Chernobyl e l’incalcolabile prezzo delle menzogne

Se prima temevo il prezzo della verità, ora io mi chiedo solamente: qual è il prezzo delle menzogne?
– Valery Legasov

L’ultima produzione di HBO, ampiamente acclamata dalla critica[1] e dal pubblico, è la serie Chernobyl. In 5 tesissimi episodi, la serie televisiva espone tutti i dettagli e i retroscena della famosa tragedia nucleare sovietica in maniera ineditamente cruda, feroce, viscerale.

Chernobyl riesce a esplorare tutta la carica drammatica di un nemico implacabile e invisibile: le radiazioni. Questo fantasma prende vita dai resti dell’esploso reattore 4 della Centrale Nucleare Vladimir I. Lenin, la famosa Centrale di Chernobyl, rendendo la storia di tutti i personaggi un vero supplizio. Tutti sono consapevoli di essere già stati condannati a morte – alcuni moriranno nel giro di giorni, altri in qualche mese, altri ancora in pochi anni.

Non si può scappare dalle radiazioni. Il fisico nucleare Legasov afferma a un certo punto che the atom is a humbling thing (traducibile con “l’atomo è qualcosa che ci rende più umili”), appena per sentirsi ribattere dal ministro Shcherbina it’s not humbling, it’s humiliating (parafrasando, non ci rende più umili, ci umilia). Nel contesto della serie, entrambi hanno ragione: i personaggi, tutti, senza esclusioni, si sentono tanto umili quanto umiliati di fronte all’ineluttabilità della catastrofe che li circonda. Il tocco finale è la colonna sonora, interamente registrata proprio all’interno di alcune centrali nucleari, che è capace di mantenere il telespettatore in un’estasi di suspense soffocante.

Come dicevo, Chernobyl vanta numerosi meriti cinematografici e i produttori hanno avuto la singolare capacità di far sì che il pubblico riuscisse a vivere l’ampia gamma di emozioni e angustie che le vittime della cittadina sovietica di Pripyat provarono all’epoca del disastro. Ma la serie va ben oltre: se molte volte rimaniamo soffocati di fronte al peso dell’ecatombe nucleare che si sviluppa davanti ai nostri occhi, non possiamo non rimanere asfissiati in maniera analoga di fronte al peso della devastazione sociale sovietica che fa da background alle tragedie narrate. Ed è quest’ultimo la causa del primo, concetto che è bene che risulti chiaro a tutti fin dal principio.

Mi spiego meglio: il catastrofico incidente nucleare di Chernobyl, responsabile della devastazione di una ricchissima regione, tale da renderla simile ai peggiori scenari dei film post-apocalittici[2], non è la vera – o, comunque, non l’unica – tragedia raccontata dalla serie.

Il vero flagello della serie è umano, troppo umano, ed è responsabile delle terribili conseguenze che destano l’orrore del pubblico durante 5 interi episodi. Chernobyl ci offre alcuni dei migliori insight circa le conseguenze della tirannia e della menzogna.

Jordan Peterson afferma che “in a true tyranny, everyone lies about everything all the time. And that’s why it’s hell”. 

La tragedia affonda ivi le proprie radici, nella persistente e completa negazione della realtà. In un regime totalitario regna il più assoluto dei relativismi. Non esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: esiste solamente la cieca obbedienza. Obbedire è essere liberi, se mi permettete di parafrasare le parole di George Orwell. Per tale motivo, tutti mentono su tutto. Tutti hanno bisogno di mentire su tutto per tutto il tempo.

E questa negazione della realtà, nel 1986, è una bomba a orologeria pronta a esplodere.

Il fatto che l’incidente in questione sia avvenuto proprio in una centrale nucleare intitolata a Vladimir I. Lenin è una di quelle tristi ironie della storia umana che non passa inosservata a uno sguardo attento. Il sistema delle centrali nucleari era, all’epoca, il grande orgoglio sovietico. L’Unione Sovietica possedeva un numero di centrali maggiore rispetto a qualsiasi altro Paese e la complessa rete di energia nucleare rappresentava la perfezione del socialismo, della pianificazione centralizzata, dei piani quinquennali di Stalin e del sistema istituzionale votato a obbedienza, gerarchia e ordine. Era una prova del fatto che il socialismo era in grado di raggiungere anche il più avanzato livello tecnologico: era sufficiente obbligare le persone a perseguirlo.

L’esplosione del reattore 4 seppellisce questa favola lungamente decantata. Dopo la catastrofe, il mondo intero nota che “il re è nudo” (e lo è sempre stato), anche i più alti esponenti del Partito Comunista Sovietico. Lo stesso Gorbachev, nelle sue memorie, sostiene espressamente che l’incidente è stato il grande responsabile della caduta dell’URSS.

Nella serie, egli afferma “our power comes from the perception of our power”, ossia che il reale potere dell’Unione Sovietica deriva dalla percezione che si ha di tale potere. È possibile sostituire il regime sovietico con qualsiasi regime collettivista, o, più semplicemente, con qualsiasi regime che, in maggiore o minor misura, preferisce appiattire l’individuo, trasformandolo in un mero ingranaggio del sistema. Laddove gli individui sono dei semplici mezzi, e non dei fini, le tragedie sono sempre all’orizzonte.

Continuando l’analisi, l’URSS si autosostenta grazie al potere delle apparenze, della percezione, della menzogna. Sfortunatamente per i sovietici, la Verità è già di per sé un potere, un potere in grado di annichilare le apparenze.

La Verità, così come la radioattività – che lascia il pubblico senza fiato in ogni singolo minuto della serie –, è ineluttabile, trascendentale, e può essere mortale. E Chernobyl è stata in grado d’intrecciare simbolo e tragedia numerose volte nei 5 episodi. Il pubblico si sente soffocato, sì, perché le radiazioni rappresentano una minaccia troppo grande alla vita di tutti i personaggi, ma si sente anche, talvolta incoscientemente, asfissiato dal peso incontestabile della Verità, della realtà che s’impone con la forza anche con chi si rifiuta di vederla e affrontarla.

Risulta chiaro fin dall’inizio che l’incidente della centrale nucleare è il risultato di una serie di menzogne in crescendo, che finiscono per sommergere tutta la delicata attività dell’impianto in un mare d’ignoranza e decisioni irresponsabili e imprudenti. Non poteva esservi un altro finale possibile in un contesto del genere.

Gli operatori addetti alla sala di controllo mentono a loro stessi, accettando l’autorità abusiva e insignificante di Anatoly Dyatlov, per paura del potere che questi detiene all’interno del regime. I superiori di Dyatlov, a loro volta, hanno mentito più e più volte nel programma dei test della centrale, disobbedendo a tutti i protocolli e alle linee guida delle operazioni di controllo di sicurezza: il reattore 4 era stato inaugurato anni prima dell’incidente e i responsabili della centrale erano stati insigniti con tutti gli onori sovietici possibili in una cerimonia che altro non era che una pantomima, dal momento che l’ultimo test di sicurezza previsto, requisito essenziale per garantire il corretto funzionamento del reattore, non era mai stato eseguito. Tutta la ricerca e la progettazione delle centrali nucleari dell’Unione Sovietica era una grande farsa, in cui era stato possibile occultare e distruggere pagine e pagine di ricerca scientifica i cui risultati potevano risultare scomodi per il regime.

E lo stesso processo atto a individuare i colpevoli di questo disastro finisce con l’essere anch’esso una farsa,  una vera e propria montatura, che acquisisce un senso solo per gli individui coinvolti, parte integrante di un sistema schiavo della menzogna, delle apparenze, della forma e della liturgia insensata.

Se non ti piace o ti risulta scomoda la Verità contenuta nella conclusione di una ricerca scientifica in ambito fisico-nucleare, non vi è nulla di più semplice che distruggerla ed esiliare il ricercatore. È in questo modo che i sovietici affrontavano la Verità. Pensavano che fosse il metodo più facile. Ma aveva ragione Ayn Rand, quando diceva che “puoi anche ignorare la realtà, ma non puoi ignorare le conseguenze della realtà”.

Distruggere tutti i registri dei centri di ricerca nucleare in cui si fa riferimento al fatto che i reattori RMBK non sarebbero sicuri, non li rende sicuri, ma semplicemente ostacola la ricerca di metodi e protocolli atti a incrementarne la sicurezza e a ridurre rischi operazionali potenzialmente letali. Quei reattori non erano dotati di un sistema di spegnimento d’emergenza che fosse realmente efficace. E, seppur consci di ciò, gli scienziati responsabili portarono comunque avanti il progetto. Il risultato di questo climax di menzogne non poteva essere diverso da quello che poi avvenne: il reattore 4 esplose durante un test di sicurezza, creando un immenso Nuclear Wasteland.

Chernobyl è la prova che l’uomo, in fin dei conti, può scegliere se aggrapparsi alla menzogna o alla Verità, ma la sua scelta avrà necessariamente un costo, delle conseguenze. È impossibile fuggire dalle conseguenze.

Ignorare la tragedia – o mentire su di essa – è una scelta. Purtroppo però la realtà ti divorerà comunque, che tu la riconosca oppure no.

L’altra opzione è accettare la realtà, e, in tal caso, l’uomo è portato al sacrificio finale. Il sacrificio è il pesante fardello che portiamo e, se siamo in grado di sopportarlo, se lo portiamo con coscienza, possiamo affrontare a testa alta le dure conseguenze della realtà. Perseverare nella menzogna non solo coltiva tragedie, ma ci priva anche della capacità di affrontarle quando queste accadono davanti ai nostri occhi.

Questo è uno dei punti forti della serie.

Chernobyl dimostra che l’unica forma di salvarsi e salvare il prossimo è accettare la realtà. Legasov e Shcherbina interrompono il ciclo di menzogne e sono i primi ad accettare come un fatto il verificarsi dell’esplosione. Tutti gli altri personaggi prima di loro non fanno che ripetere l’insana domanda “ma come può un reattore RBMK esplodere?”, come se la supposta impossibilità teorica – o la ripetizione delle proprie convinzioni – possa essere capace di cambiare la realtà. Dyatlov non ammetteva l’esplosione del reattore, neanche dopo i reiterati rapporti dei suoi sottoposti, che entravano nella sala di comando vomitando, col viso ustionato, la pelle che si disfaceva sotto i loro occhi, la disperazione stampata sul volto. “State avendo delle allucinazioni”, concludeva Dyatlov.

Legasov, al contrario, accetta la realtà dell’esplosione del reattore fin dall’inizio. A partire da lì, con il fortunato aiuto del ministro Shcherbina, decide di sacrificarsi per impedire la trasformazione di mezza Europa in un deserto nucleare, con la consequenziale morte di decine o centinaia di milioni di persone. Il sacrificio può essere compiuto solo dopo essere entrati effettivamente in comunione con la Verità – o con la realtà. Ed è pertanto possibile solo una volta interrotto il ciclo di (auto)inganni, dopo aver percepito che non sono gli altri ad avere le allucinazioni.

In un determinato momento della serie, l’incisivo Shcherbina dice a Legasov: “Hai già lavorato in miniera? Ti do un consiglio: di’ la verità. Questi uomini lavorano nell’oscurità. Vedono tutto”.

Gli unici qualificati per cercare di stabilizzare l’azione potenzialmente distruttiva del nucleo – che potrebbe causare un’esplosione termoelettrica in grado di far saltare in aria gli altri 3 reattori di Chernobyl – sono i minatori, incaricati di scavare un tunnel sotto il reattore per consentirne il raffreddamento prima che il nucleo incandescente sciolga le strutture circostanti raggiungendo le cisterne d’acqua. I minatori sono anche uomini che vivono nell’oscurità e che non sopportano le menzogne; si importano della vita dei propri compagni e ricercano la verità in ogni parola. Proprio per questo, sono uomini che non accettano le menzogne ufficiali delle autorità statali.

I minatori possono anche obbedire agli ordini del governo sovietico – cosa che effettivamente fanno, votandosi volontariamente al sacrificio finale –, ma solamente dopo aver saputo esattamente cosa stanno affrontando. Difatti, sono disposti a morire pur di non vendere la propria coscienza ai burocrati sovietici, nel caso in cui non mostrino loro i fatti così come stavano. Fatto sta che i minatori impediscono che la menzogna penetri nelle loro coscienze.

A causa dell’attività del nucleo di uranio, il calore durante gli scavi aumenta tanto che questi sono costretti a lavorare nudi per poterlo sopportare. Ciò non sminuisce la loro dignità, bensì la mette ancor più in evidenza agli occhi degli altri. I minatori non si vergognano di essere nudi di fronte alle autorità e al resto del mondo. In realtà, simbolicamente, i minatori sono sempre stati nudi, ancora prima di togliersi i vestiti.

La serie termina con Legasov che, in una delle più profonde conclusioni di una serie TV, sentenzia: “i nostri segreti e le nostre menzogne sono praticamente ciò che ci definisce. Quando la verità offende, noi mentiamo, ancora e ancora, fino a dimenticarci della sua esistenza… ma la verità continua a esistere. Ogni menzogna che raccontiamo genera un debito con la verità. E prima o poi questo debito va pagato.”

“Quando la verità offende, noi mentiamo”. Nonostante ciò, Chernobyl e Ayn Rand ci provano che mentire è impossibile, perché il debito (per Chernobyl) e le conseguenze (per la Rand) dovranno inevitabilmente essere pagati.

La menzogna altro non è che un modo per ritardare un’esazione inevitabile da parte della realtà, il più puntuale dei creditori.

Ogni domanda scomoda che scegliamo di non fare per quieto vivere, ogni volta che accettiamo a capo chino le più evidenti distorsioni della realtà, ogni verità che ci offende, è semplicemente un indebitamento crescente nei confronti della realtà. Sempre Peterson ci insegna che “dire la verità è trarre all’Essere la più accettabile delle realtà. La verità costruisce edifici che possono rimanere in piedi per migliaia di anni. La verità alimenta e veste i poveri, e rende le nazioni ricche e sicure. […] La verità è la più grande e inesauribile risorsa naturale. È la luce nell’oscurità. […] In Paradiso, tutti dicono la verità. È questo che lo rende il Paradiso”.

Chernobyl ci fa pensare alla nostra civiltà, che accetta sempre più che vengano corrotte le proprie istituzioni, il proprio linguaggio e i propri valori fondanti, tra cui il più grande di essi, la libertà. Ci mostra che si cede sempre maggior spazio, codardamente e convenientemente, al politicamente corretto, alle reiterate farse ideologiche e allo stretto prisma marxista per l’interpretazione della complessa e ricchissima realtà sociale. Chernobyl ci dimostra come la nostra civiltà, una volta basata nella Verità e nella ragione, sia stata ora ricostruita sulle fragili basi della menzogna e del relativismo. Ci costringe a guardarci allo specchio, e ciò che vediamo non ci piace.

In una delle ultime scene, la telecamera riprende un dipinto sulla parete di una vecchia scuola della cittadina di Pripyat, in cui è rappresentata una donna con un bambino in braccio. La parete risulta scollata e la bocca della donna, distrutta.

La serie si chiude così, con un’eloquente allerta sui costi del silenzio e della nostra distruttiva passività. La radioattività, la centrale nucleare, l’esplosione, Pripyat. Nulla avviene per caso, niente è fortuito. La Verità è il più puntuale e severo dei creditori e, a questo ritmo, il sacrificio può finire con l’essere la nostra unica via d’uscita possibile.

Il registro ufficiale russo dichiara ancora oggi che vi furono solamente 31 vittime nell’incidente di Chernobyl.

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[1] Chernobyl ha ottenuto il voto 9.6 sul sito IMDb, il che la rende la serie TV meglio valutata della storia, superando anche serie di alto livello come Breaking Bad e Game of Thrones.

[2] Secondo le stime, quell’immensa regione rimarrà inospitale per i prossimi 24.000 anni.

 

Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!

Il 30 marzo 1933, il ministro della Propaganda in Germania, Joseph Goebbels, mi convocò nel suo ufficio e mi propose di diventare una sorta di “Fuhrer” del cinema tedesco. Io allora gli dissi: «Signor Goebbels, forse lei non ne è a conoscenza, ma debbo confessarle che io sono di origini ebraiche» e lui: «Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!». Fuggii da Berlino quella notte stessa.

Queste le parole di Fritz Lang, regista del film preferito di Adolf Hitler, ossia Metropolis.

Vorrei partire proprio da queste parole per andare a toccare un tema ben nascosto da certi critici del nazismo: la centralizzazione delle scelte. Eh sì, perché i più grandi critici del nazismo non mettono in dubbio il metodo, bensì i fini: molti non nascondono le proprie simpatie per l’idea di un Governo centralista e dirigista (come quello nazista), ma sono comunque convinti che “solo” i fini fossero sbagliati.

Decidere dall’alto quali persone debbano compiere certi lavori, quali lavori abbiano la priorità, quali persone debbano essere catalogate come più bisognose, quale sistema economico sia migliore, si rivela sempre un disastro, oltre che essere un insulto alla libertà umana.

Anche in un regime democratico potremmo ben vedere come tutto ciò porti al fallimento, se non a una vero e proprio governo della burocrazia e del clientelismo.

Ipotizziamo però che la trasparenza sia tale da rendere possibile ogni controllo, andiamo oltre: bisognerà che qualcuno prenda le decisioni, dopo essere stato eletto e aver opportunamente studiato il caso, dunque deciderà la strada giusta. Ipotizziamo allora che questa persona sia senza malizia, non voglia fare favori a nessuno e non lo faccia per interesse personale.

Questa persona (o questo insieme di persone) avrà un potere veramente ampio, con cui potrà cambiare profondamente la vita delle persone, perlomeno nel suo ambito di riferimento. Ecco che, con il seguito della maggioranza, porterà fino in fondo una riconosciutissima opinione, una semplice opinione, per raggiungere i più nobili obiettivi.

Diciamo che sono sempre i soliti: la pace, la prosperità, il benessere, la felicità, la ricchezza. Sono cose che vorremmo tutti, tranne qualche deviato. Ma davvero qualcuno sa come raggiungere la pace, la prosperità, il benessere, la felicità, la ricchezza? 

Nonostante le troppe assunzioni fatte, il corso degli eventi potrebbe non andare come desiderato. Oppure sì. In parole povere, è stato effettuato un lancio della moneta e tutto è andato per il verso giusto, oppure tutto è andato male.

Ora, però, facciamo un passo indietro: questa persona (o, di nuovo, questo insieme di persone) ha un enorme potere, dunque  può scegliere ciò che è il bene per tutti, ciò che tutti dovrebbero fare, ciò che tutti dovrebbero pensare.

Ovviamente, tutto ben votato dalla maggioranza, con dei fantastici schemi dimostranti che “se tutto fosse così, i risultati sarebbero strabilianti“, ossia partire da condizioni attualmente impossibili, raggiungibili attuando l’assurda pretesa di cambiare la natura delle persone (l’uomo è un legno storto, mai sentito?), educandole. In pratica 1984, anche se diranno che loro invece lo fanno per il tuo bene. Allora proprio come 1984.

Fa davvero acqua da tutte le parti: questo Leviatano ha una mano che oggi “po esse fero o po esse piuma”, se in democrazia sarà a discrezione degli umori del popolo considerando che la maggioranza, il 51%, potrebbe benissimo votare per la schiavitù del restante 49%, anche se non necessariamente una schiavitù formale come quella ai tempi delle piantagioni di cotone nell’Alabama.

Questo 51% -però- è rappresentato da un certo numero di persone, che potranno sempre decidere chi è ebreo e chi no, chi è amico e chi è nemico, chi va alla ghigliottina e chi merita un elogio sui giornali.

Un potere centralizzato non ha limiti. E i limiti sono importanti.

Vediamo un altro esempio: l’URSS negli anni ’20 diede l’incarico a Vavilov di occuparsi dell’Agricoltura nazionale, questi iniziò una catalogazione di tutte le piante e di tutti i metodi di coltura, un lavoro eccezionale, ma troppo costoso.

Vavilov fu parte del caso fortunato, quello in cui l’autorità centrale sceglie una persona che sa cosa fare e lo fa con metodo rigoroso e scientifico. Peccato che fu sostituito da Lysenko, uno di quei sostenitori della teoria lamarckiana secondo la quale le giraffe hanno allungato il proprio collo nel corso del tempo grazie agli imperterriti sforzi nel tentativo di raggiungere alberi molto alti.

Sembra una barzelletta, invece erano proprio così le scelte dell’Unione Sovietica: Lysenko ipotizzò che le piante potessero acquisire caratteristiche in base all’ambiente e al nutrimento che si dava loro. Non serve dire che portò alla fame milioni di persone per capire la vastità della sua anti-scientificità applicata in un ruolo scientifico.

Non esisterà mai qualcuno che saprà qual è il bene per noi, né che avrà le risposte a ogni problema. Ogni Individuo è un caso a sé, l’ordine spontaneo degli Individui in una società può permettere il progresso grazie a innumerevoli tentativi, fra i quali emergerà uno dei migliori, o almeno quello con le caratteristiche migliori secondo le esigenze dei consumatori. Questo è il meglio che si possa fare, ancora oggi, come migliaia di anni fa.

Per proseguire sulla strada dell’ordine spontaneo e della scienza non dovremo mai più permettere che qualcuno abbia il potere tale di decidere come vada governata l’intera società, o nelle parole del totalitario Goebbels, chi è ebreo e chi non lo è.