Il Marxismo funziona solo come forza distruttrice

Le teorie di Karl Marx non sono mai state valide, ma hanno cambiato il mondo fomentando il malcontento verso lo status quo e promettendo un’utopia non ben definita che sarebbe sorta spontaneamente dalle ceneri del vecchio ordine.

Tra le sue argomentazioni vi sono:

 1. Il valore è dato dal lavoro socialmente utile.

2. Le società capitaliste sono divise in due classi: i borghesi e i proletari.

3. Lo scambio volontario è un gioco a somma zero: una delle due parti guadagna a spese dell’altra.

4. I capitalisti si appropriano del plusvalore dei beni prodotti dagli operai.

5. Gli operai nelle società capitaliste si impoveriranno sempre di più finché sarà necessaria una rivoluzione.

6. Gli operai in disaccordo con Marx soffrono di “falsa coscienza”.

Ma ognuna di queste affermazioni è falsa.

1. Il valore non è dato dal lavoro, ma dalla domanda. Il lavoro ha valore solo se produce beni e servizi che la gente desidera.

Una torta fatta di fango può richiedere la stessa quantità di lavoro di una torta di mele, ma nessuno vuole una torta di fango, quindi non ha valore. Inoltre, il valore cambia al variare di alcune condizioni. Ad esempio, anche se il loro “contenuto di lavoro” non è cambiato, le fruste dei cocchieri avevano molto più valore prima dell’invenzione dell’automobile.

Marx cercò di spiegare queste variazioni di valore con il concetto di lavoro “socialmente utile”, ma non fu mai in grado di definirlo o quantificarlo al punto da consentire ai pianificatori centrali di comprendere il valore di mercato di un bene o un servizio.

2. La società capitalista non è divisa in due classi. I proprietari di imprese e i dipendenti provengono da ogni ceto sociale.

3. Lo scambio volontario non è un gioco a somma zero. Tutte le parti coinvolte in uno scambio ne traggono vantaggio, altrimenti non accetterebbero lo scambio. Ciascuno ne trae vantaggio perché ognuno attribuisce un valore diverso ai beni scambiati. Il valore è soggettivo e non si basa su parametri oggettivi come “la quantità di lavoro socialmente utile”.

4. Il plusvalore di un bene (in pratica, il prezzo di vendita di un bene meno il costo per la sua produzione) serve a pagare:

– L’inventore.
– L’imprenditore (che è spesso, ma non necessariamente, l’inventore stesso) che intercetta la domanda del mercato per quel bene e decide di produrlo.
– Il possessore di un capitale che finanzia l’impresa.
– Finanziatori che trovano altri investitori disposti a rischiare le loro risorse per avviare l’impresa.
– Dirigenti e quadri che coordinano il lavoro degli operai.
– I pubblicitari che pubblicizzano il prodotto affinché venga conosciuto dai consumatori.
– Gli operai stessi.

Marx ignorava gran parte di questi fattori produttivi e il valore aggiunto che i consumatori ottengono acquistando il prodotto. Se non ottenessero alcun vantaggio dall’acquisto, non l’acquisterebbero mai.

Pretendendo che gli operai della fabbrica (insieme a tutti gli impiegati che Marx considerava parte del proletariato piuttosto che della classe dirigente oppressiva) ricevessero tutto il valore del prodotto, Marx chiedeva che nessun altro responsabile dell’esistenza del prodotto fosse pagato e che i consumatori non guadagnassero acquistandolo.

In effetti, il suo “mondo perfetto” era quello in cui nessuno avrebbe avuto un incentivo a inventare, produrre o acquistare qualcosa.

5. I lavoratori nelle economie di mercato non si stanno immiserendo. Al contrario, stanno molto meglio rispetto ai lavoratori di economie meno libere. Secondo i nostri standard, gli operai ai tempi di Marx lavoravano in condizioni terribili per salari miseri. Tuttavia, il lavoro in fabbrica e la retribuzione erano spesso molto migliori rispetto alle alternative disponibili all’epoca.

Il libero mercato ha reso le persone così produttive che hanno bisogno di lavorare meno ore per sfamare se stessi e le proprie famiglie. Invece di lavorare sei o sette giorni alla settimana per 12 ore, nei Paesi in cui vige il libero mercato le persone lavorano in genere cinque giorni a settimana per 7 o 8 ore al giorno. Inoltre, i bambini non hanno più bisogno di lavorare per sopravvivere.

Il libero mercato ha anche aiutato la parità di genere. In un mondo in cui la forza bruta è il fattore più importante per la sopravvivenza, le donne sono cittadini di seconda classe. Ma in una società di libero mercato, dove il cervello conta più dei muscoli, le donne sono più che in grado di competere con gli uomini.

Marx sosteneva che il socialismo avrebbe messo i mezzi di produzione nelle mani dei lavoratori, ma è stato il capitalismo a mantenere la promessa. Oggi i “mezzi di produzione” si traducono sempre più spesso in conoscenze e competenze di un lavoratore, nel suo computer e nel suo cellulare e, forse, in una stampante 3D.

Marx immaginava un’utopia socialista in cui «poter pescare le mattina, cacciare il pomeriggio, allevare il bestiame la sera e fare teoria critica la notte, a piacimento, senza mai diventare un pescatore, un cacciatore, un allevatore o un pensatore». Ancora una volta, è stato il capitalismo a trasformare il sogno di Marx in realtà, aumentando a tal punto la produttività che le persone non devono più trascorrere tutte le loro ore di veglia alla ricerca di cibo.

6. I lavoratori che non sono d’accordo con Marx non soffrono di “falsa coscienza” né sono stupidi. Comprendono i propri interessi molto meglio dei pianificatori centrali o dei teorici.

 

Conclusione

Marx non ha mai compreso, o si è rifiutato di comprendere, gli incentivi creati da una società basata sul principio «Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni». L’attuazione di questo principio crea società in cui le persone hanno capacità minime e bisogni massimi.

Marx non ha mai definito cosa sarebbe un “sistema marxista” o come funzionerebbe. Si rifiutò di descrivere la sua utopia socialista in termini più dettagliati perché riteneva che dovesse emergere spontaneamente e che sarebbe stato sciocco cercare di prevedere la forma finale in cui si sarebbe evoluta.

Allo stesso tempo, però, riteneva che per realizzare il socialismo fosse necessaria una rivoluzione. Ma la rivoluzione implica una brusca rottura dello status quo. Piuttosto che permettere a un nuovo ordine socio-economico di emergere naturalmente, quindi, Marx voleva installare con la forza il suo nuovo ordine sulle ceneri del vecchio, un nuovo ordine che si rifiutava di definire perché doveva emergere naturalmente.

Di conseguenza, il “marxismo” era una specie di secchio vuoto in cui i rivoluzionari potevano versare ciò che volevano.

In pratica, i marxisti si sono dimostrati molto più bravi a distruggere società e culture che a crearne di nuove di successo. Il marxismo funziona solo nella misura in cui rimane una forza distruttrice.

 

(Traduzione dell’articolo Marxism Remains Relevant Only as a Destructive Force, Richard W. Fulmer, FEE.org)

 

Lettura consigliata: Smascherare il Marxismo, L. von Mises

I nazisti erano socialisti? La risposta nelle parole di Joseph Goebbels

Invecchiando ci si rende conto che alcune cose non cambieranno mai.

Gli appassionati di sport discuteranno sempre  del fuorigioco e di chi sia il miglior pugile di tutti i tempi (Muhammad Ali). Gli appassionati di cinema non saranno mai d’accordo su quale film del Padrino sia il migliore (il primo). E le trombe annunceranno la seconda venuta di Cristo prima che liberali e socialisti si saranno accordati sulla questione: i nazisti erano socialisti?

Quest’ultima questione mi ha sempre lasciato perplesso, lo confesso, e non solo perché la risposta è proprio nel nome: “nazionalsocialismo”. Se si leggono i discorsi e le conversazioni private dei gerarchi nazisti risulta evidente che amavano il socialismo e disprezzavano l’individualismo e il capitalismo.

Nel suo nuovo libro “Hitler’s National Socialism“, lo storico Rainer Zitelmann offre una visione a tutto tondo sulle idee che hanno plasmato uomini come Hitler e Goebbels. Sebbene sia chiaro che essi considerassero il loro socialismo come distinto dal marxismo (e su questo punto ci soffermeremo più avanti), non c’è dubbio che vedessero nel socialismo l’ideologia del futuro e disprezzassero il capitalismo e la borghesia.

Consideriamo, ad esempio, le seguenti citazioni di Joseph Goebbels, il Ministro della Propaganda del partito nazionalsocialista:

  1. “Il socialismo è l’ideologia del futuro.” – Lettera a Ernst Graf zu Reventlow, riportata in “Goebbels: A Biography
  2. “La borghesia deve cedere alla classe operaia […] Tutto ciò che sta per cadere deve essere spinto a terra. Siamo tutti soldati della rivoluzione. Vogliamo la vittoria dei lavoratori sullo sporco profitto. Questo è il socialismo.” – Citato in “Doctor Goebbels: His Life and Death
  3. “Siamo socialisti perché vediamo nel socialismo, cioè nella dipendenza di tutti i compagni gli uni dagli altri, l’unica possibilità per la conservazione della nostra genetica razziale e quindi per la riconquista della nostra libertà politica e per il ringiovanimento dello Stato tedesco”. – Citato in “Perché siamo socialisti?“, Der Angriff, 16 Luglio 1928.
  4. “Non siamo un’istituzione caritatevole, ma un partito di socialisti rivoluzionari”. Editoriale del Der Angriff, 27 maggio 1929
  5. “Il capitalismo assume forme insopportabili nel momento in cui gli interessi personali che serve sono contrari all’interesse della collettività. Esso si fonda sulle cose e non sulle persone. Il denaro è l’asse attorno al quale ruota tutto. Per il socialismo è il contrario. La visione del mondo socialista inizia con la gente e poi passa alle cose. Le cose sono asservite al popolo; il socialista mette il popolo al di sopra di tutto, e le cose sono solo mezzi per un fine”. – “Capitalismo“, Der Angriff, 15 luglio 1929
  6. “Nel 1918 il socialista tedesco aveva un solo compito: tenere le armi e difendere il socialismo tedesco” – “Capitalismo“, Der Angriff, 15 luglio 1929
  7. “Essere socialista significa lasciare che l’io serva il prossimo, sacrificare l’io per il tutto. Nel suo senso più profondo, il socialismo è altruismo.” – Note del diario, 1926
  8. “Le linee del socialismo tedesco sono nitide e il nostro cammino è chiaro. Siamo contro la borghesia politica e per un autentico nazionalismo! Siamo contro il marxismo, ma per il vero socialismo!” – “Those Damn Nazis: Why Are We Socialists?“, 1932
  9. “Siamo socialisti perché vediamo la questione sociale come una questione di necessità e di giustizia per l’esistenza stessa di uno Stato per il nostro popolo, non come una questione di pietà a buon mercato o di insulso sentimentalismo. Il lavoratore ha diritto a un tenore di vita che corrisponda a ciò che produce”. – “Those Damn Nazis: Why Are We Socialists?“, 1932
  10. “L’Inghilterra è una democrazia capitalista. La Germania è uno Stato popolar-socialista” – “Englands Schuld” (il discorso non è datato, ma probabilmente è stato pronunciato nel 1939).
  11. “Poiché siamo socialisti abbiamo sentito le più profonde benedizioni della nazione, e poiché siamo nazionalisti vogliamo promuovere la giustizia socialista in una nuova Germania” – “Die verfluchten Hakenkreuzler. Etwas zum Nachdenken“, 1932
  12. “Il peccato del pensiero liberale è stato quello di trascurare i punti di forza del socialismo nella costruzione della nazione, permettendo così alle sue energie di andare in direzioni antinazionali”. – “Die verfluchten Hakenkreuzler. Etwas zum Nachdenken“, 1932
  13. “Essere socialisti significa sottomettere l’io al tu; il socialismo è sacrificare l’individuo al tutto. Il socialismo è nel suo senso più profondo servizio”. – Citato in “Fuga dalla libertà“, Erich Fromm
  14. “Siamo un partito operaio perché vediamo nella prossima battaglia tra finanza e lavoro l’inizio e la fine della struttura del ventesimo secolo. Siamo dalla parte del lavoro e contro la finanza […] Il valore del lavoro sotto il socialismo sarà determinato dal suo valore per lo Stato, per l’intera comunità” – “Those Damn Nazis: Why Are We Socialists?“, 1932

Queste citazioni rappresentano solo un’infarinatura della concezione di Goebbels del socialismo. Si può notare che per molti versi i nazisti parlavano in modo molto simile a Karl Marx.

Frasi come “siamo un partito operaio“, “l’operaio ha diritto a un tenore di vita corrispondente a ciò che produce“, “il denaro è l’opposto del socialismo” e “siamo contro la borghesia politica” potrebbero essere facilmente estrapolate dai discorsi e dagli scritti dello stesso Marx, ma è chiaro che Goebbels disprezzava Marx e vedeva il suo modello di “nazionalsocialismo” come distinto dal marxismo.

Cosa distingue dunque il nazionalsocialismo dal marxismo? Le differenze principali sono due.

La prima è che Hitler e Goebbels fusero il loro socialismo con il nazionalismo e il razzismo tedeschi, rifiutando lo spirito internazionale del marxismo – lavoratori di tutto il mondo unitevi! – per uno più pratico che enfatizzava il movimento popolare tedesco.

Questa fu un’abile mossa da parte dei nazisti. Come ha sottolineato il premio Nobel per l’economia F. A. Hayek, essa rese il socialismo più appetibile a molti tedeschi che non erano in grado di vedere il nazismo per quello che era veramente:

“La tragedia suprema è che ancora non ci si rende conto che in Germania sono state in gran parte le persone di buona volontà che, con le loro politiche socialiste, hanno preparato la strada alle forze che rappresentano tutto ciò che detestano”, scrisse Hayek in “La via della schiavitù” (1944). “Pochi riconoscono che l’ascesa del fascismo […] non fu una reazione contro le tendenze socialiste del periodo precedente, ma un risultato necessario di quelle tendenze”.

La seconda differenza è che i nazionalsocialisti erano meno propensi a controllare direttamente i mezzi di produzione.

Nel suo libro del 1940 “German Economy“, Gustav Stolper, economista e giornalista austro-tedesco, spiegò che sebbene il nazionalsocialismo fosse anti-capitalista fin dall’inizio, era anche in diretta competizione con il marxismo dopo la Prima Guerra Mondiale. Per questo motivo, i nazionalsocialisti decisero di “corteggiare le masse” da tre diverse angolazioni.

“La prima era il principio morale, la seconda il sistema finanziario, la terza la questione della proprietà. Il principio morale era la comunità prima dell’interesse personale. La promessa finanziaria era rompere la schiavitù dagli interessi. Il programma industriale era la nazionalizzazione di tutte le grandi imprese. Accettando il principio ‘la comunità prima dell’interesse personale’, il nazionalsocialismo enfatizzava semplicemente il suo antagonismo allo spirito di una società competitiva, rappresentato presumibilmente dal capitalismo democratico […]. Ma per i nazisti questo principio significava anche la completa subordinazione dell’individuo alle esigenze dello Stato. E in questo senso il nazionalsocialismo è indiscutibilmente un sistema socialista”.

Stolper, fuggito dalla Germania agli Stati Uniti dopo l’ascesa al potere di Hitler, notò che i nazisti non avviarono mai una nazionalizzazione diffusa dell’industria, ma spiegò che questo non comportò alcuna differenza con il socialismo.

“La nazionalizzazione dell’intero apparato produttivo tedesco, sia agricolo che industriale, fu ottenuta con metodi diversi dall’espropriazione, in misura molto maggiore e su una scala incommensurabilmente più ampia di quanto gli autori del programma del partito nel 1920 probabilmente avessero mai immaginato. Infatti, non solo i grandi trust furono gradualmente ma rapidamente sottoposti al controllo statale, ma anche ogni tipo di attività economica, lasciando solo il titolo di proprietà privata”.

Nel suo libro del 1939 “The Vampire Economy: Doing Business Under Fascism“, Guenter Reimann giunse a una conclusione simile.

Lo storico dell’economia Richard Ebeling osserva che:

“Sebbene la maggior parte dei mezzi di produzione non fosse stata nazionalizzata, era stata comunque politicizzata e collettivizzata sotto un’intricata rete di obiettivi di pianificazione nazista, di regolamenti sui prezzi e sui salari, di regole e quote di produzione e di severi limiti e restrizioni all’azione e alle decisioni di coloro che erano rimasti, nominalmente, i proprietari delle imprese private in tutto il Paese. Ogni imprenditore tedesco sapeva che la sua condotta era prestabilita dallo Stato e collocata all’interno dei più ampi obiettivi di pianificazione del regime nazionalsocialista”.

La documentazione storica è chiara: il fascismo europeo era semplicemente una sfumatura diversa del socialismo, il che aiuta a spiegare, come ha notato Hayek, perché così tanti fascisti erano “ex” socialisti, “da Mussolini in avanti“.

Come Marx, i nazisti detestavano il capitalismo e consideravano la volontà e i diritti individuali subordinati agli interessi dello Stato. Non dovrebbe sorprendere che queste diverse sfumature di socialismo abbiano ottenuto risultati simili: povertà e miseria.

I socialisti continueranno a sostenere che il nazismo non era il “vero” socialismo, ma le parole del famigerato ministro della propaganda nazista suggeriscono il contrario.

(Traduzione dell’articolo Joseph Goebbels’ Own Words Show He Loved Socialism and Saw It as ‘the Future’, J. Miltimore, FEE.org)

Dovremmo rivalutare Marx e Marxismo? (Spoiler: no)

Dicevamo del paese dei due pesi e delle due misure. In quest’orizzonte rientra il nuovo libro di Marcello Musto,Karl Marx. Biografia intellettuale e politica.[1] Lui, come molti altri fanno ogni giorno, si è chiesto se “la dottrina marxista non fosse salvifica e geniale e se non siano stati certi uomini nella storia ad averla mal interpretata se non addirittura usata come scudo dietro cui nascondere i propri progetti perversi e violenti”.

Lenin e Stalin sono stati due attenti discepoli di Marx oppure si è trattato solamente di due criminali che avrebbero potuto utilizzare le idee partorite anche da Tizio o Caio? “È doveroso distinguere la concezione di Marx da quelle dei regimi che, nel XX secolo, dichiarando di agire in suo nome, perpetrarono, invece, crimini ed efferatezze”.

L’operazione, sebbene intrigante, è già vista e rivista, e vuole in ogni modo operare arbitrariamente una scissione tra il marxismo e i circa cento milioni di morti che vengono addebitati ai regimi comunisti più noti. Sebbene il comunismo continui a mietere vittime, prosegua nel generare miseria, perpetui nell’annientamento dell’individuo: sembra essere oggi ancora in voga; non mancando di protoumani che, con le terga a mollo nelle acque occidentali, si sgolino nel tesserne le lodi. 

Nonostante questo, il tentativo di edulcorarne i difetti, risulta del tutto velleitario: per ogni ideologia, l’unico giudizio possibile è quello riguardante la sua concreta applicazione nella realtà e sugli individui in un dato momento storico. Non esiste altra possibilità per giudicare le idee di qualcuno, altrimenti useremmo lo stesso criterio con cui si tende ad ignorare i risultati referendari: inaugurando nuovi referendum, sin quando non uscirà il risultato desiderato, come per la Brexit. Ecco, il marxismo ha generato i regimi comunisti, e questo è per adesso l’unico dato possibile cui dobbiamo attenerci. 

La dottrina marxista è accentratrice, fortemente statalista e interventista nell’economia e, dunque, nelle vite dei cittadini. I prncipi fondamentali del Marxismo, ossia l’accentramento dei mezzi produzione nelle mani dello Stato e l’abolizione della proprietà privata, prevedono il ruolo preponderante dello Stato che sarà chiamato a regolamentare ciò che -nella società capitalistica- sorge spontaneo.

Il marxismo è difatti anti-mercatista, nega la libertà di scambio degli individui, e sopperisce a questa mancanza con l’interventismo dello Stato centrale, che dovrà pianificare la creazione dei beni e il loro successivo movimento nelle mani dei cittadini.

Inoltre, l’assunto “Il lavoro crea valore”, ossia “il mero lavoro conferisce valore ai beni prodotti” è errato, ed è evidente, poiché sono i movimenti insiti nel mercato ad aumentare o diminuire il valore di un bene, ossia la maggiore o la minore domanda da parte dei consumatori, i quali, fuori dalla logica marxista, potranno liberamente chiederne e acquistarne nelle quantità desiderate conferendogli inevitabilmente maggior valore.

In Unione Sovietica difatti è stata creata una quantità enorme di lavoro, ma chissà come mai la miseria rimaneva preponderante e invincibile. Il marxismo, e la sua mania accentratrice, va di pari passo col giacobinismo noto nella Rivoluzione francese, e chiediamoci come mai noi oggi viviamo in un Paese fondato su decentramento dei poteri alle autonomie locali.

Lenin, in Stato e rivoluzione, scrisse che “il socialismo consiste nella distruzione dell’economia di mercato. Se rimane in vigore lo scambio, è persino ridicolo parlare di socialismo”.[2] E poi, da altri testi fondanti, ricordiamo che “la società va concepita come un grande ufficio e una grande fabbrica, dove vi sarà la sostituzione totale e definitiva del commercio con la distribuzione organizzata secondo un piano”, cosicché lo Stato sia in grado di “tutto correggere, designare e costruire in base a un criterio unico”, “giungendo in tal modo alla centralizzazione assoluta”. 

E oggi dovremmo perder tempo nel ritenere che Stalin e i suoi colleghi non facessero riferimento a questa dottrina durante la creazione dei loro piani quinquennali? Si basavano forse sulla dottrina della favola di Cappuccetto rosso? Senza alcun tipo di rispetto per la realtà, e per ciò che quella realtà tragica racconta, Musto afferma che “molti dei partiti e dei regimi politici sorti nel nome di Marx hanno utilizzato il concetto di dittatura del proletariato in modo strumentale, snaturando il suo pensiero e allontanandosi dalla direzione da lui indicata. Ciò non vuol dire che non sia possibile provarci ancora[3]“. Il suo auspicio, dunque, è questo: tocchiamo ferro, sperando che tutto ciò rimanga un mero vaneggiare.

L’aspetto divertente del tutto, riallacciandoci con la premessa iniziale dei due pesi e delle due misure, consiste in un esercizio mentale che tutti noi dovremmo fare: proviamo a immaginare cosa sarebbe accaduto se un autore avesse scritto che il razzismo in sé è un valore da tenere in considerazione, e che la sua applicazione hitleriana fu un banale errore, se non una mistificazione della dottrina in sé. Beh, innanzitutto nessun editore lo avrebbe pubblicato. Se, poi, qualche coraggioso gli avesse concesso spazio avremmo assistito a uno stracciamento di vesti collettivo, con annessa discesa in campo di associazioni e politici in difesa della giustizia sociale.

Alcuni intellettuali, poi, ci avrebbero ammorbato, furoreggiando in diretta nelle tv nazionali, trovando inspiegabili nessi tra l’apologia del nazismo e la criminalità organizzata. Di Hitler sono innominabili anche i quadri (sì, disegnava e non era granché), altrimenti intervengono i guardiani sempre svegli del politicamente corretto, che sanzionano e puniscono; come alcuni insegnanti nelle scuole spesso già fanno, varcando i limiti della propria professione.

Perché, siamo chiari, anche Stalin era solo un incompreso.

Note: [1] Marcello Musto, Karl Marx, biografia intellettuale e politica, Einaudi.

[2] Lenin, Stato e Rivoluzione.

[3] Marcello Musto, Karl Marx, biografia intellettuale e politica, Einaudi.

 

Gli orfani del Comunismo strizzano l’occhio all’Islam radicale

Mi resta da capire per quale motivo si debba mettere sul banco degli imputati un paese che fino a prova contraria è una dichiarata democrazia, posta nel nostro caro Occidente democratico e obbligata, di volta in volta, a rispondere delle proprie azioni di fronte ai trattati e alle convenzioni internazionali. Mi sto riferendo agli Stati Uniti d’America.

Non per pregiudizi, o forse anche per essi, ma io tenderei in data odierna ad inquisire maggiormente la Repubblica Islamica dell’Iran, il cui nome, senza l’aggiunta di ulteriori particolari, fa alternativamente pisciare addosso dalle risate e crepare di paura. Basta conoscerne un minimo la storia, consci quindi di come il popolo iraniano abbia, decenni or sono, salutato l’ayatollah Komeini che ritornava dall’esilio manco fosse un eroe: si trattava semplicemente di una guida spirituale suprema col potere di contare e di intervenire con maggior incisività rispetto alle autorità politiche. Alcuni esponenti politici nostrani dovrebbero rabbrividire di fronte ad una realtà simile, e invece preferiscono prostrarsi ai loro piedi col capo coperto. Questione di trasformismo.

Pare, a detta del premier israeliano Netanyahu, che la repubblica degli ayatollah ci abbia presi per i fondelli quando ci raccontava che stava rispettando l’accordo sul nucleare tanto voluto da Obama: in realtà, ne stavano continuando la produzione come meglio credeva. Obama, in quanto nobel per la pace, ha siglato un accordo mai rispettato dalla controparte e scatenato la così detta Primavera Araba, mentre Trump, in quanto uomo bianco brutto e cattivo, ha messo al suo posto a suon di minacce quel pupazzo vivente di Kim Jong Un e adesso si appresta a fare la medesima cosa con Rouhani e le rozzissime guardie della rivoluzione.

Eppure, anche nel caso del leader nord coreano, le domande che l’intellighenzia occidentale si poneva riguardavano tutte la condotta di Trump e la sua aggressività. Niente da dire, però, su un pazzoide che effettuava test nucleari nel Pacifico facendo tremare mezzo mondo. Sembra quasi che la bontà, dai nostri dirimpettai, non la si debba mai pretendere, mentre su noi stessi tranciamo giudizi duri e intransigenti. Capisco il pretendere sempre il meglio da sé stessi, ma a fronte di un parlamento iraniano che brucia in mondo visione la bandiera degli Stati Uniti in segno di odio e sdegno, non comprendo perché si debba reagire misurando ogni singola parola che esce dalla bocca di Donald Trump.

Il dubbio, che in realtà è una certezza, è che non sia più una questione di giusto e di sbagliato, di strategia politica e di astuzia, bensì il solito odio verso sé stessi, verso l’Occidente capitalistico, grosso modo liberale, laicizzato, secolarizzato e dunque agli antipodi rispetto al mondo arabo-islamico. Quest’ultimo rappresenta, per coloro che amo definire “orfani del comunismo”, una nuova terra promessa, una nuova frontiera culturale, una nuova fonte di pensiero cui abbeverarsi, una inestinguibile sorgente di odio e di disprezzo verso quel mondo (il nostro) che ha trionfato sul socialismo e sul comunismo, su Marx e sui quattro rimbecilliti che ancora oggi vanno dicendo che la proprietà privata è un furto e che i mezzi di produzione non devono appartenere ai padroni.

È cosa nota che le sinistre in tutta Europa stiano scomparendo come neve al sole. Il motivo è facilmente intuibile: sono fuori tempo massimo, barcollano nel buio leggendo il loro libretto rosso di Mao (love is love, l’immigrato è sempre una risorsa, redistribuiamo la ricchezza, i ricchi aumentano e i poveri anche, Berlusconi è un mafioso e Trump un mezzo stupratore) e non sono in grado di fornire risposte soddisfacenti perché il solo approccio costruttivo, realistico e mai ideologico è quello liberale.

Abbiamo i nostri autori, abbiamo i nostri testi, ma stiamo al passo coi tempi comprendendone il cambiamento perpetuo. A noi interessano i singoli individui, a loro quell’unico blocco chiamato “società”. Epperò, con la ferita che brucia perennemente, perché il socialismo nel mondo miete ancora vittime ogni giorno mentre il capitalismo produce inequivocabilmente benessere, l’islam e le sue istituzioni anti-occidentali divengono degli alleati naturali, ovvii e scontati. 

Insomma, basta che dalla Palestina, allo Yemen, all’Iran e all’Egitto la propaganda sia contro il cattivo Occidente dei visi pallidi per potersi stringere la mano in segno di fratellanza. Che poi da quelle parti i “froci” li impicchino e le donne le infibulino, poco importa: pedine sacrificabili.