Evasione fiscale? La colpa è dello Stato

In questa settimana è tornata, direi con prepotenza, il tema dell’evasione fiscale. Oltre ai soliti slogan “se finalmente pagano tutti, potremo abbassare le tasse”, arrivano nuovi slogan e, soprattutto, nuove proposte.

Il Movimento 5 Stelle è giunto a proporre il carcere per chi non paga le tasse. Non si tratta di qualcosa di basso rilievo, ma di carcere fino a 8 anni con possibilità di confiscare i beni. Quest’ultima misura, oggi, è prevista solo per reati di Mafia. Ma l’interesse di Luigi Di Maio è di estenderlo anche a coloro che non pagano le tasse.

La battaglia all’evasione fiscale è dunque iniziata. Lo dimostrano le stesse parole dell’attuale Presidente del Consiglio:

“Stiamo mettendo a punto gli ultimi dettagli della manovra, le ultime misure, non voglio anticipare ovviamente i dettagli ma ci sta molto impegnando il piano anti-evasione”.

Le cifre dell’evasione fiscale sono spaventose per dimensioni. Si parla di circa 100 miliardi di euro. Le principali evasioni provengono dall’IVA e dall’IRPEF.

Sempre secondo il presidente Conte:

“Essere onesti conviene, recuperare un euro dall’economia sommersa significa poter investire nella scuola pubblica, poter investire negli ospedali, significa poter ridurre le tasse a tutti”.

Eccolo quà. Si torna sempre al punto di partenza. L’immancabile slogan “pagare tutti per pagare meno” è ormai roba diffusa tra i lottatori contro l’evasione fiscale.

Peccato però che questo slogan sia più falso di una banconota di 15 euro. L’impressione è che anche stavolta, il governo di turno, è cieco rispetto all’attuale scenario. Cieco, o meglio, finto-cieco? Forse non è nemmeno corretto definirli ciechi. Forse questa strategia di comunicazione è particolarmente efficace per il socialista di turno.

Attualmente, la realtà italiana è ben diversa da quella raccontata da Conte:

  • Spesa Pubblica: +2.4% rispetto al 2018
  • Pressione fiscale generale pari al 55% (550€ ogni 1000 di PIL finiscono allo Stato)
  • Abbiamo lo stesso PIL pro capite di 15 anni fa
  • Non si riscontrano aumenti significativi di produttività negli ultimi 25 anni
  • Un dipendente costa all’azienda quasi il doppio (rispetto all’effettivo stipendio ricevuto dal lavoratore – ndr)
  • La quota di profitto – che riguarda le società non finanziarie e il reddito da capitale ottenuto sul valore aggiunto prodotto – è al 40,7%, cifra più bassa dal 1999
  • Molti servizi pubblici sono del tutto inefficienti

(Dati raccolti Da Institute Heritage, OCSE, CGIA di Mestre, 2019)

Questi dati, seppur non esaustivi, devono invitarci a fare una riflessione molto seria. Ci sono delle differenze sostanziali tra i dati reali dell’economia italiana rispetto al racconto del Governo. Il Governo di turno racconta l’evasione fiscale come una “mancata solidarietà”, “i cattivi che non vogliono pagare le tasse”, “l’avidità dei ricchi”. In realtà il quadro italiano racconta tutt’altro. Racconta un Paese in estrema difficoltà economica. Le aziende non vanno avanti, ma si trascinano avanti. La produttività è appena sufficiente, i profitti sono appena sufficienti, i redditi degli italiani sono gli stessi.

Il Governo e la stessa OCSE (documento aprile 2019) spiegano come i sussidi alla povertà dovrebbero stimolare la ripresa economica. Allora, Vi pongo una domanda: se in Italia gli occupati sono il 59% (dati ISTAT), il reddito pro capite allo stesso livello del 2004, con una spesa pubblica che nel 2004 incideva del 15% e nel 2019 incide del 26%, con una pressione fiscale generale che nel 1999 era al 49.7% e oggi al 55%, come possiamo pretendere che gli italiani possano resistere economicamente?

Questo è un torto incredibile, perché gli italiani hanno lo stesso guadagno ma sono più poveri per colpa dello stesso Stato. Ma la beffa è presto vicina. Dagli annunci di Conte e Di Maio, l’impressione è che non solo manca l’intenzione di abbassare le tasse, ma prevale quella di aumentare l’interventismo statale (estendendo il reddito di cittadinanza) e quella di istituire uno Stato di Polizia Tributaria.

L’assistenzialismo e i servizi offerti dallo Stato, secondo i socialisti, nascono per “governare e redistribuire la ricchezza”. Ma con questo ritmo rischiamo seriamente di rendere gli Italiani con una ricchezza tra le mani sempre più misera.

Ed è qui che entriamo nel paradosso. Se l’assistenzialismo è per chi non detiene reddito, e chi lo detiene è in ginocchio perché non può più pagarlo, come ne usciamo?

Sussidi di disoccupazione? Opponiamoci con l’Imposta Negativa sul Reddito

Purtroppo per noi, purtroppo per l’Italia, il Reddito di Cittadinanza (RdC) è sempre più realtà. Ormai siamo ai ritocchi, siamo arrivati al livello di chi e come dovrà essere gestito.

Non nascondo che tutto ciò mi fa molta paura, anzi più di una paura. Paura per oggi perché il RdC tenderà ad aumentare la già eccessiva spesa pubblica italiana.

Già, la spesa pubblica, quella voce terribilmente conosciuta, sia dai cittadini e sia da alcuni addetti ai lavori. Una spesa pubblica, oggi con livelli davvero altissimi, che sta penalizzando l’italia e gli italiani. Paura del domani perché questo tipo di misure dovranno essere drasticamente gestite in futuro.

La spesa pubblica, quella spesa pubblica nata per esaltare il principio di giustizia sociale. Un principio, a dir poco assurdo, che pretende di combattere la povertà e le disuguaglianze, penalizzando chi ha un reddito al di sopra di una certa soglia.

Un principio che pretende di governare la ricchezza, con il pretesto che esso si distribuisca male se lasciato alla libera scelta. Il reddito di cittadinanza viene considerato il tentativo più grande mai compiuto – di un governo – di redistribuzione della ricchezza e dei redditi. Sin dagli anni sessanta, tutti i governi hanno cercato di provare a governare la ricchezza, con pessimi risultati.

Quando l’Italia andava verso la recessione, gli addetti al lavoro socialisti, piuttosto che prendersela con le proprie politiche, erano dell’opinione che le manovre di distribuzione erano troppo deboli. In poche parole, la ricchezza doveva essere governata sempre di più.

Ecco, perché penso che il reddito di cittadinanza sia l’ultimo grande tentativo dei socialisti.

Noi individualisti siamo fieri di essere contrari al RdC perché siamo convinti che fare assistenzialismo con i soldi degli altri, non sia corretto. Siamo fieri di essere contrari al RdC perché siamo convinti che questo tipo di misure, con il passare del tempo, tenderà a impoverirci tutti.

Pertanto, l’assistenzialismo deve essere sostituito con l’investimento sociale. Se lo Stato deve spendere per una persona, deve essere allo scopo di stimolarlo a far meglio.

Invece, l’impressione è che si voglia usare il Rdc come antidoto alla disoccupazione. Ecco, lo slogan esatto per opporci al RdC è “l’assistenzialismo non è un posto di lavoro”.

Per questo motivo, la vera risposta al RdC è l’Imposta Negativa sul Reddito (INR), proposta da Milton Friedman. Il principio è quello di “aggiustare il reddito” del contribuente che percepisce al di sotto di una certa soglia. Quella soglia è il simbolo del minimo reddito che dovrebbe percepire una persona o una famiglia per garantirsi il minimo indispensabile.

Ma come funzionerebbe l’INR?
Funzionerebbe come le aliquote fiscali che prevede l’IRPEF, con la differenza sostanziale che qui parliamo di quanto dovrebbe dare lo Stato al cittadino, e non viceversa.

Ecco qualche esempio:
CASO A
Soglia minima 1000€
Reddito contribuente 500€
Differenza tra soglia minima e Reddito contribuente 500€
Aliquota 50%
Sussidio 250€

CASO B
Soglia minima 1000€
Reddito contribuente 100€
Differenza tra soglia minima e Reddito contribuente 900€
Aliquota 50%
Sussidio 450€

L’INR è l’unica forma di assistenzialismo perfettamente in linea con la proposta dei liberali di un sistema con tasse minime. Con questa misura, il cittadino è giusto che venga risarcito, piuttosto che tassato. Le tasse non possono e non devono indebolire il cittadino; per questo motivo, l’INR riduce le tasse ad un livello basso, da consentire un reddito sufficiente per soddisfare le proprie esigenze.

Ovvio che per noi liberali non è mai positivo attuare qualsiasi tipo di assistenzialismo. Ma se vogliamo essere per lo Stato Minimo, quindi per uno Stato che garantisca infrastrutture, giustizia, sicurezza, è giusto che si occupi anche di tutelare i poverissimi.

Ebbene, l’INR permetterebbe di assistere i poverissimi, ma senza viziarli come il RdC. L’INR permetterebbe di assistere i poverissimi, ma senza incorrere in spese troppo eccessive. L’INR permetterebbe di assistere i poverissimi, evitando inutili caos burocratici, come invece previsti dall’INPS.

Se il Reddito di Cittadinanza equivale a considerare l’assistenzialismo come un posto di lavoro, con l’Imposta Negativa sul Reddito mettiamo in condizione il cittadino di mettersi ad un livello minimo che gli permetta di vivere meglio la propria vita e che gli permetta di costruire meglio un risparmio per sè e per la propria famiglia.

L’assistenzialismo sta uccidendo l’Italia

Il Fascismo e gli anni sessanta. Cosa accomuna il Fascismo con gli anni sessanta? L’intervento statale. Durante il Fascismo, vi era la convinzione che lo Stato dovesse mettere in cammino il paese, attraverso le politiche keynesiane. Uno dei principi fondanti del keynesismo è che lo Stato debba creare debito, emettendo moneta nella società che si impegnerà per rimetterla in circolo attraverso lo scambio di beni e servizi.

L’Italia, ai tempi del fascismo, era un paese povero e, per certi aspetti, in macerie, soprattutto per colpa della Prima Grande guerra. Non era l’Italia degli anni sessanta, sicuramente. L’Italia era un paese, economicamente parlando, in grande salute. Veniva dal suo primo boom economico, con un benessere che cresceva in quasi tutto il territorio nazionale, ma se ai tempi del fascismo, c’era la convinzione che dovesse esserci una mano statale che fosse in grado di alzare economicamente l’Italia e gli italiani, negli anni sessanta c’era la convinzione che dovesse esserci una mano statale che fosse in grado di governare, di coordinare, di distribuire la ricchezza.

Se ai tempi del fascismo, la ricchezza era inesistente, negli anni sessanta la ricchezza era tanta, ma secondo i favorevoli all’intervento statale quella ricchezza era maldistribuita.

Tra il fascismo e gli anni sessanta, manca una parte fondamentale. Il periodo 1947-1962 fu un periodo straordinario di crescita economica per l’Italia e gli italiani: mai il nostro Paese fu in grado di raggiungere un livello tale di crescita economica.

Ma che cosa conta sottolineare di questa fase della storia? Conta sottolineare che l’Italia, soprattutto grazie alle politiche adottate da Luigi Einaudi, primo presidente della Repubblica italiana, nel suo unico anno come Ministro delle Finanze nel 1947, riuscì a salvare la Lira e a favorire i risparmi e gli investimenti.

Come disse lo stesso Sergio Ricossa, il Boom Economico italiano fu un processo spontaneo favorito da politiche di non interventismo statale, quelle stesse politiche che favoriscono la libera iniziativa degli individui che, senza alcun ostacolo o retrizione, sono messi nella condizione di avere un capitale e di sfruttarlo per i propri sogni, progetti, ambizioni.

Era l’Italia degli anni cinquanta, l’Italia che sognava di diventare grande liberamente. Era l’Italia che diventava capitalista spontaneamente. Ma questo non era di gradimento per tutti. Se l’Italia diventava capitalista, con molta probabilità, se qualcuno si arricchiva per le proprie intuizioni, per il proprio spirito imprenditoriale, per i propri sacrifici e per i propri meriti, c’erano anche persone che non vivevano tutto questo boom economico. C’erano persone che vivevano la povertà più assoluta.

Ma anziché dare fiducia al capitalismo e al mercato, anziché convincersi che il benessere di pochi avrebbe creato un benessere diffuso spontaneo, si erano convinti che solo la mano della Stato avrebbe aggiustato ed equilibrato le differenze di reddito.

Pertanto, si cominciò incaricando lo Stato nel garantire una Sanità che fosse accessibile gratuitamente per tutti, per evitare che chi disponeva di meno risorse economiche non potesse curarsi; desideravano uno Stato che sapesse garantire una Scuola per tutti, per evitare che chi disponeva di meno risorse economiche non potesse avere un’istruzione; desideravano uno Stato che sapesse fare l’imprenditore, che potesse subito impiegare i disoccupati, senza dover perdere tempo a cercare un lavoro.

Ma per esaudire tutti questi desideri, occorreva uno Stato con molte risorse economiche. Fra le tante cose, la principale fonte da “strozzare” economicamente erano i redditi medio-alti. Loro hanno le risorse per permettersi quasi tutto, pertanto è giusto che una parte della loro ricchezza venga destinata ai più bisognosi. Ma quel “strozzare” non bastava per soddisfare i desideri degli amanti della mano pubblica.

Se da una parte, i redditi medio-alti si ritrovavano impoveriti rispetto a prima, gli amanti della mano pubblica sostenevano che il problema non fosse lo Stato, ma che il prelievo precedentemente fu insufficiente. Occorreva un prelievo maggiore dei redditi medio alti. E prelievo maggiore fu. Ma non servì a nulla.

Per farla breve, sono passati cinque decenni dagli anni sessanta. L’Italia ha una sanità pubblica che fa acqua da tutte le parti già dalla sua nascita (fine anni settanta). L’Italia ha una scuola pubblica che fa acqua da tutte le parti già dalla sua nascita. Per colpa di quelle politiche, oggi l’Italia è costretta a mantenere economicamente dei baby pensionati, ex dipendenti pubblici, ex dipendenti di aziende statali, attuali dipendenti pubblici.

Non solo, poi ci sono quelli che avevano un reddito medio-alto. Chi aveva un reddito medio, molto probabilmente, ha disperso la propria ricchezza nelle casse statali. Chi aveva un reddito alto, è riuscito con bravuta a mantenere intatta la propria ricchezza.

Ma nel complesso, seguendo il sogno di alcuni socialisti di usare lo Stato per garantire una sanità, una scuola e una protezione economica per i più bisognosi, l’Italia dagli anni sessanta ad oggi è cresciuta economicamente, ma con il freno a mano tirato, almeno fino agli anni novanta. Ma nel duemila è cambiata la musica e nemmeno con la crescita ai minimi storici, l’Italia riesce a salire.

Ora siamo in recessione, ma ancge se l’Italia va sempre più verso la povertà totale, continuano a dominare gli amanti della mano statale.

Vogliono rincarare la dose; vogliono il reddito di cittadinanza; vogliono le assicurazioni auto decise dallo Stato; vogliono aumentare le case popolari. Vogliono continuare a derubare i redditi medio-alti per riuscire ad ottenere quel sogno mai realizzato dai socialisti, quello stesso sogno iniziato negli anni sessanta.

Continuano a dirci che il problema non è il loro progetto, ma che i soldi vengono sprecati, che i soldi vengono usati per corruzioni, che i soldi vengono usati per i vitalizi dei politici. No cari, il problema è che esistete voi, voi socialisti.