quel Canada di Marchionne, appunto.

Ma vivrà anche una fetta d’Italia che per istinto, prima che per sopravvivenza, rimarrà aggrappata al ricordo dei grandi capitani d’industria di questo secolo e del secolo scorso, garantendo col proprio lavoro e le notti insonni all’altra parte sfaccendata di proseguire nella sua indolenza improduttiva. 

Si finisce per fare del bene quando non si ha intenzione di farne. In un paese in cui la ricchezza e gli utili sono visti come furti, questo è un doveroso elogio della cattiveria e un abbattimento della bontà imposta. Forse questa è una delle lezioni più importanti. La beneficenza coattiva genera mostri. Perseguire il proprio interesse, al contrario, genera benessere. Sergio Marchionne è stato uno dei nostri più cari amici, ed è per questo che dobbiamo dirgli “grazie mille”!