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L’intervento statale ci rende poveri

Fascismo, Boom Economico, Primo Governo del CentroSinistra “Organico”, conservatorismo statalista. Quattro parole chiave utili per descrivere il percorso economico dell’Italia, dagli anni venti ai giorni recenti. L’Italia fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento era paragonabile ad un neonato che cresceva, che iniziava a fare i primi passi, fino a diventare un adolescente, con tutte i suoi errori e debolezze che sono palesi in quella fase di vita.

Ma poi arrivò qualcuno, chiamato Intervento Statale, che decise di prendersene cura senza che qualcuno gli avesse chiesto qualcosa.
L’intervento Statale è
“l’atteggiamento di uno Stato che, oltre a fissare le regole del mercato, mette in pratica attività o interventi che condizionano l’economia con obiettivi diversi, dall’aiuto alla crescita economica e all’occupazione all’aumento dei salari, dall’aumento o riduzione dei prezzi alla promozione dell’uguaglianza e alla riparazione di quelle che il governo considera falle o inefficienze del mercato”.

Tutto iniziò con il Fascismo. Dopo una brevissima iniziale fase di snellimento della macchina statale, la politica fascista intraprese un progetto di Intervento statale totale. L’obiettivo era quello di creare un macro-azionista, neutrale e al disopra delle parti, che si limitava a investire e a fare in modo che i propri investimenti aziendali avessero lo scopo di creare un’organizzazione armonica tra lavoratori e datori di lavoro. Oltre agli aspetti industriali, l’interventismo statale del fascismo era soprattutto assistenzialismo.

Giusto per fare un breve elenco:
Assicurazione invalidità e vecchiaia; Assicurazione contro la disoccupazione; Assistenza ospedaliera ai poveri; Tutela del lavoro di donne e fanciulli; Opera nazionale maternità ed infanzia; Assistenza illegittimi e abbandonati o esposti; Assistenza obbligatoria contro la Tubercolosi; Esenzione tributaria per le famiglie numerose; Assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali; Opera nazionale orfani di guerra; Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.); Settimana lavorativa di 40 ore; Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (I.N.A.I.L.).

Prima ho fatto l’esempio di un’Italia simile ad un neonato/adolescente, proprio per far capire che si trattava di un Paese, soprattutto dopo la Prima Guerra Mondiale, che era molto debole economicamente. Doveva crescere economicamente e i fascisti ritenevano che questa ricchezza dovesse essere creata dallo Stato per poi essere diffusa fra la popolazione. Ma l’Italia produceva solo debiti e scarsa ricchezza nazionale. Migliorava il benessere degli italiani, ma non rispettava le aspettative dei fascisti. Anzi, in alcune zone del meridione, la povertà continuava a dominare e le misure assistenzialiste “viziavano” i cittadini meridionali.

Dopo il fascismo, nella fase caotica 1943-1947, le casse statali e i cittadini italiani erano al macello, economicamente parlando. La Lira era in uno stato comatoso e i cittadini italiani vegetavano nella povertà più assoluta. Ma in quella straordinaria fase della storia italiana, l’Italia ebbe la fortuna di ritrovarsi nelle mani di un liberale come Luigi Einaudi. Lui era un liberista ossessionato dal risparmio e dal contenimento della spesa pubblica. In quegli anni riuscì a salvare la moneta italiana e a far ripartire l’Italia. Riuscì a far ripartire l’Italia riducendo drasticamente l’interventismo statale.

Lo stesso Boom Economico fu un processo spontaneo favorito dalle politiche pro-risparmio e antistataliste di Luigi Einaudi. Il Boom Economico fu favorito dal fatto che, contenendo le tasse, i cittadini potevano sfruttare al meglio i risparmi del presente per il futuro. Il periodo dal 1947 al 1958 ritengo sia stata l’unica fase antistatalista in Italia. Non sorprende che l’unica politica di interventismo statale di questo periodo, la Cassa del Mezzogiorno, si sia rivelata disastrosa e fallimentare.

Quel Boom Economico portò benessere, tantissimo benessere per gli italiani. L’Italia diventò un paese industriale proprio in quello straordinario periodo. Ma secondo i favorevoli all’interventismo statale, quella ricchezza era caotica e maldistribuita. A detta loro, non andava bene che alcuni  si fossero arricchiti, mentre altri erano ancora poveri. Pertanto, occorreva ridistribuire la ricchezza.

Ed ecco che si giunge al primo governo di centro-sinistra d’inizio anni sessanta, che riportò con forza il culto dell’interventismo statale. La classe dirigente di quella fase politica esprimeva frasi come “Se il popolo ha un problema, lo Stato deve intervenire”, frasi come “se un’azienda privata non può sopravvivere senza profitti, l’azienda pubblica si”. E così si decise di adottare misure come lo “statuto dei lavoratori”, il monopolio ENEL e numerose assunzioni in posti pubblici per garantire un reddito a chi non ha alcuna speranza di essere assunto altrove.

Governando la ricchezza, l’interventismo statale iniziò a diminuire il benessere degli italiani. Dagli anni sessanta, proprio grazie all’interventismo statale, l’Italia iniziò un lento percorso di declino. Governare la ricchezza voleva dire tassarla, ossia gestire i soldi di uno per il bene degli altri. Ma quest’ultimi, all’aumentare del costo della vita, pretendevano sempre di più dallo Stato. Pertanto, più alto il costo della vita, più assistenzialismo, più tasse, più povertà e addio ricchezza.

Questa fase si concluse negli anni ottanta. I favorevoli all’interventismo statale si resero conto di aver esagerato, ma pur di non ammettere i propri errori inaugurarono la politica del conservatorismo statalista. Questa politica consisteva nel tenere ben saldi quei diritti acquisiti che ormai avevano il sapore del privilegio.

L’obiettivo era mantenere i privilegi, anche fino a sfiorare il ridicolo. Mentre le casse statali andavano in tilt, il conservatorismo statalista cercava di fare manovre di salvataggio con tasse di eccezione o tagli “a indovinare”. Ma senza toccare le principali voci della spesa pubblica, i taglietti o le tasse speciali non solo non risolvevano i problemi, ma tendevano anzi ad amplificarli.

Fino a giungere ad oggi, dove la povertà è dominante. Se i redditi stagnano da vent’anni, il costo della vita è cresciuto tantissimo. Come ho già scritto sopra, più alto è il costo della vita, più alto è il desiderio di essere assistiti dallo Stato. Ma questo vuol dire avere più intervento statale, più tasse e più povertà. Il circolo vizioso continua, purtroppo.

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