I postmodernisti della giustizia sociale vogliono la fine dell'Occidente liberale - Istituto Liberale Italiano Skip to content

I postmodernisti della giustizia sociale vogliono la fine dell’Occidente liberale

[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1617140108363{margin-bottom: 0px !important;}”]Il tribalismo, il marxismo culturale e l’antiliberalismo che permeano la scena politica italiana sono nettamente evidenti a chiunque abbia prestato interesse al fenomeno della crescita metastatica dei movimenti contemporanei di “giustizia sociale”.

Il liberalismo nella sua interezza e nella sua filosofia ha sempre sostenuto valori come libertà di parola e di espressione, la discussione civile e il libero scambio di idee, ha sempre reputato corretto giudicare gli individui in base al loro carattere e alle loro qualità, e non per mezzo di caratteristiche superficiali come il colore della pelle o il genere di appartenenza.

Dati alla mano, i movimenti giustizialisti e illiberali si oppongono a questo complesso di idee e valori, e per capire il motivo è prima necessario approfondire l’ideologia dietro alla “giustizia sociale”.

Nel fulcro del pensiero, la filosofia del movimento per la giustizia sociale è saldamente radicata nel marxismo culturale. Proprio come Karl Marx vide il capitalista come l’oppressore sfruttatore della classe operaia, il collettivismo illiberale adotta una visione del mondo in cui gli uomini bianchi eterosessuali sono la classe degli oppressori e le minoranze, come stranieri e donne, sono gli oppressi.

Oppure, nel caso opposto ma sempre di un altro tipo di collettivismo illiberale, la visione è quella di un mondo in cui i diritti dei bianchi sono messi in discussione dai non bianchi.

Potremmo persino essere d’accordo con chi promuove attualmente le parità, se non fosse per la chiara divergenza nell’affrontare la questione: il collettivismo illiberale ha respinto la tendenza del liberalismo a giudicare gli individui come individui e ha invece adottato l’approccio marxista di giudicare le persone sulla base del gruppo a cui appartengono, interscambiando le identità di etnia e di genere per quelle economiche.

L’ascesa del populismo di destra è in parte una reazione alla politica dell’identità della sinistra socialista che dipinge gli uomini bianchi in una luce negativa.

Qualche tempo fa, in Inghilterra, è passata una notizia che può dare l’esempio più lampante dei classici “giustizieri sociali”; una donna, dopo aver impedito l’accesso ad un evento agli individui di sesso maschile, ha affermato di fronte ai giornalisti:

“I, as an ethnic minority woman, cannot be racist or sexist towards white men, because racism and sexism describe structures of privilege based on race and gender, and therefore women of colour and non-binary genders cannot be racist or sexist as we do not stand to benefit from such a system.”

(Fonte: The Guardian https://www.theguardian.com/world/2015/may/20/goldsmiths-racism-row-divides-students-bahar-mustafa )

La traduzione:

Io, una donna appartenente alle minoranze etniche, non posso essere razzista o sessista nei confronti degli uomini bianchi, perché il razzismo e il sessismo descrivono strutture di privilegio basate sulla razza e sul genere, e quindi le donne di sesso e di genere non binario non possono essere razziste o sessiste, dunque non siamo in grado di beneficiare di un simile sistema.

Come? Pensi sia una supercazzola del Conte Raffaello Mascetti?

Ovviamente, è innegabile la presenza del razzismo sul suolo nazionale ed europeo e non voglio assolutamente difenderlo in alcun modo, poiché è sintomo di una fortissima ignoranza proveniente da una mentalità pregiudizievole.

I primi promotori dell’odio fra classi (che, oltretutto, hanno imposto loro), fra etnie, fra sessi, fra gruppi identitari sono proprio i collettivisti.  Il loro tribalismo illiberale è chiaramente intento a soffocare la libertà di parola, la libertà accademica e il libero scambio di idee, il tutto nel nome della loro visione di giustizia sociale.

Inoltre, sebbene pretendano di ridurre la frammentazione e la segregazione razziale, etnica e sessuale, probabilmente non ha fatto altro che promuoverle. Per il bene della libertà, dell’uguaglianza formale (e non sostanziale!) e della società civile, i liberali occidentali devono fare del loro meglio per convincere i propri concittadini che la cultura regressiva e illiberale non è un’ideologia che merita di essere sostenuta.

Concentriamoci ancora un attimo sul razzismo: per definizione, è la convinzione che alcune razze siano naturalmente superiori alle altre e che la razza sia il fattore determinante principale dei tratti umani. La discriminazione razziale consiste nel trattare le persone in modo diverso esclusivamente sulla base della loro razza e non ha nulla a che fare con “strutture e privilegi”.

I giustizieri sociali come questa donna hanno letteralmente ridefinito il razzismo per giustificare il proprio razzismo. Dal loro punto di vista, le loro azioni sono giustificate in quanto sono una risposta naturale all’oppressione.

Quando a qualcuno viene detto, o è implicito, che ci sono individui cattivi e che lo sono a causa del colore della pelle, dell’orientamento sessuale o quant’altro, è naturale che questi inizino ad associarsi ancora di più con quell’identità di gruppo basata su tali caratteristiche piuttosto che vedere se stessi come individui.

Il metodo utilizzato è il medesimo sia a destra che a sinistra (sia in quel noto movimento giustizialista tanto di moda ultimamente), mentre noi liberali proponiamo l’implicita soluzione adeguatissima al caso.

Invece di promuovere una società unificata in cui le persone si vedono come individui piuttosto che come parte di un particolare gruppo, il movimento per la giustizia sociale è probabilmente responsabile di un’ulteriore divisione delle persone lungo linee tribali. Esistono mezzi molto migliori per sradicare il razzismo e il sessismo dalla società rispetto alla politica dell’identità su cui si basa il movimento per la giustizia sociale.

Perché questi movimenti tribali intolleranti sono anche illiberali?

Il marxismo economico vede i mercati liberi e i diritti di proprietà privata (cioè la libertà economica) come un mezzo per proteggere la classe capitalista dal proletariato che sfruttano per mantenere la loro egemonia socioeconomica.

Il marxismo culturale comprende allo stesso modo le libertà politiche fondamentali, come la libertà di parola e di espressione, come meccanismi con cui coloro che detengono il potere, principalmente uomini eterosessuali bianchi, usano per mantenere la loro egemonia socioeconomica a vantaggio delle minoranze e delle donne.

Perché rispettare i diritti della classe di cui stai cercando di distruggere il potere? E così, secondo il pensiero marxista, i tuoi diritti politici dipendono interamente dalla classe a cui appartieni.

Così, invece di vedere la libertà di parola come un diritto individuale sacrosanto, il tribalismo illiberale la vede come un ostacolo sulla via della giustizia sociale.

Abbiamo sentito parlare della legge sulle fake news, ma il dibattito che si cela dietro è ancor più importante: una buona parte della componente illiberale ritiene sia compito dello Stato la censura delle dichiarazioni offensive alle minoranze.

Questa constatazione è triste, poiché sembra che i giovani siano sempre più inclini a mettere a tacere le persone con cui non sono d’accordo piuttosto che impegnarsi a contrastarli nel dibattito civile. Questa censura sarebbe solo l’inizio di una lunga serie di riforme illiberali.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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