Perché essere contrari al Salario Minimo?

Leggendo le varie proposte per la campagna elettorale, vorrei analizzare quella di Salvini sul Salario Minimo.
Che cos’è il Salario Minimo? Il Salario Minimo sarebbe una soglia di retribuzione sotto la quale l’imprenditore non può scendere. Per esempio se il Salario Minimo fosse di 1000€, allora all’imprenditore non è permesso pagare uno stipendio inferiore ai 1000€.

Sembra una proposta positiva, ma è in realtà pare sia l’ennesima proposta socialista che non fa bene al lavoro e ai lavoratori.

Vi spiego il mio ragionamento. Il mercato del lavoro in Italia è sempre stato penalizzato dai presunti successi ottenuti dalle lotte sindacali che hanno favorito le riforme pro-lavoro, a cavallo  fra la fine degli anni sessanta ed i primi anni settanta. Stiamo parlando di riforme come lo Statuto dei lavoratori e i Contratti Collettivi. Queste riforme rafforzarono la posizione lavorativa – con una serie di “privilegi” – dei lavoratori di aziende di medio grandi dimensioni, ma con il passare del tempo diventarono sempre di più una penalizzazione per chi poi entrava nel mercato del lavoro.

Nel corso di questi decenni, sulle questioni di lavoro, i governanti hanno “insistito” su un approccio difensivista, ossia eterna diffidenza verso il datore di lavoro; perciò hanno preferito adottare delle politiche per difendere il posto di lavoro anziché favorire l’occupazione. Dunque, i datori di lavoro hanno preferito ricorrere ai contratti instabili oppure al nanismo (porsi un limite di dipendenti per non rientrare nei requisiti posti su pressione dei sindacalisti). Non per niente le imprese italiane hanno un tasso di anzianità interna molto alta (cioè da quanti anni lavorano gli stessi dipendenti) e uno scarso turnover (cioè pochi cambiamenti di dipendenti).
Non finisce qui, perché i contratti collettivi sono i principali responsabili della scarsa crescita dei salari.

Quindi, riepilogando, quando si tenta di regolamentare il mercato del lavoro, spesso e volentieri si incentiva il datore di lavoro – già abbastanza stufo di lungaggini burocratiche- a non assumere o a ricorrere a contratti instabili. Se in una nazione manca il turnover vuol dire che nessun dipendente vorrà mai cambiare lavoro in cerca di stipendi migliori e tenderà a proteggere, con le unghie e i denti, il proprio posto di lavoro. Stabilità non vuol dire “fare la muffa” nello stesso posto di lavoro, ma poter vivere il presente e programmare il futuro. Servono poche regole che sappiano disciplinare i rapporti umani, non di certo i salari. Inoltre, è arrivato il momento di abolire i contratti collettivi e di permettere ai datori di lavoro e al dipendente di contrattare su salari e durata del contratto. Non abbiate timore che non funzioni. Ci vuole un pochino di fantasia e immaginazione. Con tutte le tasse e i costi burocratici, probabilmente si rischierebbe di andare verso un basso salario non tanto diverso da quello attuale, ma con meno tasse e meno burocrazia sarà il mercato a determinare il giusto Salario.
Lasciate fare, o come si dice “Laissez-Faire”.

Il liberalismo può essere considerato un antidoto patriottico?

Il liberalismo può essere considerato un antidoto patriottico? Dipende da cosa intendiamo come patriottismo. Il patriottismo è spesso associato al nazionalismo, nonostante siano in realtà due pensieri politici molto diversi. Se un giorno dovessi spiegare che differenze ci siano tra i due pensieri, direi che il nazionalismo  è un aspetto oggettivo e il patriottismo un aspetto soggettivo.
 
Con il nazionalismo è lo Stato o il Governo che dice cosa dobbiamo fare per rendere forte l’Italia, con il patriottismo siamo noi cittadini che diamo qualcosa per rendere forte l’Italia. Facciamoci caso, i movimenti nazionalisti della storia italiana si sono sempre espressi come partiti socialisti, in quanto i cittadini si devono “sottomettere” al governo per il bene della nazione.
 
Queste politiche finivano sempre con il rafforzare qualcuno, mentre tanti finivano con l’essere indeboliti. Il socialismo rafforza chi rientra nelle grazie del Governo e dello Stato, ma indebolisce e rende poveri tutti gli altri cittadini.
 
Con il patriottismo, la situazione è molto diversa. Con il patriottismo, sono i cittadini che si rendono disponibili per il proprio Paese. Con i propri doveri, ciascun cittadino contribuisce per migliorare il proprio Paese.
 
In tutto ciò che rapporto esiste tra liberalismo e patriottismo? Se con il socialismo, non solo non siamo liberi, ma tendiamo a ricevere ingiustizie e tendiamo a diventare sempre meno civili con il prossimo, con il liberalismo, invece, nessuno è più penalizzato da tasse e tutti sono posti sullo stesso piano formale.
 
Essere costantemente “aggrediti” dalle tasse vuol dire che il reddito che noi produciamo, non solo finisce alle persone che non producono reddito, ma non riceviamo lo stesso equivalente in servizi da parte dello Stato. Questo provoca malumori, inciviltà e cattiva propensione verso la solidarietà.
 
In Italia la solidarietà imposta dallo Stato ha fallito.
 
Dunque è opportuno iniziare a cambiare questo Paese, iniziando a dare più potere ai cittadini e meno allo Stato. La solidarietà e il civismo possono essere stimolati anche senza ricorrere alle tasse. La solidarietà e il civismo non si stimolano rendendoci tutti “poveri” come pretendono di fare i movimenti o partiti socialisti.
 
In sostanza, il pensiero liberale è l’unico a poter sostenere e incoraggiare le virtù dei cittadini, in modo tale che grazie ai nostri comportamenti, altruisti o egoisti che siano, l’Italia possa essere forte, non solo nel proprio quartiere, ma anche nel mondo.
 
Avere una cultura liberale vuol dire sostenere la nazione senza dover penalizzare altre persone. Si tratta di approcci diversi, in quanto secondo le culture non liberali il cittadino deve sacrificarsi per il bene di tutti. Un liberale, invece, ritiene che il successo di una nazione dipenda dall’insieme dei successi dei suoi cittadini, permettendo a loro di poter dare il meglio di sé.

Quali sono i danni dei sindacati italiani?

 

In principio ci furono le battaglie sindacali degli anni sessanta. Si raggiungessero risultati importanti come lo Statuto dei Lavoratori (1970).
Per i sindacati e gli ambienti del comunismo si trattava di un passaggio storico per l’Italia con l’emancipazione del lavoratore. In realtà, si trattava dell’inizio di una serie di diritti riconosciuti che – con il passare del tempo – iniziavano ad apparire sempre più come dei privilegi.

Molte delle aziende coinvolte erano strategiche per lo Stato (vedasi FIAT) e di medie e grandi dimensioni, perché erano quelle più in grado di mettere in crisi un Paese (con scioperi e manifestazioni) e in difficoltà i governi.
Le lotte sindacali hanno permesso di raggiungere dei risultati, sia dal punto di vista contrattuale, con il contratto a tempo indeterminato sempre più forte e con i contratti collettivi, sia dal punto di vista economico.
Grazie alle lotte sindacali i lavoratori godevano di protezioni statali di ogni genere (malattia, maternità, disoccupazione parziale o temporanea) e di pensioni molto generose. Con le lotte sindacali nasce il famoso “posto fisso” della Prima Repubblica.

Questo modello si manteneva funzionale fino a quando c’era solo il padre di famiglia che lavorava (tranne alcune aziende che assumevano anche donne). Ma con il passare del tempo, con la globalizzazione, le dislocazioni e le diverse esigenze dei cittadini (e non solo dei datori di lavoro), le aziende che rientravano nella categoria dei protetti da Stato e Sindacati iniziarono a vacillare. In parallelo, con l’aumento delle tasse e del costo della vita, non bastava più il lavoro del padre di famiglia, ma serviva anche il lavoro della madre, con tutte le conseguenze che ne determinava, come pagare l’asilo nido.
Ma i sindacati, nonostante si autoproclamavano “difensori dei lavoratori”, si sono concentrarti solo su una parte sempre più minoritaria di lavoratori, ostacolando qualsiasi tentativo di riforma e garantendo proficue pensioni ai lavoratori di queste categorie.

  • Morale della favola è che oggi sono cambiate tante cose, ma dal punto di vista del lavoro:
  • I contratti collettivi a tempo indeterminato e le varie protezioni, nate con le battaglie sindacali, risultano troppo costosi e poco funzionali;
  •  chi è stato assunto fino a metà duemila, oggi risulta un grande costo sia per il datore di lavoro e sia per tutti i cittadini (visto il grande costo tra indennità, pensione e disoccupazione);
  • i datori di lavoro tendono ad assumere con altri contratti che godono di poche protezioni, ma sono meno costosi;
  • Chi viene assunto con contratti non-protetti, è costretto a pagare tante tasse per coloro che hanno avuto o hanno attualmente un contratto protetto.

In sostanza, i sindacati per proteggere una categoria di lavoratori, ha indebolito gravemente il resto dei lavoratori e contribuendo allo sviluppo di lavori irregolari e temporanei. Bisogna, dunque, riformare i contratti di lavoro anche di coloro che sono stati assunti in passato, perché siamo stanchi di vedere delle persone sacrificate per colpa di coloro che sono stati assunti con le condizioni stabilite durante le lotte sindacali. Per quanto riguarda i sindacati, sono per l’abolizione e la sostituzione con mediatori civili che sappiano essere imparziali e propositivi nel far raggiungere un punto d’incontro e per il reciproco rispetto tra datore di lavoro e lavoratori.

Riflessione Liberale sul Comunismo

Il comunismo è la volontà di controllare tutto, è la paura della libertà.
In psicologia la mania del controllo è riconosciuta come un disturbo ossessivo-compulsivo della personalità, in politica viene chiamata socialismo.

Vediamo insieme questo brano:
“I rapporti borghesi di scambio e di produzione, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna, che ha creato magicamente mezzi di produzione e di scambio così potenti, fanno pensare a quello stregone che non è più capace di dominare le potenze oscure che egli stesso ha evocato.”

Lo stregone ha evocato il più grande distributore di ricchezza il cui gettone di pagamento è il merito. Un mercato non va regolato, bensì deve avere un dress code all’ingresso: chi accede non deve avere la possibilità di sovrastare la Libertà altrui e deve produrre con le stesse regole della concorrenza (conseguenza del punto precedente).

Tuttavia, nel sopra citato passo del Manifesto è ben evidente l’incapacità di riconoscere la disvelazione della Libertà, di credere in un sistema autoregolante a cui gli Individui possano accedere senza intermediari.

Posto lo stato come intermediario del mercato, sappiamo che esso può approfittare della sua posizione di superiorità e dettare le regole (è proprio ciò che vuole il comunismo, asserendo si riesca a farlo per il bene della società), da cui forzare determinati settori, ammalare la produzione dando assistenza ad imprese che secondo la “Distruzione creativa” di Schumpeter dovrebbero perire per essere sostituite dall’innovazione, falsificare e forzare la domanda dando incentivi sul consumo di qualcosa oltre le richieste (e non per forza secondo le esigenze) degli Individui.

L’insegnamento di Hegel era che bisognasse prendere atto della realtà e interpretarla come fosse un manoscritto sacro e inviolabile.
Con Marx l’interpretazione diventa studio scientifico, per cui fa delle previsioni completamente deterministiche dando come ipotesi il controllo del mercato, dei mezzi di produzione e dei rapporti di scambio, produzione e proprietà.

Il marxismo ha il merito di aver superato l’idealismo, il quale fa del concreto una manifestazione dell’astratto, ciò nonostante sostituisce ed evolve tale rapporto dualistico realtà-idea con una biunivocità fra la società caotica reale e la possibilità di regolarla con le idee.

La mania del controllo viene descritta con i seguenti sintomi su Wikipedia:
– Tendenza a conformarsi a procedure, abitudini o regole in modo eccessivo e non flessibile (=la cessione di tutti i rapporti allo Stato-padrone)
– Occorrenza di pensieri o comportamenti ripetitivi (=necessità di stabilire una staticità sociale nella vita dell’essere umano, inducendolo ad una vita ripetitiva in cui si dà quel che si può e si riceve ciò che si necessita)
– Costante perfezionismo (=materialismo dialettico con finale rivoluzione e dittatura del proletariato al fine di iniziare il processo di perfezionamento perfetto della società)

Mi spiace dirlo, o forse no, ma il comunismo è una malattia mentale ed i suoi derivati non sono altro che forme più lievi di essa.
Una incapacità di accettare la Libertà, di accettare che non esista un ordine prestabilito delle cose, di accettare l’autodeterminazione dell’Individuo.

di Alessio Cotroneo