Rider, perché con “le tutele” saresti sfruttato di più

I rider sono sfruttati. Questa è la narrazione mediatica derivata dai sindacalisti, eppure anche persone di sinistra che conosco e conoscono a loro volta dei rider concordano con il rider che abbiamo intervistato: fanno una vita dignitosa e non sono sfruttati.

Non sappiamo perché ci sia un movimento sindacale così radicale nonostante, tutto sommato, si stia bene. Sappiamo, però, che deriva dall’antico vizietto statalista italiano, quello per cui “lo Stato siamo noi tutti quindi possiamo imporre a loro, i padroni cattivi, le condizioni”

Personalmente ritengo sensate alcune richieste dei rider. Tutte hanno, in comune, di essere seguite da almeno una compagnia del settore. Per esempio è, a mio parere, giusto che quando si prenota un’ora e ci si presenta vi sia un minimo orario anche in caso di assenza di ordini, così come ogni libero professionista fa pagare l’uscita, al pari, non essendo un rapporto di lavoro dipendente, la possibilità di accettare e rifiutare ordini a sua volontà.

Le rivendicazioni medie, tuttavia, vanno ben oltre e sono completamente folli.

 

Lavori, lavoretti e pretese

Quello del ragazzo delle consegne è uno dei lavoretti tipici per guadagnare qualcosa durante gli studi. Prima dell’arrivo delle piattaforme organizzate era quasi sempre un lavoro in nero, senza tutela alcuna.

Oggi, invece, la situazione è migliore: se si sceglie di lavorare con Partita IVA è un lavoro come un altro, con contributi versati (possiamo discutere sull’INAIL, quella assicurativa è una questione sensata, essendo prevista per i parasubordinati), solo chi lavora come prestazione occasionale, regime limitato a guadagni inferiori a 5000€, non ha accesso a contributi e simili.

Quindi, già oggi, la normativa italiana offre una situazione positiva: chi vede nel rider un lavoretto per arrotondare può sfruttarlo a pieno in tal modo mentre se vuole che diventi un lavoro userà la Partita IVA.

Sta di fatto che il contratto firmato è un contratto a cottimo, e nessuno è stato costretto con una pistola puntata a firmare quel contratto. Se i contrari al cottimo amano chiamare i rider che lavorano veramente che sono favorevoli al cottimo “krumiri” mi permetto di dire che loro, che firmano contratti senza leggerli per poi chiedere allo Stato di cambiare le carte in tavola, sono dei “cretini”.

Le richieste dei sindacalisti-rider sono assolutamente fuori dal mondo: Assunzione, pagamento orario, ferie, malattia, bici pagata e chi più ne ha più ne metta. Visto che com’è ben noto i lavoratori dipendenti non si scelgono gli orari né cosa fare sarebbe la fine del ragazzo delle consegne come lavoretto dove ti scegli l’orario in base alle tue necessità, oltre che un discreto incentivo al dolce far nulla, poiché se il pagamento è orario puoi anche fare la pedalata panoramica a passo d’uomo e consegnare un ordine l’ora (e guai a licenziare!) per prendere il medesimo stipendio di chi fa 6 consegne l’ora.

Ribadisco, alcune questioni – già citate – sono sensate e vanno sollevate nei modi opportuni: chiedere benefici degni di un dirigente di medio livello per un lavoro autonomo, non specializzato e tutto sommato pagato dignitosamente è il miglior modo per farsi prendere per scemi da chiunque abbia visto il mondo del lavoro.

 

Cosa succederebbe con le tutele?

Tutto il discorso delle tutele presuppone che le aziende accettino. Il problema è che così non è: l’Italia è un mercato marginale, tant’è che Foodora l’ha lasciato poco tempo fa, e alcune aziende hanno già ventilato l’opzione di andarsene se passasse l’obbligo di contratto da dipendenti.

Se se ne andassero le imprese straniere resterebbero alcune aziende locali marginali, alcune già con lavoratori dipendenti e simili. Ma per riuscire a soddisfare tutta la domanda lasciata dalle grandi aziende dovrebbero assumere altro personale, aumentando i costi. In sostanza, quasi sicuramente, le app di consegna sarebbero un qualcosa da benestanti, disposti a pagare una consegna 8 o 10 Euro.

La maggioranza dei locali, per non perdere la clientela a domicilio, semplicemente tornerebbe allo “status quo ante bellum”: studente assunto in nero, pagato 7 Euro l’ora (anche meno, per esperienza personale – ndr), scooter-munito e se fai ritardo ti chiamano lamentandosi e minacciandoti di licenziarti.

E considerando che chi si lamenta non è il rider ma gente che spesso parla di “welfare” o di “aiuti a chi non riesce a lavorare”, ricordiamo che per chi non ha particolari doti lavorative quello del rider può essere un modo semplice di portare a casa la pagnotta. Per questa persona sarebbe una clamorosa perdita passare da “non particolarmente fortunato” a “sottopagato a zero tutele”. O peggio, disoccupato.

 

Scioperi? Buffonate, l’unica è cambiare lavoro

Quando ho, provocatoriamente, barrato quel “che lavorano veramente” non l’ho fatto a caso: pochi giorni fa c’è stato uno sciopero nazionale dei rider. È miseramente fallito: nessun disservizio degno di nota. Nonostante solitamente le app per compensare quei pochi scioperanti offrano un incentivo per quelle ore, in questo caso nemmeno è servito e il parlottare ha spinto molti nuovi rider a partire o i più pigri a prenotarsi e lavorare, come confermatomi da un “krumiro” che ha incontrato vari novellini durante la giornata di sciopero.

In ogni caso, trattandosi di lavoro autonomo e non specializzato – ergo facilmente sostituibile – lo sciopero è una buffonata e l’ultimo l’ha dimostrato. Se lo sfruttamento esistesse veramente si combatterebbe lasciando le aziende sfruttatrici senza lavoro, ossia licenziandosi e andando da un’altra azienda – non tutte hanno le medesime condizioni – o cambiando proprio lavoro e non facendo casino un giorno per poi farsi sfruttare gli altri 364.

Se poi l’azienda sfruttatrice trova 50 persone disposte a prendere di buon grado il vostro posto come “sfruttati” forse siete un pelo, ma giusto un pelo eh, troppo esigenti.

 

Sciopero 3 agosto 1981. I licenziamenti di massa di Reagan

«Non c’è diritto di sciopero contro la sicurezza pubblica per nessuno, in nessun luogo, in nessun momento»

Queste furono le parole dichiarate da Ronald Reagan (frase dell’ex presidente Calvin Coolidge, presidente degli Stati Uniti dal 1923 al 1929) il 3 agosto 1981, in risposta allo sciopero di massa di 13000 controllori di volo e membri della PATCO, sindacato ufficiale dei controllori di volo.

Motivo Sciopero? Retribuzioni basse, perciò si puntava ad un aumento con riadeguamento al ribasso delle ore lavorative settimanali. Inoltre, si richiedeva la possibilità di pensionamento dopo soli 20 anni di servizio.

Questi controllori di volo erano dipendenti federali, pertanto lo stesso presidente americano si mobilitò per ordinare agli scioperanti di rientrare al lavoro entro 48 ore, altrimenti ne avrebbe disposto il licenziamento. Reagan riteneva di essere dalla parte della ragione, appellandosi a due norme ben precise, che si riferivano non solo al fatto che occorressero almeno 60 giorni di preavviso, ma anche al fatto che lo sciopero era da vietare, qualora comportava gravi rischi per la salute o la sicurezza dei passeggeri o dei cittadini.

Ma se Reagan era convinto di essere dalla parte giusta, i sindacati erano convinti di aver messo “in trappola” il presidente americano. Minacciare il licenziamento di più di diecimila persone poteva essere un pretesto per considerare immorale il gesto del presidente. Pertanto lo stesso Robert Poli, presidente del sindacato PATCO, era abbastanza sicuro che Reagan, alla fine, avrebbe mollato la presa.

Reagan non si fermò e allo scadere dell’ultimatum, decise di proseguire con il licenziamento dei controllori coinvolti nello sciopero. Pertanto, con la collaborazione dei controllori che non scioperarono o che non erano coinvolti in alcun sindacato, si cercò di risolvere l’emergenza, ottenuta successivamente con risultati positivi.

In quel momento gli Stati Uniti, insieme all’Inghilterra ed Europa (Italia compresa), vivevano un momento di forte declino sociale ed economico. Dopo il boom economico del secondo dopoguerra, l’impianto di welfare state dominato dalla figura del sindacato iniziò a rallentare l’economia della superpotenza economica e del continente europeo. Negli Stati Uniti ebbero Ronald Reagan e in Inghilterra ebbero Margaret Thatcher, due figure straordinarie che furono in grado di creare una netta rottura con il passato, per porre le basi di una straordinaria ripresa economica.

Nel caso americano, Reagan dimostrò che era possibile andare controcorrente contro le logiche socialiste, come il sindacato. La PATCO abusò delle sue stesse funzioni, ritrovandosi a “chiudere baracca” qualche anno dopo. Il presidente americano, non solo ottenne l’appoggio popolare, ma con questo gesto riuscì a trasmettere un mix di ottimismo e di speranza ad un popolo che ormai si stava abituando alla mediocrità socialista.

L’Italia è oggi nelle stesse condizioni sociali ed economiche di Stati Uniti e Inghilterra degli anni settanta, con la differenza che questi due sono arrivati al 2018 grazie alle politiche, talvolta adottate con decisione e fermezza, da personaggi come Reagan e Thatcher. L’Italia no. Purtroppo siamo rimasti agli anni settanta, abbiamo perso quasi quattro decenni di rilancio economico. Per ripartire, bisogna considerare il fatto che gli avversari da affrontare sono figure come il sindacato, che anziché “proteggere” i lavoratori, riesce soltanto a far scappare l’imprenditore di turno. Proprio come nel caso dei controllori di volo, la PATCO fallì completamente la sua strategia. Invece, in Italia, gli imprenditori sono spesso costretti a ricorrere contratti interinali di scarsa qualità contrattuale o a far emigrare le proprie aziende all’estero. Reagan sapeva che darla vita al sindacato voleva dire, non solo compromettere la sua figura, ma compromettere sopratutto la figura della stessa nazione, che si sarebbe presto ritrovata a vivere secondo le logiche del sindacato.

Come disse perfettamente la stessa Maggie Thatcher:

“Ogni richiesta di sicurezza, che riguardi il posto di lavoro o il reddito, implicherebbe l’esclusione di tali vantaggi di quelli che non appartengono allo specifico gruppo privilegiato e provocherebbe richieste di privilegio compensativi da parte dei gruppi esclusi. Alla fine, tutti verrebbero a perdere”.