Gli errori delle politiche contro la disoccupazione - di Friedrich von Hayek - Istituto Liberale Italiano Skip to content
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Gli errori delle politiche contro la disoccupazione – di Friedrich von Hayek

Uno degli ostacoli ad una politica occupazionale di successo è che, paradossalmente, è relativamente facile ridurre rapidamente la disoccupazione, o arrivare quasi a estinguerla, per un breve lasso di tempo. C’è sempre un modo per riportare rapidamente un gran numero di persone al tipo di occupazione a cui sono abituate, senza nessun costo immediato tranne stampare moneta e spendere qualche milione in più. Nei Paesi con una storia monetaria squilibrata questo fatto è noto da tempo, eppure il rimedio non è diventato molto popolare. In Inghilterra invece la recente scoperta di questo farmaco ha prodotto un effetto inebriante; e l’attuale tendenza ad affidarsi esclusivamente al suo uso non è priva di pericoli.

Anche se l’espansione monetaria può dare un rapido sollievo, può produrre una cura duratura solo in misura limitata. Pochi negheranno che la politica monetaria possa contrastare con successo la spirale deflazionistica in cui tende a degenerare ogni piccolo declino delle attività. Ciò non significa, tuttavia, che sia auspicabile che normalmente si forzi l’utilizzo dell’espansione monetaria per creare la massima quantità di occupazione che può produrre nel breve periodo. Il guaio di questa politica è che sarebbe quasi certo aggravare le cause fondamentali o strutturali della disoccupazione e lasciarci alla fine in una posizione peggiore di quella da cui siamo partiti.

 

Aggiustamenti sbagliati

La causa principale di questo tipo di disoccupazione è senza dubbio la sproporzione tra la distribuzione della manodopera tra le diverse industrie e i tassi a cui la produzione di queste industrie potrebbe essere continuamente assorbita. Alla fine di questa guerra ci troveremo, ovviamente, di fronte a un problema particolarmente difficile da risolvere. Tra queste sproporzioni in passato la più nota (e, a causa del suo collegamento con le periodiche recessioni, la più importante) era il cronico sovrasviluppo di tutte le industrie che producevano attrezzature per ulteriori produzioni.

È più che probabile che queste industrie, a causa del modo intermittente in cui hanno operato, abbiano sempre avuto una forza lavoro più grande di quella che potevano impiegare in modo continuativo. Non è difficile creare, attraverso l’espansione monetaria di queste industrie, un’altra esplosione di attività febbrile che creerà temporaneamente condizioni di “piena occupazione” e che attirerà ancora più persone in queste industrie, però così stiamo rendendo più difficile il compito di mantenere un livello di occupazione stabile. Una politica monetaria che mira ad una posizione stabile a lungo termine dovrebbe infatti fermare deliberatamente l’espansione prima che si raggiunga la “piena occupazione” in queste industrie, per evitare una nuova cattiva gestione delle risorse.

Anche se questo è il più importante caso singolo di errato aggiustamento strutturale responsabile della disoccupazione, la depressione ricorrente costituisce solo una parte del nostro problema. La radice della disoccupazione persistente è una minaccia ancora maggiore ed è dovuta in gran parte a distribuzioni sbagliate di tipo diverso, in cui la politica monetaria può fare ancora meno per fornire una cura. Dobbiamo affrontare il fatto che il problema della disoccupazione è in ultima istanza un problema salariale; un fatto che un tempo era ben compreso, ma che una cospirazione del silenzio ha recentemente relegato nell’oblio.

 

Salari e mobilità

La domanda si sposta costantemente verso nuovi articoli e industrie e più rapido è il progresso più frequenti sono tali cambiamenti. Anche se l’aumento della velocità del cambiamento farà necessariamente aumentare il numero di persone temporaneamente senza lavoro, questo non causa per forza un aumento della disoccupazione duratura, o una riduzione della domanda di lavoro nel suo complesso.

Se gli spostamenti nelle industrie in espansione fossero liberi, queste dovrebbero poter assorbire prontamente i lavoratori licenziati altrove. Il nuovo sviluppo che sempre più lo impedisce, e che è diventato la causa più grave della disoccupazione prolungata, è la tendenza di coloro che si sono insediati nelle industrie in espansione a escludere i nuovi arrivati. Se l’aumento della domanda di lavoro in queste industrie non porta ad un aumento dell’occupazione e della produzione, ma semplicemente ad un aumento dei salari e dei profitti di chi è già all’interno, non ci sarà in effetti alcuna nuova domanda di lavoro per compensare la diminuzione generatasi altrove. Se ogni guadagno di un’industria è trattato come appannaggio di un gruppo chiuso, da convertire quasi interamente in salari e profitti più alti, ogni spostamento della domanda deve condurre a disoccupazione di lungo periodo.

L’esperienza molto particolare e quasi unica di questo Paese negli anni successivi all’innalzamento artificiale della sterlina al suo precedente valore in oro ha prodotto una fallace preoccupazione per il livello generale dei salari. Laddove un tale aumento artificiale del livello salariale nazionale è la causa della disoccupazione, la manipolazione monetaria è in effetti il modo più semplice per curarla. Una tale situazione, tuttavia, è del tutto eccezionale e non è probabile che si verifichi se non in conseguenza di fluttuazioni monetarie.

In tempi normali l’occupazione dipende molto di più dal rapporto tra i salari nei diversi settori – o, piuttosto, dal grado di mobilità consentito dalla struttura salariale. In questo caso, la politica monetaria può fare ben poco. Infatti, se Lord Keynes ha ragione nel sottolineare che i lavoratori attribuiscono più importanza alla cifra nominale del loro salario monetario che al salario reale, qualsiasi tentativo di risolvere i problemi di rigidità salariale con l’espansione monetaria non può che aumentare l’immobilità che è il vero problema: se i salari monetari vengono mantenuti stabili nelle industrie in declino, i lavoratori diventeranno ancora più esitanti a lasciarle per abbattere i muri a protezione dei gruppi privilegiati nelle industrie in fase di crescita.

La lotta contro la disoccupazione corrisponde in ultima istanza alla lotta contro il monopolio. C’è bisogno di aggiungere che su questo tema fondamentale non ci stiamo muovendo nella giusta direzione? O che sarebbe un cattivo servizio alla comunità fingere che ci sia una via d’uscita facile che rende inutile affrontare le difficoltà di fondo?

 

Pericoli in vista

È facile capire che i nostri problemi diventerebbero molto più gravi se la moda attuale dovesse prevalere e se diventasse dottrina accettata che la politica monetaria ha il compito di rimediare a qualsiasi danno causato da politiche salariali monopolistiche. Oltre all’effetto sui protagonisti della politica salariale, che vengono così esonerati dalle responsabilità per l’effetto delle loro azioni sull’occupazione, l’accento unilaterale sulla politica monetaria può non solo privare i nostri sforzi di risultati completi, ma anche produrre effetti tanto imprevisti quanto indesiderati.

Se è vero che una politica monetaria intelligente è una conditio sine qua non per prevenire la disoccupazione su larga scala, è altrettanto certo che ciò non è sufficiente. A meno di ricorrere alla costrizione universale, non riusciremo mai a sconfiggere la disoccupazione in modo duraturo finché non riusciremo a rompere le rigidità del nostro sistema economico che abbiamo permesso ai monopoli di capitale e lavoro di creare. Dimenticarlo e affidarsi esclusivamente alla politica monetaria è così pericoloso perché può avere successo abbastanza a lungo da rendere impossibile qualsiasi altro tentativo: più siamo indotti a ritardare gli aggiustamenti più ardui, perché ci sembra di riuscire per il momento a far andare avanti le cose, più grande sarà il settore del nostro sistema economico che potrà essere mantenuto in vita solo grazie allo stimolo artificiale dell’espansione del credito e dei sempre maggiori investimenti pubblici.

È un percorso che ci costringerebbe ad aumentare progressivamente il controllo del Governo su tutta la vita economica, fino ad arrivare allo Stato totalitario.

 

Traduzione a cura di Alessio Langiano

Articolo originale: https://mises.org/wire/hayek-good-and-bad-unemployment-policies

 

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