Istruzione in Calabria: un caso per la concorrenza

La Calabria potrebbe essere il paradiso di chi vuole eliminare la concorrenza in materia di istruzione: secondo i dati del MIUR sono l’1%, poco più di tremila, gli studenti calabresi che frequentano una scuola non statale e gli istituti paritari sono solo 72, paragonati ai 1537 plessi pubblici. Per paragone, in Lombardia la percentuale di studenti presso le scuole paritarie è circa del 10%.

Senza la “scuola dei preti” a togliere risorse alla “scuola di tutti” dovremmo presumere che la scuola calabrese sia un’eccellenza. E invece no.

L’istruzione in Calabria versa in uno stato che definire pietoso è quasi un complimento.

La conoscenza della lingua italiana declina durante la carriera scolastica: in sostanza paghiamo l’istruzione calabrese perché gli alunni disimparino l’italiano, visto che partono, in terza elementare, al pari con i coetanei lombardi e, perdendo punti, arrivano in quinta superiore come ultimi in classifica.

Matematica? Non ne parliamo: ultimi a partire e ultimi ad arrivare, tant’è che, statisticamente, un perito del Centro-Nord ne sa di più in matematica rispetto a un diplomato scientifico della Calabria.

Magari l’istruzione si rifà sulla lingua inglese, e invece no: la Calabria parte penultima, dietro alla Sardegna, e arriva penultima, questa volta dietro alla Sicilia.

Monopolio, la parola magica

In Calabria, ma anche in altre regioni meridionali, la scuola paritaria rappresenta un limitato attore di mercato, spesso confinato al livello della scuola primaria.

E, al contempo, queste regioni sono spesso piagate da altri problemi sociali come la disoccupazione, cosa che rende obiettivamente difficile, per i più, mandare i figli in una scuola paritaria se ritenessero inadatta l’istruzione pubblica.

Ergo la scuola pubblica è, in pratica, fornitore in esclusiva del servizio istruzione in queste determinate regioni. E, come ogni monopolista, non ha alcuna necessità di curarsi della qualità: gli alunni arriveranno anche se la qualità cala drasticamente, idem i finanziamenti.

In sostanza, non avendo i genitori un’alternativa, l’istruzione resta libera di cadere in picchiata in termini di qualità.

Cosa dovremmo fare?

Immaginate se ogni famiglia calabrese avesse una cifra annuale vincolata per l’istruzione del proprio figlio. Potrebbe certamente spenderla presso una scuola pubblica, ma se fosse insoddisfatta della qualità potrebbe, molto semplicemente, spostare il proprio figlio verso un’altra istituzione scolastica. Se la qualità dell’istruzione pubblica è quella che mostrano i test INVALSI, molto probabilmente vi sarebbero esodi di massa verso scuole più serie e l’istruzione pubblica avrebbe solo due alternative: migliorare o fallire.

Ora smettete di immaginare, infatti questa soluzione esiste ma purtroppo non in Italia e si chiama voucher scuola. Giovanni Adamo II, nel suo saggio “lo Stato nel Terzo Millennio”, definisce questi voucher “una questione di uguaglianza, poiché permettono di frequentare buone scuole senza considerazione per lo stato economico della famiglia”.

E così è: se un sistema del genere chiaramente porterebbe a benefici anche dove la scuola pubblica tendenzialmente funziona, ad esempio riducendo i costi e introducendo nuove metodologie didattiche più vicine alle necessità degli alunni, nei territori più periferici ed economicamente dissestati la libertà di scelta nella scuola è una questione di sopravvivenza perché solo una buona istruzione (quella monopolistica pubblica non lo è) può permettere di avviare tutti quei meccanismi che consentono alle persone di uscire dalle situazioni di disagio economico, alle quali spesso si legano situazioni di disagio sociale.

Esempi pratici

Nelle periferie di varie città degli Stati Uniti, zone spesso soggette a fenomeni di degrado urbano che portano alla formazione di gang, le scuole pubbliche si erano trasformate, alla fine, in parcheggia-bambini: si stava dentro qualche ora, si imparava poco e basta.

Sono nate poi le charter school. Queste scuole sono privatamente amministrate ma finanziate dall’istruzione pubblica, solitamente meno di quanto si pagherebbe per un alunno nel sistema pubblico. Ma i numeri sono limitati, quindi si organizzano delle vere e proprie crudeli lotterie per decidere chi potrà avere un’istruzione buona e capace di tirarlo fuori dalla povertà e dal degrado e chi, invece, resterà nelle scadenti scuole pubbliche.

A volere ciò sono coloro che, si suppone, dovrebbero proteggere gli alunni: i docenti. Infatti i loro sindacati sono fermamente contrari a ipotesi del genere, perché sanno che non garantirebbero tutti i loro privilegi.
E non è un’americanata: anche in Italia i sindacati dei docenti sono agguerriti contro ogni ipotesi liberale in materia di istruzione, nonostante nel dibattito mainstream esse siano veramente ridotte e prevedano, al massimo, un contributo parziale alla retta delle scuole paritarie.

Un esempio, invece, da un Paese non problematico lo abbiamo in Svezia: nel 1993, al grido di “l’istruzione è troppo importante perché sia gestita come monopolio” vennero introdotte le scuole libere, ossia delle scuole che, finanziate dai comuni al pari delle scuole pubbliche, erano gestite da privati. Risultato?

La qualità dell’istruzione pubblica è aumentata. In fin dei conti la scuola pubblica, per conservare i propri alunni, ha dovuto competere con le scuole libere. E, come per ogni servizio, la concorrenza fa bene, riduce i prezzi (ma, essendo sussidiata, non è il caso) ma soprattutto aumenta la qualità.

In Italia, soprattutto per le zone più problematiche del Paese, abbiamo bisogno di un sistema che permetta la libertà di scelta. “Il valore della scuola pubblica” non esiste, il futuro di tanti ragazzi oggi oppressi da un sistema scolastico mal funzionante sì. E senza una sostanziale riforma non sarà un futuro roseo.

Facebook e i limiti della libertà di parola

Pochi giorni fa Mark Zuckerberg si è presentato di fronte al Congresso americano per rispondere alle domande dei parlamentari statunitensi sul suo progetto di cripto-valuta, Libra[1]. 60 fra deputati e senatori hanno avuto a disposizione 5 minuti a testa per interrogare il CEO di Facebook; e nonostante la causa ufficiale della convocazione, gran parte delle domande si è concentrata su tutt’altro, dallo scandalo Cambridge Analytica[2] alla discriminazione razziale nell’azienda.

La parte più interessante è stata per me la discussione che Zuckerberg ha avuto con alcuni deputati democratici (Rashida Tlaib, Jim Himes, Alexandra Ocasio-Cortez) sul tema della libertà di parola[3]. Tlaib ha accusato Facebook di non fare abbastanza contro i messaggi di odio condivisi sulla piattaforma e di non censurare i politici che usano linguaggio violento e discriminatorio; Ocasio-Cortez si è invece soffermata sulla questione fake news, chiedendo se Facebook interverrebbe per rimuovere palesi bugie postate da un politico; Himes, infine, ha chiesto a Zuckerberg cosa intende fare per promuovere una migliore consapevolezza negli utenti e una maggiore attenzione alla qualità del discorso pubblico.

Il CEO di Facebook ha provato a difendersi, sottolineando le difficoltà tecniche di fare ciò che i politici chiedono: la sua azienda non produce materiale giornalistico in proprio e non pone un filtro preventivo ai contenuti postati dagli utenti, per cui messaggi contrari alle policies della piattaforma possono non essere individuati immediatamente.

Zuckerberg ha poi allargato il suo ragionamento, spiegando che i discorsi dei politici sono di interesse pubblico e per questo non sono censurati (eccezioni a parte[4]) e concludendo con una frase che mi ha colpito: “I believe that people should be able to […] judge [politicians’] characters for themselves” (“Io credo che le persone dovrebbero giudicare i personaggi politici per conto proprio”)[5].

Nella maggior parte dei media (italiani[6] e stranieri[7]), l’audizione è stata vista come una severa e giusta “fustigazione pubblica” di Zuckerberg, colpevole di lasciare impunita, per pura avidità di denaro, la fascia di utenza che utilizza deliberatamente la piattaforma per promulgare idee di odio, violenza e bugie.

Pochi hanno preso sul serio e riflettuto sulle risposte del CEO di Facebook, che pure ha sollevato delle questioni molto importanti e delicate.

Al di là degli aspetti tecnici e legali (Facebook non è un giornale né può permettersi di censurare dei rappresentanti politici senza rischiare conseguenze), è profondamente sbagliato chiedere a un’azienda privata di controllare come si svolge il discorso pubblico.

Facebook è una piattaforma social, che permette agli utenti di condividere contenuti. Stop. Non è, e non deve essere, una “macchina della verità” che stabilisce cosa è vero e cosa è falso; tantomeno il suo compito è quello di “educare” i cittadini al pensiero critico.

È molto grave che dei rappresentanti del Congresso USA non si rendano conto di quanto siano pericolose le loro stesse proposte. Forse è ancor più grave che non se ne rendano conto i giornali. Gran parte delle dichiarazioni di politici possono essere considerate come false, o quantomeno imprecise: Facebook dovrebbe censurarle tutte?

Alexandra Ocasio-Cortez potrebbe diffondere il suo Green New Deal[8] in base a queste regole? Cosa significa chiedere alla piattaforma di promuovere una maggiore qualità del discorso pubblico? Significa censurare articoli e giornali in base al linguaggio utilizzato?

Tutti coloro che criticano l’eccesso di libertà di parola lo fanno sempre pensando alle opinioni che li disturbano o li preoccupano. Il problema è che una volta autorizzata la censura è molto difficile stabilirne il limite.


[1] Nelle intenzioni dei suoi proponenti (Facebook è solo una, anche se la principale, delle società coinvolte), Libra sarebbe una cripto-valuta per tutti coloro che non hanno accesso al sistema bancario, in tutto il mondo, agganciata ad un set di valute nazionali per garantirne la stabilità

[2] Lo scandalo Cambridge Analytica esplose all’inizio del 2018, quando si scoprì che l’omonima società inglese aveva raccolto illegalmente su Facebook i dati di milioni di utenti, a cui aveva successivamente inviato messaggi di propaganda elettorale

[3] L’audizione (sia in video che in trascrizione) può essere rivista integralmente a questo indirizzo: https://www.c-span.org/video/?465293-1/facebook-ceo-testimony-house-financial-services-committee&start=7914

[4] Rispondendo a Ocasio-Cortez, Zuckerberg ha dichiarato che Facebook censurerebbe incitamenti a violenza o dichiarazioni che impedirebbero l’effettivo esercizio del diritto di voto

[5] La risposta per esteso la si può trovare a questo link: https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=8KFQx-mc2Ao, a partire dal minuto 3.30 circa

[6] Ad esempio:
https://www.bbc.com/news/technology-50152062;
https://www.cnet.com/news/congress-pillories-zuckerberg-over-libra-cryptocurrency/;
https://www.wired.com/story/mark-zuckerberg-endures-another-grilling-capitol-hill/

[7] Ad esempio:
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/25/facebook-la-deputata-usa-ocasio-cortez-incalza-zuckerberg-durante-laudizione-al-congresso-il-video-fa-il-giro-del-mondo/5532310/;
https://www.ilsole24ore.com/art/facebook-ocasio-cortez-fa-pezzi-zuckerberg-congresso-ACqyTIu
https://www.giornalettismo.com/ocasio-cortez-zuckergberg-video/

[8] Il Green New Deal è un ambizioso programma di riconversione ecologica del sistema economico statunitense (qui la versione ufficiale presentata al Congresso: https://ocasio-cortez.house.gov/sites/ocasio-cortez.house.gov/files/Resolution%20on%20a%20Green%20New%20Deal.pdf) Molti critici lo considerano irrealistico e ritengono il suo costo pesantemente sottostimato (es. https://www.cato.org/publications/commentary/why-us-cant-afford-green-new-deal)