Dati vs socialismo: la sanità privata non è il problema

Quante volte in questi giorni avrete letto commenti del tipo: “La Lombardia è l’esempio del fallimento della sanità privata e del problema dei tagli alla sanità pubblica”. Sarei pronto a scommettere €100 che almeno uno di questi criticoni una visita in un ospedale privato lombardo se l’è fatta: centri d’eccellenza come l’Humanitas, i vari ospedali del Gruppo San Donato, la Columbus, l’Auxologico, il Monzino e lo IEO sono privati e vedono un ampio via vai anche dalle altre Regioni quando non dall’estero.

Si imputa al privato la scarsità di terapie intensive in Lombardia. Ma, in realtà, i posti letto in Lombardia sono in linea con quelli italiane e sono di più di quelli di certe regioni del Meridione. Solo il Friuli Venezia Giulia si allontana significativamente, in meglio, dalla media italiana.

Parlando di terapie intensive, se è vero che esistono regioni con più terapie intensive per abitante della Lombardia (ma spesso nelle piccole regioni meridionali è relativamente più facile vista la scarsa densità di abitanti, bastano due ospedali, come in Molise), è anche vero che anche i privati hanno le terapie intensive e che alcune sono ampiamente specialistiche. Ma, come ben spiega Elisa Serafini, di media il servizio privato costa meno di quello pubblico. Quindi, paradossalmente, se avessimo voluto quei posti nel pubblico con la stessa spesa, beh, ne avremmo di meno.

Ma concentriamoci a guardare le altre sanità con più letti in terapia intensiva delle nostre. Potremmo parlare anche di mondo, consiglio l’articolo, qui tradotto, di Mises.org sulla sanità Sudcoreana, ma parliamo di Europa. Questo studio ci offre una statistica interessante.

Fig. 1

I campioni sono Germania, Lussemburgo e Austria. Germania e Austria hanno una sanità modello Bismarck con molti ospedali privati, la sanità del Lussemburgo è in stile Bismarck, ma ha quasi solo ospedali pubblici, in Romania c’è il Beveridge come in Italia ma, va detto, il sistema soffre di enormi diseguaglianze – a Bucarest ci sono ospedali di enorme qualità mentre nella provincia sono substandard – in Belgio c’è un Bismarck con ospedali come enti no profit, in Lituania c’è una sanità largamente pubblica, la Croazia ha un modello similfrancese con assicurazione minima statale più assicurazione opzionale e simile è il modello ungherese, mentre l’Estonia ha un sistema Beveridge come il nostro.

Se non vedete una correlazione, tranquilli, è semplicemente perché non c’è. Nel contesto europeo avere un sistema Bismarck o un sistema Beveridge di per sé è completamente indifferente rispetto al numero di posti letto o dei posti in terapia intensiva. Contano altri fattori quali l’investimento specifico nel campo della terapia intensiva o nella gestione delle pandemie parainfluenzali.

Il dato specifico non premia, in sostanza, né Beveridge né Bismarck, né la sanità centralizzata né quella decentralizzata. Non esiste evidenza che tornando al caro SSN centralizzato tutto pubblico si possano aumentare i posti in terapia intensiva, seppur ciò farebbe quasi sicuramente calare la qualità generale visto che in termini qualitativi i sistemi Beveridge più sono accentrati più perdono in qualità e, inoltre, eliminerebbe gran parte delle eccellenze che effettivamente ci rendono concorrenziali nel mondo.

Mercato vs. Stato: perché la sanità sudcoreana sta surclassando quella italiana?

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Mises Institute.

Ormai tutti conosciamo la diffusione del COVID-19 in tutto il globo. Restrizioni al movimento sono in ogni dove, le persone vengono testate e si preparano alla possibile quarantena, preoccupandosi per il proprio lavoro e la famiglia. I grandi eventi sono cancellati e interi Paesi messi in quarantena.

In tutto questo si può comunque intravedere un esperimento naturale sul funzionamento delle sanità socializzate in queste situazioni. E pare che stia andando abbastanza male per loro: possiamo vedere l’esempio dell’Italia e della Corea del Sud. Al momento, 12/3/2020, l’Italia ha 15’113 casi mentre la Corea del Sud 7’869 (i dati sono riferiti al giorno in cui l’articolo originale è stato pubblicato su Mises – ndr) e i dati sudcoreani stanno crescendo con calma – circa 100 casi al giorno contro le migliaia dell’Italia. Corea del Sud e Italia hanno popolazioni simili ma la parte della Penisola Coreana sotto la sovranità di Seoul è circa 1/3 della Penisola Italiana.

Nonostante la chiusura quasi totale del Paese l’Italia sta vedendo un aumento vertiginoso di casi mentre la Corea, con un culto che diffonde volutamente la malattia, no, e sta guadagnando il ruolo di guida nella lotta contro COVID-19. Ci sono varie ragioni e non poche sono legate ai differenti sistemi sanitari.

Sanità sudcoreana

Anche se il governo sudcoreano ha un proprio sistema assicurativo in monopolio di Stato ciò non ha impedito lo sviluppo del mercato: ospedali e cliniche chiedono abitualmente ai pazienti più di quanto copra l’assicurazione statale e per questa ragione più di 8 coreani su 10 hanno un’assicurazione supplementare, che pagano circa 120$ al mese.

Il 94% degli ospedali sono privati con un modello a pagamento, senza sussidi diretti del governo. Tanti sono posseduti da università o da enti caritatevoli. Il numero di ospedali è cresciuto nettamente dal 2002, quando erano 1’185, al 2012, quando erano 3’048. Il risultato è che in Corea del Sud ci sono 10 posti letto ogni 1’000 abitanti, più del doppio della media dell’OECD e quasi tre volte di quelli che ha l’Italia, che ne ha 3,4. Questi ospedali, tra l’altro, fanno pagare significativamente meno di quelli americani, che per la cronaca richiedono un “certificato di necessità” del governo in molti Stati.

Sanità italiana

In Italia, invece, il Servizio Sanitario Nazionale copre praticamente tutto ed esistono solo copagamenti simbolici. I tempi d’attesa possono essere anche di qualche mese, specie per le grandi strutture pubbliche, mentre nelle piccole cliniche convenzionate possono essere più brevi.

Vari ospedali offrono delle opzioni di mercato dove il paziente paga a sue spese, ma pochi ne fanno uso. I servizi d’emergenza sono sempre gratis.

Tempi d’attesa e qualità sono decisamente peggiori nel Meridione del Paese, dove spesso gli abitanti vanno al Nord a curarsi. Sono alti i tassi di medici laureati in Italia che vanno a lavorare all’estero, con l’istruzione italiana che vorrebbe rispondere riducendo i posti in medicina nelle università. In Italia vi era carenza di personale sanitario ben prima dell’epidemia di COVID-19. Il numero di ospedali è inoltre in calo: dai 1’321 del 2000 ai 1’063 del 2017. I prezzi del SSN sono stati messi sotto quelli di mercato con l’obiettivo di risparmiare denaro, e i risultati si vedono.

Conclusione

Attualmente il sistema sanitario italiano è sotto enorme pressione a causa dell’epidemia di COVID-19 che sta gestendo, tant’è che in alcuni ospedali si è già scelto di curare prima i giovani e i sani. Molti parlano solo del pericolo dell’epidemia ignorando l’evidenza che racconta una storia diversa: sotto le sanità che si affidano al governo la situazione è peggiore che sotto le sanità che si affidano al libero mercato. La sanità sudcoreana ha una rete di sicurezza, ma è molto simile ad un sistema di puro libero mercato, sicuramente di del sistema attualmente vigente negli Stati Uniti d’America dove gli ospedali sono sottoposti a stretta regolamentazione del governo, spesso imponendo strette restrizioni sulle forniture che non fanno altro che aumentare i costi e diminuirne la disponibilità. Come risultato la Corea del Sud ha fatto ciò che l’Italia non è stata in grado di fare: gestire efficacemente un’epidemia senza chiudere il Paese.

Se gli Stati Uniti vogliono gestire effettivamente un gran numero di casi nelle grandi città dovrebbero seguire l’esempio sudcoreano e liberalizzare il mercato, non costruire un sistema monopolizzato di test sanitario che impedisce alle persone di essere testate. Ciò non risolverebbe subito il problema delle scelte passate, ma aumenterebbe sicuramente la capacità di risposta del sistema sanitario.

L’Italia e lo Stato nel Terzo Millennio: Quanta spesa pubblica? Esegesi di uno stato snello

Il libro “Lo Stato nel Terzo Millennio” è, a mio parere, uno dei capisaldi del pensiero liberale del nostro secolo. Scritto dal Principe del Liechtenstein, in esso viene descritto uno Stato più leggero, limitato a poche funzioni come il funzionamento delle corti, la difesa e la politica estera, decentrando le restanti funzioni ai privati, alla società e alle comunità locali. Lo Stato, inoltre, sarebbe finanziato solo tramite imposte indirette, lasciando quelle dirette alle comunità locali.

Ma quanto, in effetti, peserebbe lo Stato centrale, a livello economico in un sistema del genere? Proviamo a fare un piccolo calcolo.

Difesa e sicurezza

Quanto spende l’Italia in difesa, ogni anno? Nel 2018 abbiamo speso 21 miliardi di Euro, cifra tra l’altro inferiore al 2% del PIL richiesto dalla NATO. E, in tutto ciò, sono inclusi i Carabinieri.

Bisogna considerare anche la sicurezza: Se lo Stato immaginato da Giovanni Adamo prevede il possibile decentramento anche di questo compito è facile immaginare la necessità, comunque, di avere un corpo di polizia statale, ad esempio per proteggere le frontiere o combattere fenomeni sovralocali quali la criminalità organizzata. Ebbene, lo Stato spende circa 25 miliardi in ciò, contando però anche i già contati Carabinieri e anche altri servizi che sarebbero decentrati o sono computati altrove.

Poniamo di volere un unico corpo statale di polizia che includa gli attuali Carabinieri e metà della Polizia di Stato. Ecco, dovremmo aggiungere 3 miliardi. E se vogliamo anche Pompieri e Protezione Civile statali sono altri 3, aumentando tra l’altro il finanziamento nel mentre. Totale 26 miliardi. (non sono pazzo, sono le approssimazioni a portare a 26)

Politica estera, giustizia e Parlamento

La giustizia, incluso il sistema carcerario, pesa circa 5 miliardi di Euro. Si possono fare passi in avanti, specie nella gestione carceraria, riducendo i costi, ma prendiamo pure il dato intero.

La politica estera, invece, costa circa 3 miliardi, includendo anche gli aiuti internazionali.

E il Parlamento? Il Principe immagina un parlamento monocamerale e ridotto, quindi prendiamo come dato quello del Senato, che costa agli italiani circa 600 milioni di Euro.

Istruzione e welfare

Lo Stato nel Terzo Millennio prevede esplicitamente un sistema scolastico a voucher. Fortunatamente, già sappiamo grosso modo quanto costerà: Con 5000€ l’anno ad alunno fanno 43 miliardi, ai quali vanno aggiunti circa 7 miliardi di finanziamenti alle università, ponendo che vengano mantenuti e non siano adottati sistemi quale l’ISA. In sostanza, il Ministero dell’Istruzione avrà un bilancio di 50 miliardi di Euro, creando tra l’altro una redistribuzione economica verso i comuni che decideranno di aprire scuole e riusciranno ad offrire l’istruzione a meno di quanto ricevano dal voucher.

Il welfare, invece, è tipicamente materia degli enti locali, e lo Stato viene visto come ultima istanza in caso di necessità. In questa ottica, una possibile proposta sarebbe quella di istituire un voucher welfare incondizionato di 1’000€ l’anno: Sarebbero 60 miliardi l’anno, che poi le persone potranno spendere per aderire ad un’assicurazione sociale sanitaria oppure per versarli al proprio ente locale di riferimento ed ottenere dei benefici. Sia chiaro, non sarebbe l’unica fonte di welfare, ma sarebbe l’unico sistema uniforme di welfare. Saranno poi gli enti locali a quantifare la misura rispetto alle esigenze del richiedente.

Il risultato economico

In totale, quindi, avremmo una spesa statale di circa 145 miliardi di Euro l’anno. Poniamo ancora che lo Stato abbia altri 35 miliardi di spesa indifferibile, necessaria e non decentrabile, magari per infrastrutture che debbono essere necessariamente statali. Sarebbe una spesa pubblica di 170 miliardi. Ma dobbiamo anche ridurre il debito pubblico, no? Decidiamo di destinare dunque 20 miliardi di Euro alla riduzione del debito. È poco, perché di questo passo il debito sarebbe estinto in quasi 130 anni.

Un totale, quindi, di 200 miliardi di Euro l’anno. Abbiamo ridotto la spesa statale da quasi il 50% del PIL a poco più del 10%. Abbiamo liberato enormi risorse per le comunità locali e gli individui, ossia le unità base del nuovo sistema.

Ma, soprattutto, lo Stato si finanzierebbe solo con imposte indirette, lasciando quelle dirette solo alle comunità locali. Per la Ragioneria dello Stato nel 2019 lo Stato incasserà circa 250 miliardi di imposte indirette, tolte le quote da destinare all’Unione europea. In sostanza, un avanzo di bilancio di 50 miliardi, includendo anche un bonus “che non si sa mai” da 35 miliardi e un ammortamento del debito da 20 miliardi. Se non lo si volesse usare per il debito si potrebbe, come propone il Principe, distribuirlo alle comunità locali proporzionalmente: 800€ circa per abitante. Milano, per esempio, prenderebbe più di un miliardo ogni anno da questa redistribuzione, il tutto senza contare che la città avrebbe capacità impositiva.

Parliamo, però, di mere ipotesi purtroppo. Cambiando un po’ la Costituzione sarebbe tutto fattibile, per carità, ma ci sarebbe il problema delle pensioni! Infatti quelle in essere devono essere pagate. Se si vuole modernizzare realmente l’Italia il primo passo dev’essere necessariamente fare sacrifici per passare al sistema pensionistico a capitalizzazione, poiché tutto il resto è bene o male decentrabile in breve tempo.

E perché converrebbe

Ma quali sarebbero le conseguenze di un taglio alla spesa così draconiano? Oltre al liberare risorse – cosa che porta quasi sempre a crescita economica – potrebbero non esserci grandi danni per lo stato sociale che, anzi, potrebbe migliorare. Come mai? Perché la gran parte delle risorse oggi stanziate per gli aiuti vanno, in realtà, all’amministrazione che li ottimizzano in maniera inefficiente.

Il welfare vero non sarebbe più appannaggio di un ente magico, che risolve i nostri problemi, ma cooperare per contare l’uno sull’altro. Ciò funziona bene nelle comunità locali, non negli elefantiaci stati nazionali. A fronte di una richiesta di occupazione, perdono di significato i Centri per l’Impiego se gli enti locali dispongono di una lista di chi necessita impiego, o magari attraverso un semplice sistema di rete fra cittadini. Poco burocratico? Sicuramente, ma probabilmente efficace. L’esperienza delle piccole attività e degli artigiani come bar o barbieri insegnano che funziona.

Tutto ciò vale anche per il contrasto alla povertà: Le ricette nazionali devono coniugare troppe esigenze per funzionare bene. Una politica di vicinanza invece funziona meglio. Un comune – o un ente di pari livello – è un’autorità che è in grado di aiutare chi è povero ad un livello più umano che economico. “Toh, tieni 600€ al mese”, chiunque sarebbe capace di farlo a disposizione dei soldi (degli altri) da poter spendere, riuscire a prendere una persona e farla uscire dalla povertà è diverso e richiede una visione umana differente da soggetto a soggetto, una visione che la burocrazia centralizzata non potrà mai avere.

Inoltre, essendo sistema di welfare slegati, ogni comunità può trovare la propria quadra riguardo alla propria situazione specifica: La maniera in cui Venezia contrasta la povertà non creerà un precedente vincolante per Morterone o per Bari, che magari hanno situazioni di povertà completamente diverse.

Non tutte le misure possono essere devolute agli enti locali, che potrebbero creare una situazione troppo dispersive, un esempio è la sanità: avere centinaia di Servizi Sanitari Locali rischia di creare non pochi problemi. Pensate ad un SSL (Sistema Sanitario Locale) composto da pochi comuni che si trova a dover pagare un intervento molto costoso ad un proprio assistito: nonostante in Italia gli interventi chirurgici non abbiano coti esorbitanti, il costo degli interventi a fronte di una bassa quantità di contribuenti nel sistema locale, potrebbe recare qualche grana nel bilancio del Servizio Sanitario Locale.

In questo caso, la soluzione potrebbe essere il modello Bismarck: assicurazioni sociali in leale concorrenza che funzionano a livello nazionale che pagano prestazioni presso strutture che possono essere pubbliche, private o sociali.

Lo Stato sociale prova ad emulare per vie legali il comportamento tradizionale dei piccoli gruppi. Una grande burocrazia è richiesta per gestire e controllare il processo e, al netto degli alti costi, il sistema mette in pericolo la libertà dell’individuo e in una democrazia dà la possibilità ai partiti politici di “comperare” voti con i soldi dei contribuenti.

In questa citazione c’è la spiegazione semplice del perché tale sistema funzionerebbe: Perché è insito nella nostra natura. Siamo propensi ad aiutare il prossimo, ma, come ben è spiegato nel libro, di aiutare una persona a 1000 chilometri di distanza ci importa meno e lo facciamo peggio.

Anche perché è obiettivamente difficile farlo: si immagini come potrebbe un milanese aiutare un disoccupato tarantino con convinzione verso il sistema di contribuzione nazionale? È difficile, ben più difficile che sedersi ad un tavolo e trovare soluzioni per il proprio vicino di casa.

Invece su scala locale tutto ciò diviene più semplice e meno costoso. E, solitamente, quanto più una popolazione ha soldi in tasca tanto più tende a spenderne una parte per aiutarne il prossimo.

Certo, vorrebbe dire togliere lo Stato da settori come le infrastrutture. E se per una qualche ragione un’infrastruttura necessaria non fosse costruita, magari per mancanza di fondi, né dai privati né dalle autonomie? Beh, il sistema è a prova di bomba: Lo Stato destinerebbe, per qualche anno, l’eccedenza che ha dalle imposte indirette alla costruzione dell’infrastruttura. Corrisponderebbe di fatto ad un aumento delle imposte, poiché si ridurrebbero i versamenti alle comunità locali, ma offrirebbe comunque una via per risolvere in via urgente alcune situazioni, che poi si potranno successivamente adattare al decentramento.

In ogni caso, gli enormi vantaggi di un welfare migliore, meno costoso e più vicino al cittadino e di una netta riduzione della spesa pubblica statale supererebbero nettamente i piccoli incidenti di percorso che sono naturali in un sistema decentrato.

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http://www.brunoleoni.it/lo-stato-nel-terzo-millennio

 

Sistemi sanitari a confronto: Bismarck vs Beveridge

Il sistema Bismarck ed il sistema Beveridge sono sistemi sanitari che garantiscono a tutti l’accesso alla sanità e sono i due principali sistemi sanitari d’Europa.

Il primo venne creato, come dice il nome, durante il governo di Bismarck e prevede delle assicurazioni sociali obbligatorie. Lo Stato ha un ruolo di controllo della concorrenza, nella legiferazione in materia e nel sussidiare il sistema, solitamente per i meno abbienti o le persone con condizioni preesistenti. E, di solito, le assicurazioni sono delle mutue no profit.

Questo modello è basato praticamente tutto sulla competizione: Tra pubblico e privato, tra assicurazioni e assicurazioni, tra medici e medici, tra cliniche e cliniche. Il sistema Bismarck è stato coniugato in più modi: In questo articolo trovate una spiegazione del sistema adoperato in Germania, che non solo prevede una competizione tra assicurazioni in generale ma anche tra assicurazioni “di Stato”, mutualistiche e pagate in base al reddito, e private, che coprono di più ma si pagano in base al proprio stato di salute e sono dunque accessibili solo a chi ha un determinato livello di reddito.

Un modello derivato da Bismarck spesso citato come esempio di eccellenza è il modello israeliano, descritto qui, inoltre è ritenuto molto interessante, specie per la rapidità con il quale si è sviluppato dopo la fine del comunismo, il modello ceco, descritto qui. Comunque, ogni Stato che usa un sistema Bismarck ha delle proprie peculiarità che lo caratterizzano e che possono portare vantaggi o svantaggi. Sarebbe impossibile trattare estensivamente ogni variante, quindi in questo articolo mi ispirerò al modello Bismarck in generale e non ad una particolare implementazione nazionale.

Il secondo nacque invece ad opera di William Beveridge, economista social-keynesiano, che nel 1942 pubblicò un rapporto che fu, a furor di popolo, la base del futuro stato sociale inglese.

In questo sistema, che tutti ben conosciamo, la gran parte del settore sanitario è portata avanti dallo Stato o da un ente pubblico: molti medici sono dipendenti pubblici, chi ha bisogno di una visita deve iscriversi in una lista e, quando ci sarà un medico disponibile, potrà farla.

Chiaramente non esiste un modello giusto, né esistono solo sistemi Beveridge puri contro Bismarck puri, tant’è che tra i dieci sistemi sanitari migliori d’Europa si contano sia Bismarck sia Beveridge in quantità simili.

Si può dire che, in uno Stato normale e serio, avere un sistema Bismarck o un Beveridge è una scelta più politica che sanitaria.

Per quale motivo è, a mio parere, preferibile un sistema ispirato a quello Bismarck rispetto a uno puramente statale?

Responsabilità

Nessuno verrebbe lasciato a morire per strada in un Paese occidentale, è chiaro. Però trasformare la sanità da un deus ex machina ad un qualcosa che esiste, si paga e dove esiste una certa libertà di scelta rende l’individuo più partecipe nelle scelte relative alla propria vita e meno succube di un sistema che, più che sanitario, sembra burocratico.

Premiare i comportamenti salubri

Mi capita spesso di leggere di proposte di tagliare i contributi del Servizio Sanitario a chi assume comportamenti autodistruttivi, definizione che varia molto da persona a persona e che spazia dal “chi si fa di cocaina mentre partecipa ad un baccanale senza preservativo” a “chi mangia al fast food”: un sistema Bismarck può risolvere la questione senza lasciare nessuno con spese mediche insostenibili.

Infatti un’assicurazione può avere un prezzo iniziale alto ma che si riduce per chi mantiene comportamenti sani. Soprattutto, l’assicurazione ha un beneficio nel far restare sane le persone, quindi potrebbe offrire attività sane a prezzi convenzionati.

Scegliete di mandare vostro figlio alla scuola bilingue? Ciò può ridurre l’evenienza di malattie neurodegenerative, quindi l’assicurazione potrebbe contribuire ai costi. Andate al lavoro coi mezzi camminando invece che in auto? L’assicurazione ha convenienza a ridurvi la tariffa o a pagare una parte di abbonamento.

Volete mangiare sano e fare esercizio? Potrebbe esserci un menù convenzionato in alcuni ristoranti o una palestra convenzionata dove restare in forma a prezzo ridotto.

L’assicurazione ha più beneficio a mantenervi sani rispetto ad una sanità completamente statale per una semplice ragione: i soldi. Se vi ammalate costate all’assicurazione, mentre in una sanità statale si guarda solo al bilancio corrente, che tanto è tutto nel calderone statale.

Ovviamente nulla vieta di tassare un po’ alcuni beni particolarmente dannosi, come tabacco, alcol o droghe, per finanziare il supporto statale al sistema sanitario e fare ricadere i costi sugli assuntori e non su tutti gli utilizzatori.

Concorrenza

In Italia quando si parla di concorrenza in sanità molti danno di matto. Non a caso una delle ragioni spesso citate contro l’autonomia regionale è che “creerebbe una sanità di serie A e di serie B”. Come se non fosse mai esistita la differenza sanitaria tra Regioni o tra ospedali della stessa città.

La concorrenza in sanità, se regolamentata, è potenzialmente vantaggiosa. Non si può, solitamente, avere una concorrenza totale per il semplice fatto che il fallimento di un’assicurazione può essere un problema grave per i suoi assicurati, come accadde nei primi anni nella Cechia democratica post-comunismo.

Pensate ad una cosa assurda: In Italia abbiamo la ricetta elettronica e il fascicolo elettronico: in sostanza se hai lo SPID accedi un po’ a tutti i tuoi documenti sanitari.

Ma la ricetta te la devi stampare. Perché? Perché in farmacia devono attaccarci le fustelle. Sarà sicuramente un sistema che ha ridotto le truffe ai danni del SSN ma non ha creato utilità al cittadino: anzi, può creargli un disservizio.

In Israele, dove le mutue devono competere per i clienti, la ricetta elettronica è veramente tale e non devi stampare alcun promemoria. Un’assicurazione sanitaria che impone tale procedura senza un significativo altro incentivo perderebbe clienti. Qui non potete andare dalla Regione e dire “non ho voglia di stamparmi le ricette, cambio operatore”.

Concorrenza nel campo sanitario vuol dire, in sostanza, lasciare più libertà all’individuo nello scegliere come essere seguito a seconda delle proprie esigenze.

Progresso (e sempre concorrenza)

Non parliamo ovviamente di progresso scientifico ma nelle tecnologie per rapportarsi col paziente. In Italia, da anni, usiamo essenzialmente lo stesso modello: Medico di Medicina Generale (ex medico di base, termine forse più noto ma formalmente scorretto) e in caso Medico Specialista, per emergenze non gravi e non previste Guardia Medica.

Ci sono ovviamente eccezioni: Il sistema sanitario dell’Emilia-Romagna sta lavorando molto sulle cosiddette “Case della Salute”, ossia dei luoghi dove sono presenti più medici, alcuni specialisti, pediatri e operatori sociali, la Lombardia, invece, punta ad un sistema diverso per i malati cronici, dove per le visite legate alla malattia cronica c’è un “gestore”, che può essere un medico, una struttura pubblica o una privata, che si occupa di assistere e guidare il paziente negli esami e nelle cure.

In altri paesi bismarckiani invece è diffuso il modello dell’ambulatorio di fiducia: Non si ha il proprio medico, bensì un ambulatorio dove si può andare per visite e consulti. E questi ambulatori solitamente non hanno solo medici generali ma anche alcuni specialisti, il che permette di effettuare alcuni approfondimenti nell’immediato, e anche la possibilità di fare immediatamente alcuni esami, solitamente esami del sangue o radiografici.

Se avete un animale domestico probabilmente siete abituati: Andate dal veterinario perché ha la zampina dolorante, gli fa la radiografia per vedere se è rotta, scopre che è solo distorta e gli mette una fasciatura. Ecco, in un sistema Bismarck funziona così, solo che invece di pagare voi paga la vostra assicurazione.

Potremmo anche parlare di come alcune assicurazioni israeliane trattano i malati cronici: Con la telemedicina, riducendo dunque il numero di visite inutili e permettendo di controllare l’assunzione dei farmaci.

Ancora, non c’è un sistema migliore. Ma con l’attuale sistema non potete scegliere: Un burocrate sceglie al posto vostro. Se vivete a Caorso e preferite il sistema lombardo dovete cambiare casa, in un sistema Bismarck se la vostra assicurazione non vi soddisfa potete cambiarla.

Lombardia: Un esempio da cui partire?

La sanità lombarda è ritenuta una delle eccellenze italiane, assieme alla sanità emiliano-romagnola. Solo che, a differenza di quest’ultima, non prova a svantaggiare il privato ma a collaborarci. I risultati si vedono: I lombardi possono andare a fare visite con il SSR presso strutture private quasi senza accorgersene e, spesso, fare visite “private agevolate” che costano poco più del ticket ordinario con tempi decisamente minori.

Ironia della sorte, il pubblico qui tende a creare disparità, perché il lombardo disoccupato che ha l’esenzione per reddito – quindi pagherebbe zero – se vuole la visita agevolata deve pagare, putacaso, 45€, mentre il lombardo che ha i soldi paga 45€ invece di 35€. In sostanza la salute del disoccupato vale 45€ interi mentre quella del lombardo che lavora vale solo 10€. Per la cronaca, esisterebbe una scappatoia, se non vi trovano l’esame entro 60 giorni.

Pensiamo se la Lombardia decidesse, improvvisamente, di bismarckizzare una parte dei propri servizi sanitari. La Regione, in competizione con i privati, continuerebbe a gestire ospedali e cliniche, ma rinuncerebbe ad esempio al monopolio della medicina generale.

I medici generali diventerebbero dei liberi professionisti – liberi dunque di associarsi tra di loro e di convenzionarsi con delle assicurazioni, che li pagherebbero le pazienti, oppure dipendenti del sistema assicurativo nel complesso, a seconda del modello scelto.

La Regione fornirebbe una parte di ciò che oggi spende in sanità – o meglio nella sanità che sarebbe bismarckizzata – direttamente ai cittadini, con un voucher per acquistare l’assicurazione. Nel mentre, possono scegliere opzioni ulteriori a pagamento (ad esempio assicurazioni di viaggio, no ticket, per sport pericolosi, per liberi professionisti in caso di malattia).

La Regione, dunque, gestirebbe i servizi d’emergenza come il pronto soccorso o la guardia medica (che potrebbe essere affiancata da un servizio di consulto digitale dell’assicurazione) mentre le assicurazioni gestirebbero la medicina generale. Ci sarebbe una competizione sana, invece, in altri settori quali le visite specialistiche, le degenze o gli interventi: Il pagamento sarebbe effettuato dalle assicurazioni (che sono comunque finanziate e garantite dal servizio pubblico) e, secondo la scelta del paziente, andrà verso una struttura pubblica, privata caritatevole o privata per profitto.

I tempi delle visite calerebbero: non ci sarebbe più una lista a cui iscriversi ma una moltitudine di medici, cliniche ed ambulatori che concorrono per avere i soldi della vostra visita: in sostanza la celerità del privato unita al pagamento nullo o ridotto del pubblico. Idem in campi come la fornitura di farmaci o gli interventi d’emergenza, che sarebbero cofinanziati dall’ente pubblico e dall’assicurazione dell’individuo.

Sarebbe, in sostanza, un Bismarck coperto dal pubblico, uno dei vari sistemi ibridi, dove l’assicurazione d’emergenza è pubblica mentre l’assicurazione generale è privata ma viene garantita nella forma base.

Davvero la sanità italiana è la quarta migliore al mondo?

La sanità PUBBLICA italiana è la quarta migliore al mondo. Scacco matto neoliberisti!

Se avete mai discusso di sanità avrete sicuramente letto un commento del genere. Ma è vero?

Effettivamente esiste una classifica di efficienza stilata da Bloomberg che afferma che la nostra sia la quarta sanità più efficiente del mondo.

Ma si basa su un criterio fallace. Infatti è un semplice rapporto tra l’aspettativa di vita e i costi sanitari. Ma l’aspettativa di vita varia in base a numerosi fattori, dall’alimentazione alla genetica, e l’Italia gioca in casa: Sardi e lombardi, curiosamente anche quelli ticinesi, sono tra le popolazioni più longeve d’Europa.

Bisognerebbe trovare una classifica basata su criteri sanitari, come l’accessibilità, l’informazione, i risultati effettivi, la prevenzione e la capillarità dei servizi offerti. Ah, già, esiste, è l’Euro Health Consumer Index, nella sua versione più recente del 2018.

E l’Italia perde improvvisamente il suo primato: Si posiziona ventesima, appena dietro la Spagna e prima della Slovenia, e mostra una scarsa capillarità e accessibilità.

Le prime dieci posizioni sono occupate da Stati che adottano il cosiddetto sistema Bismarck o un sistema universale e poi, undicesima, c’è la Francia, che usa un sistema intermedio tra i due.

È chiaro che da questi dati non si possa decretare un sistema migliore. Ciò dipende da vari fattori, primo tra tutti l’efficienza nell’uso del denaro dei contribuenti, una cosa affermata nei paesi scandinavi ma completamente estranea all’amministrazione italiana che vede la sanità più come un poltronificio.

Ma nel momento in cui la sanità italiana in Europa è percepita al livello di quella della Serbia, che è comunque uno Stato in crescita, dovremmo interrogarci su come possiamo migliorare. Perché, sia chiaro, in Italia abbiamo tante eccellenze, specialmente in Lombardia, ed è vero che ci sono persone che vengono dall’altro capo del mondo a curarsi a Milano.

Ma se a dover intraprendere certi viaggi della speranza sono anche cittadini italiani (perché i loro ospedali locali sono in condizioni disperate) è evidente come la sanità italiana non funzioni. E la soluzione proposta nel referendum costituzionale del 2016, ossia centralizzare tutto, è una non-soluzione, poiché è la mala-amministrazione a rendere certi ospedali problematici; raramente un’amministrazione centralizzata non eccezionale è maggiormente performante in tal senso rispetto un’amministrazione locale. Soprattutto in Lombardia.

Non a caso i sistemi sanitari scandinavi citati precedentemente agiscono a livello fortemente decentrato.