Tasse e Welfare. Rubrica “Welfare secondo un Liberista”

Nell’articolo precedente ho spiegato perché l’assistenzialismo è sbagliato. Ho cercato di evidenziare come l’assistenzialismo tende a dividere, tende a indebolire, tende ad escludere.

In questo articolo, pertanto, voglio provare a spiegare come si approccia un liberista al tema del Welfare.

Cosa vuol dire Welfare? Welfare può essere come qualcosa legato al benessere, al stare bene. Quando sentiamo Welfare State, vuol dire un governo che compie delle azioni allo scopo di “dare” un benessere a qualcuno.

Il Welfare State nasce da un’esigenza sociale. Soddisfare i più bisognosi. Ma da esigenza sociale, diventa pretesto per farla diventare giustizia sociale. Il presupposto è dunque togliere a chi ha troppo per dare a chi ha poco.

Nel welfare rientrano numerosi campi. Dal pensionato al lavoratore che perde il lavoro, dall’infortunato alla sanità per tutti. Quindi, secondo un welfare state tutti sono “protetti” e questa protezione dovrebbe coprire la persona, in teoria, dalla culla alla morte.

Sostanzialmente, il welfare, per come ci viene raccontato da decenni, è qualcosa legato al collettivismo e alla solidarietà. Tutto ciò però, all’insegna della coercizione statale. Una coercizione statale progressiva, direi. Infatti più sei ricco e più “devi essere” solidale con il prossimo, dando un contributo maggiore.

Ma cosa vuol dire per un liberista il welfare? Per un liberista, il benessere è un fattore individuale. Questo vuol dire che esiste un’azione umana che governa tutto. Non solo la tanto cara Mano Invisibile di Adam Smith, ma anche il fatto che il welfare può esistere senza lo Stato.

Provo a spiegarmi meglio. Quanti welfare esistono? Avendo studiato spesso queste tematiche, oltre al welfare state, mi vengono in mente una moltitudine di modelli di welfare. Abbiamo il welfare aziendale, il welfare associativo, welfare corporativo, welfare universale, ecc ecc.

Esiste un welfare liberista? Non può esistere un welfare liberista. Sarebbe una sorta di ossimoro. Un liberista può dare del benessere a qualcuno? Dipende.

Il Liberista non crede nella lotta alla disuguaglianza, ma crede nella lotta alla povertà. Pertanto, l’obiettivo del liberista non è quello di provare ad “equilibrare” i redditi, ma operare affinché tutti possano esprimere il proprio potenziale.

Fare in modo che tutti siano messi nella condizione di dare il meglio di sè, sempre e comunque.

Ma qualcuno potrebbe chiedermi, legittimamente, “ma il povero come si aiuta?”. Ebbene, un Liberista crede nella figura del Guardiano Notturno. Cosa vuol dire guardiano notturno? Vuol dire che lo Stato, in riferimento al tema welfare, si deve limitare a garantire un’uguaglianza di partenza per tutti.

Il Liberista vuole che il cittadino, in difficoltà economiche, detentore di un piccolo guadagno, non deve essere massacrato da tasse, dirette e indirette che siano. Quel piccolo reddito guadagnato deve essere protetto e valorizzato. Mi viene in mente la storica proposta di Milton Friedman sull’imposta negativa sul reddito, affinchè il cittadino con un reddito troppo inferiore alla soglia minima, riceva una detrazione delle tasse pagate, ottenendo un rimborso.

Questo perché welfare, per un liberista, vuol dire investimento. Investimento sulla persona. Un investimento che non deve ricadere sulle spalle di un’altra persona.

Mi viene in mente una straordinaria frase di Margaret Thatcher, presente in uno dei suoi testi autobiografici, “Come sono arrivata a downing street”

“Sono convinto che occorra giudicare una persona per i loro meriti e non per la loro provenienza. Credo che la persona che è pronta a lavorare più sodo è quella a cui spetta il compenso maggiore, un compenso che dovrebbe restargli anche dopo le tasse. Dobbiamo appoggiare i lavoratori e non gli imboscati: che non è solo lecito ma lodevole voler migliorare la propria famiglia con il proprio impegno“.

Ma come approcciare il pensiero liberista nella concretezza delle cose, come nella sanità, il carovita, la scuola?

Ci vediamo nel prossimo articolo.

I limiti della Libertà e la nostra responsabilità

Quasi tutti hanno avuto modo di finire il periodo di istruzione obbligatoria e sicuramente tutti hanno avuto la possibilità di finire la Scuola Primaria.

Io ho vividi ricordi di quel periodo, alcuni belli ed altri meno belli.

Mi ricordo bene di come, seduto sul banco, aspettavo costantemente la ricreazione per poter giocare con i miei amici e di quando, invece, speravo che le lezioni delle mie maestre non finissero mai.

Durante le scuole Elementari, mi ricordo che non andavo troppo d’accordo con la mia maestra di Italiano, tanto che la mia mente, quasi, si rifiutava di imparare decentemente i tempi verbali o di scrivere un buon tema.

Per fortuna, con la fine della scuola primaria e l’inizio della Secondaria di Primo Grado, queste lacune si affievolirono e cominciai ad elaborare contenuti molto originali che, a volte, mi diedero la soddisfazione di essere il migliore della mia classe.

Sebbene il mio astio per i tempi verbali non abbia voluto minimamente farsi da parte, durante il mio primo periodo alla scuola elementare ho maturato un profondo interesse per il peso delle parole.

Non mi riferisco a QUALI usare, ma a QUANDO usarle e di come fossero importanti in tal senso le figure retoriche, in particolare gli ossimori.

Riflettiamoci un secondo, quanta curiosità destano nella nostra mente parole messe una accanto all’altra con significati diametralmente opposti? Quanto ci fanno pensare e riflettere frasi come “rumoroso silenzio”, “caos calmo” o altre?

Ma, soprattutto, quand’è che queste parole dal significato contrastante possono andare oltre la semplice retorica e cercare di suggerirci qualcosa su cui bisognerebbe veramente riflettere?

Pensate, ad esempio, ad espressioni come “Assolutismo Illuminato” o a “tacita follia”, o al “tacito tumulto” di Pascoli. Egli utilizzava ossimori e sinestesia più per impressionare il lettore che per innescare nel suo cervello un ragionamento chiaro e razionale.

Quindi, è proprio su questa linea d’onda che mi sono sempre posto una domanda: La libertà, ha dei limiti?

Questo, secondo me, è l’ossimoro più intrigante sul quale si può creare una lucida conversazione tra persone, soprattutto, tra noi liberali.

Libertà è un concetto molto bello e appagante e accostare a questa parola il termine “limiti” sembra quasi annullarne la bellezza. Eppure è così, la libertà è tanto sacra quanto bella, tanto necessaria quanto pericolosa.

Ebbene si, la libertà va maneggiata con cura, è come un’arma o uno strumento potenzialmente pericoloso: essa consente l’opportunità di scegliere tra varie possibilità, in cui nessun genere di risultato è precluso: ne conseguirà che tramite l’uso della libertà avremo accesso ad ogni genere di capolavoro, così come contemporaneamente coesisteremo con la possibilità che, invece, vengano combinati dei guai, talvolta molto gravi.

Ma i primi non possono certo pagare per l’incapacità dei secondi.

Quindi, che fare? Annulliamo il diritto alla Libertà dell’individuo? Niente affatto. Dobbiamo però renderci conto che oltre a persone che possono usare questo mezzo nel migliore dei modi, ce ne possono essere altre capaci di fare dei danni o, talvolta, di far male ad altri con la loro Libertà.

Nasce quindi da questo ragionamento la mia domanda: ESISTONO DEI LIMITI ALLA LIBERTA’?

Dopo parecchie riflessioni, perlopiù interiori, sono arrivato ad una mia personalissima conclusione e la risposta è: SI.

Per quanto possa essere strano da dire o da ammettere, anche la libertà prevede dei limiti dettati, con ogni probabilità, più dalla nostra morale individuale che da enti esterni (come il nostro più acerrimo nemico: lo Stato).

Sia chiaro, ciò che distingue noi Liberali dagli anarchici è la voglia di libertà, pur sottostando a determinate leggi, purché queste non diventino coercitive, o per meglio dire, invadenti. Pensiamo alle allucinanti leggi che vorrebbero porre un controllo sulla libertà d’espressione dell’individuo oppure a quelle che vanno oltre la semplice “regolamentazione” o “tutela”, tanto da minare alle radici la nostra Libertà di parola o di azione.

Detto ciò, mi sono posto quindi un altro problema, logicamente consecutivo: “Quali sono questi limiti? Come possiamo trovarli?”.

Come ho scritto sopra, alcuni potrebbero subito far riferimento a ciò che ho sostenuto prima e affermare: “Le leggi”. Ma per rispondere adeguatamente a questa domanda torna nuovamente in mio aiuto il mio periodo da scolaretto, in quanto proprio in quegli anni mi venne insegnata una lezione molto importante. Ricordo che stavamo facendo una lezione di Educazione Civica (Ore di lezione buttate nella spazzatura) e ad un certo punto nel mio libro di testo vidi l’illustrazione di un bambino che passeggiava per la strada e nel mentre guardava una scritta sul muro che diceva: “La tua libertà finisce laddove comincia la mia”.

Pensiero troppo generico pensai, forse troppo stupido o forse troppo difficile da comprendere per un bambino della mia età.

Eppure, ultimamente quella scritta mi è tornata sempre più in mente e ha destato in me non poche riflessioni.

In fin dei conti, lo diceva anche Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America scrivendo nella Dichiarazione d’Indipendenza Americana:

“Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”

La Libertà con la L maiuscola. Mai una frase potrà accogliere meglio nella sua formulazione una parola così bella.

Perché in fondo, tutti noi liberali, al di là delle nostre differenze e delle nostre divergenze abbiamo una cosa che ci accomuna: la sete e la voglia di Libertà.

Essa è come quel caffè amaro, che bevi ogni mattina prima di andare all’Università o prima di andare a lavorare.

Probabilmente lo preferivi dolce, preferivi un aiuto da parte di qualcuno o qualcosa per buttarlo giù appena sveglio. Le prime volte non ti va a genio, eppure, subito dopo si rivela indispensabile, tanto da renderti quasi disgustoso quel sapore dolce, frutto della tua precedente abitudine.

La Libertà è parte imprescindibile del nostro essere, è quella cosa che fa esprimere il meglio o il peggio di noi e di cui nessuna persona sulla terra deve fare a meno.

Secondo Jefferson, siamo liberi di fare tutto; abbiamo la libertà di leggere un libro senza che nessuno ce lo impedisca, abbiamo la libertà di credere nel dio che più ci piace o di esternare come vogliamo il nostro orientamento politico o sessuale.

Eppure, spesso, questa Libertà rischia di estendersi troppo oltre, tanto da calpestare quella di altre persone che ci stanno vicino.

Se ci riflettiamo bene, essere liberi ci dà la possibilità di non sentirci incatenati, di avere la possibilità mentalmente, ma soprattutto fisicamente di fare ciò che più vogliamo. La libertà, quindi, in senso assoluto altro non è che la totale mancanza di vincoli e perciò non esiste legge, entità divina o altro che possa regolarla nell’immediato.

Considerate ad esempio i Nazisti. Hanno avuto la libertà di deportare il popolo Ebraico e di mandarlo a morire nei vari campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau o Bergen Belsen. Pensate ai Sovietici o ai Comunisti cinesi, che perseverando in questo orrore si sono sporcati le mani del sangue di oltre cento milioni di persone.

Ritenevano di avere la libertà di farlo, nessuno glielo ha impedito e nessuno ha potuto o voluto fare niente per impedirglielo.

Eppure, la loro libertà è arrivata a calpestare quella di oltre cento milioni di individui che da un giorno all’altro si sono visti privati di quella che potrebbe essere definita come la Libertà più grande: la Libertà alla Vita.

Possiamo prendere in considerazione casi anche meno gravi, il furto ad esempio.

Un ladro ha la libertà fisica di entrare a casa tua, prendersi il tuo bel televisore da 64” e andarsene via senza problemi, eppure nel fare questo egli sta calpestando la tua Libertà di poter vedere qualsiasi cosa tu voglia, tramite il frutto del tuo lavoro e del tuo sacrificio.

Arriva a questo punto la prima considerazione che potrebbe definire DOVE si possa godere la propria libertà, ovvero la proprietà privata.

Spesso mi domando cosa ci differenzi dagli altri animali. Pensate alle Aragoste.

Sto leggendo in questo periodo il famoso libro “12 regole per la Vita” di Jordan Peterson ed è incredibile come egli, nella formulazione della sua prima regola utilizzi l’esempio caratteriale e comportamentale di questi animali per legittimarla.

Non voglio certo farvi un riassunto di quel capitolo, sebbene vi raccomandi sinceramente di leggerlo. Voglio, però, prendere quell’esempio per dirvi come nella mente delle aragoste si sia formato un certo elemento comportamentale per la loro “scalata sociale” e per attaccare, più che per difendere, la libertà dei loro simili.

Qualcuno sarà lì pronto a obiettare il contrario e lo capisco, ma credo che ciò che ci differenzi di più dal mondo animale sia la volontà di non attaccare la libertà di chi ci sta accanto.

 Sebbene qualcuno con una tale attitudine esista, in generale, la nostra volontà rimane sempre quella di difendere la nostra libertà.

Diventa importante in questo modo per ognuno di noi difendere la Proprietà Privata, il frutto del proprio lavoro, nonché ciò che gli appartiene.

Quindi, dov’è che finiscono i nostri diritti, frutto della nostra libertà?
Forse non sono la persona adatta per rispondere a questa domanda, ma in generale mi verrebbe da dire che tutto può dipendere da un punto di vista personale, dalla propria indole caratteriale, dalla propria educazione e probabilmente dalla nostra capacità di comportarci da individui autonomi all’interno di una società composta da migliaia, milioni o miliardi di individui.

In generale potremmo pensare che essa arriva ad essere “troppa” quando facciamo del male fisico a delle persone, violando la loro proprietà corporea; Oppure quando entriamo in casa d’altri privandoli di qualsiasi cosa possa essere di loro proprietà.

Potremmo dunque arrivare a dedurre che la proprietà, di qualsiasi tipo, possa rappresentare una sorta di concretizzazione della nostra libertà e potrebbe diventare un buon punto di inizio per cercare di capire quali potrebbero essere questi limiti.

Ma a questo punto, arriva si presenrta un altro problema: se la Libertà può arrivare ad esprimersi tra le tante forme, anche con la proprietà privata dobbiamo noi preoccuparci della difesa della nostra proprietà?

Se qualcuno mi vuole fare del male, ho il diritto di difendermi? Se qualcuno vuole entrare in casa mia per rubare il mio televisore, ho il diritto di fare il possibile per far si che i miei cari rimangano illesi?

A queste domande, magari, eviterò di rispondere, sia a causa dell’accesa diatriba legale ancora in atto tra i nostri migliori Magistrati, sia perché rimane, a volte  un argomento di discussione tra noi Liberali.

Ma mi permetto di dire allo stesso modo un’altra cosa: il possedimento della libertà, per quanto detto prima, non impone che essa verrà sempre rispettata e non è detto che al mondo non esistano persone volenterose di “espandere” la propria anche a discapito della nostra.

Nasce quindi un altro concetto, che dovrebbe sempre essere scritto indelebilmente nella nostra testa: la responsabilità di ognuno di noi.

Come ho detto prima, se la libertà può essere in qualche modo rappresentata dalla nostra proprietà, ciò non implica che questa rimarrà imprescindibilmente sempre nostra.

Pensiamo a me bambino, a quando tra una lezione e l’altra mi divertivo con i miei amichetti a scambiarmi le figurine di Dragon Ball o di ciò che più andava di moda in quel periodo.

Avevo le mie figurine, erano mie, eppure c’era sempre qualche piccoletto più egoista di me che regolarmente provava a ledere i miei diritti e la mia Libertà tentando di rubarmene qualcuna.

A volta me ne accorgevo, altre volte no, altre volte lasciavo stare. Eppure, accadeva e la mia Libertà veniva violata.

Pensavo fosse un’ingiustizia e probabilmente lo era. Ma era anche colpa mia, perché nel mio esibire le mie figurine non avevo preso le giuste precauzioni affinché queste non venissero sottratte.

Pensavo che l’esistenza sola della libertà fosse indice di inviolabilità della stessa e mi beavo fino a quando non mi vedevo privato della stessa. Non ero stato responsabile, avrei dovuto prendere delle precauzioni.

Voglio portare alla vostra attenzione un evento accaduto durante la partita Lecce-Inter di quest’anno, finita 1-1.Durante quella partita è accaduto un episodio deplorevole, che fa male alla mia gente e non rappresenta minimamente quello che è lo spirito di accoglienza e di calorosità della mia terra.

Come dicevo, ad un certo punto della partita qualcuno in Curva Sud ha pensato bene (si fa per dire) di prendere la sciarpa di un tifoso interista, la cui unica colpa era quella di aver voluto vedere la sua squadra del cuore in mezzo a centinaia di altri tifosi Leccesi e di bruciarla di fronte agli occhi increduli degli altri tifosi.

Ora, non so quali siano state le dinamiche effettive del misfatto, ma mi viene da dire che il tifoso interista aveva la libertà di fare ciò che ha fatto, ovvero vedere la sua squadra del cuore allo Stadio anche se in mezzo a centinaia di tifosi rivali. È ciò che si fa in una società civile, quante volte durante i derby più importanti d’Italia vediamo le tifoserie condividere i medesimi settori nel pieno rispetto reciproco? Eppure, la realtà al Via del Mare è un po’ diversa e questo lo si sa. Molti tifosi vanno allo stadio non perché interessati alla partita, ma perché sono interessati a tutt’altro.

E accade così che un poveruomo che voleva solo vedersi una partita torna a casa sua svilito, amareggiato, magari arrabbiato perché qualcun altro si è permesso di violare la sua libertà, esercitando la forza, umiliandolo e facendogli del male per il solo gusto di farlo.

Ripeto, non so quali siano state effettivamente le dinamiche e forse potrei sbagliarmi. Ma l’uomo stesso che ha subito il danno non è solo una vittima ma anche un responsabile del danno subito.

Può far male dirlo e può far male sentirlo dire, ma egli è responsabile per il solo fatto che non sia stato capace in quel frangente di difenderla. Avrebbe potuto farlo con la forza, in quanto legittima difesa, oppure avrebbe potuto trovare altre precauzioni affinché si potesse vedere la partita senza che nessuno arrivasse a violare la sua proprietà, nonché la sua libertà.

Il punto spesso è questo: viviamo in un paese in cui esistono delle leggi che puniscono (giustamente) determinate azioni, tra cui l’omicidio, il furto o la violenza di ogni tipo e crediamo che la sola esistenza di queste leggi possa in qualche modo difenderci da assassini, ladri e violentatori di ogni tipo. Invece no.

La legge serve per punire, ma durante la messa in atto del reato come può essa difenderci? Pensate che un assassino o un ladro in procinto di compiere un reato si fermino nella loro azione criminosa solo perché esiste la legge? La risposta è no.

Ed è qui, in questo limbo in cui nessuno può difendere noi e la nostra libertà che sale in cattedra la nostra responsabilità.

È lei infatti che ci permette di evitare spesso e volentieri che ci venga fatto del male, è lei che ci dà la possibilità di goderci ciò che è nostro a dispetto di tutti coloro là fuori pronti a togliercela.

È lei, assieme al nostro buonsenso ed alla nostra forza d’animo e fisica che ci permette di fare in modo che la nostra libertà non venga calpestata e usurpata da altri. Quindi, se non siamo in grado di capire fin dove può estendersi la nostra libertà, dovremmo quantomeno imparare a difenderla e a responsabilizzarci. Ciò non toglie che non possano comunque accaderci cose brutte, ma questo è senza dubbio il primo passo per imparare che la libertà altro non è che un valore tanto forte quanto volatile e che da un momento all’altro ci può essere portata via.

Dunque sta solo a noi imparare a difenderla, perché se la libertà passa anche per la nostra proprietà, la difesa della stessa è il primo punto per imparare a comprenderla il meglio possibile.

L’assistenzialismo: come affrontarlo? – Rubrica “Welfare secondo un Liberista”

Nel primo articolo della rubrica “Welfare secondo un Liberista” ci siamo lasciati con un quesito.

Le politiche sociali possono svilupparsi tramite la coesione volontaria dei cittadini, l’autogestione del welfare, l’autogoverno del proprio vicinato o delle proprie cause sociali?

Non esiste risposta migliore se non quella di raccontare, passo dopo passo, come si approccia un liberista rispetto al tema del Welfare. In questo articolo, spiegherò come il liberista vede il tema dell’assistenzialismo.

Si dicono tante grandi bugie sul nostro conto. Un socialista è perfettamente convinto che per un liberista, il povero può morire di fame. Ci disegnano come dei perfetti ricchi borghesi.

Peccato però che non ci sia bisogno di fare troppi esempi su quanti liberali liberisti possiedano un reddito normale, in media con tutto il resto della popolazione. Potrei raccontare la mia vita, il mio percorso di vita.

Ebbene, io provengo da una famiglia, dal punto di vista economico, con qualche debolezza. Quando iniziai il mio percorso universitario, emigrando a Torino, avevo la consapevolezza di non avere alle spalle una famiglia forte. Sicuramente presente, ma non abbastanza da garantirmi una tranquillità economica.

Sono diventato liberista, sicuramente grazie agli studi, ma anche approcciandomi alla vita. Finito gli studi, inizi a lavorare. In quel momento capisci che hai di fronte dei grossi handicap. Essere assunto da un’azienda è molto difficile: in una grossa azienda devi fare i conti con la realtà: da una parte ci sono gli assunti “storici”, gli assunti figli dello Statuto dei Lavoratori, assunti con tanto di contratto indeterminato e protezione in-toto dei Sindacati.

Licenziare non è semplice, ma intanto la crisi è forte. Siamo alla fine del 2015 e l’inizio del 2016. Sembra che ci siano dei risvegli economici, ma è tutta apparenza. Con la crisi sul groppone, con un costo esorbitante del personale, le aziende ricorrono ad altri sistemi: contratti interinali, contratti a collaborazione, i voucher. Trovi di tutto, insomma. Ah si, poi ci sono gli immancabili stage.

Mentre inizio a cercare lavoro, vengo a scoprire di aver perso un treno: nel 2015, esattamente nel primo semestre, arrivano gli sgravi fiscali sui contratti a tempo indeterminato attuati dal Governo; una gran sfortuna, io stavo studiando, ero all’università in quel periodo, ora che ho concluso gli studi, mi rimangono le bricioline. I residui, insomma: grazie governo.

Nel frattempo, anche un mio amico stava cercando lavoro. Mi dice però che si sente molto sconsolato. Lui aveva più di 30 anni e perdeva tanti di quei “privilegi” utili per l’assunzione.

Per farla breve, sono esattamente quattro anni che lavoro. Ho cambiato tante aziende, sicuramente, ma ho sempre lavorato. Nonostante tutto, vuoi per la mia cultura politica, vuoi perché sono ambizioso, ho acquisito una mia filosofia di vita. Penso che alla mia età, giovane, l’unica cosa che posso fare è maturare, crescere, fare gavetta.

Questo non vuol dire vivere senza diritti, ma che alla nostra età abbiamo da dimostrare, non da chiedere. Poi, la vita è una scala sociale. Se sai salire sei stato bravo, altrimenti sei stato scadente.

Per un liberista la frase di Bill Gates, “Se sei nato povero non è colpa tua, ma se muori povero è colpa tua”, è una frase che rientra molto nelle mie dinamiche di pensiero.

Guardiamo la realtà italiana: ho appena fatto un piccolo racconto di come vive un giovane che entra nel mondo del lavoro. Entriamo in un contesto con una marea di “protezioni sociali“. Il difetto principale dell’assistenzialismo è che protegge il passato o il presente, ma non il futuro.

Protegge chi chiede in quel momento una copertura, ma penalizza tutto il resto. Il Governo del 2015 decise per gli sgravi fiscali per i contratti a tempo indeterminato, fu una decisione elettorale, probabilmente, ma che maturò tantissime assunzioni; in quel momento molti giovani non erano disponibili per entrare nel mercato del lavoro ed una volta pronti, i “rubinetti” erano ormai chiusi.

Anche perché l’assistenzialismo non potrà mai garantire una protezione universale, perché il meccanismo lo impedisce. Esattamente, parliamo di un meccanismo che prevede che chi produce reddito “protegga” chi non produce reddito. Ebbene, quando una categoria tende ad essere assistita dallo Stato, i detentori di reddito, esclusi dall’assistenzialismo, devono sobbarcarsi il peso.

Chi sono gli esclusi di oggi? Direi una donna casalinga che ha deciso da poco di immettersi nel lavoro; noi giovani che finiamo la scuola o l’università; chi si ritrova disoccupato a 50 anni.

Ecco, prima ho detto che l’assistenzialismo protegge il presente, ma non il futuro. Ebbene, l’esempio lampante sono il cambio di rotta genitori-figli. Storicamente, dall’ottocento fino a qualche anno fa, i figli tendevano ad essere sempre più ricchi dei genitori. Ebbene, quest’anno e prossimamente, per la prima volta, i genitori saranno più ricchi dei figli. Questo non era mai accaduto.

Ma esiste una categoria di esclusi non annunciata. I detentori di reddito. Cosa succede se chi ha un reddito si ritrova con le stesse difficoltà di chi non possiede un reddito?

Allo stesso attuale, diciamo che si ha ben poco su cui poter sperare. Anche analizzando il mio presente, direi che mi ritrovo in questa situazione: lavoro, ho uno stipendio, ma sono accompagnato da una spaventosa fragilità economica; basterebbe un soffio di vento per passare un mese complicato, eppure, per lo Stato, io non godo di alcun aiuto assistenziale. Al massimo, gli assegni famigliari se hai un figlio. Ma io non ho figli. Altra esclusione.

Alla prossima…

Fascismo ed antifascismo sono la stessa cosa?

Spesso, parlando di politica, si dice che “fascisti ed antifascisti sono la stessa cosa”. Fra chi abbraccia questo pensiero come fosse verità rivelata e chi lo rifugge vi è un dibattito interessante, ma che alla prova dei fatti dimostra come entrambi gli schieramenti abbiano torto.

In teoria sembra un ossimoro…

Ovviamente, verrebbe da dire, se si chiama “antifascismo” è ovvio che sia opposto al fascismo. Ma questo ragionamento aveva valore durante il regime, quando il fascismo era il male al governo e bisognava, uniti, sconfiggerlo.

Oggi le cose sono più complesse. Il fascismo è diviso in varie correnti e vi sono anche numerosi movimenti borderline, non chiaramente attribuibili ad esso.

Da ciò deriva una certa difficoltà a definire obiettivamente cosa sia il fascismo: ci sono fascismi che hanno accettato di buon grado la democrazia, fascismi dichiaratamente antirazzisti e pro-Islam e addirittura fascismi autonomisti!

Ovviamente sussistono alcuni elementi comuni quali la tendenza a volere un’economia socializzata, una proprietà privata che rispetti la funzione sociale e un certo nazionalismo.

…ma alla prova pratica è diverso

Piccolo problema: l’economia socializzata e la proprietà privata dalla funzione sociale mica la vogliono solo i fascisti, ma anche gran parte della sinistra. Quello del rossobrunismo, ossia superare le differenze tra rossi e neri per lottare assieme contro capitalismo e simili, non è di certo un fenomeno nuovo: Togliatti nel 1936 lodò la Rivoluzione Fascista e parlò di Mussolini come un traditore di tali ideali, Bombacci, un gran comunista che creò la propria edizione della Pravda dedicata a Mussolini, venne fucilato addirittura assieme a lui.

In sostanza definire un fascismo a cui opporsi è spesso difficile. Il modo migliore di farlo è sostenere un’ideologia che si opponga ai fondamenti del fascismo. Se si ritiene il fascismo fondamentalmente antidemocratico – quindi un metodo – è sufficiente sostenere qualsiasi ideologia democratica, mentre se si ritiene possibile un fascismo esistente in democrazia la cosa diviene più complessa.

Confusione tra antifascismo e antifa

Fin qui abbiamo, al massimo, mostrato come sia difficile essere antifascisti oggi, ma qualcosa deve aver originato l’equivoco di cui parliamo nel titolo. Questo qualcosa, naturalmente, è il movimento Antifa.

Trattasi di un movimento spontaneo composto principalmente da estremisti di sinistra, e questo movimento spesso adotta metodi e idee fasciste. Violenza – spesso associata a quella dei black bloc -, antisemitismo, rifiuto del capitalismo e della globalizzazione, minacce, distruzione di proprietà e anche peggio.

Non è certo strano che una persona normale e non troppo informata, quando sente per la decima volta in TV che gli Antifa hanno fatto squadrismo per distruggere qualche negozio random per diffondere le loro idee, pensi “sì ma certo, fascisti e antifascisti sono la stessa cosa”.

Ma, come abbiamo mostrato nel capitolo precedente, l’antifascismo non è un’ideologia a sé bensì l’adesione ad un’ideologia incompatibile col fascismo.

Per concludere

Naturalmente l’opposizione al fascismo non è rappresentata solo da qualche esagitato che si sarebbe trovato molto bene con le squadracce sansepolcriste. Affermare come l’antifascismo sia equivalente al fascismo, senza specificazione alcuna, è quantomeno ingenuo, se non addirittura in malafede.

Viene tuttavia da chiedersi, a più di settant’anni dalla fine del ventennio, se sia così importante la semplice etichetta di antifascismo. Onestamente credo che ormai sia più importante fare opposizione con la proprie idee ai residuati del fascismo piuttosto che opporsi ad un regime ormai morto e sepolto.

Perché sono tutti buoni a dire di voler togliere qualche fascio littorio in giro, ma quanti sarebbero disposti a rimuovere – o quantomeno a modificare radicalmente – i decreti fascisti ancora in vigore? Giusto per citarne alcune:

  • Il TULPS, sviluppato per far funzionare l’apparato di polizia fascista e in larga parte ancora in vigore
  • I vari reati di vilipendio
  • La regolamentazione della professione giornalistica
  • Vari altri decreti, leggi, enti e simili che servono solo a limitare la libertà economica e personale.