L’ascesa del Nazismo ci fu per colpa dei socialisti [Riflessioni su Hayek]

Friedrich Von Hayek, nel suo celeberrimo saggio La via della schiavitù evidenzia l’importantissima connessione tra gli intellettuali socialisti e quelli nazisti, profilando una manciata di importanti sostenitori marxisti tedeschi le cui convinzioni filosofiche si sarebbero radicalizzate durante la prima guerra mondiale.

Mentre le loro carriere accademiche erano incentrate sulla diffusione della filosofia socialista, molti in seguito giunsero alla conclusione che niente a parte il nazismo avrebbe aiutato a realizzare il necessario cambiamento rivoluzionario che ciascuno di loro desiderava, ovvero l’unione di tutte le forze anti-liberali nel socialismo.

Contrariamente al pensiero comune, Hayek sottolinea che il nazismo non è semplicemente nato in un pub della Baviera senza alcuna correlazione con la cultura tedesca, oltre al fatto che non abbia infettato come una malattia le pie anime dei tedeschi sotto il Kaiser. Le radici a cui fa riferimento crescevano negli ambiti accademici, riformulandosi nella tipica filosofia sintetizzabile nei seguenti precetti: la superiorità del popolo germanico (si può ben notare come fosse radicata da più di due secoli leggendo persino gli illuministi tedeschi pre-unitari), la rinuncia dell’Individuo e la distruzione della sua figura in favore della collettività (Hegel docet), la guerra ultima.

Il dodicesimo capitolo del saggio, intitolato “Le radici socialiste del nazismo“, inizia così:

È un errore comune considerare il nazionalsocialismo come una semplice rivolta contro la ragione, un movimento irrazionale privo di background intellettuale. Se così fosse, il movimento sarebbe molto meno pericoloso di quello che è. Ma nulla potrebbe essere più lontano dalla verità o più fuorviante.

Poche righe più avanti, disquisendo sui leader intellettuali del socialismo che in seguito aiutarono a gettare le basi intellettuali per l’ascesa del Terzo Reich, Hayek afferma:

Non si può negare che gli uomini che hanno prodotto le nuove dottrine fossero potenti scrittori che hanno lasciato l’impronta delle loro idee sull’intero pensiero europeo. Il loro sistema è stato sviluppato con una spietata coerenza. Una volta accettate le premesse da cui inizia, non c’è via di fuga dalla sua logica.

Continua poi:

Dal 1914 in poi nacque dalle fila del socialismo marxista un insegnante dopo l’altro che guidò, non i conservatori e i reazionari, ma il lavoratore laborioso e la gioventù idealista nella piega nazionalsocialista. Fu solo in seguito che l’ondata di socialismo nazionalista raggiunse un’importanza maggiore e crebbe rapidamente nella dottrina hitleriana.

Ora, l’analisi passa ai leader del pensiero socialista. Il primo della lista è Werner Sombart (1863-1941),  marxista devotissimo che in seguito abbracciò  calorosamente il nazionalsocialismo e la dittatura:

Sombart aveva iniziato come socialista marxista e, nel 1909, poteva affermare con orgoglio di aver dedicato la maggior parte della sua vita alla lotta per le idee di Karl Marx. Aveva fatto tutto il possibile per diffondere idee socialiste e risentimento anti-capitalista di varie sfumature in tutta la Germania; e se il pensiero tedesco era così intriso di elementi marxiani in un modo da non essere comparabile a nessun altro paese fino alla rivoluzione russa, questo era in gran parte dovuto a Sombart.

Quest’uomo era anche un forte sostenitore della guerra e del ruolo del soldato alla prussiana per ogni tedesco maschio e adulto. Aveva la forsennata convinzione che una guerra tra la società capitalista inglese di “venditori ambulanti” e la società guerriera tedesca di “eroi” fosse inevitabile e vitale per il progresso del mondo.

Successivamente Hayek si dedica al professor Johann Plenge (1874-1963), citando qualche brano di quest’ultimo:

È giunto il momento di riconoscere il fatto che il socialismo deve essere una politica di potere, perché deve essere un’organizzazione. Il socialismo deve conquistare il potere: non deve mai distruggere ciecamente il potere. E la questione più importante e cruciale per il socialismo nel tempo della guerra dei popoli è necessariamente questa: quale popolo è preminentemente chiamato al potere, perché è il leader esemplare nell’organizzazione dei popoli?

Anche questo, un altro fanatico pazzo. Eppure, fuori da queste righe, rispecchiava alla perfezione il pensiero socialista.

Hayek cita anche Oswald Spengler (1880-1936), il quale incanala il socialismo direttamente nel nazismo, come possiamo vedere da questo suo paragrafo:

La questione decisiva non solo per la Germania, ma per il mondo, che deve essere risolta dalla Germania per il mondo è: nel futuro sarà il commercio a governare lo stato, o lo stato a governare il commercio? Di fronte a questa domanda il prussianesimo e il socialismo hanno la stessa risposta. Prussianesimo e socialismo combattono l’Inghilterra che sta nel mezzo.

Direttamente nel nucleo socialista, e come specificato da questi pensatori tedeschi, il liberalismo era (ed è ancora oggi) l’arcinemico della pianificazione e dell’organizzazione. E a meno che non venisse adottato il nazionalsocialismo a tutti gli effetti, il concetto di individuo non sarebbe stato sufficientemente distrutto nella mente di tutte le persone da permettere il dominio autoritario.

Questo odio e timore nei confronti dell’individuo è la visione del mondo abbracciata da questi pensatori e continua con coloro che affermano di essere socialisti oggi. A meno che il concetto di individualismo non venga completamente sradicato dalla mente di ogni persona, lo Stato come Spirito Assoluto non può venire alla luce.

Ecco perché l’individualismo è estremamente importante: per evitare un nuovo dittatorialismo autoritario, dal quale saremmo destinati a non uscire più. È l’individuo, più di ogni altra arma, insieme alla visione filosofica che difende i suoi diritti, che presenta il più grande ostacolo al totalitarismo.

La libertà concessa per legge non è libertà

Una donna cinese disse del blocco del governo su Google:  “Il governo dovrebbe dare alle persone il diritto di vedere ciò che vogliono online“. Un classico esempio di mentalità statalista, sia da una parte sia dall’altra: il governo deve dirti in cosa sei libero, quanto sei libero, in che modo devi esercitare la tua libertà?

La signorina considera i diritti delle gentili concessioni da parte del governo, che possono essere date e tolte e, quindi, controllate e regolate.

Consideriamo la situazione economica in Cina. Gli affari vanno a gonfie vele. La prosperità è alle stelle. Il tenore di vita è al massimo storico. Molte persone stanno arricchendosi esponenzialmente (anche se molti di loro sono funzionari del Partito). Qual è la ragione di tutta questa vivacità economica?

Semplice. Sei in un sito liberale, di cosa starò per parlare? Il governo ha ridotto la quantità di controlli precedentemente esercitati sull’attività economica. Meno regolamenti. Meno tasse. Meno burocrazia. Ridotte le restrizioni all’importazione e all’esportazione. Più proprietà privata. E, pensa un po’, con queste piccole accortezze hanno stravolto il mercato globale.

Stai forse insinuando che i cinesi ora sono liberi, nel senso economico del termine?”  No, no, non esageriamo. Ciò che il governo cinese dà, il governo cinese può togliere. La questione è: il governo cinese sta permettendo alle aziende ed ai privati di avere una maggiore “libertà” economica. La parola chiave in tutto ciò è “permettere”. Quando qualcuno sta permettendo a qualcun altro di avere “libertà”, allora la persona non è libera affatto.

Il concetto che manca alla signorina cinese – anzi, ai socialisti in generale – è che i diritti sono fondamentali e innati. Come tali, vengono prima del governo. Pertanto, l’idea che il governo possa legittimamente dare e togliere e controllare e regolamentare i diritti delle persone è ridicola.

Qui però si parla, ma di quali diritti stiamo parlando? Esiste un unico diritto fondamentale, valido per tutte le persone, indipendentemente dall’etnia, dal colore, dal credo, dalla nazionalità, o qualsiasi altra cosa: è il diritto di vivere la propria vita con qualsiasi scelta si voglia, purché la condotta non infici nella libertà altrui o in quella collettiva.

Ahimè, è qui che casca l’asino. Gli statalisti nostrani considerano la libertà economica come un “diritto” che il governo dà alle persone. Dunque, non vedono nulla di sbagliato se sono i funzionari governativi a decidere chi può accedere a professioni e occupazioni, a controllare e regolare l’attività economica, a decidere in quale misura le persone saranno autorizzate a mantenere il proprio reddito ed a determinare come verranno spesi i soldi dei contribuenti.

A volte ci sono politici più gentili che consentono, una volta giunti al potere, ai privati di impegnarsi in attività economiche con meno controllo e tasse più basse. Ma non chiamiamoli liberali. La vera libertà implica vivere la propria vita come si vuole (purché bla bla bla) mentre il governo esercita il potere di fare nient’altro che proteggere l’esercizio di tale libertà.

Perché un omosessuale non dovrebbe essere socialista ma liberale

Socialismo e Omosessualità

Al giorno d’oggi è molto diffusa l’idea che a portare avanti le battaglie riguardanti i diritti omosessuali siano stati, nell’epoca moderna, sempre i socialisti.
Facendo questa assunzione si commette un gravissimo errore, poiché -andando indietro di un paio di secoli-i primi accenni ai diritti omosessuali derivano dall’Illuminismo. Chiaramente il concetto moderno di socialismo non era ancora nato, ma quando nacque la situazione non migliorò: pare che Marx ed Engels non fossero tanto disposti a ben accettare l’omosessualità, siccome non rientrava -a parer loro- fra le necessità della società.

Analizzando dunque la genealogia del pensiero, quali sono i motivi per cui i primi ad accettare l’omosessualità furono gli individualisti mentre a dichiararla fuori gioco furono proprio socialisti?

E’ anche vero fossero altri tempi, per cui il contesto sociale non permetteva una vera e propria accettazione di un pensiero così vicino a quello moderno, tuttavia il Socialismo si propone di perseguire l’evoluzione della società tramite la lotta di classe ambendo all’uguaglianza sostanziale.

Per poter arrivare all’uguaglianza sostanziale bisogna anzitutto trovare un modello perfetto che rappresenti ciò a cui tutti membri della società dovrebbero tendere; ma il problema risiede esattamente in questo loro precetto: fissati i parametri di uguaglianza sostanziale chiunque ne sia fuori dovrà raggiungerli.

Non è un caso che la destra socialista, fissati i parametri di rispetto nei confronti dei dogmi fra cui i classici Dio Patria Famiglia, affermi l’esclusione degli omosessuali dal bacino della normalità.

Questa destra è recalcitrante nell’accettare i diritti individuali: gli stessi che idolatrano lo Stato Sociale vedono come nemico colui che chiede di potersi esprimere, anche solo nel privato, in maniera diversa. La genesi di questo odio, in realtà, si ritrova nel conservatorismo in forma di limitazione mentale che non permette di accettare qualcosa di diverso dalla maggioranza, seguendo come gli animali l’istinto della conservazione e dunque volti a perpetrare -senza metterlo in discussione- ciò che ha concesso alla specie di andare avanti fino a quel momento.

Per compensare l’aver parlato di questa destra socialista, ora citerò Engels in una delle sue lettere a Marx:

«I pederasti [ndr: vezzeggiativo per “omosessuali”] iniziano a contarsi e scoprono di formare una potenza all’interno dello Stato. Mancava solo un’organizzazione, ma secondo questo libro sembra che esista già in segreto. E poiché contano uomini tanto importanti nei vecchi partiti ed anche nei nuovi, da Rösing a Schweitzer, la loro vittoria è inevitabile. D’ora in poi sarà: “Guerre aux cons, paix aux trous de cul!”» (Guerra alla gnocca, pace ai buchi di culo!)

L’enfasi sull’individualità nell’Illuminismo, la natura individualista del libero scambio e della libera associazione e la domanda di diritti individuali hanno indotto naturalmente a pensare più attentamente alla natura dell’individuo e a riconoscere gradualmente che la dignità dei diritti individuali deve essere estesa a tutte le persone.

Attualmente, molti omosessuali commettono l’errore di identificarsi in un gruppo di appartenenza, anziché identificarsi nella loro lotta per la conquista dei diritti individuali. In questa maniera non fanno altro che utilizzare lo stesso metodo dei loro avversari: creare un pensiero comune e autocefalo per contrastare un pensiero comune e autocefalo. (Benché di cefalico non ci sia molto, nella negazione dei diritti omosessuali)

I diritti individuali sono gli stessi per qualsiasi altra persona, è molto più equo  lottare maggiormente per i diritti individuali di libertà di scelta che per specifici diritti per gruppi, poiché ciò crea distinzioni e/o privilegi per i gruppi stessi.

Sessualità e Stato Autoritario

L’espressione sessuale umana può articolarsi in molteplici forme basate sulla scelta volontaria. La cultura occidentale ha la tendenza a limitare, inscatolare ed enumerare le possibilità delle persone; tutto ciò talvolta avviene tramite leggi, le quali non hanno più funzione limitativa bensì di catalogazione: ci dicono tutto ciò che possiamo fare, anziché ciò che non possiamo fare.

Per cui, gli individui non vengono più lasciati agire nella libertà, ma nel campo ristretto creato dalle leggi, non possono più effettuare scelte singolari riguardanti le questioni più intime, come religione e sessualità, venendo obbligati dalla società a dichiararsi cattolici, islamici, atei, oppure eterosessuali o omosessuali. Ciò che dovrebbe essere intimo, spesso diventa una bandiera alla vista di tutti.

Fino al 1750 circa gli uomini, in tutto il mondo occidentale, catturati in atti omosessuali furono bruciati al palo. Perché fino al 1750? Da allora una filosofia si stava diffondendo nel mondo occidentale, le cui dottrine individualistiche e umane dovevano alterare gli atteggiamenti pubblici e i codici legali. Questo era il liberalismo classico o, come direbbero ora, il libertarianismo, che insisteva nel limitare il potere dello Stato ad un minimo assoluto.

Così Jeremy Bentham, filosofo classico liberale e teorico legale, ha concluso che gli atti omosessuali volontari non dovrebbero essere vietati dalla legge, in quanto “crimini fittizi”, al massimo che danneggiano nessuno ma i partecipanti liberi. E John Stuart Mill, nel 1859, nel suo classico libertario On Liberty, ha presentato il seguente principio che, più di ogni altra formulazione, ha contribuito a liberare le persone gay dall’oppressione legale nel mondo inglese:

L’oggetto di questo saggio è quello di affermare un principio molto semplice come il diritto di governare i rapporti della società con l’individuo tramite compulsione e controllo […] Il principio è che il solo fine per cui l’umanità è tenuta, individualmente o collettivamente, ad interferire con la libertà d’azione di qualunque numero di essi è l’autoprotezione […] Il suo bene, fisico o morale, non è un mandato sufficiente […] Su di sé, sopra il proprio corpo e la propria mente, l’individuo è sovrano.

A causa del clima di opinione del loro tempo, la maggior parte dei liberali classici erano troppo prudenti per trarre le implicazioni logiche della loro filosofia specificamente per l’omosessualità; con il tempo è diventato sempre più evidente che la sovranità dell’individuo su sé necessariamente includeva le scelte sessuali.

 

Il punto di vista Individualista

Gli individualisti, i liberali ed i libertari non hanno mai dovuto sollevare la propria coscienza sul tema della “liberazione omosessuale” né costringerla a concedere anche agli omosessuali di essere cittadini di serie A, siccome lo erano già in partenza: un individualista promuove la piena libertà di sviluppo individuale per ogni persona, dunque crede implicitamente ai diritti gay.

Sul lungo termine, le persone omosessuali non avranno bisogno dell’aiuto dello Stato, non appena il progresso dei loro diritti e la relativa accettazione da parte della società saranno bisogni completamente espletati. Inoltre, è lo Stato stesso che ha per secoli demonizzato la figura degli omosessuali, condannandoli a morte o a rinnegare la propria sessualità, dunque come nessun individuo dovrebbe usare lo Stato e l’Autorità per imporre le proprie idee, nessuno dovrebbe imporre l’accettazione dell’omosessualità, benché sia un giusto principio individuale: ciò che lo Stato può imporre è il rispetto delle altrui Libertà, ma non deve opprimere chi la pensa diversamente.

Un accenno alle unioni civili: la vera questione che dovrebbe essere affrontata è il motivo per cui qualsiasi relazione richiede che la sanzione del governo sia valida. Non esiste alcuna funzione intrinseca che il governo esegue in un rapporto omosessuale o eterosessuale. Le licenze di matrimonio sono un buon flusso di entrate per lo Stato, ma non sono necessarie per un rapporto funzionale e soddisfacente. La classica risposta liberale al problema del matrimonio gay è quella di sostenere l’abolizione di tutte le licenze di matrimonio. Rimarranno quelle previste dalla religione, poiché il matrimonio è effettivamente un rito religioso.  Se ci sono certi diritti di eredità e determinazioni mediche, questi dovrebbero essere eseguiti contrattualmente indipendentemente da qualsiasi relazione matrimoniale o romantica. Allo stesso modo, se voglio designare un amico con cui non condivido una relazione romantica per questi stessi diritti, tale accordo dovrebbe essere consentito e supportato. Le licenze matrimoniali correnti dovrebbero essere eliminate e sostituite da una “licenza di reciproca dipendenza” o equivalente che consente agli individui di stabilire i diritti tradizionalmente associati al matrimonio, indipendentemente dalla natura della loro relazione o dal sesso di ciascun partner.

Su tutti questi aspetti – e su tanti altri – gli individualisti ed i liberali hanno adottato posizioni destinate a spostarci verso una società sostanzialmente più libera di quella che abbiamo ora. E nel nostro impegno verso un mondo dove gli omosessuali avranno la stessa opportunità di significato e dignità nella vita di tutti gli altri esseri umani, nessun altro ideale politico e filosofico potrà attaccarci.

La differenza tra Egoismo, Individualismo e Altruismo

Per definizione da dizionario, un egoista è colui che pensa e vuole pensare unicamente al proprio interesse, vediamo alcuni esempi:

  •  chi vota un partito (o una certa persona) perché gli ha reso favori;
  •  chi approfitta della società per i propri fini;
  •  chi viola o fa sopruso di altrui diritti, libertà e proprietà;
  •  chi obbliga altri ad esaudire i propri desideri;
  •  chi approfitta della propria posizione per ricevere favori.

Un egoista è un autoritario, vuole subordinare le volontà altrui alla propria e porre i riflettori unicamente sui propri valori. Non riconosci in questo atteggiamento un certo tipo di politica? Va bene, va bene, questo è un pezzo su ben altro,  non divago. Avere atteggiamenti egoistici può essere giusto o sbagliato a seconda del contesto, una persona che si caratterizza per il solo egoismo vizioso e prevaricatore è indubbiamente nel torto.

Sovente si associa all’individualismo una componente intrinseca di egoismo e noncuranza nei confronti degli altri, quando effettualmente l’individualista è tanto portato a rispettare profondamente la figura dell’Individuo, da non voler nuocere ad altri o minare alle loro libertà.

Pensando individualisticamente non si guarda solo al proprio bene, bensì alla difesa del bene di ogni Individuo, andando a toccare i punti più generali e dunque che siano applicabili a ogni altra persone che componga la società in cui si vive. Il diritto conquistato da un Individuo è un diritto conquistato da tutti gli altri. Sempre secondo gli individualisti, nessuno deve imporre all’Individuo il modo in cui perseguire il proprio bene, autorealizzarsi o anche solo diventare felice: proprio per questo non impone a nessuno la propria visione di bene, autorealizzazione o felicità, bensì cerca di perseguirne la strada a proprio modo, senza in alcun caso nuocere ad altri.

Parliamo dell’altruista. L’altruista non è per forza il collettivista (vuolsi dire socialista, comunista e derivati), anzi, vorrei evidenziare come spesso e volentieri la lotta fra classi e ceti sociali venga intrapresa unicamente per ottenere ricavi personali, al di là del fatto che possa arrecare danno a qualcuno, ancor meglio è se si ricavano benefici ai danni della classe o del ceto avverso.

Molti altruisti hanno il difetto di negare la propria individualità per il bene collettivo, molti altri sentono il forte bisogno di approvazione compiendo azioni socialmente ritenute buone, altri ancora credono che l’essenza della vita sia togliere diritti a taluni per darne altri a chi loro credono sia giusto dare appellandosi alla solidarietà.

L’altruista segue un comportamento che, se non estremizzato, consiste nell’aiutare i propri simili a conseguire un maggior benessere, sia in maniera disinteressata (ritenuta la forma più pura di altruismo) sia -perché no?- per una leale e smaliziata convenienza. Data questa visione, non è forse anche altruista la richiesta individualistica del lasciare che ogni Individuo sia artefice del proprio destino, del  bene, della religione, dell’intimità e delle decisioni che lo riguardano in quanto tale?

E non è forse egoista colui che lotta per avere anch’egli privilegi, anziché far sì che nessuno ne abbia?
Non è egoista chi impone le proprie volontà tramite l’autorità della Legge?
Non è egoista qualcuno che decida cosa fare dei soldi altrui solo perché gli gioverebbe?

Mi scuso nuovamente, sono ricaduto nell’agone politico!

Torniamo a noi, dopo tutto questo dire sembrerà che io voglia far intendere quanto sia altruista e di buon cuore l’individualista e quanto poco lo siano i collettivisti, ma ovviamente ho colto degli esempi che non rappresentano per forza né l’una né l’altra idea. A parte che noi Individualisti Feroci siamo brave persone per davvero, non siamo mica qui a pubblicare articoli, saggi, aforismi e immagini divertenti per una qualche convenienza, noi lo facciamo per l’idea in cui crediamo profondamente e speriamo sia la stessa idea in cui credi tu, caro lettore.

Prima di terminare, voglio precisare che ho trattato l’accezione negativa dell’egoismo e non mi sono soffermato sull’egoismo etico di Ayn Rand o quello superomistico di Nietzsche, perché lo farò in futuro.

Il mio intento era sfatare il falso mito secondo il quale gli individualisti sono egoisti viziosi, prevaricatori e sopraffattori (altrimenti dove sarebbe il rispetto per l’altrui Libertà?), approfittatori (sfruttare i bambini bengalesi non è liberale). E, tirando le somme, posso affermare serenamente che questo luogo comune è falso e che egoismo e altruismo siano caratteristiche dell’Individuo stesso e vadano oltre l’individualismo.

 

Il disastro del reddito di cittadinanza in Inghilterra

Nel 1601 la Regina Elisabetta sancì il diritto del cittadino britannico caduto in povertà, ad essere mantenuto dallo Stato.

Nel 1834 si abolirono questi soccorsi, siccome erano distribuiti con così larga ampiezza che erano divenuti un’integrazione al salario, il quale non necessitava più d’essere sufficiente al mantenimento della famiglia, siccome al resto ci pensava lo Stato.

Cerchiamo di contestualizzare storicamente quanto sopra: prima dell’atto di Elisabetta, assolvevano l’assistenza ai poveri i conventi e le fondazioni religiose; tuttavia suo padre, Enrico VIII, aveva fatto confisca di numerose proprietà ecclesiastiche, sancendo per implicito che da quel punto in avanti sarebbe stato un diritto dei poveri il porsi a carico dello Stato.

Tali soccorsi elemosinieri venivano distribuiti a domicilio a tutti i proletari, divenendo a poco a poco un grave per le casse del Regno.

Con l’abolizione dei soccorsi, vennero immediatamente cancellate le imposte locali a carico dell’industria, la quale non più doverosa nei confronti dello Stato reagì con una osservabile crescita, che sarebbe sfociata successivamente in concomitanza alla Seconda Rivoluzione Industriale.

Gli operai, che per la maggiore ritenevano indegno cadere a carico delle work-house (ricordate quei luoghi tanto tipici nella storia di Oliver Twist?), iniziarono feroci proteste richiedendo salari sufficienti a mantenere la famiglia.

 

Con l’ingresso dei socialisti in politica ed il loro sopravvento sul liberalismo classico (parliamo degli anni situati fra il 1897 e il 1909, con protagonisti Lord Passfield e la moglie Beatrice Webb, socialisti fabiani) vennero portate avanti nuove riforme sull’aiuto ai poveri, riportando in auge le work-house e le relative figure dei guardiani dei poveri.

A poco a poco, crearono leggi sparse, sovrapposte, non coordinate che decretarono la nascita di un regime burocratico dissoltosi solamente quattro decenni dopo, con il Rapporto Beveridge e la nascita del Welfare State.

Alcuni esempi della contorta burocrazia: per richiedere il sussidio assicurativo di disoccupazione bisognava rivolgersi a taluni funzionari del ministero del lavoro, una volta scaduto bisognava fare richieste del sussidio assistenziale semplice agli uffici locali di pubblica assistenza, mentre per malattia e invalidità ci si poteva rivolgere alle associazioni sottostanti al ministero della pubblica sanità, per la cecità alle contee, per richiedere la pensione dopo gli anni di lavoro dovuti bisognava nuovamente rivolgersi al ministero della pubblica sanità, per il supplemento di pensione la richiesta andava posta ai funzionari locali.

 

Ritorniamo ai soccorsi elemosinieri per gli operai: i coniugi Webb e Beveridge sostenevano che un reddito minimo garantito rappresenti la sicurezza del vivere e dunque l’incitamento a lavorare per migliorare la propria posizione.

Sorge spontanea la domanda: se già si ha un reddito minimo garantito, dunque si è provveduti del necessario per vivere nell’ozio, cosa si può chiedere di più dalla vita?

La domanda è retorica, perché la risposta è: niente.

Ammetto che se mi pagassero per non lavorare, indubbiamente non lavorerei più. Come me, molti. Questo gli inglesi lo hanno capito con un immenso ritardo; lo hanno compreso dopo aver perso le colonie più prospere a causa delle elevate tassazioni, dopo aver fatto crollare il proprio Impero per l’esorbitante costo degli ammortizzatori sociali, della burocrazia e dell’esercito.

L’Impero Britannico si reggeva sul monopolio commerciale in mezzo globo, potendosi così permettere il mantenimento dei poveri in patria. Man mano che l’Inghilterra perdeva colonie e potere commerciale ed al contempo dilagavano sempre più nuove riforme assistenziali, le casse dello Stato iniziavano a ridursi, raggiungendo una obbligata revisione (Beveridge, Churchill, Welfare State) che ha placato temporaneamente la discesa verso il baratro, per poi accentuarla.

 

La salvezza inglese è stata l’applicazione di una dottrina unilaterale di cui non farò il nome, ma ne esporrò l’esponente: Margaret Thatcher.

Sì, siamo ben lontani da una visione più moderna dello Stato Minimo, ma è stato un incipit. Una revisione organica e semplicizzata della società: impresa, iniziativa privata, Individuo, deregulation, privatizzazione, rilancio dell’economia di mercato, concorrenza, diffusione dell’azionariato delle ex aziende pubbliche, riduzione del potere sindacale. Dopo dieci anni di lungo lavoro, sono arrivati i risultati: l’inversione di rotta.

Lei stessa disse: “La storia mi darà ragione“.

E noi posteri, manzonianamente, possiamo sentenziare finalmente che avesse avuto ragione.

La falsificazione del Marxismo secondo Popper

Un giovane Popper rimase affascinato da Freud e Marx, poiché entrambi millantavano di aver creato teorie scientifiche.

Fu in gioventù militante del partito comunista austriaco, distaccatosene ben presto quando vide i funzionari acuire la lotta di classe attraverso il sacrificio di vite umane. Allora iniziò a sospettare di queste sedicenti teorie scientifiche, soprattutto del Marxismo, poiché cadeva sempre in piedi, se la cavava sempre nonostante più e più volte se ne dimostrasse la fallacia.

Karl Popper è difatti famoso per aver inventato un metodo basato sulla falsificabilità: l’errore ha un ruolo fondamentale nella scienza, poiché è proprio grazie agli errori che si affinano le strade verso una migliore approssimazione della verità.

La falsificabilità era tipica delle teorie di Galileo, Newton, Maxwell, ma non Freud e Marx. Per entrambi si riesce a trovare una scappatoia quando i conti non tornano.

Un enunciato universale che vuol porsi come una legge scientifica può essere messo in discussione e falsificato con un solo controesempio. Per ottenere ciò bisogna porre delle condizioni di partenza, delle ipotesi, dalle quali costruire il sistema che si va ad analizzare e vietare certi avvenimenti. (In matematica si parla molto di dimostrazioni per assurdo, se l’assurdo fosse applicato la teoria verrebbe smontata)

L’esempio lampante per tutti è proprio l’apologia al marxismo: presentatosi inizialmente come teoria scientifica, ha  completamente mancato le predizioni e ci sono stati numerosi controesempi della sua funzionabilità. I marxisti, anziché correggere il tiro e migliorare la teoria (cosa che avrebbero tranquillamente potuto fare con un passo indietro, rivisitando le proprie categorie interpretative), sono sempre riusciti a trovare l’eccezione (che NON conferma la regola, perché nessuna eccezione conferma una teoria scientifica) e dunque la spiegazione per l’anomalia incombente, terminando col dire che il loro schema iniziale non prevedeva tale avvenimento/serie di avvenimenti.

Allora, chiunque sia dotato di una forte logica, riconoscerebbe in tutto ciò non uno, bensì due errori: o la natura del linguaggio con cui è stata formulata la teoria è posta in modo tale da non ammettere falsificabilità, o è proprio tipico dei sostenitori del marxismo una chiusura entro le proprie idee pur di non prendere atto delle confutazioni.

Un’ulteriore critica fu quella a Hegel e Marx insieme, considerati fautori di sistemi politici che avrebbero portato ad una società meno aperta (così come nel suo volume “Platone totalitario” accusava il filosofo greco di aver tradito il Socrate illuminista e teorizzato una società tribale): Hegel e Marx sono falsi profeti adulati e adorati dal popolo, illuso al punto da credere ad una società perfetta utopica ma da tacciare come non corretti tutti i suoi tentativi di realizzazione attuatisi fin’ora.

Vorrei concludere con l’errore più grande, quello originario, quello che ha generato la nascita del socialismo: la credenza che la storia abbia una direzione.

Credere che il movimento triadico della dialettica possa applicarsi ai fenomeni storici -rendendoli schematici e dissociandoli dagli Individui-, consegnando al Fato il divenire perfetto della Storia, vuol significare credere in un determinismo meccanicistico che segua uno schema preconfigurato e dunque negare la possibilità degli individui di cambiare la direzione della storia e, dunque, del loro destino.

L’Individuo è artefice del proprio destino, ripetevano come una preghiera dogmatica gli illuminati rinascimentali, così come è vero che l’insieme degli Individui non ha un comportamento prestabilito, bensì segue ciò che i suoi componenti ritengono necessario per la realizzazione di una società aperta che tenda al benessere, alla pace e alla realizzazione di ognuno.

Come diventare Libertariano in 5 semplici passi

Mi piacerebbe illustrarvi come si diventa libertari in 5 semplici passi, io ancora non ci ho provato ma sono pronto per far come quei che va di notte, che porta il lume dietro e fa le persone dotte.

In seguito le fasi del pensiero che bisogna percorrere passo dopo passo, ragionamento dopo ragionamento:

  1. Requisiti fondamentali:  è fondamentale portare un enorme rispetto alle decisioni individuali, ovvero alla libertà di scelta, e alla capacità delle persone di decidere per sé stesse e per il proprio interesse. Non si può essere protezionisti e dire cos’è meglio per gli altri; come diceva qualcuno: gli stupidi imparano dalle proprie esperienze, mentre i saggi imparano da quelle altrui.
  2. Livello principiante: bisogna avere una totale sfiducia nei confronti della capacità del governo di rendere migliori la società, gli individui, le loro vite, il mercato; allo stesso modo non si devono accettare le persone che ne obbligano altre a fare ciò che non vogliono. Ogni azione è volontaria.
  3. Livello intermedio: il proibizionismo è inutile, ad esempio quando si parla di droghe; è importante tollerare gli omosessuali, poiché la loro è una scelta che viene effettuata nella sfera privata e rientra nelle libertà dell’Individuo; insomma, ognuno vive come vuole e non possiamo proibirglielo.
  4. Livello esperto: le tasse sono un furto. Totale scetticismo nei confronti dello stato e della redistribuzione del capitale. I tributi, in generale, sono un male necessario a garantire le funzioni fondamentali della società.
  5. Livello leggendario: il Libero Mercato, nel suo insieme di rapporti fra entità che scambiano beni, servizi, sentimenti e ricordi, è sacro ed inviolabile, si autoregola, non necessita di interferenze. Gli anarchici che piazzavano bombe per distruggere l’ordine prestabilito, in fondo, non erano così nel torto. Il massimo valore è la vita individuale, nessuno può dare direzioni su come vada vissuta la vita, non esiste il welfare, l’autoritarismo ed il collettivismo sono la rappresentazione del demonio.

Se sulla carta ti sembra facile, prova a sperimentarlo sulla tua pelle.

Le tette della Ratajkowski non offendono nessuno

Sono passati 16 mesi da quando Sadiq Khan, il sindaco di Londra, ha messo al bando le pubblicità immorali, da allora la situazione nella capitale inglese non è affatto migliorata, ne è la prova il mancato rinnovo alla licenza di Uber.

Tralasciando il fatto che due anni fa sostenesse di essere un Uber user e la sua incoerenza, possiamo tornare liberamente a parlare di bikini. Cosa che, invece, non si può fare a Londra.
Le tette di Emily Ratajkowski non fanno male a nessuno, eppure sono su Instagram, Facebook, Twitter, nei meandri del web e forse forse arrivano persino nel deep web. Come lei, migliaia di fitness model, modelle in bikini, attrici e ragazze di bella presenza pubblicano con una buona frequenza fotografie da calendario sexy.

E, diciamocelo chiaramente, anche le ragazze non resistono ad un bel manzo che dimostri di avere anche un cervello. Cosa c’è di male nell’apprezzare certe caratteristiche estetiche? Che siano dettate da canoni sociali o da gusti personali.

La moralità presuppone che qualcosa sia un bene e qualcos’altro un male: è una questione privata, come la religione, a cui dovrà pensare l’Individuo. Oggi si asserisce sia sbagliato mostrare il corpo femminile con la scusante di non offendere chi non rientra in determinati parametri o di non indurre alla depressione chi è più sensibile all’argomento, un po’ come se gli Individui non fossero capaci di discernere cosa sia giusto per loro; un domani la censura potrebbe spettare ai giornali, alle televisioni, ai siti web.

Questa idea di celare la comunità dietro ad una teca di vetro rende la comunità stessa estremamente instabile, poiché sempre più assuefatta dalla protezione dello Stato dai “pericoli morali”. Chiameranno sempre più spesso a gran voce l’intervento della censura, a proteggere fasce di popolazione che potrebbero sentirsi offese o umiliate al confronto.

Il futuro che loro vogliono è un futuro senza le tette della Ratajkowski; è questo il futuro che vogliamo anche noi Liberali?

Riflessione Liberale sul Comunismo

Il comunismo è la volontà di controllare tutto, è la paura della libertà.
In psicologia la mania del controllo è riconosciuta come un disturbo ossessivo-compulsivo della personalità, in politica viene chiamata socialismo.

Vediamo insieme questo brano:
“I rapporti borghesi di scambio e di produzione, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna, che ha creato magicamente mezzi di produzione e di scambio così potenti, fanno pensare a quello stregone che non è più capace di dominare le potenze oscure che egli stesso ha evocato.”

Lo stregone ha evocato il più grande distributore di ricchezza il cui gettone di pagamento è il merito. Un mercato non va regolato, bensì deve avere un dress code all’ingresso: chi accede non deve avere la possibilità di sovrastare la Libertà altrui e deve produrre con le stesse regole della concorrenza (conseguenza del punto precedente).

Tuttavia, nel sopra citato passo del Manifesto è ben evidente l’incapacità di riconoscere la disvelazione della Libertà, di credere in un sistema autoregolante a cui gli Individui possano accedere senza intermediari.

Posto lo stato come intermediario del mercato, sappiamo che esso può approfittare della sua posizione di superiorità e dettare le regole (è proprio ciò che vuole il comunismo, asserendo si riesca a farlo per il bene della società), da cui forzare determinati settori, ammalare la produzione dando assistenza ad imprese che secondo la “Distruzione creativa” di Schumpeter dovrebbero perire per essere sostituite dall’innovazione, falsificare e forzare la domanda dando incentivi sul consumo di qualcosa oltre le richieste (e non per forza secondo le esigenze) degli Individui.

L’insegnamento di Hegel era che bisognasse prendere atto della realtà e interpretarla come fosse un manoscritto sacro e inviolabile.
Con Marx l’interpretazione diventa studio scientifico, per cui fa delle previsioni completamente deterministiche dando come ipotesi il controllo del mercato, dei mezzi di produzione e dei rapporti di scambio, produzione e proprietà.

Il marxismo ha il merito di aver superato l’idealismo, il quale fa del concreto una manifestazione dell’astratto, ciò nonostante sostituisce ed evolve tale rapporto dualistico realtà-idea con una biunivocità fra la società caotica reale e la possibilità di regolarla con le idee.

La mania del controllo viene descritta con i seguenti sintomi su Wikipedia:
– Tendenza a conformarsi a procedure, abitudini o regole in modo eccessivo e non flessibile (=la cessione di tutti i rapporti allo Stato-padrone)
– Occorrenza di pensieri o comportamenti ripetitivi (=necessità di stabilire una staticità sociale nella vita dell’essere umano, inducendolo ad una vita ripetitiva in cui si dà quel che si può e si riceve ciò che si necessita)
– Costante perfezionismo (=materialismo dialettico con finale rivoluzione e dittatura del proletariato al fine di iniziare il processo di perfezionamento perfetto della società)

Mi spiace dirlo, o forse no, ma il comunismo è una malattia mentale ed i suoi derivati non sono altro che forme più lievi di essa.
Una incapacità di accettare la Libertà, di accettare che non esista un ordine prestabilito delle cose, di accettare l’autodeterminazione dell’Individuo.

di Alessio Cotroneo