Vi è lavoro nero quando un datore di lavoro non versa i contributi pensionistici e assicurativi per suo dipendente e perciò quando non lo assume regolarmente. In questo articolo non si proporrà una soluzione per quel tipo di lavoro nero che non può non essere tale, cioè quando l’attività economica sottostante è di tipo criminale e perciò impossibile l’assunzione di personale in maniera regolare, ma solo di quando l’attività economica è lecita.
Per spiegarvi la mia idea, vi mostro le conseguenze economiche di quando un imprenditore sceglie di assumere regolarmente o irregolarmente un lavoratore dipendente:
- Se assume un lavoratore dipendente in modo regolare (ipotizziamo il contratto standard e non stage, tirocinio, apprendistato ecc.), dovrà pagare oltre al salario lordo i contributi pensionistici e assicurativi, il TFR e la tredicesima e assumersi altri impegni di tipo contrattuale (tutele crescenti)
- Se assume un lavoratore in modo irregolare, a lui dovrà corrispondere solo il salario lordo che in questo caso sarà pari a quello netto; dato che ovviamente il lavoratore non potrà pagarci le tasse e la parte di contributi a suo carico. Oltre a questo, l’imprenditore potrà prendere in considerazione il costo del rischio di essere trovato in flagrante e pagare multe o subire altri tipi di sanzioni non solo economiche.
Vi starete forse chiedendo: come si fa a rendere conveniente assumere un lavoratore se assumerlo in modo irregolare ha molti meno costi? Ottima domanda. L’imprenditore quando assume un lavoratore può detrarre dalla base imponibile (ciò che si moltiplica per le aliquote fiscali per calcolare le imposte da versare al fisco) i suoi costi. Perciò, la differenza fra le due opzioni in questo caso non è uguale ai costi precedentemente elencati, ma si deve prendere in considerazione anche l’aliquota a cui è assoggettata l’impresa. L’IRES in Italia è del 24%, perciò ora vediamo la tabella delle opzioni attuabili dall’imprenditore e dei suoi possibili risultati (Calcolo approssimativo):
Scelta |
Salario lordo del lavoratore |
Cuneo fiscale lato imprenditore |
Tredicesima, TFR, ferie pagate |
Risparmio fiscale sulla base imponibile (Totale*24%) |
Totale costo |
Assunzione regolare |
1000 |
320 |
270 |
382 |
1208 |
Assunzione irregolare |
1000 |
1000 |
La differenza è di 208€, pari al 20,8% del salario lordo. I calcoli sono approssimativi perché i costi sono diversi a seconda di tante variabili (costo indiretto in termini di burocrazia), ma comunque verosimili. Come si tutelano gli imprenditori che rispettano le regole? Le soluzioni sinteticamente sono 3: una vigorosa, una drastica e una soft (adatta per la politica) che non risolverebbe appieno il problema ma comunque aiuterebbe.
La prima soluzione vigorosa, semplice quanto impraticabile a livello politico, è il passaggio da un sistema in cui i costi dei contributi sono ripartiti fra imprenditore e lavoratore (in sostanza i soldi escono solo dalla tasca dell’imprenditore) a uno in cui sono tutti a carico del lavoratore, a cui ovviamente si accompagnerebbe un aumento dei salari di pari misura per quelli già in essere. Per gli imprenditori il costo rimarrebbe identico e i lavoratori si renderebbero conto del costo di tutti questi contributi e diventerebbe un’esigenza elettorale anche dei lavoratori la diminuzione del cuneo fiscale.
Oltre a questo, per fare diventare questa una proposta drastica bisognerebbe rendere TFR, 13sima e ferie non obbligatori per gli imprenditori ( assolutamente inverosimile ottenerlo a breve-medio termine). Con ciò, ci dovrebbe essere una cancellazione di tutte quelle forme che prevedono sconti fiscali o particolari condizioni di vantaggio per alcuni imprenditori che causano semplicemente distorsioni della concorrenza fra imprese e fra lavoratori e non creano sana occupazione. I contratti di lavoro così servirebbero solo per definire salario, benefits e responsabilità reciproche (pura illusione), e la burocrazia relativa ai contratti sarebbe praticamente azzerata.
Con queste due soluzioni il costo del lavoro regolare diventa minore di quello irregolare, perciò sarebbe economicamente stupido non assumere un lavoratore quando ce ne è bisogno.
La soluzione soft e non efficace economicamente quanto le altre due (fra poco vediamo perché) è la riduzione del cuneo fiscale. Dato che è soft, sarà ed è quella che viene perseguita politicamente per altre meritorie ragioni (dare più competitività alle imprese italiane). Il problema è che solo per ottenere la parità di costi fra lavoro nero e regolare (presupponendo la parità di salari lordi) bisogna abbassare “eccessivamente” il cuneo fiscale.
Hai detto fino ad ora di azzerare il cuneo fiscale e adesso ti lamenti che si abbassi eccessivamente? Non esattamente. Il cuneo fiscale ha in buona parte la funzione di pagare assicurazioni e pensioni, per cui se le pensioni e le assicurazioni rimangono pubbliche come ora bisogna che qualcuno le paghi, ed è meglio che ognuno si paghi la sua quando ne ha la possibilità dato che rompere questo legame fra versamenti e pensioni e contributi versati potrebbe far cadere qualcuno nella tentazione di pensioni uguali per tutti o retributive. La parità di costo economico fra lavoratore regolare e irregolare con un IRES al 24% si otterrebbe con un cuneo fiscale più costi accessori (ferie, TFR e tredicesima) pari al 31,6% del salario nominale.
131,6 x (100-24) = 100
Dato che di quel 31,6% , 27 sono già occupati dai costi extra, significherebbe avere un cuneo fiscale del 4,6%, insostenibile per le casse dello Stato. Perciò, o si attua solo in parte questa terza misura, o si fa un mix fra questa misura e quelle precedenti, o il problema rimane.
Alla classe politica l’ardua scelta.