Quando penso alla figura del parroco mi viene in mente il curato di campagna che cerca di svincolarsi da loschi figuri che vogliono impedire matrimoni, oppure quelle figure sociali che, dall’alto del loro mandato episcopale, si mettono a gestire tornei di calcetto in oratorio. Tutto bellissimo se non fosse che il parroco moderno fa tutto fuorché questo. La Chiesa Cattolica di oggi vede i parroci che controllano situazioni impegnative, al pari di veri e propri manager d’impresa: asili nido, scuole per l’infanzia, eventi. A livello giuridico sono datori di lavoro: hanno dipendenti e sono penalmente responsabili in caso di problemi legati alla sicurezza delle attività che avvengono negli spazi parrocchiali. Una bella “rogna” che avrebbe portato Don Abbondio a fare, probabilmente, tutt’altro.
Il punto è che, per la Chiesa Cattolica, il prete è rimasto proprio quello di Manzoni nel suo celebre romanzo: senza formazione economica ma solo teologica. Capiamoci, questo non vuole essere in alcun modo un attacco alla Chiesa di Roma, ma un tentativo di far comprendere come l’origine di buona parte dei problemi della vita di una comunità parrocchiale derivi dalla mancanza di una visione imprenditoriale.
Questo articolo ha una sua attualità in quanto, nel padovano, un sacerdote si è dovuto dimettere in seguito a sexy rumors nei suoi confronti. E fin qui niente di sconcertante, i sacerdoti sono uomini e possono (anche se non dovrebbero, per “contratto”) avere queste debolezze; ciò che ha fatto specie è la sua intervista ai giornali locali. Egli sosteneva che dal momento del suo insediamento nel 2017 fossero “scomparsi” dagli uffici tutti i registri che riguardavano 10 anni di gestione economica nonché, l’anno successivo, anche la chiavetta che permetteva i pagamenti digitali, a cui è seguita regolare denuncia contro ignoti. E ancora ha affermato che “c’era un gruppo di persone (parrocchiani laici, ndr) che comandava tutto e decideva ogni spesa, dalle sagre ai contributi per le associazioni, fino alle ristrutturazioni. Bisognava stare alle loro condizioni”. Conclude sostenendo che la sua gestione – più accentrata e volta al controllo diretto delle spese – avesse dato fastidio a qualcuno dando una giustificazione per la diffamazione.
Vera o no che sia la storia, rimane interessante però la metodica con cui le parrocchie ormai vengono gestite: i Consigli Pastorali e i sacerdoti che li presiedono (i CdA per intendersi) sono costituiti da persone non formate in materia amministrativa. Spesso si trovano in posizioni di comando anche personaggi “folkloristici” facenti parte della comunità. Una condizione che pone la Chiesa Cattolica ben lontana da uno standard adeguato di professionalità e necessario per le funzioni che queste organizzazioni svolgono.
Come risolvere questo problema? Il capitalismo e le logiche di mercato – oggigiorno così avversate anche dalla Chiesa di Roma – possono venire in aiuto. Per quale motivo in Vaticano (o nei vari ordini in cui sono divise le varie parrocchie) non si sceglie di pagare dei manager veri, preparati e in grado di fare business plan seri e strutturati, tali che possano assumere dei responsabili HR in grado di capire i limiti delle persone che lavorano in parrocchia? Il modus operandi potrebbe essere quello della Chiesa irlandese, in cui le varie realtà locali funzionano come piccole aziende.
Così facendo, i sacerdoti potrebbero tornare a concentrarsi appieno sui fedeli e sulla teologia, materia per la quale sono dei (certificati) professionisti, lasciando ai manager d’impresa la possibilità di favorire accesso a persone meritevoli nell’organigramma parrocchiale: una parrocchia più funzionale e trasparente è l’immagine di una Chiesa Cattolica inclusiva al passo coi tempi, e lo accetteremmo di buon grado anche senza dover urlare che è merito del liberalismo…c’è ancora tempo per ammetterlo.