Democrazia è sinonimo di uguaglianza, giustizia e bene comune?

La libera scelta può esistere almeno in una dittatura che può limitarsi, ma non sotto il governo di una democrazia illimitata che non può”, Friedrich Von Hayek.

Partendo da questa  famosa citazione dello studioso austriaco, in questo articolo tratteremo il tema della demarchia, ovvero dello stato minimo in regime di democrazia, il cui potere è quindi limitato.

Per un liberale di stampo evoluzionista l’accento va posto non sul “chi governa” ma sul “quanto potere ha chi governa”, la demarchia mostra proprio questa propensione alla ricerca di porre dei limiti al potere di chi governa, chiunque sia.

Il significato del termine “democrazia” è con il tempo diventato, ingiustificatamente ed in modo prettamente retorico, sinonimo di giustizia ed uguaglianza.

Come tutti sanno invece esso indica il governo del demos, ossia del popolo, non si tratta quindi di una caratteristica del governo ma è proprio la modalità, per citare nuovamente Hayek “indica un metodo per determinare decisioni politiche, non una qualità sostanziale”.

Si è assistito quindi alla degenerazione del concetto di modo di governo, approvando di fatto un sistema che rappresenta l’insieme incoerente di interessi particolari (non del demos quindi), a favore di un gruppo che riesce mantiene lo status quo grazie al proprio limitato consenso popolare.

Nella attuale democrazia, la maggioranza ripudia la limitazione del potere (necessaria per evitare la tirannia) perché qualunque suo desiderio viene ritenuto giusto per il semplice fatto che sia la maggioranza stessa a determinarlo.

Se il potere legislativo e quello esecutivo sono espressione della medesima maggioranza, a questo punto non vengono sottoposti a nessuna limitazione e il loro agire sarà indirizzato al mantenimento del loro consenso per non uscire dallo status quo, redistribuendo ad esempio reddito in nome di una fantomatica giustizia sociale (giustizia determinata dalla maggioranza).

Il governo dovrebbe essere soggetto alla Legge, non avere un potere illimitato, diventando così impossibilitato a rendere conto agli interessi particolari dei gruppi di consenso, non avendo modo di soddisfarli. L’emanazione poi di sole leggi generali ed astratte, valenti erga omnes, renderebbero i cittadini liberi di muoversi nella propria sfera di autonomia delimitata appunto da esse.

L’indiscutibilità del parlamento e del governo derivano da principi collettivisti il cui assunto è che le norme derivino da società preesistenti, quando nella realtà la società si è creata inintenzionalmente con l’interazione tra singoli individui che sulla base di principi comuni si sono uniti e si sono sottomessi a questi principi (estrinsecati nella Costituzione della Nazione) .

E’ necessaria quindi una sottomissione dei poteri legislativo ed esecutivo ai fondamenti della società creatasi in intenzionalmente, pena cadere nella tirannia della maggioranza.

La DEMARCHIA Heyekiana è una democrazia il cui potere non è illimitato giustificato dal fatto di essere espressione della maggioranza, ma limitato perché sottomesso ai principi sui quali si fonda la società.

Questo concetto non è mai stato più attuale di oggi, l’unica speranza di poter superare l’attuale imbarazzante stasi Istituzionale è proprio quella di poter muoversi verso la direzione demarchica, annullando di fatto la “tirannia” dei gruppi di consenso e dell’apparato burocratico, in nome della libertà e del merito.

L’ipocrisia dell’Europa verso il Sahara Occidentale

Con la risoluzione dell’ONU n.1542 del 1960 il Sahara Occidentale fu inserito nella lista dei territori “non autonomi” dall’assemblea generale. Il territorio era posto sotto il controllo del comitato di decolonizzazione delle Nazioni Unite, dopo che dal 1885 fu colonia del regno di Spagna.

14 anni dopo, nel 1974 con la risoluzione n. 3292 l’Assemblea Generale, in risposta alle rivalse del Marocco e della Mauritania, pose il quesito se il Sahara Occidentale potesse considerarsi “terra nullius” o da annettere al Marocco oppure alla Mauritania. La Corte, effettuate le dovute verifiche, stabilì che avrebbe dovuto proseguire il processo di decolonizzazione e che questo sarebbe dovuto sfociare nel compimento del diritto di autodeterminazione del popolo Sahrawi.

Nel 1975, in seguito alla “marcia verde” condotta da cittadini marocchini (qualche migliaio) che fu di fatto un’invasione, seppur pacifica, gli spagnoli abbandonarono definitivamente il territorio che venne spartito con gli accordi di Madrid, tra Marocco e Mauritania.
In seguito, in ottemperanza al diritto internazionale, i mauritani nel 1979 lasciarono i territori occupati mentre i marocchini non solo continuarono l’occupazione, ma condussero forti attacchi contro il fronte polisario (popolo saharawi) con l’uso, tra le altre, di armi al fosforo.

Dal 1991 l’ONU istituì la missione MINURSO, tutt’ora in corso, il cui end state sarebbe dovuto essere il referendum per l’autodeterminazione del popolo sahrawi. Nello stesso anno il Marocco, costruì un muro di 2000 km, che tutt’ora divide longitudinalmente il sahara occidentale, mantenendo l’occupazione della parte est.

Al momento 82 stati riconosco quella marocchina come occupazione (tutti gli stati africani, l’America latina e in Europa la sola Albania). L’Unione Europea e l’ONU non riconoscono la Repubblica Saharawi ma riconoscono  che la sovranità del Marocco sia indebita. A queste si aggiungono la lega araba e la maggior parte della comunità internazionale, ma solo gli stati che riconoscono il fronte polisario come unico rappresentante legittimo del Sahara Occidentale gli riconoscono lo status di governo in esilio.

 L’autodeterminazione del sahara occidentale è quindi, in base al diritto internazionale, espressamente riconosciuta. L’ultima battaglia, a favore del popolo sahrawi, è stata il 10 dicembre 2015, giorno in cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha annullato l’accordo commerciale di libero scambio tra Marocco e UE, in quanto lo stato nordafricano, scambiava merci frutto del territorio occupato, che di fatto non può essere riconosciuto come Marocco e violava quindi i diritti del popolo autoctono. La Corte ha quindi riconosciuto totale illegittimità alla sovranità marocchina in quelle terre, considerando illegale l’occupazione e lo sfruttamento del territorio.

Come mai in tutto questo tempo nessuno ha imposto realmente al Marocco di abbandonare i territori? Come mai l’UE da una parte riconosce l’occupazione e dall’altra il suo parlamento vota per accordi commerciali con il Marocco in cui non è specificato che le merci non devono provenire dal sahara occidentale? Perché se ci sono dal 1991 forze ONU sul terreno con lo scopo di giungere al referendum per l’autodeterminazione, questo ancora non si è tenuto?

Non entro nei dettagli ma è solo ed esclusivamente una questione economica. Ricordiamo che la Francia è membro permanente del consiglio di sicurezza e ha diritto di veto su tutti i provvedimenti proposti. Quest’ultimo è il problema più grande. La Francia, comunque, non è la sola ad avere interessi economici in quei territori, ne hanno di importanti anche Spagna e Germania. E l’Italia? Beh l’Italia come spesso accade non si schiera, si conforma al resto dell’Unione (a trazione guarda caso franco-tedesca).

Vien amaramente da sorridere, a pensare che non ci si soffermi molto a prendere in mano situazioni molto meno gravi e invece una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani che si perverta da decenni come la questione del western sahara, venga lasciata nella totale noncuranza, o meglio, vi si pone un finto interesse ipocrita.

Legge Severino: tra Incostituzionalità e Strumentalizzazione

La legge Severino stabilisce l’incandidabilità per i condannati in via definitiva per una serie di reati, ma anche la sospensione temporanea dall’incarico per governatori, sindaci, e amministratori locali che abbiano anche una sola condanna, in primo o secondo grado.

Le argomentazioni riguardo la Severino sono tornate in auge in questi giorni perché, come ricorderete, ha sancito la decadenza di Silvio Berlusconi dal Senato e la sua incandidabilità, verdetto sul quale il patron di Mediaset ha fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il 22 novembre scorso si è tenuta la prima udienza.

Le domande che ci si pone sono: questa legge è giusta? E’ in linea con la costituzione? E’ coerente con uno stato di diritto in regime di democrazia?

La Costituzione cita così: “art. 65 La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore“, “art. 66 Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.

Ad un occhio non particolarmente attento potrebbe sembrare chiusa la questione, ma non è così. Le cause d’incandidabilità configurano uno status di inidoneità funzionale all’assunzione di cariche elettive, le cause di ineleggibilità, servono invece a garantire la libera ed eguale espressione del voto del corpo elettorale. Dunque se le cause di ineleggibilità e incandidabilità non coincidono, è tutto da dimostrare che il legislatore possa definire incandidabile un cittadino alle elezioni per il Parlamento. Questo per quanto concerne l’art. 65 cost..

Per il successivo invece che stabilisce che «spetta alla Camera di appartenenza giudicare sui titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità», ci si addentra nelle questioni di incandidabilità sopravvenuta, in sostanza si parla di retroattività. Cioè l’organo giudiziario (potere giudiziario appunto) con una sentenza, può modificare la composizione politica del parlamento (potere legislativo) potendo portare alla decadenza del parlamentare che è stato precedentemente votato democraticamente.

A mio avviso ci sono gli estremi per andare contro anche ad un altro articolo della Costituzione, il terzo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Vien da chiedersi in fine, come una sentenza di primo (o secondo) grado, possa esser tenuta così tanto in considerazione, quando potrebbe essere sconfessata nei gradi successivi.

In conclusione, il mio parare sulla questione è che se un candidato non merita di sedere in Parlamento, questo deve essere sancito dall’elettore che democraticamente sceglierà di non votarlo conoscendo il suo pregresso giudiziario (o magari sì). Mai e poi mai, un potere diverso da quello legislativo deve poter influire sulle scelte democratiche dell’elettorato.