Non credere negli idoli ma ammira i grandi personaggi della storia

Io non sono cristiano, anzi, non sono per niente credente.
E non ho nemmeno commesso l’errore tipico dei socialisti: dare allo Stato il ruolo di Dio.

Partendo da queste due premesse, voglio citare il Primo Comandamento secondo la tradizione cattolica (o il Secondo per la tradizione ebraica): “Non avrai altro Dio fuori di me.

E continua: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque e sotto terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai “. (Esodo/Deuteronomio)

Parafrasando Prager, molte persone quando pensano a questo comandamento, ipotizzano che proibisca unicamente la venerazione degli idoli e degli altri déi; come gli antichi déi pagani della pioggia, della fertilità, della natura in generale, soprattutto le figure di Zeus e Giove. Da quando nessuno crede più in questi déi o venera le loro statue di pietra, quasi tutti ritengono irrilevante questo comandamento.

Sbagliano di grosso. Sbagliano se sono atei/agnostici, perché sostituiscono a Dio un’altra presenza divina. Sbagliano se sono credenti per lo stesso motivo, ma per loro è anche “più grave”, perché il loro Dio dovrebbe essere unico.

Per la questione credente/ateo: Immanuel Kant sosteneva che la conoscenza è solo fenomenica e non noumenica, così come la divinità è vincolata al pensiero essa non è un affare terreno, potrà influire sulla morale per volontà degli uomini che accetteranno questa “religione rivelata“. Credere o non credere alla “chiesa invisibile” è una scelta strettamente personale.

Al giorno d’oggi abbiamo numerosi falsi déi, idoli, celebrità da venerare, squadre di calcio per cui dare la vita; abbiamo il busto di un dittatore con la testa pelata o la fotografia di quello coi baffoni. Concediamo un’aura divina alla razza. Crediamo che il denaro sia una divinità che ci permette di modificare le leggi universali, cerchiamo il potere e l’autorità sopra ogni cosa. Crediamo che un titolo di studi equivalga alla saggezza. Crediamo che il nostro destino sia nelle mani dello Stato, o della Natura, o degli alieni, o… chissà quante altre idiozie vengono gettate nel calderone ogni giorno, pur di non accettare l’azione umana!

Una società senza idoli in Terra, è una Società pronta a diventare aperta e libera.

Ed i grandi personaggi della storia? Anzitutto, non vanno idolatrati, venerati o monumentalizzati. Hanno una funzione molto più utile rispetto all’essere guardati con nostalgia: sono ispiratori. Hanno conquistato le alte vette, cambiato il corso della storia, fatto rivoluzioni, dato vita a meravigliosi pensieri; il modo migliore per rendere loro grazie è studiarli e capirli per mettersi a propria volta in gioco.

Al di là di chi ha avuto fortuna, da cui possiamo imparare ben poco, abbiamo innumerevoli esempi nella storia dell’umanità di individui che con coraggio, passione, impegno e tanto duro lavoro hanno ottenuto ciò che desideravano. Non è un caso che in molti abbiano colto la propria strada dopo aver letto  le Vite Parallele di Plutarco (si pensi ai numerosi letterati italiani che ne impazzivano, o a John S. Mill), Vite dei Filosofi di Diogene Laerzio, l’Anabasi di Senofonte, Declino e caduta dell’impero romano di Gibbon, o persino dopo aver letto le storie di eroi mitici o inventati come Don Quijote di Cervantes, Robinson Crusoe di Defoe, la Teogonia di Esiodo, l’Edda di Snorri.

Se lo scopo dell’Individuo è raggiungere la felicità o l’equilibrio personale tramite l’autorealizzazione, bisogna concedersi qualche attimo di umiltà e imparare da chi è riuscito nell’impresa e/o può essere d’ispirazione, per migliorare, per migliorarsi.

Ti sembra tanto difficile credere in te stesso, anziché in qualcun altro o qualcos’altro? È giunta l’ora della sveglia, la lunga notte del sonno dogmatico dovrà terminare.

Breve apologia dell’individualismo

Sentir usare la parola individualismo in senso positivo fa storcere il naso a molti. Essa è una parola che ha assunto un valore negativo per la maggior parte delle persone, basti pensare alla dicotomia individuo-società, dove il polo positivo è rappresentato, nel senso comune, dal secondo termine. Per i più questa è una opposizione binaria perfetta che riesce a descrivere la realtà. Però, dal punto di vista liberale, le cose sono leggermente diverse.

Innanzitutto, partiamo dal presupposto che il termine individualismo può assumere diverse sfumature in base al contesto in cui è usata e da chi ne fa uso.  Queste sfumature sono molto diverse tra loro e parlare di individualismo senza aver ben chiaro di cosa si parla può portare a cadere in luoghi comuni e banalità.

Senza pretese di alcun tipo, questo articolo si propone di illustrare alcuni dei significati del termine individualismo, con l’auspicio di essere un incipit per una riflessione sul tema stesso.

In primo luogo, l’individualismo è un approccio metodologico ben preciso. Esso è il principio di indagine alla base della riflessione sulla società e l’economia di Mises, poi ripreso anche da Rothbard. Utilizzando le parole del pensatore newyorkese, questo approccio metodologico può essere così sintetizzato: «solo gli individui hanno fini e possono agire per perseguirli. Non esistono fini delle azioni imputabili a “gruppi”, “collettività” o “Stati” che non possano essere ricondotti ad azioni di specifici individui».[1] Ciò significa utilizzare un certo filtro nel leggere i fenomeni economico-sociali, nell’analisi del diritto e così discorrendo. In questa maniera è possibile vedere cosa c’è alla base della società: essa non è altro che l’insieme degli individui e delle loro relazioni reciproche.

Questa analisi può sembrare banale, ma essa demistifica una visione della società che ha avuto enorme fortuna, ovvero l’idea di una società organica che viene prima dell’individuo e anzi ne è il fondamento. È sostanzialmente la concezione platonico-aristotelica, ripresa poi da Hegel. La dicotomia individuo-società è importante, ma bisogna capovolgere il rapporto rispetto a come comunemente viene inteso. Inoltre, non si può attribuire un valore morale negativo o positivo ad uno dei due termini. Semmai sono le azioni degli individui a poter essere biasimate o lodate. La società, se intesa alla maniera comune, diviene una sorta di ente metafisico che “tiene all’essere l’individuo” il quale, fuori di essa, non può esistere. In realtà, quest’ultima affermazione non è del tutto sbagliata se si prescinde dall’utilizzo dei vari termini attinenti alla metafisica. L’individuo ha bisogno della società. Non può vivere senza di essa, è veramente animale sociale. Ma non è la società ad essere alla base dell’individuo, semmai è il contrario e questo è un punto fermo da tenere a mente.

Quindi, una volta preso atto di ciò, non si può rimproverare ad un individualista di voler essere contrario alla società, di essere una mina vagante. Un individualista non cerca di recidere i legami che tengono insieme il tessuto sociale, ha soltanto preso atto dell’importanza della sua posizione all’interno di quel reticolo.

Individualismo significa anche autonomia, ovvero la capacità di darsi fini liberamente posti e di perseguirli; significa scegliere liberamente cosa fare e come portare avanti le proprie iniziative; significa cercare di realizzarsi il più possibile. Tutto questo non può avvenire al di fuori della società.

Spesso si cerca di descrivere negativamente gli individualisti ricorrendo al concetto di monade o di atomo. Infatti, si rimprovera agli individualisti di essere chiusi in sé stessi, senza finestre sul mondo esterno, egoisticamente arroccati nel proprio rifugio mettendo a repentaglio la società. Ma, come insegna la chimica, gli atomi hanno delle configurazioni elettroniche che li portano a legarsi con altri atomi in maniera da avere una situazione più favorevole ad entrambi. Così si formano molecole via via sempre più grandi fino ad arrivare agli oggetti della quotidianità. Non è forse così che si forma una società? Sono gli interessi individuali ad essere la linfa della società stessa.

[1] Rothbard (1962), p.2.

Come sarebbe un mondo perfettamente comunista? Ce lo spiega Isaac Asimov

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Il comunismo perfetto non esiste, poiché implicherebbe l’esistenza di un ente superiore che sappia governare gli umani assegnando loro i lavori adeguati e distribuendo perfettamente la ricchezza secondo le necessità. Questo è il presupposto comunemente accettato.

Ma cosa accadrebbe se esistesse un mondo con una coscienza collettiva, una connessione mentale fra tutti gli individui di un pianeta?

Ce lo spiega Isaac Asimov nel Ciclo della Fondazione parlando di Gaia, il pianeta con una coscienza collettiva in cui ciascuno contribuisce al Tutto e ne fa parte con una unione mentale simile a quella della serie tv Sense8 (ovvero condivisione di pensieri, sensazioni, emozioni, conoscenze).

Uno dei personaggi protagonisti, Bliss, parla di sé come “io/noi/Gaia” e dichiara la rinuncia agli scopi individuali a favore del bene comune: la sua felicità è la felicità di tutti. E non possiamo metterlo in dubbio: condividono ogni cosa, sono un tutt’uno.

Noi non siamo così, non possediamo questa caratteristica. Già solo per questo il Comunismo (e ogni altra forma di collettivismo) non potrebbe funzionare, ma andiamo avanti.

C’è un personaggio estremamente Individualista che vuole mettere in discussione il proprio appoggio al pianeta Gaia, il pianeta collettivista, ritenendolo troppo differente da ciò che pensa sia più giusto per sé come Individuo e dunque per ogni altro Individuo facente parte dell’umanità.

Forse ti starai chiedendo perché un Individualista avesse appoggiato quel pianeta, te lo spiego subito: doveva scegliere fra una Società Scientista (totalmente dedita alla tecnologia e alla scienza, detta Fondazione, volta a sottomettere la Galassia con la forza), una Società Elitista (dedita allo studio, alla psicologia sociale e alla matematica, detta Seconda Fondazione, anch’essa volta a sottomettere la Galassia con la forza) ed un Pianeta Collettivista (dedito al pacifismo e al bene della Galassia).

Pare ovvio che fra due guerrafondai e un pacifista si scelga il pacifista. Anche se il marxismo prevede la lotta di classe e la dittatura del proletariato, che sono tutto fuorché atti pacifisti. Ipotizziamo allora sia accettabile che il pacifismo si diffonda in maniera automatica e conquisti le persone senza alterare lo status della loro società.

Vediamo però, ed è il fulcro di questo discorso, le critiche del nostro Individualista, chiamato Golan Trevize e le motivazioni date dal personaggio “io/noi/Gaia”, chiamato Bliss. Non commenterò passo per passo, poiché credo non ce ne sia bisogno.

Prima conversazione, sulla natura del pianeta:

Bliss: « Io sono Gaia. E la terra. E quegli alberi. E quel coniglio tra l’erba, laggiù. E l’uomo che si intravede fra gli alberi. L’intero pianeta e tutto quanto c’è sopra è Gaia. Condividiamo tutti una coscienza globale, ognuno contribuisce all’insieme.»
Trevize: « In tal caso, Bliss, chi governa questo mondo?»
Bliss: «Si governa da solo -disse lei. – Quei meli crescono in filari regolari di comune accordo. Si riproducono solo quel tanto che serve a riempire gli spazi vuoti lasciati dagli alberi che muoiono. Gli esseri umani raccolgono la quantità di mele di cui hanno bisogno, altri animali, compresi gli insetti, mangiano la loro parte, e solo quella. Piove quando è necessario. »
Trevize: «Anche la pioggia sa cosa deve fare?»
Bliss: «Sì»

La rinuncia all’individualità per il sovrumano:

«Io rimango un essere umano; al di sopra di noi però c’è questa consapevolezza collettiva che supera di molto la mia comprensione

La distribuzione dei ruoli nella società:

Bliss: «Non so volare come un uccello, ronzare come un insetto o diventare alta come un albero. Faccio ciò che sono più adatta a fare.»
Trevize: «Chi ha deciso di attribuirvi questo preciso incarico?»
Bliss: «Noi tutti.»

Il pensiero di Trevize (e -spero- di noi tutti) descritto da Asimov:

Trevize pensò rassegnato che ognuno dovesse trovare la felicità come meglio credeva. Era questo lo scopo dell’individualità…
« Il pianeta [Gaia], per quanto grande e vario, rappresenta un unico cervello. Uno solo! Ogni nuovo cervello che nasca si fonde con la totalità. Non c’è la possibilità di opporsi, di discordare!
Quando pensiamo alla storia umana, pensiamo al singolo individuo che, nonostante la sua visione minoritaria condannata dalla società, alla fine vince e cambia il mondo.»

Sulla libera associazione:

Bliss: «Se obbediamo solo alle regole che riteniamo giuste e ragionevoli, allora qualsiasi regola cessa di avere valore, perché non esiste una regola giusta e ragionevole per tutti. E se ci interessa solo il nostro tornaconto personale, troveremo sempre una giustificazione per definire ingiusta una regola restrittiva. Si comincia con un trucco astuto e si finisce con l’anarchia e la catastrofe, così, anche per lo scaltro autore del trucco, dal momento che nemmeno lui sopravvivrà al crollo della società.»

Trevize ribatté:  « La società non crolla tanto facilmente. Tu parli come Gaia, e Gaia non può capire un’unione di individui liberi. Le regole, instaurate con ragionevolezza e giustizia, possono facilmente diventare superate e inutili via via che le circostanze cambiano, e restare ugualmente in vigore per inerzia. In tal caso è legittimo ed anche utile infrangere queste regole, se non altro per evidenziare che sono diventate superflue e magari anche dannose. »

Bliss: « Allora ogni ladro, ogni assassino, può giustificarsi dicendo che stia servendo l’umanità. »
Trevize: « Non arrivare agli estremi. Nel superorganismo di Gaia c’è un consenso automatico circa le regole sociali e a nessuno viene in mente di infrangerle. Si potrebbe anche dire che Gaia vegeti e si fossilizzi. Nella libera associazione di individuo c’è senza dubbio un elemento di disordine, ma è il prezzo che bisogna pagare per non perdere la capacità di introdurre novità e cambiamenti… Tutto sommato, è un prezzo ragionevole. »

Sulla libertà individuale:

Trevize: «Può darsi che ai cani non importi di perdere la libertà individuale, ma per gli esseri umani è una questione di grande importanza… E se tutti gli esseri umani cessassero di esistere, ovunque, non solo su un mondo o su alcuni mondi? Se la Galassia restasse senza esseri umani? Ci sarebbe ancora un’intelligenza guida? Tutte le altre forme di vita e la materia inerte riuscirebbero a mettere insieme un’intelligenza comune adatta allo scopo?»

Bliss esitò.  « Una simile situazione non si è mai verificata, e probabilmente anche in futuro non si verificherà mai.»

Trevize:  « Ma non capisci che la mente umana qualitativamente è diversa da qualsiasi altra cosa, e che se venisse a mancare, la somma complessiva di tutte le altre forme coscienti non basterebbe a rimpiazzarla. Gli esseri umani costituiscono un caso speciale, e devono essere trattati in quanto tali, non ti pare? »

Ecco, abbiamo un esempio di cosa sia il perfetto Collettivismo. In tanti, sostengono che se questa utopia fosse possibile allora staremmo certamente bene. Eppure, dovremmo rinunciare a ciò che c’è di più caro nella propria vita: la libertà di scelta sulle azioni della vita stessa.

Non voglio fare spoiler nel caso in cui a qualcuno possa interessare cosa avvenga alla fine del libro, eppure Asimov trova un essere superiore che possa governare gli umani, ma c’è una falla logica: questo ente superiore è stato creato dagli umani per essere aiutati e non concepisce l’Individualità. Questo essere superiore è un robot.

In un altro libro, Asimov asserisce che “i robot sono logici ma non ragionevoli” e che per questo motivo non possano comprendere le azioni umane. E poi, fattore più importante di tutti, davvero vogliamo mettere il nostro destino nelle mani di qualcun altro, che ne sia artefice al posto nostro?

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La concorrenza è sleale o più efficiente? È questione di distruzione creativa

James Taggart, Il presidente di una compagnia ferroviaria discute con uno dei suoi dipendenti, Eddie Wilers, il quale gli fa notare che il loro servizio è pessimo da mesi e che stanno perdendo tutti i loro clienti:

«Jim! Non capisci che la nostra linea, la Rio Norte Line, sta andando in rovina, che qualcuno ci biasimi o no?»

«La gente la userebbe, sarebbe costretta a usarla… se non fosse per la Phoenix–Durango.»

Vide il viso di Eddie irrigidirsi. Continuò: «Nessuno si è mai lamentato della Rio Norte Line, finché non è venuta in campo la Phoenix–Durango!»

«La Phoenix–Durango sta facendo un magnifico lavoro.»

«Immagina, una cosa che si chiama Phoenix–Durango che fa concorrenza alla Taggart Transcontinental! Non era che una linea locale adibita al trasporto del latte, dieci anni fa.»

«Ora, però, ha ottenuto la maggior parte dei trasporti dell’Arizona, del Nuovo Messico e del Colorado.»

Dopo questo breve estratto del discorso fra Eddie e James dal romanzo La Rivolta di Atlante di Ayn Rand, mi viene in mente un solo concetto: la Distruzione Creativa di Schumpeter, ovvero l’innovazione che permette di produrre nuovi beni, offrire migliori servizi, aprire nuovi mercati, il tutto magari a costi ancora più convenienti.

Sì, le aziende che non si innovano vengono “distrutte”. E cosa c’è di male? Abbiamo visto tutti la fine della grandiosa Olivetti, l’impero industriale che ha influito sul mercato mondiale con i suoi prodotti, la stessa Olivetti che è passata da 26’000 dipendenti alla fine degli anni ’90 ad oggi con poco più di 500. La domanda e l’offerta si evolvono nel tempo, non è possibile rimanere ancorati al passato se si vuole guardare al futuro, anche con la propria azienda.

Ma allora perché questa distruzione è creativa? Perché la società si sviluppa, avanza tecnologicamente e nuove aziende con prodotti e servizi più adatti o migliori sostituiscono le aziende precedenti.

La situazione che permette tutto ciò è la concorrenza. Perché?
Un albero che è da solo nel campo cresce storto e spande lontano i suoi rami, mentre un albero che è in mezzo al bosco, con l’opposizione degli alberi vicini cresce dritto e cerca l’aria e il sole sopra di sé” (Immanuel Kant, Lezione sulla Pedagogia)

La concorrenza è il fulcro della sopravvivenza e dell’autodeterminazione, è la capacità di migliorare e migliorarsi per non rimanere indietro; è anche possibile fare una’analogia con l’eros platonico, la forza che permette al mondo di andare avanti e di evolversi. Si potrebbe anche dire che l’Individuo ha la tendenza a competere con la propria persona, per superarsi e migliorarsi, ma andrei in un altro, bellissimo ambito.

In sostanza, è sleale che qualcuno dia il meglio di sé, quando le regole sono le stesse per tutti? No, tutt’altro: è sbagliato fermarsi ed aspettarsi che la situazione diventi statica una volta arrivati al vertice. Bill Gates non sarebbe il primo nella lista di Forbes da lustri se non avesse saputo innovarsi, ma James Taggart -come milioni di persone nel nostro paese- era obnubilato da quella mentalità che non consente di vedere oltre il proprio naso, quella mentalità che preferisce preservare l’ordine anziché sovvertirlo per esaudire i propri sogni e al contempo migliorare la società.

La coscienza del limite: rispettare la libertà del prossimo

La libertà è una caratteristica dell’individuo, non può essere sacrificata in nome di un bene superiore e comune.
La libertà di un uomo finisce dove inizia quella di un altro.

Un individuo ha la propria volontà, il proprio carattere, i propri gusti, le proprie inclinazioni, in base a ciò egli prende coscienza del proprio io e plasma la sua persona. Ognuno ha il diritto e il dovere di autodeterminare la propria vita. Corollario di questo ragionamento è che nessuno può imporre a un altro la propria volontà, sacrificando i desideri del prossimo in nome di un bene comune. L’abuso della libertà altrui condanna il prossimo all’infelicità, nonostante si abbiano buone intenzioni, nonostante lo si faccia “per il suo bene”.

Tutto bello in teoria, ma nella pratica l’applicazione è difficile. Per comprendere a fondo il concetto meglio tenere da parte per un attimo i discorsi filosofici, ci si deve concentrare invece sulle piccole situazioni che accadono nella vita di tutti i giorni.

L’esempio più banale e più profondo è l’amore.

L’innamorato, libero di provare un nobile sentimento per un’altra persona (ovviamente senza distinzione di sesso, razza, religione ecc.), deve farsi avanti e deve affrontare il sacrosanto limite della libertà dell’amato. Quest’ultimo ha di fronte una scelta da compiere, o accettare il sentimento dell’altro o rifiutarlo.
Se accade la prima cosa, ci sono le basi per costruire un tipo di relazione che vada oltre il “libero scambio”, la quale comporta anche dei sacrifici, che per essere tali, cioè “sacri” come da origine latina del termine, devono essere volontari.

La grande sfida è comportarsi da signori di fronte al rifiuto.

Se veramente si ama il prossimo, si accetta il rifiuto, si dà prova di intelligenza e umanità in quanto si dimostra di mettere davanti al proprio egoismo, la volontà, i gusti e la libertà della persona amata. Ciò che succede dopo, è affare personale dei due individui. Così si sceglie di essere felici, accettando la realtà e permettendo alla persona amata di costruire liberamente la propria vita. Si accetta che la libertà umana ha pari dignità, senza alcuna distinzione tra individui.

Se invece prevale la parte egoistica, inizia una vera e propria persecuzione nei confronti del prossimo, che da quel momento non può definirsi “amato”. Si attua una coercizione della libertà altrui, sacrificandola per il “bene superiore”, cioè l’amore che dovrebbe rendere felice il prossimo senza rispettarne la volontà. Un paradosso.

Si badi bene che non si parla di educazione, in cui il genitore ha il dovere di impedire al figlio una scelta avventata o sbagliata o insensata. Qui si parla di qualcosa di più profondo, cioè l’intrecciarsi di due vite, delle rispettive libertà e volontà, tra due individui adulti, consapevoli della propria persona e della propria unicità, entrambi dotati della somma ricchezza che un uomo possa possedere, la propria libertà.

In questo, il Cristianesimo, base della nostra civiltà occidentale, ci lascia due comandamenti, che è bene vengano presi come principi guida e valori fondanti della vita di un liberale:

“Ama il prossimo tuo come te stesso”
“Non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te”.

Confrontarsi con la realtà ci mette di fronte a dei limiti: alcuni sono fatti per essere superati, se concernono solo la volontà dell’individuo; altri per essere rispettati, se si mette in gioco la volontà del prossimo.

La differenza tra Egoismo, Individualismo e Altruismo

Per definizione da dizionario, un egoista è colui che pensa e vuole pensare unicamente al proprio interesse, vediamo alcuni esempi:

  •  chi vota un partito (o una certa persona) perché gli ha reso favori;
  •  chi approfitta della società per i propri fini;
  •  chi viola o fa sopruso di altrui diritti, libertà e proprietà;
  •  chi obbliga altri ad esaudire i propri desideri;
  •  chi approfitta della propria posizione per ricevere favori.

Un egoista è un autoritario, vuole subordinare le volontà altrui alla propria e porre i riflettori unicamente sui propri valori. Non riconosci in questo atteggiamento un certo tipo di politica? Va bene, va bene, questo è un pezzo su ben altro,  non divago. Avere atteggiamenti egoistici può essere giusto o sbagliato a seconda del contesto, una persona che si caratterizza per il solo egoismo vizioso e prevaricatore è indubbiamente nel torto.

Sovente si associa all’individualismo una componente intrinseca di egoismo e noncuranza nei confronti degli altri, quando effettualmente l’individualista è tanto portato a rispettare profondamente la figura dell’Individuo, da non voler nuocere ad altri o minare alle loro libertà.

Pensando individualisticamente non si guarda solo al proprio bene, bensì alla difesa del bene di ogni Individuo, andando a toccare i punti più generali e dunque che siano applicabili a ogni altra persone che componga la società in cui si vive. Il diritto conquistato da un Individuo è un diritto conquistato da tutti gli altri. Sempre secondo gli individualisti, nessuno deve imporre all’Individuo il modo in cui perseguire il proprio bene, autorealizzarsi o anche solo diventare felice: proprio per questo non impone a nessuno la propria visione di bene, autorealizzazione o felicità, bensì cerca di perseguirne la strada a proprio modo, senza in alcun caso nuocere ad altri.

Parliamo dell’altruista. L’altruista non è per forza il collettivista (vuolsi dire socialista, comunista e derivati), anzi, vorrei evidenziare come spesso e volentieri la lotta fra classi e ceti sociali venga intrapresa unicamente per ottenere ricavi personali, al di là del fatto che possa arrecare danno a qualcuno, ancor meglio è se si ricavano benefici ai danni della classe o del ceto avverso.

Molti altruisti hanno il difetto di negare la propria individualità per il bene collettivo, molti altri sentono il forte bisogno di approvazione compiendo azioni socialmente ritenute buone, altri ancora credono che l’essenza della vita sia togliere diritti a taluni per darne altri a chi loro credono sia giusto dare appellandosi alla solidarietà.

L’altruista segue un comportamento che, se non estremizzato, consiste nell’aiutare i propri simili a conseguire un maggior benessere, sia in maniera disinteressata (ritenuta la forma più pura di altruismo) sia -perché no?- per una leale e smaliziata convenienza. Data questa visione, non è forse anche altruista la richiesta individualistica del lasciare che ogni Individuo sia artefice del proprio destino, del  bene, della religione, dell’intimità e delle decisioni che lo riguardano in quanto tale?

E non è forse egoista colui che lotta per avere anch’egli privilegi, anziché far sì che nessuno ne abbia?
Non è egoista chi impone le proprie volontà tramite l’autorità della Legge?
Non è egoista qualcuno che decida cosa fare dei soldi altrui solo perché gli gioverebbe?

Mi scuso nuovamente, sono ricaduto nell’agone politico!

Torniamo a noi, dopo tutto questo dire sembrerà che io voglia far intendere quanto sia altruista e di buon cuore l’individualista e quanto poco lo siano i collettivisti, ma ovviamente ho colto degli esempi che non rappresentano per forza né l’una né l’altra idea. A parte che noi Individualisti Feroci siamo brave persone per davvero, non siamo mica qui a pubblicare articoli, saggi, aforismi e immagini divertenti per una qualche convenienza, noi lo facciamo per l’idea in cui crediamo profondamente e speriamo sia la stessa idea in cui credi tu, caro lettore.

Prima di terminare, voglio precisare che ho trattato l’accezione negativa dell’egoismo e non mi sono soffermato sull’egoismo etico di Ayn Rand o quello superomistico di Nietzsche, perché lo farò in futuro.

Il mio intento era sfatare il falso mito secondo il quale gli individualisti sono egoisti viziosi, prevaricatori e sopraffattori (altrimenti dove sarebbe il rispetto per l’altrui Libertà?), approfittatori (sfruttare i bambini bengalesi non è liberale). E, tirando le somme, posso affermare serenamente che questo luogo comune è falso e che egoismo e altruismo siano caratteristiche dell’Individuo stesso e vadano oltre l’individualismo.

 

Cosa è e cosa NON è il Liberalismo

Da quando sono entrato ne “L’Individualista Feroce”, ho letto con estremo interesse i numerosi commenti scritti sotto i nostri post. Tralasciando i commenti caustici e odiosi di certi utenti, che avevano il solo scopo di denigrare non solo le nostre idee, ma anche noi stessi, non ho potuto fare a meno di notare una certa confusione, per non dire ignoranza, su cosa sia effettivamente il liberalismo. Sia chiaro, il termine ignoranza è inteso nel senso letterale del termine, il semplice non-sapere, dunque scevro da qualsiasi accezione dispregiativa.

Tale ignoranza non deve sorprendere, poiché sono anni che dal dibattito pubblico italiano sono scomparsi rappresentanti del liberalismo classico. Parlando per esperienza personale, quando ti definisci liberale la gente tende a fraintendere il tuo pensiero, semplicemente perché non sa cosa significhi effettivamente.

Ebbene questo articolo ha l’ambizione (forse la presunzione) di voler dare una definizione chiara di questa idea che è il liberalismo, ricordando sempre che esso non è un dogma, ma una serie di principi guida.

Prima di tutto ritengo opportuno fare una distinzione semantica di concetti fra loro correlati, ma differenti, che troppo spesso vengono usati come sinonimi.

  • Liberalismo: Atteggiamento etico-politico dell’età moderna e contemporanea, tendente a concretarsi in dottrine e prassi opposte all’assolutismo, fondate essenzialmente sul principio che il potere dello Stato debba essere limitato per favorire la libertà d’azione del singolo individuo. Dal rischio assolutistico e totalitaristico di uno Stato, deriva l’opposizione liberale allo Statalismo. Uno dei principali teorici del Liberalismo fu Ludwig Von Mises.
  • Liberismo: Il liberismo è una teoria economica che sostiene e promuove la libera iniziativa e il libero mercato come unica forza motrice del sistema economico, con l’intervento dello Stato limitato al più alla realizzazione di infrastrutture di base (ponti, strade, ferrovie, autostrade, gallerie, edifici pubblici etc.) a sostegno della società e del mercato stesso. La sottolineatura è stata inserita per evidenziare un concetto poco noto ai detrattori del liberismo. Noi consideriamo lo Stato un attore fondamentale per il coordinamento dell’attività economica di un Paese. Lo Stato fa da supporto all’economia, non ne è il motore.
    Per la verità, il termine Liberismo fu coniato da Benedetto Croce per indicare la teoria economica afferente al Liberalismo, ma per questo fu criticato da diversi esponenti del liberalismo classico fra cui Von Hayek, Einaudi e Antonio Martino, i quali sostenevano che i concetti sopra esposti fossero parte integrante e non scindibile del concetto di Liberalismo.
  • Libertarismo: Libertarismo, dal francese libertaire, è un termine che indica un ideale e una filosofia-politica che considera la libertà come valore fondamentale, anteponendo la difesa della stessa ad ogni autorità o legge. Il libertarismo mira, cioè, ad una forte limitazione o ad una eliminazione del potere dello Stato e di tutti quegli enti che limitano o avversano la giustizia sociale e la libertà individuale e politica.
  • Capitalismo: è un concetto molto vago sul quale nessuno è mai riuscito a dare una definizione che fosse in grado di mettere d’accordo tutti. Impropriamente usato come sinonimo di liberismo, il termine capitalismo nasce con un’accezione dispregiativa per indicare un’economia in cui è prevista la proprietà privata dei mezzi di produzione da parte di individui o società e che compra e vende beni capitali e fattori di produzione, senza alcun tipo di controllo statale.
  • Neoliberismo: si indica un orientamento di politica economica favorevole ad un mercato privo di regolamentazione e di autorità pubblica ovvero in balia delle sole forze di mercato. Si differenzia dal liberalismo classico per la quasi totale esclusione dello Stato, in qualità di attore economico.
  • Liberal: Termine anglo-sassone, adottato negli USA negli anni ’50-’60 da coloro che rivendicavano e promuovevano posizioni socialiste. Come ovvio, i Liberal americani e i Liberali Classici sono su posizioni completamente opposte, nonostante i nomi simili. I Socialisti americani adottarono il termine molto più morbido di liberal, a causa della repressione su chiunque si dichiarasse apertamente socialista o ancor peggio comunista in quel periodo, e in special modo durante la campagna “terroristica” del Senatore McCarthy.

Noi de “L’Individualista Feroce” ci definiamo Liberali classici (e dunque anche Liberisti, secondo l’accezione di Einaudi e Hayek). Crediamo nel libero mercato, nella concorrenza leale, nella difesa e protezione dei diritti dei consumatori e affidiamo all’autorità pubblica, e alla legge che da essa scaturisce, il compito di difendere le libertà individuali, anche quelle economiche. In termini più semplici, il pensiero liberale si può riassumere in: “La mia libertà finisce dove comincia quella degli altri. La libertà degli altri finisce dove comincia la mia”.

Ora vorrei spiegare cosa non è il liberalismo, passando per una serie di esempi o luoghi comuni che puntualmente vengono attribuiti a esso:

  • “Voi Liberali volete distruggere il Welfare e lasciare la gente ad arrancare nel Far West”: No, non siamo contrari al Welfare, nel modo più assoluto. Noi siamo critici verso un sistema di Welfare pubblico che, a parole, dice di essere per tutti, ma che in realtà, molto spesso, offre un servizio infimo e costoso, tanto che molte persone sono costrette a usufruire del welfare privato, per avere quel servizio per il quale già pagano il sistema pubblico. Noi liberali vorremmo semplicemente poter intavolare una discussione su un riassetto del sistema, anche considerando la possibilità di demandare al privato l’erogazione di alcuni servizi, smettendo di considerare l’argomento un tabù. L’obiettivo di questa discussione sarebbe trovare il sistema più efficace ed efficiente possibile per il consumatore finale. P.S. Onestamente non ho ancora capito questa storia del Far West, che più volte viene ripresa.
  • “La politica neoliberista ha mandato in rovina il paese”:  Non è vero, ciò che ha rovinato questo paese sono state le politiche dissennate del “tassa e spendi” degli anni ’70 e ’80, e continuate poi successivamente senza discontinuità, basate su un’errata interpretazione, o meglio portando come giustificazione, le teorie economiche keynasiane. È vero che Keynes sostenesse l’intervento dello Stato nei momenti più critici per l’economia (crisi del ’29, dopoguerra ecc.), ma è anche vero che persino lui invitava ad un progressivo abbandono dell’intervento statale, nel momento in cui si fosse innescata la ripresa economica. In Italia invece, nonostante il boom economico già in atto, si è continuato a spendere esponenzialmente senza alcun riguardo per la tenuta dei conti pubblici e senza alcuna parsimonia da “buon padre di famiglia”. Soprattutto non era spesa per investimenti pubblici che nel lungo periodo avrebbero portato grande utilità al paese, ma era solo spesa ingente di breve periodo, con poco o nullo impatto sullo sviluppo economico. L’aumento di debito pubblico in fase di espansione economica ha fatto sì che, quando si è arrivati alla recessione del 2009-2010, i margini di spesa che si potevano sfruttare fossero strettissimi, proprio nel momento in cui ne avremmo avuto più bisogno. La Germania nel 2003 aveva una situazione di conti pubblici molto peggiore a quella che noi abbiamo attualmente, ma con una politica economica rigorosa (effettivamente “lacrime e sangue”) è riuscita a sistemarla, diventando la potenza economica che è adesso. La medicina fu amara, ma il paziente ne aveva bisogno. Affrontando adesso il discorso Austerity, vorrei fare alcune precisazioni: le politiche cosiddette di austerità, hanno il solo scopo di ridurre il deficit e rendere il debito pubblico sostenibile nel tempo. Questo si può fare in due modi, distinguendo così fra quelle che io chiamo Austerity buona e Austerity cattiva: il primo modo prevede la riduzione, riformulazione ed efficientamento della spesa pubblica, che nel lungo periodo può e deve portare alla riduzione delle tasse. Il secondo modo, invece, prevede l’aumento delle tasse e il successivo aumento della spesa pubblica. Entrambi i metodi passano in primis per una politica fiscale restrittiva e poi per una politica fiscale espansiva, successivamente. La differenza è che nel secondo caso i margini di manovra sono molto più stretti, poiché non si possono aumentare troppo le tasse, a meno di non causare sconquassi a livello economico e sociale, e dunque non si può neanche aumentare troppo la spesa, specialmente quando è già molto alta come quella italiana. Inutile ricordare cosa scelse di fare il “mitico” Governo Monti, che non solo scelse il metodo meno efficace, ma riuscì a farlo anche male. Riassumendo, le politiche “tassa e spendi”, portate ancora avanti dal governo attuale, hanno sconquassato i conti pubblici senza avere una proporzionata crescita di PIL, e successivamente, poiché ridimensionare la spesa pubblica in questo paese è un tabù assoluto (basti vedere che fine hanno fatto i commissari alla Spending Review e le loro relazioni), si è optato per delle politiche fiscali folli, in continuità con il passato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
  • “La Riforma Fornero è una politica liberista che ha creato un sacco di danni”: Dato che so già che arriverà un commento di questo tenore, faccio che rispondere subito. Si stima che circa 2/3 della spesa pubblica italiana sia destinata al sistema pensionistico. Questo è di fatto un problema di non semplice soluzione. La Riforma Fornero fu un tentativo di rimodulare il sistema previdenziale che, come tutti sanno, è uno dei grandi problemi di questo paese. Sebbene tale riforma potesse essere lodevole nell’intento, gli effetti sul lungo periodo sono stati disastrosi e soprattutto fu incapace di scalfire minimamente il problema del sistema previdenziale. Fu una riforma raffazzonata, pasticciata e fatta di fretta. La riforma del sistema previdenziale è un passaggio obbligato per il risanamento dei conti pubblici e per il rilancio dell’economia, ma non riteniamo che questo sia il metodo. Mi permetto anche di aggiungere che, oltre che prendersela con la Fornero, bisognerebbe anche prendersela anche con coloro che hanno creato il problema in primis, e cioè coloro che per anni hanno sostenuto un sistema previdenziale retributivo.
  • “Voi liberali vi curate solo degli interessi delle multinazionali”:  Questo è uno dei punti preferiti dei detrattori del liberalismo. Questa frase è palesemente falsa. I liberali si curano degli interessi di TUTTE le imprese, piccole o grandi che siano, poiché riteniamo che siano il vero motore della prosperità economica e sociale di un paese, e allo stesso tempo difendiamo a spada tratta i diritti dei consumatori. Su quest’ultimo punto non transigiamo. Fra queste imprese, difendiamo anche gli interessi delle multinazionali o big corporation, nazionali e non, e riteniamo stupido scagliarsi contro queste aziende, e ora intendo spiegare perché. Qualche dato giusto per orientarsi (fonte ISTAT, periodo di riferimento 2014): In Italia sono attive circa 13569 imprese a controllo estero, contro le 22388 controllate italiane all’estero. Le multinazionali estere contribuiscono per il 27,4% dell’export italiano, un fatturato di circa 524 mld €, valore aggiunto per 97 mld e un contributo all’ R&D del 23,9% e danno lavoro a circa 1,2 mln di persone. A discapito della vulgata comune, in media, i dipendenti delle multinazionali sono trattati molto meglio e hanno stipendi e condizioni di lavoro migliori rispetto ai loro omologhi di imprese nazionali. Per quanto riguarda, invece, quelle multinazionali che si trasferiscono all’estero, in paesi dove la considerazione per i diritti dei lavoratori, civili e umani è scarsa, riteniamo che sfruttare queste condizioni da parte di queste imprese sia un errore, se non un atto criminale. Ogni qual dove si violino i diritti delle persone, tale violazione va perseguita giudiziariamente se possibile, o attraverso azioni di protesta. La violazione dei più elementari diritti umani e civili non può essere tollerata in alcun caso.
  • “Le multinazionali si trasferiscono all’estero per pagare meno tasse”. Verissimo, dato che in Italia abbiamo un Total Tax Rate di circa il 62%, non si capisce perché dovrebbero volontariamente restare in Italia, quando possono legalmente trasferirsi altrove e pagare di meno. Se invece di sbraitare ci rendessimo conto di questo e decidessimo di ridurre e semplificare le tasse sulle imprese, non solo avremmo un effetto benefico per le imprese nazionali e per l’economia tutta, ma diventeremmo anche un paese attrattivo per queste multinazionali che a quel punto si trasferirebbero molto volentieri in Italia.
  • “I liberisti sfruttano e schiavizzano i dipendenti”: Ho in parte già risposto poco sopra, ma intendo approfondire. A tal proposito mi viene in mente un pezzo di cronaca letto tempo fa: la vicenda girava intorno un grande negozio di elettronica di consumo e riguardava una dipendente che, durante il turno di lavoro, chiese al titolare di potersi assentare per poter andare in bagno. Il titolare rispose di no, nonostante le ripetute richieste della dipendente, la quale alla fine non riuscì più a trattenersi e finì per farsela addosso, con sua grande vergogna, davanti ai clienti. Sotto la notizia lessi parecchi commenti dello stesso tenore: “maledetti neo liberisti, capitalisti, sfruttatori dei lavoratori ecc.”. La vicenda è vergognosa e sfortunatamente ricalca numerose situazioni lavorative, ma dare la colpa ai liberali e alle nostre idee è sbagliato. Il titolare, e chiunque si comporti così verso i propri dipendenti, non è un liberale, è semplicemente un coglione. Andando più nello specifico, questo comportamento non attiene al liberalismo poiché il violare i diritti dell’individuo è assolutamente contrario alle nostre idee. Noi aborriamo comportamenti di questo tipo, che sia il titolare del piccolo negozio, l’imprenditore, l’amministratore delegato ecc. ad adottarli. Non solo, un comportamento del genere è classificabile come mobbing e DEVE essere denunciato. Noi siamo a favore delle imprese, degli imprenditori E dei dipendenti, i quali devono essere trattati in modo giusto, equo e rispettoso.
  • “Voi liberisti state dalla parte delle Banche” Altro punto che piace molto ai nostri detrattori. Non è vero, noi riteniamo importantissimo il ruolo delle banche e di tutti gli intermediari finanziari all’interno del quadro legislativo, ma lo interpretiamo come supporto all’economia. Bisogna fare finanza per l’economia e non finanza per la finanza. La finanza deve essere l’olio lubrificante e non il motore dell’economia. Noi liberali rifiutiamo il concetto di “Too Big to Fail”, anche se riconosciamo che a volte, per il bene del paese, costi meno salvare la banca, ma allo stesso tempo pretendiamo che i manager che hanno portato al dissesto della banca vengano processati penalmente, e che vengano tolti loro tutti i requisiti di onorabilità necessari per sedere nuovamente in consigli di amministrazione di banche o imprese. Le banche sono a tutti gli effetti imprese non dissimili dalle altre e, se gestite malamente/criminalmente, fatti salvi i depositi e i conti correnti, bisogna avere il coraggio di far chiudere loro i battenti.

La falsificazione del Marxismo secondo Popper

Un giovane Popper rimase affascinato da Freud e Marx, poiché entrambi millantavano di aver creato teorie scientifiche.

Fu in gioventù militante del partito comunista austriaco, distaccatosene ben presto quando vide i funzionari acuire la lotta di classe attraverso il sacrificio di vite umane. Allora iniziò a sospettare di queste sedicenti teorie scientifiche, soprattutto del Marxismo, poiché cadeva sempre in piedi, se la cavava sempre nonostante più e più volte se ne dimostrasse la fallacia.

Karl Popper è difatti famoso per aver inventato un metodo basato sulla falsificabilità: l’errore ha un ruolo fondamentale nella scienza, poiché è proprio grazie agli errori che si affinano le strade verso una migliore approssimazione della verità.

La falsificabilità era tipica delle teorie di Galileo, Newton, Maxwell, ma non Freud e Marx. Per entrambi si riesce a trovare una scappatoia quando i conti non tornano.

Un enunciato universale che vuol porsi come una legge scientifica può essere messo in discussione e falsificato con un solo controesempio. Per ottenere ciò bisogna porre delle condizioni di partenza, delle ipotesi, dalle quali costruire il sistema che si va ad analizzare e vietare certi avvenimenti. (In matematica si parla molto di dimostrazioni per assurdo, se l’assurdo fosse applicato la teoria verrebbe smontata)

L’esempio lampante per tutti è proprio l’apologia al marxismo: presentatosi inizialmente come teoria scientifica, ha  completamente mancato le predizioni e ci sono stati numerosi controesempi della sua funzionabilità. I marxisti, anziché correggere il tiro e migliorare la teoria (cosa che avrebbero tranquillamente potuto fare con un passo indietro, rivisitando le proprie categorie interpretative), sono sempre riusciti a trovare l’eccezione (che NON conferma la regola, perché nessuna eccezione conferma una teoria scientifica) e dunque la spiegazione per l’anomalia incombente, terminando col dire che il loro schema iniziale non prevedeva tale avvenimento/serie di avvenimenti.

Allora, chiunque sia dotato di una forte logica, riconoscerebbe in tutto ciò non uno, bensì due errori: o la natura del linguaggio con cui è stata formulata la teoria è posta in modo tale da non ammettere falsificabilità, o è proprio tipico dei sostenitori del marxismo una chiusura entro le proprie idee pur di non prendere atto delle confutazioni.

Un’ulteriore critica fu quella a Hegel e Marx insieme, considerati fautori di sistemi politici che avrebbero portato ad una società meno aperta (così come nel suo volume “Platone totalitario” accusava il filosofo greco di aver tradito il Socrate illuminista e teorizzato una società tribale): Hegel e Marx sono falsi profeti adulati e adorati dal popolo, illuso al punto da credere ad una società perfetta utopica ma da tacciare come non corretti tutti i suoi tentativi di realizzazione attuatisi fin’ora.

Vorrei concludere con l’errore più grande, quello originario, quello che ha generato la nascita del socialismo: la credenza che la storia abbia una direzione.

Credere che il movimento triadico della dialettica possa applicarsi ai fenomeni storici -rendendoli schematici e dissociandoli dagli Individui-, consegnando al Fato il divenire perfetto della Storia, vuol significare credere in un determinismo meccanicistico che segua uno schema preconfigurato e dunque negare la possibilità degli individui di cambiare la direzione della storia e, dunque, del loro destino.

L’Individuo è artefice del proprio destino, ripetevano come una preghiera dogmatica gli illuminati rinascimentali, così come è vero che l’insieme degli Individui non ha un comportamento prestabilito, bensì segue ciò che i suoi componenti ritengono necessario per la realizzazione di una società aperta che tenda al benessere, alla pace e alla realizzazione di ognuno.

Come diventare Libertariano in 5 semplici passi

Mi piacerebbe illustrarvi come si diventa libertari in 5 semplici passi, io ancora non ci ho provato ma sono pronto per far come quei che va di notte, che porta il lume dietro e fa le persone dotte.

In seguito le fasi del pensiero che bisogna percorrere passo dopo passo, ragionamento dopo ragionamento:

  1. Requisiti fondamentali:  è fondamentale portare un enorme rispetto alle decisioni individuali, ovvero alla libertà di scelta, e alla capacità delle persone di decidere per sé stesse e per il proprio interesse. Non si può essere protezionisti e dire cos’è meglio per gli altri; come diceva qualcuno: gli stupidi imparano dalle proprie esperienze, mentre i saggi imparano da quelle altrui.
  2. Livello principiante: bisogna avere una totale sfiducia nei confronti della capacità del governo di rendere migliori la società, gli individui, le loro vite, il mercato; allo stesso modo non si devono accettare le persone che ne obbligano altre a fare ciò che non vogliono. Ogni azione è volontaria.
  3. Livello intermedio: il proibizionismo è inutile, ad esempio quando si parla di droghe; è importante tollerare gli omosessuali, poiché la loro è una scelta che viene effettuata nella sfera privata e rientra nelle libertà dell’Individuo; insomma, ognuno vive come vuole e non possiamo proibirglielo.
  4. Livello esperto: le tasse sono un furto. Totale scetticismo nei confronti dello stato e della redistribuzione del capitale. I tributi, in generale, sono un male necessario a garantire le funzioni fondamentali della società.
  5. Livello leggendario: il Libero Mercato, nel suo insieme di rapporti fra entità che scambiano beni, servizi, sentimenti e ricordi, è sacro ed inviolabile, si autoregola, non necessita di interferenze. Gli anarchici che piazzavano bombe per distruggere l’ordine prestabilito, in fondo, non erano così nel torto. Il massimo valore è la vita individuale, nessuno può dare direzioni su come vada vissuta la vita, non esiste il welfare, l’autoritarismo ed il collettivismo sono la rappresentazione del demonio.

Se sulla carta ti sembra facile, prova a sperimentarlo sulla tua pelle.

Riflessione Liberale sul Comunismo

Il comunismo è la volontà di controllare tutto, è la paura della libertà.
In psicologia la mania del controllo è riconosciuta come un disturbo ossessivo-compulsivo della personalità, in politica viene chiamata socialismo.

Vediamo insieme questo brano:
“I rapporti borghesi di scambio e di produzione, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna, che ha creato magicamente mezzi di produzione e di scambio così potenti, fanno pensare a quello stregone che non è più capace di dominare le potenze oscure che egli stesso ha evocato.”

Lo stregone ha evocato il più grande distributore di ricchezza il cui gettone di pagamento è il merito. Un mercato non va regolato, bensì deve avere un dress code all’ingresso: chi accede non deve avere la possibilità di sovrastare la Libertà altrui e deve produrre con le stesse regole della concorrenza (conseguenza del punto precedente).

Tuttavia, nel sopra citato passo del Manifesto è ben evidente l’incapacità di riconoscere la disvelazione della Libertà, di credere in un sistema autoregolante a cui gli Individui possano accedere senza intermediari.

Posto lo stato come intermediario del mercato, sappiamo che esso può approfittare della sua posizione di superiorità e dettare le regole (è proprio ciò che vuole il comunismo, asserendo si riesca a farlo per il bene della società), da cui forzare determinati settori, ammalare la produzione dando assistenza ad imprese che secondo la “Distruzione creativa” di Schumpeter dovrebbero perire per essere sostituite dall’innovazione, falsificare e forzare la domanda dando incentivi sul consumo di qualcosa oltre le richieste (e non per forza secondo le esigenze) degli Individui.

L’insegnamento di Hegel era che bisognasse prendere atto della realtà e interpretarla come fosse un manoscritto sacro e inviolabile.
Con Marx l’interpretazione diventa studio scientifico, per cui fa delle previsioni completamente deterministiche dando come ipotesi il controllo del mercato, dei mezzi di produzione e dei rapporti di scambio, produzione e proprietà.

Il marxismo ha il merito di aver superato l’idealismo, il quale fa del concreto una manifestazione dell’astratto, ciò nonostante sostituisce ed evolve tale rapporto dualistico realtà-idea con una biunivocità fra la società caotica reale e la possibilità di regolarla con le idee.

La mania del controllo viene descritta con i seguenti sintomi su Wikipedia:
– Tendenza a conformarsi a procedure, abitudini o regole in modo eccessivo e non flessibile (=la cessione di tutti i rapporti allo Stato-padrone)
– Occorrenza di pensieri o comportamenti ripetitivi (=necessità di stabilire una staticità sociale nella vita dell’essere umano, inducendolo ad una vita ripetitiva in cui si dà quel che si può e si riceve ciò che si necessita)
– Costante perfezionismo (=materialismo dialettico con finale rivoluzione e dittatura del proletariato al fine di iniziare il processo di perfezionamento perfetto della società)

Mi spiace dirlo, o forse no, ma il comunismo è una malattia mentale ed i suoi derivati non sono altro che forme più lievi di essa.
Una incapacità di accettare la Libertà, di accettare che non esista un ordine prestabilito delle cose, di accettare l’autodeterminazione dell’Individuo.

di Alessio Cotroneo