La visione neo-conservatrice della Rivoluzione Americana
Soprattutto a partire dai primi anni Cinquanta, l’America si è opposta alle rivoluzioni in tutto il mondo; nel farlo ha generato una storiografia che nega il proprio passato rivoluzionario. Questa visione neo-conservatrice della Rivoluzione Americana, facendo eco allo scrittore reazionario al soldo dei governi austriaco e inglese dei primi anni del XIX secolo, Friedrich von Gentz[1], cerca di isolare la Rivoluzione Americana da tutte le rivoluzioni del mondo occidentale che l’hanno preceduta e seguita.
La Rivoluzione Americana, secondo questo punto di vista, è stata unica. L’unica di tutte le rivoluzioni moderne a non essere stata davvero rivoluzionaria; è stata invece moderata, conservatrice, dedita solo a difendere le istituzioni esistenti dall’aggressione britannica. Inoltre era meravigliosamente armoniosa e consensuale, come tutto in America. A differenza della malvagia Rivoluzione Francese e di altre rivoluzioni in Europa, la Rivoluzione Americana non ha quindi sconvolto o cambiato nulla. Non è stata dunque una vera e propria rivoluzione; e certamente non è stata radicale.
Le rivoluzioni sono una reazione all’oppressione
Ora, questa visione, in primo luogo, dimostra un’estrema ingenuità sulla natura della rivoluzione. Nessuna rivoluzione è mai scaturita dal vertice della società esistente, completamente formata e armata di tutto punto come Atena scaturì dalla testa di Zeus; nessuna rivoluzione è mai emersa da un vuoto. Nessuna rivoluzione è mai nata solo dalle idee, ma solo da una lunga serie di abusi e da una lunga storia di preparazione, ideologica e istituzionale. E nessuna rivoluzione, neanche la più radicale, dalla Rivoluzione Inglese del XVII secolo alle molte rivoluzioni del Terzo Mondo del XX secolo, è mai nata se non come reazione a una crescente oppressione da parte dell’apparato statale esistente.
In questo senso ogni rivoluzione è una reazione alla crescente oppressione; e in questo senso, tutte le rivoluzioni possono essere definite “conservatrici”; ma questo creerebbe confusione intorno al significato dei concetti ideologici. Se le rivoluzioni Francese e Russa possono essere definite “conservatrici”, allora lo stesso vale per quella Americana. Si applica alla ribellione di Bacon[2] della fine del XVII secolo come alla Rivoluzione americana della fine del XVIII secolo. Come ha giustamente sottolineato la Dichiarazione d’Indipendenza (una buona fonte per comprendere la Rivoluzione):
“La prudenza, certamente, impone che i governi di antica data non siano cambiati per cause leggere e transitorie; e tutta l’esperienza ha dimostrato che l’umanità è più disposta a soffrire i torti di un cattivo governo, finché sopportabili, che a farsi giustizia abolendo le forme a cui è abituata. Ma quando una lunga serie di abusi e di usurpazioni… rivela un progetto per ridurli sotto un dispotismo assoluto, è allora loro diritto e loro dovere respingere tale governo. …”
Ci vuole una lunga serie di abusi per persuadere la massa a rinunciare alle proprie abitudini e alla propria lealtà e a fare la rivoluzione; da qui l’assurdità di definire la Rivoluzione Americana come “conservatrice” in questo senso. In effetti, proprio questa svolta contro le abitudini esistenti, l’atto stesso della rivoluzione, è di conseguenza un atto straordinariamente radicale. Tutte le rivoluzioni di massa, anzi, tutte le rivoluzioni che si distinguono dai meri colpi di Stato, portando le masse all’azione violenta, sono quindi di per sé eventi estremamente radicali. Tutte le rivoluzioni sono radicali.
La tradizione radicale americana
Ma il profondo radicalismo della Rivoluzione Americana va ben oltre ciò. È stato indissolubilmente legato sia alle rivoluzioni radicali che l’hanno preceduta che a quelle che le sono succeduta, in particolare la Rivoluzione Francese. Le ricerche di Caroline Robbins e Bernard Bailyn hanno mostrato l’imprescindibile nesso fra l’ideologia radicale dei rivoluzionari repubblicani inglesi del XVII secolo e i rivoluzionari francesi e americani, passando attraverso i Commonwealth Men[3] di fine XVII secolo e inizio XVIII secolo. E questa ideologia dei diritti naturali e della libertà individuale era rivoluzionaria fino al midollo. Come Lord Acton[4] ha sottolineato a proposito del liberalismo radicale, nel porre “ciò che dovrebbe essere” come rigoroso punto di riferimento per giudicare “ciò che è”, ha in pratica creato uno standard di rivoluzione.
Gli americani erano sempre stati intrattabili, ribelli, insofferenti all’oppressione, come testimoniano le numerose ribellioni della fine del XVII secolo; avevano anche una loro eredità individualista e libertaria, i loro Anne Hutchinsons[5] e i quasi anarchici del Rhode Island, alcuni direttamente collegati con l’ala sinistra della Rivoluzione inglese. Ora, rafforzati e guidati dall’ideologia libertaria dei diritti naturali sviluppata nel XVIII secolo, e reagendo all’aggressione dello Stato imperiale britannico nella sfera economica, costituzionale e religiosa, gli americani, nel corso di scontri sempre più intensi e radicalizzati con la Gran Bretagna, fecero e vinsero la loro Rivoluzione. Nel farlo, questa rivoluzione basata sull’ideologia libertaria che pervadeva sempre più l’opinione illuminata in Europa diede uno slancio incommensurabile al movimento rivoluzionario liberale in tutto il Vecchio Mondo, perché costituiva l’esempio vivente di una rivoluzione liberale che aveva colto un’audace opportunità contro lo Stato più potente del mondo e contro ogni previsione aveva avuto successo. Essa, in effetti, era diventata un faro luminoso per tutti i popoli oppressi del mondo!
La rivoluzione americana è stata radicale in molti altri modi. Fu la prima guerra di liberazione nazionale di successo contro l’imperialismo occidentale. Una guerra popolare, condotta dalla maggioranza degli americani che avevano il coraggio e il fervore di sollevarsi contro il governo “legittimo” costituito, riuscì a cacciare il “sovrano”. Una guerra rivoluzionaria condotta da “fanatici” e zelosi che respingevano i richiami al compromesso e all’adeguarsi al sistema esistente.
Come guerra popolare, fu vittoriosa perché contro l’esercito britannico, meglio armato e meglio addestrato, furono impiegate strategia e tattiche di guerriglia – strategia e tattiche di conflitto prolungato basate proprio sul sostegno di massa. Le tattiche di assalto, di mobilità, di sorpresa, di logoramento e di attacco alle linee di rifornimento portarono infine all’accerchiamento del nemico. Considerando che la teoria della guerriglia non era ancora stata sviluppata, è stato notevole che gli americani abbiano avuto il coraggio e l’iniziativa di impiegarla. Tutte le loro vittorie si basavano su concetti di guerriglia, mentre tutte le sconfitte americane provenivano dall’ostinata insistenza di uomini come Washington su un convenzionale confronto militare in campo aperto, di tipo europeo.
La guerra civile all’interno della Rivoluzione Americana
Inoltre, come ogni guerra popolare, la Rivoluzione Americana inevitabilmente spaccò la società in due. La Rivoluzione non è stata un’emanazione pacifica di un generale “consenso” americano; al contrario, come abbiamo visto, fu una guerra civile che portò all’espulsione permanente di 100.000 Tories[6] dagli Stati Uniti. I lealisti furono cacciati, perseguitati, a volte uccisi e i loro beni confiscati; cosa c’è di più radicale di questo? Come in tante altre cose, la Rivoluzione Francese fu anticipata in questo dagli americani.
La contraddizione interna fra l’obiettivo della libertà e la lotta contro i Tories durante la Rivoluzione ha mostrato come le rivoluzioni siano tentate di tradire i propri principi nella foga della battaglia. La Rivoluzione Americana ha prefigurato anche l’uso improprio dell’inflazione di cartamoneta, e dei severi controlli sui prezzi e sui salari che si dimostrarono altrettanto impraticabili in America come in Francia. E, poiché il governo costituito veniva ignorato o rovesciato, gli americani hanno fatto ricorso a nuove forme di governo quasi anarchiche: comitati locali spontanei. In effetti, il nuovo Stato e i futuri governi federali sono spesso emersi da federazioni e alleanze di comitati locali e di contea. Anche in questo caso, “comitati d’ispezione”, “comitati di sicurezza pubblica”, ecc., anticipavano la via francese e altre vie rivoluzionarie. Ciò significava, come fu illustrato nel modo più chiaro in Pennsylvania, l’innovazione rivoluzionaria di istituzioni parallele, di doppi poteri, che sfidavano e alla fine semplicemente sostituivano le vecchie e consolidate forme di governo. Niente, in questo quadro della Rivoluzione americana, avrebbe potuto essere più radicale, più rivoluzionario.
Ma, si può dire, in fondo si trattava solo di una rivoluzione esterna; anche se la Rivoluzione Americana era radicale, era solo un radicalismo diretto contro la Gran Bretagna. Non c’è stato alcuno sconvolgimento radicale in patria, nessuna “rivoluzione interna”. Anche qui, tale visione tradisce un concetto molto ingenuo di rivoluzione e di guerre di liberazione nazionale. Se il bersaglio della sollevazione era ovviamente la Gran Bretagna, l’inevitabile conseguenza indiretta fu un cambiamento radicale all’interno degli Stati Uniti. La prima e più ovvia conseguenza fu che il successo della rivoluzione significò inevitabilmente il rovesciamento e lo sfollamento delle élite conservatrici lealiste, in particolare degli oligarchi locali e dei membri dei consigli dei governatori creati e sostenuti dal governo britannico. La liberazione del commercio e della manifattura dalle catene imperiali britanniche significò anche qui la cacciata dei Tory da posizioni di privilegio economico.
La confisca dei possedimenti dei Tory, soprattutto nello Stato semi-feudale di New York ebbe un forte effetto democratizzante e liberalizzante sulla struttura della proprietà terriera negli Stati Uniti. Uniti. Questo processo fu anche notevolmente promosso dall’inevitabile espropriazione delle vaste proprietà terriere britanniche in Pennsylvania, Maryland, Virginia e North Carolina. L’inattesa acquisizione del territorio a ovest degli Appalachi con il trattato di pace aprì vaste quantità di terre vergini alla liberalizzazione ulteriore della struttura fondiaria, a condizione che le società di speculazione terriera, come era sempre più chiaro, fossero tenute a bada. La rivoluzione portò anche un inevitabile ritorno della libertà religiosa con la liberazione di molti Stati, soprattutto nel Sud, dall’anglicanesimo imposto dagli inglesi.
Gli sconvolgimenti interni portati dalla Rivoluzione
Con questi radicali processi avviati inevitabilmente dallo scoppio della guerra contro la Gran Bretagna, non sorprende che questo percorso rivoluzionario interno andasse oltre. All’attacco al feudalesimo si aggiunse una spinta contro i retaggi dell’inalienabilità e della primogenitura; dall’ideologia della libertà individuale – e dalla partecipazione britannica alla tratta degli schiavi – venne un attacco generale a quel commercio, e, nel Nord, una spinta governativa contro la schiavitù stessa, che ebbe successo.
Un altro corollario necessario, e spesso trascurato, della Rivoluzione fu che l’evento stesso della rivoluzione (escludendo il Connecticut e il Rhode Island, dove già prima non esisteva alcun governo britannico) destituì il regime locale esistente. L’improvvisa eliminazione di quel regime riportò il governo in una forma frammentata, locale, quasi anarchica.
Se consideriamo anche che la Rivoluzione fu consapevolmente e fortemente diretta contro le tasse e contro il potere del governo centrale, l’inevitabile spinta della Rivoluzione per una trasformazione radicale verso la libertà diventa chiarissima. Non sorprende quindi che le tredici colonie ribelli fossero separate e decentralizzate, e che per diversi anni anche i governi statali separati non abbiano osato imporre tasse alla popolazione. Inoltre, dal momento che il controllo reale nelle colonie aveva significato il controllo del potere esecutivo, giudiziario e legislativo (sulla camera alta) da parte degli incaricati reali, la spinta libertaria della Rivoluzione era inevitabilmente contro questi strumenti di oligarchia e a favore di forme democratiche rispondenti e facilmente controllabili dal popolo. Non è un caso che gli Stati in cui questo tipo di rivoluzione interna contro l’oligarchia fece più progressi erano quelli in cui l’oligarchia era più riluttante a rompere con la Gran Bretagna.
In Pennsylvania per esempio la spinta radicale per l’indipendenza ebbe come conseguenza che l’oligarchia riluttante dovesse essere messa da parte, e questo processo condusse alla costituzione più liberale e democratica di tutti gli stati. (Una costituzione notevolmente liberale e democratica è anche il risultato della necessità del Vermont di ribellarsi contro l’imperialismo di New York e del New Hampshire verso le terre del Vermont). D’altra parte, il Rhode Island e il Connecticut, dove non esisteva alcun governo britannico locale, non subirono un tale cataclisma interno.
La rivoluzione interna arrivò quindi dall’esterno, ma avvenne comunque. A causa di questi inevitabili effetti libertari interni, la spinta al ripristino del governo centrale attraverso la tassazione e il mercantilismo dovette essere un progetto consapevole e determinato da parte dei conservatori – una spinta contro le conseguenze naturali della Rivoluzione.
La Rivoluzione come guerra popolare
Poiché la Rivoluzione è stata una guerra popolare, la portata della partecipazione di massa nelle milizie e nei comitati condusse necessariamente a una democratizzazione del suffragio nei nuovi Stati. Inoltre, il principio di “nessuna tassazione senza rappresentanza” poteva essere facilmente applicato internamente, così come le restrizioni britanniche al principio di “un uomo, un voto”. Anche se recenti ricerche hanno dimostrato che i requisiti del suffragio coloniale erano molto più liberali di quanto si fosse pensato, è vero che il suffragio fu significativamente ampliato dalla Rivoluzione in metà degli Stati.
Questo allargamento è stato aiutato ovunque dal deprezzamento dell’unità monetaria (e quindi dei requisiti di proprietà esistenti) provocato dall’inflazione che contribuì a finanziare la guerra. Chilton Williamson, il più attento e giudizioso degli storici recenti del suffragio americano, ne ha concluso che:
“La Rivoluzione operò probabilmente per aumentare le dimensioni di quel gruppo di maschi adulti che era stato in grado di soddisfare i vecchi criteri di possesso terriero e di libera proprietà prima del 1776. (…)
L’aumento del numero di elettori non fu probabilmente così significativo come il fatto che la Rivoluzione aveva reso esplicita l’idea di base che il voto aveva poco o nulla a che fare con la proprietà immobiliare e che questa idea doveva riflettersi accuratamente nella legge. (…)
I cambiamenti di suffragio apportati durante la Rivoluzione sono stati i più importanti di tutta la storia della riforma del suffragio americano. In retrospettiva è chiaro che i rivoluzionari hanno impegnato il paese verso un suffragio democratico.”[7]
Anche se molte delle costituzioni statali, sotto l’influenza di pensatori conservatori, si rivelarono essere testi reazionari opposti agli iniziali sviluppi rivoluzionari, l’atto stesso di farle fu radicale e rivoluzionario, perché significava che ciò che i pensatori radicali e illuministi avevano detto era in effetti vero: gli uomini non dovevano sottomettersi ciecamente all’abitudine, al costume, a “prescrizioni” irrazionali. Dopo aver violentemente cacciato il governo prestabilito, potevano sedersi e creare coscientemente il proprio governo con l’uso della ragione. Qui c’era davvero il radicalismo. Inoltre, con i Bills of Rights[8] i legislatori aggiunsero un tentativo significativo e consapevolmente libertario di impedire al governo di invadere la sfera dei diritti naturali dell’individuo, diritti che avevano appreso dalla grande tradizione libertaria inglese del secolo scorso.
La Rivoluzione Americana è stata radicale
Per tutti questi motivi, per la sua violenza di massa e per i suoi obiettivi libertari, la Rivoluzione americana fu ineluttabilmente radicale. Non ultima dimostrazione del suo radicalismo è l’impatto di questa rivoluzione nell’inspirare e generare le rivoluzioni dichiaratamente radicali in Europa, un impatto internazionale che è stato studiato a fondo da Robert Palmer e Jacques Godechot. Palmer ha riassunto in modo eloquente il significato che la Rivoluzione americana ha avuto per l’Europa:
“La rivoluzione americana ha coinciso con il culmine dell’età dell’Illuminismo. È stata essa stessa, in qualche modo, il prodotto di quest’epoca. Molti in Europa, così come in America, videro nella rivoluzione americana una lezione e un incoraggiamento per l’umanità. Dimostrò che le idee liberali dell’Illuminismo potevano essere messe in pratica. Dimostrò, o si supponeva che dimostrasse, che le idee sui diritti dell’uomo e il contratto sociale, della libertà e dell’uguaglianza, della cittadinanza responsabile e della sovranità popolare, della libertà religiosa, della libertà di pensiero e di parola, della separazione dei poteri e delle costituzioni pianificate liberamente, non devono restare nel regno della speculazione, tra gli scrittori di libri; ma potrebbero diventare il vero tessuto della vita pubblica tra persone reali, in questo mondo, ora.”[9]
Traduzione a cura di Giulia Forghieri e Alessio Langiano
Articolo originale: https://mises.org/library/was-american-revolution-radical
[1] Diplomatico e scrittore tedesco (1764-1832), dopo un iniziale sostegno alla Rivoluzione Francese, ne divenne un deciso oppositore, tanto da diventare il segretario del cancelliere austriaco Metternich e sostenere la reazione conservatrice e anti-liberale in Prussia e Austria dopo il Congresso di Vienna del 1815 (NdT).
[2] Sollevazione guidata dall’allevatore Nathaniel Bacon in Virginia nel 1676 e soffocata nel giro di qualche mese dalle truppe fedeli al governo britannico (NdT).
[3] I Commonwealth Men erano i membri di un movimento riformista britannico attivo alla fine del XVII e inizio XVIII secolo. Fra essi vi furono John Trenchard e Thomas Gordon, autori delle celebri Cato’s Letters del 1720-23, opera fondamentale per la cultura libertaria inglese ed americana (NdT).
[4] John Dalberg-Acton (1834-1902), storico e politico britannico, fra i più importanti pensatori liberali del XIX secolo (NdT).
[5] Teologa inglese puritana (1591-1643), fondò una nuova congregazione nelle colonie americane, sfidando le gerarchie puritane in quanto donna e per le sue dottrine religiose e politiche (NdT).
[6] Per “Tories” si intendevano i coloni americani lealisti, rimasti fedeli alla corona d’Inghilterra (NdT).
[7] Chilton Williamson, American Suffrage from Property in Democracy, 1760–1860 (Princeton, N.J.: Princeton University Press), pp. 111–12, 115–16.
[8] Per Bills of Rights si intendono in questo caso gli emendamenti alla Costituzione Americana proposti da James Madison nel 1789 e in gran parte approvati dal Congresso Americano e che comprendono, ad esempio, il Primo Emendamento, che garantisce la libertà religiosa, ed il Secondo Emendamento, che conferisce il diritto di portare armi (NdT).
[9] Robert Palmer, The Age of Democratic Revolution I: The Challenge (Princeton, N.J.: Princeton University Press, 1959), pp. 239–40.