George Floyd ed il Principio di Libertà violato

L’uccisione per soffocamento di George Floyd da parte di alcuni agenti di polizia di Minneapolis ha scatenato forti proteste in tutti gli Stati Uniti e non solo.

E’ un fatto che riguarda tutti noi, senza distinzione di razza, di religione, di sesso o di età. Un agente, il cui compito sarebbe dovuto essere quello di garantire la sicurezza e la libertà dell’individuo, ha esattamente commesso l’azione opposta. Quella di abusare dei propri poteri conferitigli dalla legge per soffocare la libertà di un individuo.

I can’t breathe“. Letteralmente “Non riesco a respirare“, sono state le ultime parole pronunciate dall’afroamericano di 46 anni prima di essere ucciso.

Questo avvenimento ci porta a riflettere su noi stessi perché ancora una volta abbiamo assistito alla soppressione di una fondamentale libertà individuale: quella di non subire discriminazioni in base al colore della pelle, come quella di vivere la propria vita e di pensare in modo diverso.

Uno studio della School of Public Health di Harvard sulla discriminazione negli Stati Uniti riporta alla luce la percezione della discriminazione in base all’etnia e gruppi sociali. Si evince che in termini percentuali una persona di colore percepisce la discriminazione del 37% in più rispetto ad una persona bianca. Tali percezioni trovano una notevole differenza anche tra uomini, con il 44% di discriminazione percepita e donne con il 68 per cento.

Sempre lo stesso studio evidenza come tali percezioni siano presenti anche nel mercato del lavoro. Ad esempio, una persona di colore verrebbe discriminata il 44% in più rispetto ad un persona bianca sull’equità di remunerazione e promozioni. Sempre in quest’ambito lo studio evidenzia una marcata differenza in merito alla discriminazione percepita sul lavoro tra uomini (18%) e le donne (41%).

In termini economici, tutto questo si pone in contrasto con i principi del libero mercato, che prediligono l’individuo e la propria libertà di essere. Il mercato, per essere efficiente ed efficace, deve essere messo nelle condizioni di premiare le competenze ed il talento della singola persona e non il proprio gruppo sociale o etnico di appartenenza. Come affermava il celebre economista e pensatore liberale Ludwig von Mises, il mercato libero da interferenze statali non guarda il ceto sociale, il colore della pelle, il livello di istruzione, l’orientamento sessuale o l’identità di genere.

“Ciò che la democrazia capitalistica del mercato produce non è ricompensare le persone secondo i loro “veri” meriti, il valore instrinseco e la loro eminenza morale. Ciò che rende un uomo più o meno propenso non è la valutazione del suo contributo da un qualsiasi principio “assoluto” di giustizia, ma la valutazione da parte dei suoi simili che applicano esclusivamente il metro dei propri bisogni, desideri e fini personali”

Ludwig Von Mises – La mentalità anticapitalista

Questo è ciò che Mises ha definito come il sistema democratico del libero mercato. Ma affinché avvenga, il nostro afferma che è necessario non solo “un mercato non sabotato da restrizioni imposte dal governo“, ma anche il rispetto dell’uguaglianza di fronte alla legge.

Nel rispetto di queste due condizioni fondamentali, “è esclusivamente colpa tua se non superi il re del cioccolato, la star del cinema e il campione di pugilato.”

E allora, dovremmo domandarci: quante volte ci siamo sentiti discriminati e soffocati da leggi e restrizioni imposte dal governo? Quante volte abbiamo urlato tra le mura della nostra mente “I can’t breathe”, “Non riesco a respirare”, perché non ci siamo sentiti liberi di essere intraprendenti e attivi nella società a causa della burocrazia?

Garantire la libertà in tutte le sue forme nel rispetto della libertà altrui è il primo passo fondamentale per respirare e far respirare gli altri.

Socialisti contro ricchi: la fobia del benessere

Le imprevedibili virtù dell’ignoranza

Le fila dei socialisti democratici statunitensi (liberal*, democratic socialists, social justice warriors, etc.) traboccano di personaggi tanto interessanti quanto ridicoli: Bernie Sanders, il multimilionario buon samaritano che predica l’uguaglianza e la redistribuzione dalla sua terza casa di proprietà da $600,000 [1]. La senatrice Elizabeth Warren, che per ottenere qualcosa dalla vita ha dovuto fingere di essere una nativa americana per poi essere pubblicamente svergognata dal recente test del DNA [2], e infine l’astro nascente dei guerrieri della giustizia sociale: Alexandria Ocasio-Cortez!

Questa giovane donna rappresenta la versione americana dei mali che da tempo affliggono il nostro paese: l’analfabetismo economico, l’idea “uno vale uno”, la totale assenza di vergogna o pudore nell’affermare incorrettezze, la fascinazione dell’ignoranza.

Ma come ha fatto una cameriera del Bronx – che nonostante una laurea in Relazioni internazionali accusa Israele di occupare militarmente la Palestina – non in grado di distinguere le tre funzioni dello Stato, a diventare la figura di riferimento della Sinistra radical-liberal* statunitense?

La ricetta economico-politica della Ocasio-Cortez è estremamente semplice quanto pericolosa: [3]

  • Assistenza sanitaria gratuita per tutti
  • Educazione gratuita per tutti
  • Reintroduzione del Glass-Steagal Act
  • Diritti delle donne e delle minoranze
  • Salario minimo di 15 $/h aggiustato al tasso di inflazione
  • Lotta al cambiamento climatico (il ridicolo Green New Deal)
  • Lotta alle armi
  • Abolizione dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement)
  • Ritiro delle truppe dal Medio Oriente

Come al solito un bel programma, pieno di proposte che vanno al cuore degli elettori, al punto che sorprende non trovare l’abolizione della fame nel mondo, la fine di tutte le guerre, e unicorni-arcobaleno per tutti.

Tuttavia, nonostante la varietà di ideali, questo progetto rimane drammaticamente povero in contenuti, povero in dati, e dal costo economico spropositato. La domanda è semplice: chi pagherà i 33 TRILIONI di dollari che Medicare For All – da solo – potrebbe costare solo nei primi dieci anni? [4]

Ovviamente i più ricchi, il Top 1%, che negli ultimi trent’anni avrebbe mangiato in testa al povero lavoratore americano. La proposta della Ocasio-Cortez è quindi naturale: introdurre una nuova aliquota fiscale marginale del 70% sulla parte di reddito eccedente i 10 milioni di dollari, che metterà finalmente fine ai tempi d’oro in cui l’1% più ricco pagava molto meno del restante 99%.

O forse no.

No. Perché tutti i dati economici mostrano in realtà esattamente l’opposto.

 

Cosa dicono i dati?

I dati dell’IRS (Internal Revenue System, l’Agenzia delle Entrate statunitense) mostrano come nel 2014 i 400 maggiori contribuenti americani per reddito (i Top 400) abbiano versato quasi 30 miliardi di dollari in tasse, il 2.13% del totale delle tasse federali per il 2014, con una media di 75 milioni di dollari a testa, coprendo di fatto DA SOLI il budget annuale della NASA e dell’EPA (Ente Protezione Ambientale). [5][6]

Osservando il grafico inoltre, si può notare come questa percentuale sia più che raddoppiata negli anni, passando dall’1.04% del 1992, al 2.13% del 2014, aumentando nonostante il taglio delle tasse sui redditi più alti, operato da George W. Bush nel 2003; in quegli stessi anni (2003-2007) il contributo dei Top 400 crebbe considerevolmente piuttosto che diminuire.

Un altro dato estremamente interessante è quello secondo il quale, sempre secondo l’IRS, negli ultimi anni, nonostante il livello di tassazione sui redditi più alti sia progressivamente diminuito dal 1945 ad oggi, il contributo totale del Top 1% sia vertiginosamente aumentato fino a superare definitivamente quello del Bottom 90%. In poche parole, l’1% della popolazione americana paga più tasse del 90% dell’intera popolazione messa insieme. E si noti sempre come il tax-cut di Bush nel 2003 non abbia minimamente fatto diminuire il contributo dell’1% più ricco, ma al contrario l’abbia incrementato. [7]

Al giorno d’oggi l’1% più ricco paga il 40% del totale delle tasse sul reddito. Ma il dato diventa ancora più significativo se consideriamo quello che in America viene definito il Top 5%, il secondo gruppo dei più “privilegiati”: la classe media-alta. Questi due gruppi combinati, il Top 1% e il Top 5%, contribuiscono da soli per il 60% del totale delle tasse versate allo Stato americano. [8]

E sempre i dati dell’IRS ci mostrano come i redditi più alti non solo contribuiscono in modo straordinario alle entrate, ma pagano anche molto di più in percentuale rispetto ai redditi più bassi. Al punto che il 50% dei contribuenti versa il 97.3% delle tasse. [8]

La progressività del sistema fiscale americano è rimasta invariata negli ultimi 30 anni (quando non è addirittura aumentata) nonostante la progressiva diminuzione delle aliquote sui redditi più alti, e anzi, come abbiamo visto, il contributo del Top 1% è aumentato significativamente fino ad arrivare al 40% del totale delle tasse versate in un anno. E solo nel 2006 le politiche fiscali statunitensi hanno redistribuito circa 1.4 trilioni di dollari dal 40% più ricco al 60% più povero, mentre le diseguaglianze nella distribuzione del reddito si sono stabilizzate. [8] [9]

Inoltre, per comprendere la completa follia della proposta della Ocasio-Cortez di un’aliquota marginale al 70% sulla parte di reddito eccedente i 10 milioni di dollari l’anno basta analizzare le prospettive di gettito fiscale aggiuntivo che questa potrebbe generare.

Secondo un recente studio della Tax Foundation, un’aliquota marginale del 70% applicata ai redditi oltre i 10 milioni di dollari l’anno porterebbe infatti nelle casse dello Stato americano 291 miliardi di dollari nel periodo 2019-2028 a fronte di una spesa di 32.6 trilioni nello stesso periodo solo per la prima delle promesse elettorali, Medicare For All, l’assistenza sanitaria gratuita e universale. [10]

A peggiorare questa abissale disproporzione tra gettito aggiuntivo e nuova spesa, si consideri che i risultati di questa politica fiscale potrebbero essere decisamente inferiori, dal momento che un simile aumento esponenziale dell’aliquota massima potrebbe scoraggiare i contribuenti a dichiarare o realizzare livelli di reddito superiori ai 10 milioni di dollari l’anno.

 

La parola ai fatti, non alle buone intenzioni

In conclusione, nessun sistema fiscale è perfetto, ma la storia degli ultimi decenni di quello statunitense è la storia di una semplice ricetta economica che ha funzionato: più bassa è la pressione fiscale, più tasse vengono pagate (dai più ricchi in primis), più l’economia cresce. Infatti, una pressione fiscale accettabile non solo non scoraggia il contribuente, costringendolo a limitare le sue prospettive di crescita per evitare il passaggio all’aliquota successiva, ma permette una maggiore immissione di liquidità nell’economia reale sotto forma di spesa e investimenti, gli unici due fattori in grado di supportare un crescita solida nel lungo periodo.

Le politiche e le proposte della sinistra liberal americana sono dettate da una precisa agenda fondata sull’invidia sociale, l’odio di classe, e la finta giustizia sociale, condite dalla più assoluta ignoranza economica e dal rifiuto dei dati empirici.

Questa agenda mira alla distruzione della più florida economia mondiale e dell’unica nazione fondata su una promessa di Libertà: è infatti evidente che la dittatura economica a cui mirano i Democratic Socialists sia solo l’anticamera della dittatura morale dello Stato etico e del politicamente corretto, a cui segue necessariamente la morte del diritto di parola e della libertà espressione.

 

 

 

 

 

*con il termine statunitense liberal si indica una corrente politica che in Europa verrebbe definita “socialista”. Il termine liberal non ha alcuna affinità con il Liberismo economico, il Liberalismo classico, o il Libertarismo americano.

FONTI:

[1] https://www.washingtonexaminer.com/bernie-sanders-slams-billionaires-gets-reminded-he-owns-3-houses

[2] https://www.foxnews.com/politics/warren-expressing-concern-about-releasing-dna-analysis-on-native-american-heritage-report-says

[3] https://ocasio2018.com/issues

[4] https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-07-30/study-medicare-for-all-bill-estimated-at-32-6-trillion

[5] https://www.cato.org/blog/taxes-tippy-tippy-top?fbclid=IwAR1SWwcNuR-7aHT_kIb8FcHV7RzUUmYOsN99l_Cnvo-zFgI7dXI82vzWFTI

[6] https://www.irs.gov/statistics/soi-tax-stats-top-400-individual-income-tax-returns-with-the-largest-adjusted-gross-incomes

[7] https://taxfoundation.org/top-1-percent-pays-more-taxes-bottom-90-percent/

[8] https://taxfoundation.org/summary-latest-federal-income-tax-data-2016-update/

[9] https://taxfoundation.org/official-statistics-inequality-top-1-and-redistribution/

[10] https://taxfoundation.org/70-percent-tax-analysis/

 

N.B. tutti i dati della Tax Foundation sono dati ricavati dal sito dell’IRS, consultabili attraverso i link riportati in fondo agli articoli in citazione.

Stipendio Minimo, ossia come affossare il mercato del lavoro

Breve storia della follia socialista

Negli ultimi 20 anni i movimenti liberal* e progressisti statunitensi hanno chiesto al Congresso, sempre più insistentemente, prima l’approvazione, poi l’aumento, del Minimum Wage, il salario minimo garantito. Nel 2009, sotto la presidenza di Barack Obama è stato stabilito a livello federale un salario minimo garantito di $7,25 all’ora. Nonostante questo provvedimento drastico e discutibile, dal 2009 in poi, sempre più numerosi membri della sinistra americana sostengono che $7,25 non siano sufficienti e che, addirittura, bisognerebbe raddoppiare il Minimum Wage, portandolo a $15,00/h.

La sinistra liberal, i progressisti, e il partito Democratico in primis, credono che questa misura sia efficace e fondamentale per:

  • ridurre la povertà
  • ridistribuire ricchezza
  • garantire la possibilità di vivere dignitosamente anche lavorando full-time a salario minimo
  • creare posti di lavoro
  • aumentare la quantità di denaro circolante (e quindi i consumi)
  • ridurre i programmi di assistenza sociale

 

Questo provvedimento, come tutte le crociate di giustizia sociale, presenta tuttavia dei gravi difetti. Si concentra infatti sui risultati nel breve termine, è un salasso economico per le piccole-medie imprese. Inoltre distorcendo completamente il mercato e le sue leggi, ottiene l’effetto opposto ai propositi di partenza:

  • non riduce la povertà, la accresce
  • non ridistribuisce la ricchezza, la riduce
  • non crea posti di lavoro, crea disoccupati

 

Perché solo 15$/h? Perché non 45$/h?

Per capire l’errore di fondo del Minimum Wage e le sue nefaste conseguenze dobbiamo prima ricordare qual è il significato del salario.

Siamo pagati per i benefici e i miglioramenti che apportiamo alla società in termini materiali o morali. Lo stipendio, in quanto corrispettivo di questo miglioramento, tiene conto della complessità della mansione svolta, del relativo rischio, della sua unicità o peculiarità. È quindi evidente che un lavoratore scarsamente qualificato debba necessariamente avere uno stipendio inferiore rispetto a uno altamente qualificato. Questo non per fare un torto, ma perché la sua specifica mansione potrebbe essere svolta da una qualunque persona con una preparazione minima e senza particolari titoli di studio.

 

L’errore del Minimun Wage

Il Minimum Wage è una radicale distorsione delle necessità di mercato, della legge della domanda e dell’offerta e perfino dell’umano buon senso. Se l’attuale salario minimo di 7,25$/h è un provvedimento discutibile, 15$/h sarebbero un colpo devastante anche per un mercato del lavoro mobile ed elastico come quello statunitense. I più importanti difetti di questa misura sono:

  • aumento radicale del costo del lavoro e della manodopera
  • onere pesantissimo, soprattutto per le piccole-medie imprese
  • obbligo per i datori di lavoro di ridurre le ore di lavoro dei dipendenti per contenere i costi di produzione
  • fine per i giovani delle possibilità di trovare facilmente uno “starting job” ed inserirsi nel mondo del lavoro
  • contrazione della domanda di manodopera e aumento della disoccupazione
  • chiusura di attività produttive perché nell’impossibilità di sostenere l’aumento dei costi di produzione
  • ricorso a macchine per sostituire la manodopera umana ormai troppo cara

 

Per concludere, vorrei ricordare una delle più profonde e significative argomentazione della sinistra americana a favore del Minimun Wage, e cioè che chiunque, lavorando full-time da McDonald’s, dovrebbe essere in grado di condurre una vita dignitosa. Nonostante il lavoratore abbia tutta la mia simpatia, il problema è che, in un mercato del lavoro flessibile ed insaziabile come quello americano, in cui il tasso di disoccupazione ha toccato i minimi storici del 3,5%, non si dovrebbe anche solo lontanamente credere che McDonald’s possa o debba offrire posti di lavoro che permettano di vivere dignitosamente lavorando 40 ore a settimana.

 

 

*con il termine statunitense liberal si indica una corrente politica che in Europa verrebbe definita “socialista”. Il termine liberal non ha alcuna affinità con il Liberismo economico, il Liberalismo classico, o il Libertarismo americano.

 

 

Come il Presidente americano NON viene eletto dal popolo

Ancora una volta un presidente non eletto dal popolo”. Quante volte abbiamo sentito pronunciare queste parole? E perché ultimamente anche gli Stati Uniti d’America, la nazione del presidenzialismo per eccellenza, hanno cominciato a mettere in dubbio l’ordine costituzionale ereditato dalla lungimiranza dei padri fondatori?

In Italia, negli ultimi sette anni, quello del “presidente non eletto dal popolo” è stato uno dei principali cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle nella loro critica al sistema politico del Belpaese. Negli USA invece, dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali del 2016, i Democratici hanno sostenuto con forza la necessità di abolire una volta per tutte i collegi elettorali e il sistema dei grandi elettori.

In Italia, Silvio Berlusconi fu il primo nel 2006 a tentare di riformare la Costituzione in senso federalista per superare il bicameralismo perfetto e soprattutto per aumentare i poteri del premier (il famoso premierato), ma fallì: il popolo respinse il progetto con il referendum costituzionale del 2006. Caduto il governo Berlusconi nel 2011, il governo Monti fu da subito additato come l’incarnazione del male assoluto, il tecnico non eletto dal popolo, servo dell’Europa e dei tanto famosi, quanto misteriosi, “poteri forti”.

Vent’anni di berlusconismo avevano riproposto al paese quell’immagine nostalgica dell’uomo forte, capace di governare da solo e senza dover scendere a compromessi, che mancava da decenni. L’Italia infatti, salvo il fascismo e la DC delle elezioni del 1948, non aveva mai visto un solo partito conquistare la maggioranza assoluta di voti e seggi. Siamo sempre stati il paese delle coalizioni, del Pentapartito. Caduto Berlusconi, la possibilità di un governo di larghe intese sembrava dunque un sacrilegio. Ed è proprio in questi anni che la cantilena del “premier non eletto dal popolo” cominciò a diffondersi.

Le ultime elezioni poi hanno visto la formazione dell’ennesima legislatura senza maggioranza assoluta, e con un gesto di coerenza stoica, l’accordo di governo tra due forze politiche che si erano presentate in liste diverse ci ha consegnato l’ennesimo premier non eletto dal popolo. Ma il popolo non elegge il premier, come molti, troppi si ostinano a credere. Per la nostra Costituzione, l’elettore è chiamato a rinnovare il Parlamento ogni 5 anni. Poi, il presidente della Repubblica indica un premier incaricato che deve formare un governo e presentarsi davanti alle Camere per ottenerne la fiducia.

Negli Stati Uniti invece, dopo le elezioni del 2016 è iniziato un acceso dibattito circa il superamento del sistema elettorale corrente basato sul collegio elettorale, l’Electoral College. Infatti, l’elettore americano, quando si reca ogni quattro anni alle urne, non elegge direttamente il presidente (come molti erroneamente credono), ma vota per eleggere i grandi elettori, 538 rappresentanti divisi tra i vari Stati, che “promettono” di votare un determinato candidato alla presidenza (ma non sono legalmente obbligati a votare per un determinato candidato).

Questo peculiare sistema elettorale winner-takes-all (per cui il partito vincitore in un determinato Stato ottiene tutti i grandi elettori dello Stato) non è puramente proporzionale, e presenta degli innegabili vantaggi, poiché da un lato concede anche agli Stati più piccoli di avere un certo peso politico, e dall’altro permette un maggiore controllo sull’elezione del presidente da parte dei grandi elettori.

Infatti, nelle intenzioni dei padri fondatori, il presidente non doveva essere eletto direttamente dalla popolazione. Essa invece avrebbe dovuto eleggere come rappresentanti uomini validi, “grandi” elettori appunto, i quali avrebbero poi scelto il presidente della nazione, e se necessario, avrebbero potuto sovvertire il risultato dell’elezione popolare nel caso in cui il candidato vincente si fosse dimostrato incapace di svolgere il ruolo di presidente.

Le elezioni presidenziali del 2016 hanno visto il trionfo di Donald Trump, che è riuscito a conquistare 304 grandi elettori, strappando a Hillary Clinton e al Partito Democratico alcuni Stati chiave (Michigan, Pennsylvania, e Wisconsin) storicamente blue.

 

                                                        

 

A livello nazionale i risultati furono i seguenti:

  Donald Trump Hillary Clinton
Partito repubblicano democratico
Voti 62.984.825

46,1 %

65.853.516

48,2 %

Grandi Elettori 304

56,5%

227

42,2%

 

In un sistema proporzionale puro Hillary, che ottenne circa 2.800.000 voti (il 2%) in più di Trump, avrebbe vinto. Tuttavia, occorre considerare due dati:

  • La distribuzione dei voti per contea
  • La distribuzione dei voti per Hillary Clinton

Hillary (come più o meno ogni candidato democratico) vinse soprattutto nelle grandi città e nelle storiche roccaforti democratiche (California, East Coast, Oregon, New Mexico). La stragrande maggioranza delle contee americane votò repubblicano.

Il motivo per cui Hillary Clinton conquistò il voto popolare, ma perse le elezioni, è da ricercare proprio nel sistema elettorale americano. Dove vinse Hillary (soprattutto nelle città) vinse di molto, distaccando notevolmente il proprio avversario. Tuttavia, per questo sistema elettorale, è meglio vincere due Stati con il 51%, piuttosto che un solo Stato con il 90%.

E qui si scopre l’errore principale dei Democratici, che costò loro la vittoria: la decisione di non fare campagna elettorale nelle roccaforti storiche del midwest (Michigan, Winsconsin) o in Pennsylvania (che da quasi vent’anni votava blue). La vittoria di Trump in questi Stati, con margini di vantaggio relativamente modesti rispetto allo scarto tra Democratici e Repubblicani in California, gli fruttò 46 grandi elettori, che gli permisero di sconfiggere agevolmente l’avversaria.

 

                                      

 

L’anno dopo la sua sconfitta, Hillary Clinton cominciò a sostenere la necessità di abolire il sistema dei grandi elettori e dei collegi elettorali. Tuttavia, questo sistema (certamente imperfetto, perché la perfezione non è di questo mondo) è senza dubbio la soluzione migliore per gli US, perché tiene conto della partecipazione dei singoli Stati all’unione perfetta, cosa che verrebbe meno con un sistema proporzionale puro, e non permette alle grandi metropoli delle due coste e dei laghi (che comunque mantengono un peso politico enorme) di monopolizzare completamente il panorama politico statunitense.

Il presidente dunque non è direttamente eletto dal popolo perché così vollero, con un atto di grande lungimiranza, i padri fondatori, e il sistema elettorale non è un proporzionale puro per garantire una minima difesa degli interessi degli Stati meno popolosi, e tuttavia, come l’elezione di Obama nel 2008 e nel 2012 ci hanno mostrato, questo non è di alcun impedimento per l’elezione di un presidente democratico. Forse il Partito Democratico dovrebbe concentrarsi sui veri problemi che lo affliggono: la scelta di candidati pessimi e la pericolosa svolta a sinistra che il partito sta subendo.

Prospettive di Libertà radicali: For a new Liberty, M.N. Rothbard ( Parte 1)

 

In questo articolo vogliamo offrirvi una diversa prospettiva sulla Libertà, ovvero il  punto di vista  di Murray Newton Rothbard (qui il link alla pagina Wikipedia a lui dedicata), considerato, a ragione, il “padre” del Libertarismo contemporaneo. Rothbard è stato un economista appartenente alla Scuola Austriaca e, partendo dalle premesse metodologiche individualistiche di Mises, di cui fu allievo, dal Giusnaturalismo proprietarista di matrice lockeana e dalla tradizione dell’anarchismo filosofico americano, giunse a dare corpo a quello che è il Libertarismo contemporaneo.

Questa breve premessa introduttiva serve per esplicitare qual è l’universo del discorso all’interno del quale si situa “For a new Liberty” (disponibile in italiano grazie a Liberilibri), il “manifesto libertario”. Questo manifesto venne scritto da Rothbard con un intento sia divulgativo, per raggiungere più persone possibili e metterle in contatto con le idee libertarie, sia per creare una sorta di punto di riferimento in cui più libertari potessero riconoscersi. Ovviamente, come ogni manifesto, ha intenzioni anche pratiche: nella parte conclusiva, Rothbard cerca di delineare strategie, modalità, temi e persone verso le quali il libertarismo si deve rivolgere per giungere a compimento. Il tutto rigorosamente nel rispetto dei diritti inviolabili delle persone e senza l’uso della violenza.

“For a new Liberty” si snoda attraverso tre parti – il credo libertario, soluzioni libertarie a problemi attuali e un epilogo – il tutto preceduto da una premessa storica che cerca di inquadrare il libertarismo in una tradizione ben precisa. Infatti, il libertarismo è una prospettiva radicale sulla libertà, figlia del continente americano – il manifesto si rivolge continuamente e assiduamente ai cittadini degli USA seppure è un manifesto per tutti gli uomini –  e continuatrice della tradizione del movimento liberale classico del XVIII e XIX secolo. Coloro che sono individuati come “antenati genetici” del libertarismo sono Locke, il cui contributo giusnaturalista è il cardine del libertarismo, i Livellatori della Rivoluzione inglese, John Trenchard e Thomas Gordon autori di Cato’s Letters, opera che fu molto letta nel periodo che portò alla Rivoluzione americana, Thomas Jefferson, Thomas Paine, autore di “Common Sense”, pamphlet decisivo per l’opinione pubblica nella Rivoluzione americana, Jackson, Lysander Spooner e molti altri.

Quello che Rothbard chiama il “credo libertario” è sostanzialmente la riproposizione del Giusnaturalismo di matrice Lockeana (diritti naturali, self-ownership, diritto all’homesteading) il tutto arricchito da quello che è denominato “non-aggression principle”, anche conosciuto come “assioma di non aggressione” (abbreviato NAP); l’assioma è così riassunto da Rothbard:

«Il credo libertario si basa su un assioma centrale: nessuno può aggredire la persona o la proprietà altrui. Lo si potrebbe chiamare “assioma della non aggressione”. L”‘aggressione” viene definita come l’uso o la minaccia della violenza fisica contro la persona o la proprietà di altri. Aggressione è quindi sinonimo di invasione.»

Questo assioma, che secondo Rothbard è una verità morale che si impone alla nostra ragione, mostra l’enorme valore attribuito alla libertà individuale dai libertari. Ma in questo contesto ci troviamo davanti ad una formulazione della libertà e dei diritti di carattere negativo; la libertà è sostanzialmente l’assenza di coercizione e l’uomo non possiede tutti quei diritti che possiamo definire di “seconda generazione”: diritto alla salute, istruzione, lavoro ecc. Il libertario difenderà quelle libertà che possiamo definire “civili”: libertà di parola, di assemblea, di stampa ecc. e il diritto di contrattare liberamente, di scambiare liberamente beni. Ovviamente alla base vi sono i diritti di proprietà.

A differenza degli anarco-collettivisti, dei marxisti e di tutte le possibili declinazioni dell’ideologia comunista, così come di Hobbes, l’antropologia alla base del Libertarismo è “neutra”: essa non ritiene che l’uomo sia nella sua essenza egoista, né che sia lupo ad ogni suo simile. Il libertario si limita a constatare che gli uomini a volte si comportano in maniera altruistica, altre volte in maniera egoistica, alcune volte sono “buoni” e altre “cattivi” ed evidenzia come la raggiera di comportamenti che un uomo può assumere sono molteplici e vari, ma il discrimine fondamentale è il rispetto del NAP. Cosa ancora più importante è la differenza con i comunisti: nell’idea libertaria non è contenuta nessuna pretesa di cambiamento radicale dell’uomo. Essa è una analisi realistica e come tale non prospetta né promuove un cambiamento nello spirito o nell’essenza dell’uomo, non prospetta l’avvento di nessun “Uomo Libertario”.

Per le loro posizioni, a volte i libertari sono etichettati come di destra, quando promuovo ad esempio il libero mercato, la libertà di contratto, i diritti di proprietà, e a volte come di sinistra come quando promuovo la libertà sessuale, l’aborto, libertà di stampa. Il fatto è che alla base di tutte queste prese di posizioni vi è il rispetto dei diritti di proprietà individuali, rimarcati dal NAP. Questa strenua difesa della libertà e dei diritti porta, se si vuol essere coerenti fino in fondo con i principi suesposti, ad una applicazione della legge morale a tutti, anche allo Stato, ricollegando quindi politica e morale. Per questo motivo libertario è sinonimo di anarchico.

Lo Stato è l’oggetto di critica di tutto il manifesto, l’obiettivo polemico verso cui Rothbard si scaglia continuamente: lo Stato è un ente che si basa sulla coercizione, sulla violenza, sulla minaccia, sul furto e sull’omicidio di massa. Infatti, se noi applichiamo coerentemente il NAP allora dovremmo considerare la tassazione un furto, la coscrizione obbligatoria un rapimento organizzato e la guerra un omicidio di massa.

Per Rothbard lo Stato è un prodotto storico ed umano che nel corso della storia si è imposto, apparentemente, come unica alternativa al “caos dell’anarchia dello stato di natura”, come unico ente razionale ordinatore della realtà. Ma esso non ha diritto di imporsi sulla libertà delle persone ed inoltre è anche causa di inefficienze e sprechi, per non parlar dell’incalcolabile numero di morti dovuti alle guerre condotte nel nome dell’interesse nazionale e del bene comune. La provocazione di Rothbard è questa: se un ladro vi dicesse che la rapina che sta commettendo su di voi è per il bene di molte altre persone, voi sareste portati a non ritenere ciò un furto? Non è forse così che funziona la tassazione?

Lo Stato viene paragonato ad una gang, ad un gruppo di banditi che si sono imposti su un territorio nel quale si sostentano con la rapina e l’estorsione sistematica, praticano la schiavitù (coscrizione obbligatoria) e l’omicidio di massa, ma il tutto è effettuato per il bene dei cittadini. Inoltre, Rothbard critica la propaganda, la manipolazione continua delle coscienze, perseguita grazie alle feste laiche e alle celebrazioni dell’ideale nazionale e patriottico che portano gli individui a ritenere che il potere dello Stato sia inevitabile, supremamente giusto e buono.

Ovviamente, come si può intuire dalle affermazioni precedenti, l’obiettivo del libertarismo è l’instaurarsi di una società libertaria, quindi anarchica, priva dello Stato, nella quale gli individui possano essere, finalmente, realmente liberi.

(continuerà nella Parte 2 che uscirà nei prossimi giorni)