Non può esistere né deve esiste un’unica posizione liberale in materia di integrazione europea. La ragione è semplice: in base al restante bagaglio culturale si svilupperà, partendo da un’ideologia liberale, l’opinione sull’Europa.
Alcune categorie liberali hanno una posizione caratteristica sull’argomento: i liberal-popolari sono di solito europeisti, i liberali per la democrazia diretta euroscettici e gli indipendentisti liberali sono federalisti europei.
A tal proposito ci tengo a sottolineare come esistano valide ragioni per essere liberali e contrari all’Unione europea. Potremmo parlare del fatto che l’UE agisca come mercato unico e non come libero mercato, dello spiccato protezionismo della PAC o del fatto che, essendo governata dagli Stati, alla fine si comporta come un semplice delegato degli interessi che, nel 1900, hanno permesso al collettivismo di prevalere.
Di solito chi ha queste opinioni sostiene, appunto, un’Europa diversa, aperta al libero mercato e dove il potere sia ad un livello più basso, statale o regionale, per permettere un diffuso ricorso alla democrazia diretta.
Si può certamente obiettare come questi obiettivi siano raggiungibili anche all’interno dell’Unione, però è anche certamente più facile convincere un Paese che l’unione intera.
Tuttavia questo euroscetticismo, in Italia, esiste solo in alcuni ambienti libertari e, come frangia estremamente minoritaria, in alcuni partiti conservatori.
Il resto degli euroscettici lo sono, semplicemente, per il motivo sbagliato, ossia per un progetto sovranista e protezionista.
Il sovranismo, in Italia, è quell’ideologia per cui la politica economica va acclamata a furor di popolo e quando chi presta i soldi ne chiede conto o chiede a un’agenzia privata di farsi fare un rating si urla al complotto e alla speculazione. Si tratta di una delle tante ideologie che condividono il problema del socialismo, ossia che prima o poi i soldi altrui finiscono.
Sia chiaro, non ho nulla contro del sano conservatorismo fiscale in stile Kurz, che ha come obiettivo ridurre la dipendenza dello Stato da prestiti raggiungendo il pareggio di bilancio, ma il sovranismo italiano semplicemente vorrebbe fare debito per attuare politiche socialiste e keynesiane e quando l’Europa fa notare che non è una buona idea, invece di prendersela con la realtà, se la prendono con Bruxelles.
Il secondo problema è quello del protezionismo: nonostante l’UE sia fortemente protezionista con il mercato estero, soprattutto in materia agricola, ai protezionisti italiani non basta: vogliono più protezioni, meno mercato libero tra nazioni UE e più sussidi.
Ciò soddisfa due importanti bacini elettorali: quello degli agricoltori, ben desiderosi di non aver concorrenza e di scaricare parte dei propri costi sui contribuenti, e quello degli sciovinisti alimentari, per ciò tutto ciò che si mangia in Italia dev’essere prodotto entro i sacri confini della Patria, ignorando il fatto che l’Italia mangia più di quanto produca, e sfottono gli avventori di Starbucks per poi comperare prodotti 100% italiani che costano, senza contare i sussidi, il triplo degli omologhi prodotti.
Tutto ciò rende molto arduo un serio dibattito sull’integrazione europea, su tutto ciò che spazia tra “Patria e avtarchia” e l’Unione europea e possibili sviluppi, ad esempio con enti come l’Area Europea di Libero Scambio o lo Spazio Economico Europeo come l’Area Schengen o accordi bilaterali.