La perfetta scuola per comunisti, spiegata da un liberale

Vi stupirà sapere che un liberale classico come me, quando legge i post del Fronte della Gioventù Comunista, non resta amareggiato, almeno fino ai tre quarti del post.

Infatti il FGC ha varie volte fatto notare problemi palesi dell’istruzione italiana, l’ultimo in ordine temporale quello dei problemi dell’edilizia scolastica. Giusto per capirci: c’è un crollo nelle scuole pubbliche ogni tre giorni e, aprendo un giornale a caso della provincia lombarda, il dato è confermato empiricamente: A distanza di due giorni è crollato l’intonaco in una scuola di Caravaggio, appena costruita, e in un’altra di Treviglio. E sono due paesi confinanti.

Ma ciò che mi lascia sempre l’amaro in bocca è vedere questi giovani disposti a mettersi in gioco per cambiare le cose dare la colpa a chi non c’entra nulla: il liberismo.

La scuola pubblica italiana è quanto più lontano esista dal liberalismo economico. E’ gestita dallo Stato, in un regime di quasi-monopolio: essendo l’alternativa a pagamento, nonostante si sia già pagata la propria parte con la tassazione, la concorrenza è disincentivata. E in certe regioni del Sud, più disagiate economicamente, è un monopolio totale (in Calabria solo l’1% frequenta scuole non statali, infatti è la peggiore istruzione d’Italia), senza cura per alcuna logica di costi, tant’è che spende 3000€ in più ad alunno rispetto ad un largo e generoso sistema a voucher.

Ed è da ciò, dall’essere statale, che derivano questi problemi.

Pensateci: gli studenti, per la scuola statale, sono di fatto un peso. Non apportano alcun contributo tangibile, a parte accrescere le spese di gestione.

Ma, al contempo, queste spese non hanno bisogno di un vero controllo, non c’è un vero e proprio bilancio da rispettare. Risultato? Lo Stato ha trasformato l’istruzione pubblica in un gran poltronificio e, siccome i ragazzi non votano per praticamente tutto il proprio percorso scolastico, ai politici non interessano.

Loro puntano ai voti di chi aspetta il concorsone per entrare in ruolo.
Quando chiedete più soldi, di fatto, state facendo il loro gioco, perché così potranno assumere più persone per scopi clientelari. Non useranno mai quei soldi per voi, perché non votate.

Ma arriviamo al vostro istituto, una piccola periferia dello Stato. Questo sistema clientelare l’ha essenzialmente lasciato con pochi soldi, quindi non può fare cose come: rendere sicuro l’edificio, sistemare il riscaldamento, comperare la carta igienica o effettuare interventi ecologici. Cosa potete fare voi?

Oh, nulla, perché la scuola è pubblica e voi siete solo un numero in un database del MIUR. Non è come qualunque altro business dove, se non soddisfatti, avreste la possibilità di spostare altrove il vostro capitale.

Non siete in possesso di alcun peso contrattuale da poter usare contro una dirigenza negligente, una minaccia simile a “se non sistemi il riscaldamento vado dalla concorrenza” non avrebbe alcun effetto.

Anche perché, nascosti dietro una coltre di vittimismo, o dirigenti potranno fare poco: è Roma che ha deciso di assumere più gente del dovuto, lasciando voi e la vostra scuola in braghe di tela.

Provate a pensare ad una cosa: concorrenza nelle scuole. Scuole di enti locali, scuole sociali (potreste aprirne una anche voi!) e scuole private per profitto che competono per avervi come studenti. Lo Stato, invece di provare a fare il tuttologo fallendo miseramente paga l’istituto di vostra scelta per istruirvi e certifica, con degli esami, i vostri progressi. Questo è il sistema a voucher.

Ah, l’orribile logica del profitto! Ma chi ha un profitto dalla vostra istruzione sarebbe incentivato ad offrirvi un buon servizio, sapendo che potete cambiare istituto e che creare nuovi istituti non richiede un lungo processo. Anzi, potrebbe essere tranquillamente la società civile di un luogo ad aprire una scuola. In sostanza una riforma del genere toglierebbe allo Stato per dare a noi cittadini.

Gli istituti sarebbero incentivati non solo ad offrirvi una buona didattica, cosa che spesso l’attuale scuola statale non fa, ma anche ad offrire un ambiente positivo, sicuro, dignitoso e anche ecologico, dato che pagherebbero le bollette e una scuola coibentata spende meno di una con spifferi in ogni dove. In sostanza, un sistema che risponde a voi. Chi andrebbe mai in una scuola con risultati negativi e che cade a pezzi?

La gran parte di coloro che frequentano la scuola pubblica. Perché essa non lascia libertà di scelta e risponde ai politici. E, come già detto, a loro voi non interessate.

Quindi, ascoltate un liberale: volete un’istruzione dove siate persone e non numeri, dove non dovete aspettare mesi per un prof, dove non rischiate che vi crolli in testa mezza scuola, dove tutti, dal figlio dell’operaio a quello del dirigente di banca abbiano le medesime opportunità? Bene, la voglio anche io.

Ma lo Stato non ce la darà mai. Solo un sistema dove noi, non un burocrate, scegliamo può darcelo. Un cambiamento reale arriverà solo in questo modo.

Qualcuno vorrà credere nella favoletta che l’istruzione in Italia sia schiava del neoliberismo, dei tagli per colpa delle private e che sia necessario più Stato per cambiare le cose. Ebbene, costoro sono liberissimi di coltivare questa opinione; ma abbiano almeno la decenza di non scendere in piazza a chiedere proprio ciò che ha rovinato l’istruzione italiana, almeno per rispetto di chi ha vissuto sulla propria pelle i disagi di essere un numero in una scuola che non si cura degli interessi dei suoi studenti.

Evasione fiscale? La colpa è dello Stato

In questa settimana è tornata, direi con prepotenza, il tema dell’evasione fiscale. Oltre ai soliti slogan “se finalmente pagano tutti, potremo abbassare le tasse”, arrivano nuovi slogan e, soprattutto, nuove proposte.

Il Movimento 5 Stelle è giunto a proporre il carcere per chi non paga le tasse. Non si tratta di qualcosa di basso rilievo, ma di carcere fino a 8 anni con possibilità di confiscare i beni. Quest’ultima misura, oggi, è prevista solo per reati di Mafia. Ma l’interesse di Luigi Di Maio è di estenderlo anche a coloro che non pagano le tasse.

La battaglia all’evasione fiscale è dunque iniziata. Lo dimostrano le stesse parole dell’attuale Presidente del Consiglio:

“Stiamo mettendo a punto gli ultimi dettagli della manovra, le ultime misure, non voglio anticipare ovviamente i dettagli ma ci sta molto impegnando il piano anti-evasione”.

Le cifre dell’evasione fiscale sono spaventose per dimensioni. Si parla di circa 100 miliardi di euro. Le principali evasioni provengono dall’IVA e dall’IRPEF.

Sempre secondo il presidente Conte:

“Essere onesti conviene, recuperare un euro dall’economia sommersa significa poter investire nella scuola pubblica, poter investire negli ospedali, significa poter ridurre le tasse a tutti”.

Eccolo quà. Si torna sempre al punto di partenza. L’immancabile slogan “pagare tutti per pagare meno” è ormai roba diffusa tra i lottatori contro l’evasione fiscale.

Peccato però che questo slogan sia più falso di una banconota di 15 euro. L’impressione è che anche stavolta, il governo di turno, è cieco rispetto all’attuale scenario. Cieco, o meglio, finto-cieco? Forse non è nemmeno corretto definirli ciechi. Forse questa strategia di comunicazione è particolarmente efficace per il socialista di turno.

Attualmente, la realtà italiana è ben diversa da quella raccontata da Conte:

  • Spesa Pubblica: +2.4% rispetto al 2018
  • Pressione fiscale generale pari al 55% (550€ ogni 1000 di PIL finiscono allo Stato)
  • Abbiamo lo stesso PIL pro capite di 15 anni fa
  • Non si riscontrano aumenti significativi di produttività negli ultimi 25 anni
  • Un dipendente costa all’azienda quasi il doppio (rispetto all’effettivo stipendio ricevuto dal lavoratore – ndr)
  • La quota di profitto – che riguarda le società non finanziarie e il reddito da capitale ottenuto sul valore aggiunto prodotto – è al 40,7%, cifra più bassa dal 1999
  • Molti servizi pubblici sono del tutto inefficienti

(Dati raccolti Da Institute Heritage, OCSE, CGIA di Mestre, 2019)

Questi dati, seppur non esaustivi, devono invitarci a fare una riflessione molto seria. Ci sono delle differenze sostanziali tra i dati reali dell’economia italiana rispetto al racconto del Governo. Il Governo di turno racconta l’evasione fiscale come una “mancata solidarietà”, “i cattivi che non vogliono pagare le tasse”, “l’avidità dei ricchi”. In realtà il quadro italiano racconta tutt’altro. Racconta un Paese in estrema difficoltà economica. Le aziende non vanno avanti, ma si trascinano avanti. La produttività è appena sufficiente, i profitti sono appena sufficienti, i redditi degli italiani sono gli stessi.

Il Governo e la stessa OCSE (documento aprile 2019) spiegano come i sussidi alla povertà dovrebbero stimolare la ripresa economica. Allora, Vi pongo una domanda: se in Italia gli occupati sono il 59% (dati ISTAT), il reddito pro capite allo stesso livello del 2004, con una spesa pubblica che nel 2004 incideva del 15% e nel 2019 incide del 26%, con una pressione fiscale generale che nel 1999 era al 49.7% e oggi al 55%, come possiamo pretendere che gli italiani possano resistere economicamente?

Questo è un torto incredibile, perché gli italiani hanno lo stesso guadagno ma sono più poveri per colpa dello stesso Stato. Ma la beffa è presto vicina. Dagli annunci di Conte e Di Maio, l’impressione è che non solo manca l’intenzione di abbassare le tasse, ma prevale quella di aumentare l’interventismo statale (estendendo il reddito di cittadinanza) e quella di istituire uno Stato di Polizia Tributaria.

L’assistenzialismo e i servizi offerti dallo Stato, secondo i socialisti, nascono per “governare e redistribuire la ricchezza”. Ma con questo ritmo rischiamo seriamente di rendere gli Italiani con una ricchezza tra le mani sempre più misera.

Ed è qui che entriamo nel paradosso. Se l’assistenzialismo è per chi non detiene reddito, e chi lo detiene è in ginocchio perché non può più pagarlo, come ne usciamo?