“Il romanzo che si vende di più è quello del liberismo cattivo. Un liberismo che non c’è mai stato” – Intervista ad Alberto Mingardi

Alberto Mingardi, giornalista scrittore e divulgatore liberale italiano, ha fondato con Carlo Lottieri e Carlo Stagnaro, all’Istituto Bruno Leoni, un centro-studi di cui ora è Direttore Generale, che promuove le idee liberali. È scrittore di diversi libri tra cui “L’intelligenza del denaro” e “La verità, vi prego sul neoliberismo (trovate i link in fondo all’articolo). Ha collaborato per diverse riviste come “The Wall Street Journal” e “Washington Post”.

Prima di iniziare con l’intervista tengo a ringraziare Alberto per la sua collaborazione e pazienza.

Ecco l’intervista:


D: Secondo te, quello nei confronti del liberismo, è odio, paura, o entrambi?

R: Non credo si tratti necessariamente di odio o paura. E non credo neppure che il problema sia il “liberismo”, nel senso di un “sistema”, di una precisa costellazione di idee e proposte. Mi sembra che ci sia una generale avversione verso il libero mercato, un po’ perché “mercato” ma soprattutto perché “libero”. Siamo tutti abituati a pensare che, affinché una cosa sia “ordinata”, debba esserci qualcuno che mette ordine. Se questo qualcuno non c’è, se manca una autorità pronta a mettere “ciascuna al suo posto” risorse e persone, tendiamo a pensare che il risultato debba essere non un ordine spontaneo, ma un caos. Per questo avversiamo il mercato e chiediamo a gran voce l’intervento di qualcuno che dica a tutti quanto debbono guadagnare, se e quando debbono tenere aperto il loro negozio, che cosa debbono o non debbono vendere, eccetera.

 

 

D: Come mai, secondo te questa avversione nei confronti liberismo è presente più in Italia o anche in altri paesi?

R: Non so se questa avversione nei confronti del libero mercato sia più forte in Italia che altrove. Certo in Italia è più sorprendente: in alcune aree della penisola italica esiste una vocazione all’imprenditoria diffusa, ben radicata, di straordinario successo nel nostro Paese ed altrove. Gli italiani tutti sono molto cinici e non venerano le istituzioni pubbliche: anche se sono prontissimi a trarne vantaggio quando possibile. Questo è un Paese in cui, da anni, la classe politica gode di scarsa stima della popolazione nel suo complesso. E in passato svariati tentativi di orientare “dall’alto” e “dal centro” lo sviluppo sono naufragati miseramente. Insomma, che lo Stato mamma non sia la soluzione, e che lo Stato “innovatore” sia una contraddizione in termini, dovremmo averlo imparato. E invece…

 

D: Questo odio non ti sembra sia causato, in buona percentuale, dal malessere italiano derivato dalle pessime politiche italiane degli ultimi quarant’anni?

R: Saranno state pessime queste politiche, ma certamente non sono state né liberiste né liberali. A maggior ragione, di fondo, dovremmo aver sviluppato una certa domanda di liberismo. Invece nel ricordo si esagerano i pretesi disastri di alcune fra le pochissime scelte che andavano nella riduzione del perimetro pubblico (dal divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia alla privatizzazione delle autostrade) e si costruisce una mistica dei bei tempi andati, dei successi del debito, dell’epica delle partecipazioni statali. Le persone sono inclini a considerare con favore gli anni della propria gioventù, e fra il ripianto della prima automobile e della prima fidanzata e la nostalgia del Pentapartito il passo è strepitosamente breve. C’è ben poco di razionale, in tutto questo. E a ragione: le persone normali dedicano alle questioni pubbliche un’attenzione minima, le considerano (giustamente) assai remote e lontane dagli ambiti nei quali la loro volontà ha un peso e sui quali possono esercitare influenza, vi si avvicinano con il gusto di ascoltare una storia e oggi la narrazione dominante, il romanzo che si vende di più, è quello dello statalismo buono e del liberismo cattivo. Un liberismo che non c’è mai stato, ma questo è un dettaglio.

D: Basta leggere un libro, come l’ultimo che hai scritto tu ad esempio, per dimostrare che il liberismo ha portato ad un enorme miglioramento nella qualità della vita degli individui (sotto tutti gli aspetti, economico, sociale, culturale ecc…). Ma allora perché c’è così tanta disinformazione in questo tema?

N. Se tutti sono diffidenti nei confronti un ordine non pianificato, per gli intellettuali un ordine non pianificato è un’opportunità sprecata: perché credono di sapere bene chi saprebbe porre ordine nel caos, chi ha le idee giuste su come impiegare le risorse, chi dispone di criteri chiari e meditati sul prezzo che deve avere un certo bene, sul valore di un’opera d’arte, sul senso di un romanzo, sull’importanza di un’invenzione. A loro basta guardarsi allo specchio: gli intellettuali, a parte quei pochi che tradiscono la tribù e che per questo sono marchiati come servi del capitale o peggio, sono convinti che la società dev’essere diretta, e dev’essere diretta da loro, altrimenti saranno guai.

D: “Per odiare qualcosa bisogna conoscerla. Scendere pure in piazza contro il libero mercato. Ma, prima, cercate di capire di che si tratta”. Questa è la frase che più mi è rimasta impressa del tuo libro. Come dovremmo fare, però, secondo te, a divulgare il liberismo in maniera oggettiva cercando di far capire alle persone “di che si tratta”?

R: Le maniere oggettive non esistono. Non solo le risposte che diamo ma prima ancora le domande che ci facciamo sono profondamente condizionate dal nostro modo di pensare la società, da ciò che noi riteniamo sia importante, dalla nostra preferenza per la libertà o per l’ordine, per il progresso economico o per la giustizia sociale. Ma un conto è essere partigiani, che è inevitabile, un altro è essere bugiardi, scorretti o faziosi nel dar conto dei dati. Bisogna essere intellettualmente onesti, non pensare di poter dare tutte le risposte, attenti alla realtà e rigorosi nell’interpretarla. Oggi, la priorità mi sembra sia soprattutto fornire una lettura diversa, più realistica, della situazione in cui ci troviamo, soprattutto rispetto a due temi: progresso tecnologico e diseguaglianze. L’una cosa e l’altra vengono utilizzati per cucinare una storia nella quale il mercato è diabolico e mai come oggi c’è bisogno di Stato per salvarci da un futuro alla Blade Runner. A me pare che siano paure ingiustificate, ma questi sono i temi sui quali, con pacatezza e pazienza, con correttezza intellettuale e senza forzature, bisogna costruire una narrazione alternativa, che racconti e spieghi meglio quanto accade nel mondo in cui viviamo.

D: Il liberismo si basa sul ragionamento di “Laissez-les faire et laissez-les passer”, lasciare fare agli altri della propria vita ciò che vogliano finché non nuocciano nessuno. Perché, anche questo concetto, oramai così scontato e, l’unico per costruire una società civile e felice, fa così fatica ad entrare nella mente degli italiani?

R: L’espressione “laissez faire” è stata trasformata in una caricatura e molto spesso viene considerata alla stregua di una invocazione all’anarchia. In realtà il liberismo è fatto di regole, il libero mercato è un contesto nel quale chi rompe paga, e le sanzioni di mercato sono severissime e inappellabili. Al contrario gli statalisti invocano regole per tutti, ma queste regole non fanno che certificare la discrezionalità dell’attore pubblico, che deve poter fare ogni e qualsiasi cosa desideri. Forse ad apprezzare l’idea è soprattutto chi è sempre alla ricerca di un “santo in paradiso” ma, come già detto, non credo sia questo il caso. Se fossero stataliste solo le persone cui davvero lo statalismo conviene, avremmo molti più liberisti in circolazione. Ciò che conta è la nostra diffidenza verso tutto ciò che non è pianificato.

D: In una parte del tuo libro evidenzi come la spesa sociale stia aumentando sempre di più arrivando a circa il 30% del PIL. Secondo te, un sistema meritocratico all’interno del lavoro pubblico, può aiutare ad una riduzione della spesa? O sarebbe ideale l’abolizione totale o parziale del welfare-state?

R: Non mi è ben chiaro cosa significhi un sistema meritocratico all’interno del lavoro pubblico. All’interno della pubblica amministrazione, gli incentivi sono diversi  a quelli che ci sono nel settore privato, e non può essere altrimenti. La cosa da fare è ragionare su quanto esteso deve essere il perimetro dello Stato, su quali sono i beni e servizi che lo Stato deve fornire direttamente organizzandone l’erogazione, su quali sono i beni e servizi che al contrario esso può acquistare da privati in concorrenza. Se ci dà fastidio che i primari abbiano bisogno di un padrino politico, la soluzione è restituire al settore privato gli ospedali, pagando semmai le prestazioni che erogano. Non è una soluzione perfetta, ci saranno sempre truffe e truffatori, perché siamo tutti esseri umani, sia che lavoriamo nel pubblico sia che lavoriamo nel privato, ma almeno mette una intercapedine fra la politica e, appunto, il lavoro dei medici. Ma se una certa funzione resta all’interno del perimetro pubblico non possiamo stupirci se obbedisce a esigenze e necessità politiche.

D: Noi italiani siamo sempre stati un popolo egocentrico, anzi culturocentrico. Riteniamo la nostra cultura e mentalità superiore a quella di tutte le altre nazioni. Pensi questo sia una delle cause che permettono oggi cosi tanta disinformazione su questo tema?

R: No. E non mi sembra sia questo il caso. Gli italiani pensano di solito abbastanza male di se stessi, anche perché si conoscono. Uno dei loro passatempi preferiti è biasimare tizio o caio perché hanno conquistato una certa posizione non in virtù dei propri meriti, ma in ragione dei favori e delle protezioni che sono riusciti a lucrare. Gli italiani in realtà i loro limiti li conoscono benissimo e fino a qualche anno fa, pur di malavoglia, erano convinti di doverli superare. Si pensi al fatto che la riforma Fornero è stata fatta solo come quattro ore di sciopero generale: se non è senso di responsabilità quello! Poi è cominciata una stagione diversa. I bassi tassi d’interesse hanno convinto i decisori che non si dovesse pigiare l’acceleratore sulle riforme, perché continuare a indebitarsi costava poco. Questo ha fomentato una forte ostilità alle, peraltro poche, riforme del periodo precedente: come se si trattasse di macchinazioni di una “élite” arcigna e cattiva. I due partiti oggi al governo hanno estremizzato questo atteggiamento e, forse per la prima volta nella nostra storia, non dicono agli italiani che è necessario fare riforme, che bisogna cambiare passo, che dobbiamo stare agganciati all’Europa. Dicono loro che va tutto bene così com’è, che sono migliori le banche in cui non si parla inglese, che c’è un sentimento anti-italiano che abita l’Europa mentre le nostre istituzioni e le nostre prassi vanno bene così come sono. Non è che pensiamo che la nostra cultura e le nostre istituzioni siano migliori: non lo pensiamo affatto. Ma ci stiamo convincendo, ci stanno convincendo, che la faremo sempre franca in ogni caso.

D: In generale il liberismo è sempre più respinto dalle nazioni, perché?

R: Oggi perché il discorso politico è tutto incentrato sulla politica dell’identità e nel discorso caro alla politica dell’identità le politiche economiche, liberiste o meno, hanno poco peso. Anche in Italia. Le questioni che suscitano entusiasmo e attenzione sono che cos’è una famiglia, quanti e quali immigrati possiamo accogliere senza “snaturare” la nostra cultura, quali sono i “diritti” di cui debbano godere questo o quel gruppo. La politica dell’identità annulla l’individuo, ci riporta a uno scontro fra tribù, bianchi contro neri, etero contro gay, uomini contro donne e quant’altro. La politica dell’identità è intrinsecamente anti-individualista mentre, al contrario, una discussione politica nella quale le politiche economiche hanno spazio abbraccia una prospettiva sostanzialmente individualista: consente al cittadino di interrogarsi su costi e benefici per lui, non su simboli che confortano questo o quel clan.

D: Tre testi che consigli ad una persona che vuole cominciare a studiare e capire le dinamiche del liberismo.

R: I due libri di Milton e Rose Friedman, Capitalismo e libertà (https://www.amazon.it/Capitalismo-libert%C3%A0-Milton-Friedman/dp/8864400230/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&keywords=capitalismo+e+libert%C3%A0&qid=1556949922&s=gateway&sr=8-1) e Liberi di scegliere (https://www.amazon.it/Liberi-scegliere-Una-prospettiva-personale/dp/8864401601/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&keywords=liberi+di+scegliere&qid=1556949939&s=gateway&sr=8-1), sono testi che hanno avuto una straordinaria fortuna, proprio perché riescono a spiegare con un linguaggio semplice, ma non per questo impreciso o poco rigoroso, come funziona quel tanto o quel poco di libero mercato che sopravvive nei nostri Paesi, e come invece lo statalismo prova a inquinarne gli esiti. Più di recente, Eamonn Butler, il direttore dell’Adam Smith Institute (https://www.adamsmith.org/), ha scritto dei libretti molto veloci ma chiarissimi, alcuni tradotti anche da IBL Libri, per avvicinare a queste idee persone che non le hanno mai frequentate (https://www.amazon.it/ricchezza-nazioni-pillole-distillato-sentimenti-ebook/dp/B00TVLMWDC/ref=sr_1_fkmrnull_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&keywords=la+ricchezza+delle+nazioni+pillole&qid=1556949965&s=gateway&sr=8-1-fkmrnull o https://www.amazon.it/Liberalismo-classico-Unintroduzione-Eamonn-Butler-ebook/dp/B07BQQHM25/ref=sr_1_1?qid=1556949983&refinements=p_27%3AEamonn+Butler&s=digital-text&sr=1-1&text=Eamonn+Butler). In queste occasioni di norma non si fa, perché è poco elegante, ma consiglio anche i miei libri, La verità, vi prego, sul neoliberismo (https://www.amazon.it/Neoliberismo-Alberto-Mingardi/dp/883174299X/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&keywords=mingardi+neoliberismo&qid=1556950027&s=gateway&sr=8-1) e il precedente L’intelligenza del denaro (sempre Marsilio, 2013 https://www.amazon.it/Lintelligenza-del-denaro-Alberto-Mingardi/dp/8831713310/ref=sr_1_fkmrnull_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&keywords=mingardi+intelligenza&qid=1556950005&s=gateway&sr=8-1-fkmrnull), perché lo ho scritti proprio pensando a un lettore scettico e diffidente, cercando di rispondere come meglio potevo ai suoi dubbi e alle sue perplessità sul libero mercato.