Dati vs socialismo: la sanità privata non è il problema

Quante volte in questi giorni avrete letto commenti del tipo: “La Lombardia è l’esempio del fallimento della sanità privata e del problema dei tagli alla sanità pubblica”. Sarei pronto a scommettere €100 che almeno uno di questi criticoni una visita in un ospedale privato lombardo se l’è fatta: centri d’eccellenza come l’Humanitas, i vari ospedali del Gruppo San Donato, la Columbus, l’Auxologico, il Monzino e lo IEO sono privati e vedono un ampio via vai anche dalle altre Regioni quando non dall’estero.

Si imputa al privato la scarsità di terapie intensive in Lombardia. Ma, in realtà, i posti letto in Lombardia sono in linea con quelli italiane e sono di più di quelli di certe regioni del Meridione. Solo il Friuli Venezia Giulia si allontana significativamente, in meglio, dalla media italiana.

Parlando di terapie intensive, se è vero che esistono regioni con più terapie intensive per abitante della Lombardia (ma spesso nelle piccole regioni meridionali è relativamente più facile vista la scarsa densità di abitanti, bastano due ospedali, come in Molise), è anche vero che anche i privati hanno le terapie intensive e che alcune sono ampiamente specialistiche. Ma, come ben spiega Elisa Serafini, di media il servizio privato costa meno di quello pubblico. Quindi, paradossalmente, se avessimo voluto quei posti nel pubblico con la stessa spesa, beh, ne avremmo di meno.

Ma concentriamoci a guardare le altre sanità con più letti in terapia intensiva delle nostre. Potremmo parlare anche di mondo, consiglio l’articolo, qui tradotto, di Mises.org sulla sanità Sudcoreana, ma parliamo di Europa. Questo studio ci offre una statistica interessante.

Fig. 1

I campioni sono Germania, Lussemburgo e Austria. Germania e Austria hanno una sanità modello Bismarck con molti ospedali privati, la sanità del Lussemburgo è in stile Bismarck, ma ha quasi solo ospedali pubblici, in Romania c’è il Beveridge come in Italia ma, va detto, il sistema soffre di enormi diseguaglianze – a Bucarest ci sono ospedali di enorme qualità mentre nella provincia sono substandard – in Belgio c’è un Bismarck con ospedali come enti no profit, in Lituania c’è una sanità largamente pubblica, la Croazia ha un modello similfrancese con assicurazione minima statale più assicurazione opzionale e simile è il modello ungherese, mentre l’Estonia ha un sistema Beveridge come il nostro.

Se non vedete una correlazione, tranquilli, è semplicemente perché non c’è. Nel contesto europeo avere un sistema Bismarck o un sistema Beveridge di per sé è completamente indifferente rispetto al numero di posti letto o dei posti in terapia intensiva. Contano altri fattori quali l’investimento specifico nel campo della terapia intensiva o nella gestione delle pandemie parainfluenzali.

Il dato specifico non premia, in sostanza, né Beveridge né Bismarck, né la sanità centralizzata né quella decentralizzata. Non esiste evidenza che tornando al caro SSN centralizzato tutto pubblico si possano aumentare i posti in terapia intensiva, seppur ciò farebbe quasi sicuramente calare la qualità generale visto che in termini qualitativi i sistemi Beveridge più sono accentrati più perdono in qualità e, inoltre, eliminerebbe gran parte delle eccellenze che effettivamente ci rendono concorrenziali nel mondo.

Mercato vs. Stato: perché la sanità sudcoreana sta surclassando quella italiana?

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Mises Institute.

Ormai tutti conosciamo la diffusione del COVID-19 in tutto il globo. Restrizioni al movimento sono in ogni dove, le persone vengono testate e si preparano alla possibile quarantena, preoccupandosi per il proprio lavoro e la famiglia. I grandi eventi sono cancellati e interi Paesi messi in quarantena.

In tutto questo si può comunque intravedere un esperimento naturale sul funzionamento delle sanità socializzate in queste situazioni. E pare che stia andando abbastanza male per loro: possiamo vedere l’esempio dell’Italia e della Corea del Sud. Al momento, 12/3/2020, l’Italia ha 15’113 casi mentre la Corea del Sud 7’869 (i dati sono riferiti al giorno in cui l’articolo originale è stato pubblicato su Mises – ndr) e i dati sudcoreani stanno crescendo con calma – circa 100 casi al giorno contro le migliaia dell’Italia. Corea del Sud e Italia hanno popolazioni simili ma la parte della Penisola Coreana sotto la sovranità di Seoul è circa 1/3 della Penisola Italiana.

Nonostante la chiusura quasi totale del Paese l’Italia sta vedendo un aumento vertiginoso di casi mentre la Corea, con un culto che diffonde volutamente la malattia, no, e sta guadagnando il ruolo di guida nella lotta contro COVID-19. Ci sono varie ragioni e non poche sono legate ai differenti sistemi sanitari.

Sanità sudcoreana

Anche se il governo sudcoreano ha un proprio sistema assicurativo in monopolio di Stato ciò non ha impedito lo sviluppo del mercato: ospedali e cliniche chiedono abitualmente ai pazienti più di quanto copra l’assicurazione statale e per questa ragione più di 8 coreani su 10 hanno un’assicurazione supplementare, che pagano circa 120$ al mese.

Il 94% degli ospedali sono privati con un modello a pagamento, senza sussidi diretti del governo. Tanti sono posseduti da università o da enti caritatevoli. Il numero di ospedali è cresciuto nettamente dal 2002, quando erano 1’185, al 2012, quando erano 3’048. Il risultato è che in Corea del Sud ci sono 10 posti letto ogni 1’000 abitanti, più del doppio della media dell’OECD e quasi tre volte di quelli che ha l’Italia, che ne ha 3,4. Questi ospedali, tra l’altro, fanno pagare significativamente meno di quelli americani, che per la cronaca richiedono un “certificato di necessità” del governo in molti Stati.

Sanità italiana

In Italia, invece, il Servizio Sanitario Nazionale copre praticamente tutto ed esistono solo copagamenti simbolici. I tempi d’attesa possono essere anche di qualche mese, specie per le grandi strutture pubbliche, mentre nelle piccole cliniche convenzionate possono essere più brevi.

Vari ospedali offrono delle opzioni di mercato dove il paziente paga a sue spese, ma pochi ne fanno uso. I servizi d’emergenza sono sempre gratis.

Tempi d’attesa e qualità sono decisamente peggiori nel Meridione del Paese, dove spesso gli abitanti vanno al Nord a curarsi. Sono alti i tassi di medici laureati in Italia che vanno a lavorare all’estero, con l’istruzione italiana che vorrebbe rispondere riducendo i posti in medicina nelle università. In Italia vi era carenza di personale sanitario ben prima dell’epidemia di COVID-19. Il numero di ospedali è inoltre in calo: dai 1’321 del 2000 ai 1’063 del 2017. I prezzi del SSN sono stati messi sotto quelli di mercato con l’obiettivo di risparmiare denaro, e i risultati si vedono.

Conclusione

Attualmente il sistema sanitario italiano è sotto enorme pressione a causa dell’epidemia di COVID-19 che sta gestendo, tant’è che in alcuni ospedali si è già scelto di curare prima i giovani e i sani. Molti parlano solo del pericolo dell’epidemia ignorando l’evidenza che racconta una storia diversa: sotto le sanità che si affidano al governo la situazione è peggiore che sotto le sanità che si affidano al libero mercato. La sanità sudcoreana ha una rete di sicurezza, ma è molto simile ad un sistema di puro libero mercato, sicuramente di del sistema attualmente vigente negli Stati Uniti d’America dove gli ospedali sono sottoposti a stretta regolamentazione del governo, spesso imponendo strette restrizioni sulle forniture che non fanno altro che aumentare i costi e diminuirne la disponibilità. Come risultato la Corea del Sud ha fatto ciò che l’Italia non è stata in grado di fare: gestire efficacemente un’epidemia senza chiudere il Paese.

Se gli Stati Uniti vogliono gestire effettivamente un gran numero di casi nelle grandi città dovrebbero seguire l’esempio sudcoreano e liberalizzare il mercato, non costruire un sistema monopolizzato di test sanitario che impedisce alle persone di essere testate. Ciò non risolverebbe subito il problema delle scelte passate, ma aumenterebbe sicuramente la capacità di risposta del sistema sanitario.