Un meridionale contro il Parassitismo Sociale

In questo articolo parlerò di Antonio Genovesi (1713-1769), considerato uno dei principali illuministi meridionali del Settecento. Perché parlarne? Partiamo dal presupposto che stiamo parlando di un contesto storico, nel quale il liberalismo, come filosofia politica, era ancora acerbo, soprattutto dal punto di vista economico. Probabilmente era una filosofia maggiormente sviluppata sul piano delle libertà individuali.

Questa premessa era d’obbligo se consideriamo che lo stesso Genovesi, nelle sue opere, alterna idee liberiste con idee mercantiliste. In questo articolo evidenzierò gli elementi liberali più importanti.

Antonio Genovesi è nato nel salernitano ed era una persona piena di speranze, ambizioni e forza di volontà. Viveva in un contesto, come quello del Regno delle Due Sicilie, ostacolato dal connubio tra il feudalesimo radicato sul territorio e la volontà di rinnovamento dello Stato Moderno. Delle sue opere principali, consiglio la lettura dell’opera “Delle lezioni di commercio o sia d’economia civile” (1766-67).

Nell’opera affronta il rapporto opulenza privata rispetto alla società, sostenendo che gli eccessi non erano un bene per la società. Lui era per un lusso moderato, poiché era non solo importante per il singolo cittadino, ma anche utile per la società stessa.

Con questo Genovesi entra sul dibattito dell’eguaglianza affrontato da Rousseau. Per il meridionale, l’idea dell’eguaglianza era una strada utopistica perché l’uguaglianza non è un processo naturale. Infatti Genovesi si poneva due domande: gli uomini ne sono più felici? E la seconda; lo Stato ne diviene più grande e ricco?

Dalle parole di Genovesi emerge l’intenzione di distinguere l’uguaglianza dalla povertà. Quindi se il primo è utopia, il secondo era più facile da percorrere. Pertanto, lo Stato aveva il compito di correggere le situazioni più gravi e vistose.

Altro aspetto interessante, se consideriamo quel contesto storico e quello attuale, era l’intenzione del meridionale di combattere il Parassitismo Sociale. Perché? Perché Genovesi partiva dal presupposto che il compito principale dell’uomo fosse quello di lavorare per sé, per la propria famiglia e per l’utile comune. Proprio perché era favorevole ad un diffuso medio benessere, il lavoro era la strada per raggiungere tale obiettivo. Per questo motivo, i “privilegi irrazionali” presenti nel territorio e gli abusi feudali erano anacronistici e paralizzavano l’economia. Spettava allo Stato preoccuparsi di rimuovere questi ostacoli e di combattere qualsiasi forma di parassitismo per permettere all’agricoltura, all’industria e al commercio di operare nelle migliori condizioni possibili. Il feudalesimo non era il solo ostacolo dell’economia, ma anche il Clero che, con le sue vaste proprietà immobiliari, con gli ordini religiosi che favorivano il parassitismo e il suo potere giurisdizionale, contribuivano a paralizzare l’economia nel suo complesso.

Per concludere, aggiungo che quando si vuole mettere in discussione un sistema “rognoso e tosto” come quello italiano o come quello meridionale, la prima caratteristica fondamentale è l’ottimismo. Chi pensa che non ci sia alcuna speranza convive con un Pessimismo Cronico, ma chi pensa che ci sia un’alternativa alla realtà in cui viviamo, vuol dire essere ottimisti, proprio come Antonio Genovesi.

Concludo con una citazione, di Winston Churchill.

“L’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede pericolo in ogni opportunità.”

 

5 punti contro quelli che “lo Stato deve pensare ai poveri”

Chiarisco fin dalla prima linea che uno Stato Liberale ha il compito di appianare la strada verso l’autorealizzazione a ogni individuo, ricco o povero che sia. Ovviamente, i poveri hanno un occhio di riguardo perché talvolta per loro è più difficile accedere al merito.

Tuttavia, chi dice “lo Stato deve pensare ai poveri” semplicemente non vuole assumersi la responsabilità di aiutare i poveri e chiede che ciò venga fatto con i soldi di qualcun altro; tale persona commette non so quanti errori, ne elencherò cinque che mi sono balenati per la mente:

  1. Il primo è che lo Stato non può pensare, perché non è un ente autocefalico;
  2. Il secondo è che dare a un individuo da mangiare tutti i giorni è diseducativo (al contrario dell’educazione di cui lo Stato Etico si dichiara difensore), rimarrà perennemente nel suo status e tenderà ad impigrirsi poiché non dovrà far nulla per raggiungere il benessere;
  3. Il terzo è la pretesa di redistribuzione della ricchezza, un atto che diventa tanto più dannoso quanto più denaro si preleva dalle tasche dei cittadini, aggiungendo al danno il “consumo” dell’apparato incaricato di gestire tale redistribuzione;
  4. Il quarto è che si punterà sempre il dito su chi sta meglio, tanto che oggi i socialisti sono prevalentemente appartenenti al ceto medio e non hanno alcuna voglia di condividere maggiormente la loro ricchezza, ma preferiscono guardare ai portafogli di quei pochi che – per merito o per il caso- hanno più denaro di loro, ma non solo, talvolta questi borghesi socialisteggianti pensano di non avere abbastanza privilegi economici, il cui carico dovrebbe gravare sulle spalle dei contribuenti più virtuosi di loro;
  5. Il quinto, come già accennato, è che si demanda ad altri il proprio dovere morale di aiutare chi è in difficoltà, secondo le proprie regole da imporre a quegli altri che si vuole paghino. Diranno “lo Stato non fa abbastanza per combattere la povertà”, la verità è che seguendo le loro istruzioni lo Stato non potrà far altro che generare ulteriore povertà.

Quest’ultimo è il più grave sintomo dovuto a una società collettivista di individui deresponsabilizzati.
Ironia del caso, persone che non vogliono prendersi la responsabilità di aiutare dei poveri che loro credono abbiano bisogno di un ben specifico aiuto (davvero sono sicuri che i loro provvedimenti aiuteranno le persone?), chiedono di aiutare tali poveri deresponsabilizzandoli dall’autorealizzazione, dalla ricerca di un lavoro o di un lavoro migliore, dal miglioramento del proprio status e delle proprie competenze.

A riguardo, voglio raccontare un aneddoto: c’è un mio carissimo amico, il quale ha oramai 70 anni, ma lavora ancora con enorme passione, legge libri e giornali, segue corsi per aggiornarsi e molto altro; non ha un lauto stipendio da poter fare lo spendaccione, eppure ogni volta che vede un mendicante gli prende qualcosa al supermercato, quando sa di un padre di famiglia che ha perso il lavoro si fa in quattro per chiedere a chiunque nella sua rete di contatti se ci sia la possibilità di trovargli una mansione.

Una volta mi disse che dovrei considerare uno strano paradosso: se lo Stato abbassasse la tassazione, lui avrebbe più soldi per aiutare il prossimo, ma che se la tassazione dello Stato fosse più bassa e dunque la presenza dello Stato minore, non ci sarebbe alcun bisognoso da aiutare.

Certo, io non so se avrei mai lo spirito per aiutare così tanto il prossimo come fa lui, eppure non è ipocrita come chi chiede di aiutare gli altri con soldi di altri ancora, è un altruista vero e non si sognerebbe mai di imporre la sua idea di solidarietà a nessuno.

Il vero punto a favore dello Stato Liberale è che riesce a fare del bene agli individui educandoli all’autorealizzazione, all’indipendenza, al miglioramento di sé pur senza dare un indirizzo morale o etico, fattore tipico del fallimentare Stato Etico.

Dunque, ricapitoliamo: uno Stato che dimora in un Sistema Liberale non crea cittadini di serie A e di serie B, bensì garantisce il rispetto della legge e favorisce i processi meritocratici. Per tutti.

Scienza e Libertà: un rapporto complesso

Un breve excursus filosofico attraverso Comte, Mill e Bergson

Quando l’anno scorso, durante l’ennesimo scontro con un antivaccinista convinto, Roberto Burioni, per mettere a tacere l’insulso complottista, affermò che “la scienza non è democratica”, provai una certa estasi. Quella semplice frase, concisa ed efficace, rappresentava ai miei occhi il trionfo della Scienza e della Ragione sull’oscurantismo digitale 2.0, che sta cercando di mettere in dubbio uno dei più grandi successi della medicina moderna. Tuttavia, nel corso del tempo, ho avuto modo di ragionare sul significato profondo di quella frase. “La scienza non è democratica”.

Ho dunque realizzato di trovarmi totalmente d’accordo con questa affermazione se con essa si intende che in una discussione di argomento medico-scientifico, la mia opinione non può avere lo stesso valore di quella di un virologo del livello di Burioni. In medicina il mio “voto” non può (e non deve) contare quanto quello di una persona altamente qualificata; quindi in questo senso la Scienza non è assolutamente democratica.

Tuttavia, dietro al fatto che, giustamente, la Scienza non sia democratica si annida un problema che già Kant, quasi tre secoli fa, aveva dibattuto: quale Libertà può restare all’uomo in un sistema rigidamente deterministico? Ci sono infatti soltanto due modi di porsi nei confronti della Scienza:

  • Accettarla come Verità assoluta, incontestabile ed immutabile porta necessariamente alla naturale tendenza della Scienza a voler spiegare, e quindi determinare, ogni singolo aspetto della Vita umana: dalla coscienza, al destino del singolo individuo, che viene così privato di ogni libertà di azione e morale
  • Accettarla come momentanea interpretazione della realtà che ci circonda, sempre aperta al cambiamento, all’evoluzione e a nuove teorie, secondo la tradizione humiana-kantiana per cui le leggi scientifiche hanno valore solo ipotetico e probabile, permette al singolo di riconquistare la sua libertà, e conseguentemente sottopone la Scienza al giudizio morale

Positivismo e Riduzionismo

Nella seconda metà dell’800 Auguste Comte, discepolo di Henri de Saint-Simon, concepì quell’insieme di dottrine filosofiche che passarono alla storia con il nome di Positivismo. Egli era convinto che il progresso della razza umana sarebbe stato possibile solo affidandosi ciecamente alla Scienza, e riponeva in essa così tanta fede che negli ultimi anni della sua vita arrivò a fondare una “Chiesa positivista” con un suo catechismo. Per Comte il ruolo di una persona nella società era determinato biologicamente dal suo DNA, la coscienza e la psiche umana erano riducibili a semplici processi chimici a livello del cervello, le donne erano indiscutibilmente inferiori agli uomini perché un cervello femminile pesa meno di uno maschile, e aveva come massima ambizione scoprire una legge scientifica in grado di ridurre l’uomo, i suoi pensieri, la sua volontà e le sue azioni, a fenomeni fisici riconducibili alla Legge di gravitazione universale. Il Positivismo comtiano, e ancora di più quello tedesco, abbracciò di conseguenza il Riduzionismo materialistico e la sua dottrina:

  • Tutto è materia misurabile quantitativamente
  • Spirito, Morale e Metafisica non hanno più alcun valore
  • Ogni fenomeno può essere quantitativamente spiegato dalla Scienza
  • L’individuo è biologicamente determinato nella sua condizione (sono di questi anni degli studi di Lombroso, Darwin, Dalton e Spencer)

È evidente come dal punto di vista sociale non resti più alcuna Libertà. Se tutto è determinabile e determinato scientificamente, l’individuo non ha alcuna possibilità di scelta. La società teorizzata da Comte, convinto oppositore della democrazia, è uno dei primi esempi di Tecnocrazia capitalista-statalista (pre-keynesiana, giusto per intenderci), alla cui guida ci sarebbe dovuta essere una élite di scienziati.

John Stuart Mill e la libertà individuale

Contemporaneo di Comte e padre del liberalismo inglese moderno, John Stuart Mill ebbe come punti di riferimento la tradizione empiristica inglese di Bacone, Berkeley, Locke, Hume e l’Utilitarismo di Bentham. Mill, che pure riconosceva alle scienze un grandissimo valore, sottolineò, in aperto contrasto con le teorie di Comte, la necessità di arrivare alla Scienza attraverso un processo di induzione che partisse dai fatti. A suo avviso infatti, non possono esistere leggi scientifiche definitive, poiché l’Induzione si basa sull’esperienza, che può sempre essere contraddittoria. Pertanto, la soluzione all’apparente dicotomia tra Scienza e Libertà fu trovata da Mill nella Statistica. Essa infatti permette di postulare assiomi generali validi per gruppi di individui numerosi, senza escludere la possibilità di libertà individuale del singolo. Un esempio. Si consideri la frase: “è statisticamente provato che ogni anno a Londra vengano smarrite dal servizio postale circa 10.000 lettere”. L’asserzione statistica permette di formulare un’affermazione che descrive in modo efficace, probabile, e non deterministico, la realtà dei fatti. Tuttavia, non è detto che le 10.000 lettere perse ogni anno appartengano sempre alle stesse 10.000 persone; in questo modo la libertà individuale è garantita, ma il quadro complessivo della società è efficacemente descritto in termini probabilistici.

Bergson e il Naturalismo

Filosofo della reazione anti-positivistica di inizio ‘900, il pensiero di Henri-Louis Bergson fu talmente affascinante da meritare il Nobel per la Letteratura nel 1927. Egli rifiutò radicalmente sia il Meccanicismo darwiniano e positivistico, sia il Finalismo delle nuove correnti spiritualistiche del suo tempo, per teorizzare un nuovo approccio al problema della Vita: il Naturalismo bergsoniano. Bergson, proprio per difendere la libertà umana e il valore intrinseco della vita dal martello del Riduzionismo positivistico, sottolineò come la Scienza, in tutta la sua grandezza, fosse completamente incapace di spiegare i due aspetti più importanti dell’essere umano: la Vita, e la Coscienza. Esse sono due Unità, indivisibili, e pertanto non indagabili dalla Scienza, che con il metodo analitico finirebbe per distruggerle, dal momento che la somma di parti distinte non permette di ricostruire né la Vita, né la Coscienza. Bergson non nega a priori il valore della Scienza, ma critica aspramente la tecnica sterile, che senza il controllo dell’uomo risulta potenzialmente distruttiva. Per concludere, ricordiamo come Bergson abbia rigettato del tutto anche ogni Finalismo; nella sua filosofia l’Universo è animato da uno “slancio vitale” che deriva dalla Vita stessa, Unità originaria di cui l’uomo è Coscienza. Questa “evoluzione creatrice” crea costantemente e in modo imprevedibile, tuttavia senza un fine o un progetto definito, in un costante passaggio dal complesso al semplice, dalla Vita alla materia.

Come si autorealizza un Individuo? La risposta di W. von Humboldt

Nella sua eccelsa opera “I Limiti dell’Azione Statale”, un titolo che già lascia presagire 92 minuti di applausi per ogni paragrafo letto, Wilhelm von Humboldt intraprende la sua analisi partendo da come un Individuo debba autorealizzarsi: “Dell’Individuo e dei più alti confini della sua esistenza“, così il titolo del secondo capitolo. Eccone alcuni estratti, quelli a parer mio più significativi:

Il vero fine dell’Uomo, o ciò che è prescritto dai dettami eterni e immutabili della ragione e non suggerito da desideri vaghi e passeggeri, è lo sviluppo più alto e più armonioso dei suoi poteri verso un’interezza completa e coerente.

La libertà è la prima e indispensabile condizione che presuppone la possibilità di tale sviluppo; ma c’è anche un altro essenziale, – intimamente connesso con la libertà, è vero, – ossia la varietà delle situazioni. Anche il più libero e autosufficiente degli uomini è ostacolato nel suo sviluppo quando si trova in una situazione di staticità.

Quindi deduco,in maniera naturale da quanto sostenuto, che la ragione non può desiderare per l’uomo alcuna condizione diversa da quella in cui ogni individuo non solo gode della più assoluta libertà di svilupparsi con le proprie energie, nella sua perfetta individualità, ma in cui anche la natura esteriore è lasciata fuori moda da qualsiasi agenzia umana, ma riceve solo l’impronta che gli viene data da ciascun individuo di se stesso e dal proprio libero arbitrio, secondo la misura dei suoi desideri e istinti, e limitato solo dai limiti del suo poteri e i suoi diritti.

Humboldt dunque vuole arrivare a spiegare come l’azione statale impedisce all’uomo di realizzarsi correttamente e pienamente, ponendogli i bastoni fra le ruote o facilitandolo eccessivamente rendendogli inutile ogni sforzo, ma pur sempre a scapito di tutti gli altri Individui.

Oltretutto vuole far notare l’ipocrisia degli statalisti, un’ipocrisia “data dal fatto che essi considerino ciò che l’uomo possiede rispetto a ciò che è realmente, e che rispetto a quest’ultimo non coltivano, neppure all’uniformità, le facoltà fisiche, intellettuali e morali” nonostante si ergano a protettori del suo spirito, della sua mente, del suo corpo. Questi statalisti, dunque, vorrebbero decidere la maniera in cui ogni Individuo debba condurre la propria vita, facendosi carico del fardello che non riescono a sorreggere sulle proprie spalle pur di avere il Potere decisionale, di vita e di morte sugli altri , sostenendo come unico valore “l’unità perfetta di tutto l’essere“.

E con un coraggioso confronto asserisce: “Gli antichi cercavano la felicità nelle virtù; i moderni hanno troppo a lungo cercato di sviluppare le virtù a partire dalla felicità“, dunque, critica la scelta di imporre la felicità qualunque cosa si faccia, anziché di lasciare che la si cerchi a partire dai propri valori e dalle proprie virtù, passando per la realizzazione individuale.

Ecologia, conservazione e sviluppo in assenza di Stato (4); M.N. Rothbard (For a New Liberty, analisi 2^ parte)

Conservazione, ecologia e sviluppo:

In questa sezione, Rothbard affronta un cavallo di battaglia dei liberal di sinistra e dei socialisti, ovvero l’ecologia, la tecnologia e il loro rapporto col libero mercato e il capitalismo. A detta di Rothbard, i liberal di sinistra vedono nello Stato la soluzione per ogni problema, tra cui ovviamente il rispetto e la salvaguardia dell’ambiente, lo sviluppo della tecnologia e il progresso della società. Ma, fa notare, nel corso del tempo i vari liberal hanno sostenuto tesi contraddittorie. Eccone un piccolo riassunto che mostra l’attualità di alcune situazioni:

  • Tra gli anni ’30 e ’40 i liberal sostenevano che il capitalismo era in un “ristagno secolare” che avrebbe generato disoccupazione di massa permanente.
  • Negli anni ’50 il capitalismo stava crescendo ma non abbastanza rapidamente, era necessario l’intervento dello Stato per alimentare l’economia.
  • Alle soglie degli anni ’60 la situazione si capovolge, gli americani erano troppo benestanti e stavano perdendo la loro spiritualità tra gli scaffali dei supermercati. Lo Stato doveva ridurre questo esagerato benessere.
  • Poco dopo, il problema non era più l’eccessiva ricchezza ma l’eccessiva povertà: entra in scena la “guerra contro la povertà”.
  • Nel 1964, la “Ad Hoc Committee on The Triple Revolution” pubblica un manifesto in cui dice che, continuando di questo passo, il capitalismo avrebbe automatizzato tutti i mezzi di produzione: la produzione sarebbe stata sovrabbondante ma ne sarebbe conseguita una disoccupazione di massa. Questo è il periodo dell’”isteria dell’automazione.”
  • Successivamente, al centro dell’attenzione entra l’ecologia: il capitalismo non la salvaguarda, c’è bisogno dello Stato e di una società a crescita zero.

Rothbard fa notare che non è raro trovare persone che affermano contemporaneamente che viviamo in un’epoca di post-scarsità, dove non è necessario più della proprietà privata e del capitalismo, e al tempo stesso che viviamo in una società dove l’ingordigia capitalistica divorerà tutte le risorse a livello mondiale. Però, qualunque sia il problema, la risposta liberal è sempre una e solo una: socialismo e pianificazione statale.

Ma il “padre” dei libertari è di un altro avviso. Non è fermando il progresso tecnologico o cercando di frenare il capitalismo i vari problemi che si possono incontrare verranno risolti. Anzi, è solo grazie al progresso e all’aumento del benessere che le condizioni di vita sono migliorate. Se la tecnologia tornasse all’era preindustriale il risultato sarebbero “solo” carestia e morte. Proprio per questo motivo, lo Stato deve levarsi di mezzo e smettere di soffocare l’economia con tasse e regolamentazioni in modo tale permettere che le risorse economiche siano utilizzate appieno dai privati, permettendo così lo sviluppo tecnologico e dell’economia stessa.

Arriviamo ora al nocciolo della questione: come potrebbero il capitalismo e il libero mercato salvaguardare l’ambiente e le risorse? L’ingordigia capitalista non divorerebbe tutto non appena gli lasciamo la strada libera? Per Rothbard non c’è nulla di più assurdo. Il capitalismo vive di risorse e non potrebbe esistere senza. I meccanismi di libero mercato, del vero libero mercato, riuscirebbero a regolare le cose. Come? Con i prezzi. I prezzi ci dicono molte informazioni, non complete, ma importantissime. Se una risorsa scarseggia è ovvio che il prezzo salirà. Questo cosa comporta? Innanzitutto che i proprietari delle risorse, per non vedere crollare i loro prezzi, cercheranno di dosare, ad esempio, l’estrazione di minerali e/o combustibili fossili. Poi, seguendo sempre l’indicazione dei prezzi, nel momento in cui una risorsa è troppo costosa si andrà alla ricerca di nuove tecnologie meno costose ed efficienti o di nuove miniere o giacimenti. Questi sono gli effetti “conservativi” dei prezzi.

Inoltre, cosa importantissima, il capitalismo “crea” risorse. Il petrolio, prima delle lampade a kerosene e delle automobili era un rifiuto indesiderato. Ora è l’oro nero. Questo accade per una infinità di materiali e di fibre naturali e per i nuovi materiali di sintesi o artificiali.

Rothbard non vuole negare l’inquinamento e il rischio di esaurimento delle risorse, ma ritiene che il problema sta nella mancanza di incentivi economici a mantenere le risorse. Infatti, essendo quasi tutte le risorse principali di proprietà dello Stato, ad esempio foreste, laghi e fiumi, coloro che le hanno in concessione non hanno il men che minimo interesse a non sfruttarle fino all’ultima goccia o a farsi scrupoli se scaricano rifiuti inquinanti in acqua. Non essendo di loro proprietà, una volta che hanno la possibilità di sfruttare lo fanno. Invece, se lo Stato non possedesse questi beni ed essi fossero nelle mani di privati, la situazione sarebbe ribaltata. Se una persona possiede una risorsa ma non la valorizza né se ne cura, avrà sicuramente una perdita. Ecco che in questa situazione i privati sono economicamente incentivati a salvaguardare le risorse. Nessuno vorrebbe vedere esaurita o inquinata la sua fonte di ricavi, che sia una foresta o un lago.

Per ciò che riguarda l’inquinamento, il pensatore newyorkese trova un altro punto critico. Le critiche sono in parte simili a quelle precedentemente esposte, ma nello specifico, il problema è individuato nella arroganza dello Stato che lascia inquinare nella mancanza di rispetto dei diritti individuali delle persone. Infatti, lo Stato permette di inquinare i suoi laghi, i suoi fiumi, di consumare e di sfruttare le sue terre e, cosa ancora peggiore, di inquinare l’aria che respiriamo. L’inquinamento dell’aria non può non essere visto come una violazione dei diritti delle persone, è una aggressione. In teoria, lo Stato dovrebbe tutelare i suoi cittadini, dovrebbe verificare ed impedire questo tipo di aggressioni; invece ne è complice e anzi le promuove nel nome del superiore “bene pubblico”. Non importa se un aeroporto fa rumore, non importa se una fabbrica inquina perché c’è una cosa più importante dei diritti individuali, il bene pubblico. Per Rothbard i diritti sono inviolabili il bene pubblico non può essere una buona ragione per passare sopra ad essi. Per questo motivo rifiuta anche la soluzione di Milton Friedman che affronta questi temi con un calcolo costi-benefici.

Chiudo il resoconto con le parole di Schumpeter, citato da Rothbard:

«il capitalismo si presenta davanti ai giudici, e questi hanno già la sentenza di morte nelle loro tasche. Tale sentenza sarà definitiva, a prescindere da ciò che dirà in sua difesa; l’unica vittoria che la difesa può sperare è una diversa formulazione dell’imputazione.»

 

 

 

 

 

 

 

Le 10 regole per essere un cittadino migliore e libero

Eh sì, ci sono cittadini migliori e cittadini peggiori di altri. Questo perché non siamo tutti uguali, ma spero che se stiate leggendo queste righe abbiate già assimilato l’idea che l’uguaglianza sostanziale non esiste.

Premettendo che non sono un guru, la nostra associazione non è life coaching e quanto elencato sarà perlopiù una lista di doveri categorici kantiani, partiamo con le 10 regole:

  1. Metti sempre in discussione quello che stai dicendo, anche se sei saldo nelle tue convinzioni non ti farà mai male un atto di umiltà, potresti scoprire di dover fare un passo indietro e/o rivedere le premesse da cui eri partito; fossilizzarsi sui concetti, talvolta li rende pregiudizi. E nella comunicazione con gli altri, è sempre un bene non avere pregiudizi, soprattutto in un confronto può servire per far capire all’interlocutore chi è davvero quello “aperto”.
  2. Cerca sempre la competizione, prima che con gli altri, con te stesso. Se vuoi essere migliore, anzitutto devi essere migliore di quello che eri ieri e domani dovrai essere migliore di oggi. Vai in palestra, leggi, informati. Soprattutto: non provare odio e invidia. Quelle cose lasciale a chi vuole fare lotte di classe e imbrattare di sangue i muri, a chi vede in chi sta meglio un nemico anziché una persona autorealizzantesi.
  3. Abbi coerenza: riconduci ciò che dici e che fai a ciò che pensi, affondando i tuoi pensieri nei valori fondamentali in cui credi. Molto spesso capita di criticare qualcuno che commette i nostri stessi errori, è lecito? Se lui può, posso anch’io? Se lui non rispetta i miei valori, devo non rispettarli anche io? Ecco, diciamo che questa logica non regge.
  4. Non sprecare il tuo tempo: “Potrò pur perdere una battaglia ma non perderò mai un minuto” disse Napoleone, “Dormi 6 ore e te ne rimangono ancora 18. Sei ore sono poche? Allora dormi più velocemente” disse Schwarzengger ai laureandi della University of Southern California. Il tempo è alla base dell’autorealizzazione dell’Individuo, dunque non sprecarlo e programma le tue giornate per raggiungere i tuoi obiettivi.
  5. Agisci, non nuocere a nessuno, ma fallo: hai un’idea che non comprenda genocidi di massa, oppressione di persone e la sua applicazione non nuocerà a nessuno? Allora, devi necessariamente realizzarla. Fregatene del tempo che non passerai giocando a League of Legends o poltrendo sul divano (ut supra), se questa idea migliorerà te, contribuirà indubbiamente a migliorare la società. Perché è sempre così, la società migliora grazie alle fatiche dei singoli Individui, che lo facciano egoisticamente o meno.
  6. Assumi le tue colpe e responsabilità: l’Individuo è responsabile del suo destino e di tutto ciò che fa, prima di dare le colpe al sistema, agli altri, alla situazione, prima di dire che ce lo chiede l’Europa, fatti un esame di coscienza. Forse, quello che hai fatto, avresti potuto farlo meglio. Anche quella proposta di legge di cui non ti sei assunto la responsabilità. E se supererai l’esame introspettivo e scoprirai di aver dato il massimo, ma di aver fallito lo stesso, sii fiero di te.
  7. Pensa e ragiona: ciò che ci distingue dai comuni animali è l’uso dell’intelletto, della ragione e del pensiero. Sii sempre consapevole delle tue scelte, sii sempre sicuro delle parole che usi. Non avere pregiudizi: cerca le certezze, le evidenze fenomenologiche.
  8. Rispetta gli altri Individui, il solipsismo è passato di moda ed è ovvio che esistano anche altri Individui. Dunque, non tollerare l’intolleranza e i soprusi, non essere omertoso. Questo è il primo passo per la costruzione del capitale civico: avere il coraggio di combattere contro le ingiustizie, contro l’omologazione, contro il pensiero unico e totalitario.
  9. Relazionati con gli altri. Gli uomini come gli alberi «si costringono reciprocamente a cercare l’uno e l’altro al di sopra di sé, e perciò crescono belli dritti, mentre gli altri, che, in libertà e isolati fra loro, mettono rami a piacere, crescono storpi, storti e tortuosi.» Sempre secondo Kant, il diritto consiste nella «limitazione della libertà di ciascuno alla condizione che essa si accordi con la libertà di ogni altro» Ecco perché relazionarsi con gli altri è fondamentale per crescere, per accrescere il proprio bagaglio culturale, emozionale, civico.
  10. Non imporre la tua morale e non accettare che qualcuno la imponga a te. Se combattiamo contro lo Stato Etico non è perché la battaglia è fine a sé stessa, ma è perché non ci sta bene la coercizione. Sempre il buon Kant diceva “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me“, benché la frase venga usata nelle descrizioni di Instagram da adolescenti sedicenti adoni alle prese col nozionismo scolastico, esprime un chiaro quanto affascinante messaggio: la morale viene da dentro, non da fuori. Così come non possono costringerti ad amare qualcuno, a essere solidale verso qualcuno, a spenderti per qualcosa in cui non credi, allo stesso modo non imporlo tu a nessun altro.

 

Ecco il decalogo del cittadino liberale. Indubbiamente questi non saranno i nuovi 10 comandamenti del Liberalismo, ma sono 10 punti importanti di cui dovremmo tener sempre conto, a mio avviso.

L’Italia del 2018 come la Giudea del 33 d.C. : analisi dell’elettorato

Il 33 d.C. è l’anno in cui -così si narra da due millenni- Gesù venne crocifisso. Cosa stava accadendo in Giudea in quel periodo? Premetto, come sempre, che sono fermamente convinto del mio agnosticismo e che quanto esporrò non avrà l’intenzione di far redimere nessuno come Paolo sulla via di Damasco.

Fra i giudei c’erano due fazioni opposte fra loro: la fazione per la sottomissione ai romani proponeva di chinare un po’ il capo per vivere nella pace instaurata dal dominio di Roma, dialogando con i dominatori per mantenere qualcuna delle proprie tradizioni; l’altra fazione era quella degli Zeloti, che contestavano l’Impero con la violenza e con rappresaglie partigiane, volevano scacciare i loro governanti reclamando il regno di Dio in terra.

Fra gli italiani dei nostri giorni le fazioni sono più di due, ma molto semplicisticamente possiamo dire che si possano dividere così: la fazione per lo Status Quo, quella parte della popolazione che si è rassegnata (consapevolmente o no) ai grandi cambiamenti e che spera tutto si risolva con piccoli e minimi interventi, facendo sì che tutto cambi per non cambiare; dall’altra parte la fazione che è stufa della stazionarietà, quella che vuole il cambiamento e lo accetta di qualsiasi forma esso sia, basta che qualcosa cambi e che l’establishment attuale perda i suoi privilegi.

Nel primo caso, nelle annate d’intorno al 33 d.C. si stava diffondendo una terza via: quella dell’Amore, propugnata dai seguaci di Cristo; predicavano che la Libertà sarebbe arrivata tramite l’Amore, che la pace fra gli uomini sarebbe stata solamente una delle conseguenze di Amore e Libertà. Ci sono voluti diversi secoli, ma il contagio di quelle idee è stato tale da espandersi in ogni continente e sopravvivere per due millenni. Quel marketing ha funzionato alla grande: a differenza delle altre grandi dottrine utopiche, il richiamo del cristianesimo viene spontaneamente da dentro di sé una volta che si ha innescato la miccia, ha funzionato senza imporlo dall’alto (sarà l’imposizione degli ultimi secoli il motivo per cui ora sta indebolendosi e perdendo seguito?). A differenza del comunismo o delle dittature benevole e costruttivistiche del Grande Leviatano, secondo cui è l’ente centrale a imporre la pace e il bene per gli uomini.

Il secondo caso, quello odierno, è più difficile da trattare. Quello che è certo, è che non possiamo aspettare l’avvento di un altro messia e non dobbiamo più riporre le nostre speranze nell’ascesa di un nuovo uomo forte, carismatico e capace che sappia cosa fare. Nessuno più di un liberale dovrebbe sapere che la salvezza, l’autorealizzazione, la dignità, l’impegno, il merito vengano solo da sé e non dagli altri. Nessuno più di un liberale dovrebbe darsi da fare per la lotta quotidiana contro il collettivismo, contro la massificazione, contro l’omologazione (altro che il Capitalismo che ci vuole tutti uguali, quello è il comunismo!), diffondendo senza paura quell’ideale che nascondiamo in un recondito angolo della nostra mente.

Noi liberali sappiamo cosa c’è da fare: diffondere la Libertà, il progresso, il mercato e darci da fare per cambiare il tessuto culturale del nostro paese; un paese che rischia di rimanere senza futuro a causa di chi ha troppa paura del cambiamento o di chi vuole rivoltare il sistema senza rigor di logica.

Il governo negli affari (3); M.N Rothbard, (For a new Liberty, analisi 2^ parte)

In questa sezione, Rothbard vuole mettere in evidenza l’ingombrante ed asfissiante presenza dello Stato nel settore dei servizi e del mercato, cercando di mostrare le inefficienze dello stesso nell’erogare i servizi e nel voler “raddrizzare” il mercato.

Inizialmente, egli fa notare come lo Stato nel corso del tempo si sia a tal punto identificato con i servizi che eroga che attaccare e criticare lo Stato nel suo operato appare come una critica al servizio stesso. Ad esempio, se si afferma che lo Stato non si dovrebbe occupare di fornire servizi giudiziari, spesso la gente considera ciò una negazione dell’importanza, in questo caso, dei servizi giudiziari. Inoltre, molti potrebbero domandarsi: chi fornirà questi servizi? La risposta di un libertario è ovvia: saranno delle imprese private calate in un contesto di libero mercato a fornire al consumatore tutto ciò di cui ha bisogno.

Rothbard deve però mettere le mani avanti: è impossibile delineare a priori un progetto costruttivo di un qualsiasi settore. Ma, come afferma: «l’essenza e la gloria del libero mercato consistono proprio nel fatto che le ditte e le imprese individuali che competono sul mercato offrono una gamma in costante trasformazione di beni e servizi efficienti». Le aziende hanno grande interesse nel fornire nel miglior modo possibile i servizi e i prodotti di cui gli individui hanno bisogno , altrimenti si troverebbero in breve tempo senza clienti e in bancarotta.
Infatti, nel libero mercato il cittadino è re, è “corteggiato” dalle varie imprese che devono fare del loro meglio, di necessità, per cercare di estendere la loro clientela. Ciò incentiva le imprese a cercare di essere efficienti e a diversificare e trasformare continuamente la loro offerta.

Questa situazione è l’opposto di quella in cui si trova il cittadino nei confronti dello Stato: il cittadino è quasi una “noia”, uno che sta “consumando” le già scarse risorse dello Stato. Lo Stato non è incentivato a diversificare e trasformare la sua offerta e, seppure volesse, non potrebbe farlo in tempi abbastanza rapidi da intercettare nel miglior modo la domanda di servizi. Inoltre, cosa molto importante, in ogni azione dello Stato vi è un fatale divario tra la fornitura di un servizio e il pagamento per riceverlo. A differenza delle imprese private, le quali ottengono i loro fondi attraverso le vendite, lo Stato si finanzia con le tasse forzosamente estorte ai cittadini.

Molti ritengono che lo Stato possa funzionare meglio se fosse amministrato come una azienda. Per Rothbard non c’è nulla di più falso. In primo luogo, come detto sopra, lo Stato si finanzia in maniera totalmente diversa dalle imprese private; in secondo luogo fornisce servizi in regime di monopolio legale, eliminando la concorrenza attraverso la legge; in terzo luogo, grazie ai prezzi che fornisce il libero mercato, le aziende hanno la possibilità di calcolare in maniere efficiente i loro costi per non subire perdite e distribuire servizi e beni in maniere intelligente, cosa di cui lo Stato non può usufruire in maniera genuina rendendo la pianificazione centrale molto faticosa, laboriosa ed estremamente fallibile. Inoltre, poiché in molti casi il servizio statale è erogato in regime di monopolio o semi-monopolio, quindi in una situazione in cui non vi è concorrenza, e poiché lo Stato non può andare in bancarotta o subire perdite, esso deve semplicemente tagliare i servizi o aumentare i prezzi. Nulla di più lontano da come funzionano le imprese.

La soluzione, è solo una: abolizione del settore pubblico. But who will build the roads?

 

La libertà personale secondo M.N. Rothbard (For a New Liberty, analisi 2^ parte)

In questa seconda parte dell’articolo su M.N. Rothbard, e nelle seguenti, tratteremo della seconda parte di “For a New Liberty”. Cominciamo dalla visione sulla libertà personale.

Libertà Personale:

In questa sezione del manifesto libertario, Rothbard prende tutti quei diritti, dalla libertà di parola al possesso delle armi, che possono essere collocate sotto il nome di libertà personali. Innanzitutto, il pensatore newyorkese prende in esame le “libertà civili” (diritto di parola, stampa, espressione) facendo notare il carattere assoluto che deve essere loro conferito. Ogni libertario deve sostenere strenuamente la libertà di parola e tutti i suoi derivati.

Inoltre, cosa molto importante, Rothbard fa notare come queste libertà siano inestricabilmente legate con i diritti di proprietà: esse derivano dalla proprietà privata (ad esempio: possibilità di stampare), ma allo stesso tempo devono rispettare la proprietà (egli cita come esempio della violazione della proprietà altrui con la parola la situazione in cui qualcuno urli “al fuoco!”, all’interno di un cinema, senza che vi sia realmente un incendio creando una perdita al proprietario del cinema).

Un caso molto particolare è quello del ricattatore o del diffamatore in a cui Rothbard giunge ad una conclusione molto particolare. Secondo lui, un blackmailer non può essere considerato un invasore di diritti altrui: egli esercita il suo diritto alla parola o calunniando o minacciando il rilascio di informazioni intime e non interferisce coi diritti di nessuno. Infatti, non si può dire che una persona abbia un “diritto di proprietà” sulla propria reputazione, essa è una funzione soggettiva dei sentimenti degli altri. Calunniare e ricattare è immorale, ma, per Rothbard, moralità e legalità sono due categorie diverse.

Altro punto su cui le libertà civili si intersecano con i diritti di proprietà sono le manifestazioni in luoghi pubblici. Secondo Rothbard, il problema di quali manifestazioni sono da autorizzare e quali da bandire è un problema che lo Stato non potrà mai risolvere senza danneggiare qualcuno e avvantaggiare qualcun altro. Infatti, essendo le strade pubbliche, tutti possono fare richiesta per manifestare, anche gruppi “estremisti” di qualsiasi tipo, poiché essendo contribuenti ne avrebbero diritto. Ma, se le strade fossero private sarebbero i proprietari a decidere chi potrebbe usufruirne e chi no, evitando conflitti tra contribuenti.

La posizione libertaria in merito alla legislazione sessuale e la pornografia è molto chiara e semplice. Infatti, poiché si tratta di interrelazioni tra adulti consenzienti e la donna o l’uomo possiedono il loro corpo, lo Stato non può proibire degli atti solo perché immorali, i cosiddetti “crimini senza vittime”, né mettere fuori legge tali comportamenti solo perché potrebbero essere dannosi e pericolosi. Agli occhi di un libertario la prostituzione è una vendita volontaria di lavoro. Inoltre, così facendo, lo Stato legifera su una delle sfere più private dell’uomo, impedendogli di comportarsi come vuole nel rispetto dei diritti altrui. Essere favorevoli alla prostituzione non significa volerla diffondere né essere favorevoli alla prostituzione in sé. Significa solo riconoscere che è una attività lecita e che come tale non può essere impedita per questioni morali.

Un altro caso particolare è quello dell’aborto. Rothbard lo risolve in maniera molto cruda ma coerente con la sua impostazione di base. Infatti, il problema cruciale è se l’aborto deve essere considerato un omicidio. Prescindendo da tutte le considerazioni mediche su quando inizi la vita e da quelle religiose, Rothbard mostra che se consideriamo un feto come avente tutti i diritti di un qualsiasi essere umano, tra cui il diritto di non essere ucciso, allora dobbiamo trovare una risposta alla seguente domanda: quale essere umano ha il diritto di rimanere, non invitato come parassita indesiderato all’interno del corpo di un altro essere umano? Per Rothbard ogni donna può decidere in quale momento quando disfarsi di quello che è un “parassita” indesiderato dal suo corpo.

Per quanto riguarda le droghe Rothbard è molto chiaro: il proibizionismo non ha funzionato nella pratica e nella teoria non è ammissibile. Infatti, lo Stato non può negare a nessuno di assumere quali sostanze preferisce solo perché fanno male o possono portare a compiere atti criminosi nei confronti di altri individui. Oltretutto si sta negando la libertà di un individuo di fare ciò che vuole del proprio corpo. Lo Stato proibisce l’utilizzo delle droghe “per il nostro bene” e per il bene degli altri; ma, se il ragionamento è questo, allora dovremmo poter ammettere anche l’incarceramento preventivo di tutte le persone potenzialmente aggressive e violente e dovremmo altresì proibire tutte le sostanze e i comportamenti rischiosi (ad esempio sostanze come il burro e il gelato) poiché potrebbero far male. La costatazione finale di Rothbard è che alla fin fine, se il ragionamento è questo, sarebbe meglio «mettere la gente in gabbie, in modo che possa ricevere la giusta quantità di luce solare, una dieta corretta, scarpe comode, e così via».

Infine, il classico argomento libertario è quello sulle armi e Rothbard non si esime dal dire la sua. Innanzitutto, poiché ogni persona possiede il suo corpo e le sue proprietà allora ha anche il diritto di difenderla come meglio crede. Però, lo Stato ha eroso continuamente questa prerogativa, non solo negando l’utilizzo di armi da fuoco come armi da difesa, ma anche impedendo di avere con sé coltelli o altri oggetti da difesa. Secondo il pensatore newyorkese, ciò impedisce alle potenziali vittime di disporre di un loro diritto e di essere alla mercé dei potenziali aggressori. Inoltre, poiché nessun oggetto fisico è di per sé aggressivo e qualsiasi oggetto può essere usato per aggredire qualcuno «non è più logico proibire l’acquisto di pistole di quanto lo è proibire il possesso di coltelli, mazze, spilloni e pietre».

(continua nella parte 3 che uscirà nei prossimi giorni)

Prospettive di Libertà radicali: For a new Liberty, M.N. Rothbard ( Parte 1)

 

In questo articolo vogliamo offrirvi una diversa prospettiva sulla Libertà, ovvero il  punto di vista  di Murray Newton Rothbard (qui il link alla pagina Wikipedia a lui dedicata), considerato, a ragione, il “padre” del Libertarismo contemporaneo. Rothbard è stato un economista appartenente alla Scuola Austriaca e, partendo dalle premesse metodologiche individualistiche di Mises, di cui fu allievo, dal Giusnaturalismo proprietarista di matrice lockeana e dalla tradizione dell’anarchismo filosofico americano, giunse a dare corpo a quello che è il Libertarismo contemporaneo.

Questa breve premessa introduttiva serve per esplicitare qual è l’universo del discorso all’interno del quale si situa “For a new Liberty” (disponibile in italiano grazie a Liberilibri), il “manifesto libertario”. Questo manifesto venne scritto da Rothbard con un intento sia divulgativo, per raggiungere più persone possibili e metterle in contatto con le idee libertarie, sia per creare una sorta di punto di riferimento in cui più libertari potessero riconoscersi. Ovviamente, come ogni manifesto, ha intenzioni anche pratiche: nella parte conclusiva, Rothbard cerca di delineare strategie, modalità, temi e persone verso le quali il libertarismo si deve rivolgere per giungere a compimento. Il tutto rigorosamente nel rispetto dei diritti inviolabili delle persone e senza l’uso della violenza.

“For a new Liberty” si snoda attraverso tre parti – il credo libertario, soluzioni libertarie a problemi attuali e un epilogo – il tutto preceduto da una premessa storica che cerca di inquadrare il libertarismo in una tradizione ben precisa. Infatti, il libertarismo è una prospettiva radicale sulla libertà, figlia del continente americano – il manifesto si rivolge continuamente e assiduamente ai cittadini degli USA seppure è un manifesto per tutti gli uomini –  e continuatrice della tradizione del movimento liberale classico del XVIII e XIX secolo. Coloro che sono individuati come “antenati genetici” del libertarismo sono Locke, il cui contributo giusnaturalista è il cardine del libertarismo, i Livellatori della Rivoluzione inglese, John Trenchard e Thomas Gordon autori di Cato’s Letters, opera che fu molto letta nel periodo che portò alla Rivoluzione americana, Thomas Jefferson, Thomas Paine, autore di “Common Sense”, pamphlet decisivo per l’opinione pubblica nella Rivoluzione americana, Jackson, Lysander Spooner e molti altri.

Quello che Rothbard chiama il “credo libertario” è sostanzialmente la riproposizione del Giusnaturalismo di matrice Lockeana (diritti naturali, self-ownership, diritto all’homesteading) il tutto arricchito da quello che è denominato “non-aggression principle”, anche conosciuto come “assioma di non aggressione” (abbreviato NAP); l’assioma è così riassunto da Rothbard:

«Il credo libertario si basa su un assioma centrale: nessuno può aggredire la persona o la proprietà altrui. Lo si potrebbe chiamare “assioma della non aggressione”. L”‘aggressione” viene definita come l’uso o la minaccia della violenza fisica contro la persona o la proprietà di altri. Aggressione è quindi sinonimo di invasione.»

Questo assioma, che secondo Rothbard è una verità morale che si impone alla nostra ragione, mostra l’enorme valore attribuito alla libertà individuale dai libertari. Ma in questo contesto ci troviamo davanti ad una formulazione della libertà e dei diritti di carattere negativo; la libertà è sostanzialmente l’assenza di coercizione e l’uomo non possiede tutti quei diritti che possiamo definire di “seconda generazione”: diritto alla salute, istruzione, lavoro ecc. Il libertario difenderà quelle libertà che possiamo definire “civili”: libertà di parola, di assemblea, di stampa ecc. e il diritto di contrattare liberamente, di scambiare liberamente beni. Ovviamente alla base vi sono i diritti di proprietà.

A differenza degli anarco-collettivisti, dei marxisti e di tutte le possibili declinazioni dell’ideologia comunista, così come di Hobbes, l’antropologia alla base del Libertarismo è “neutra”: essa non ritiene che l’uomo sia nella sua essenza egoista, né che sia lupo ad ogni suo simile. Il libertario si limita a constatare che gli uomini a volte si comportano in maniera altruistica, altre volte in maniera egoistica, alcune volte sono “buoni” e altre “cattivi” ed evidenzia come la raggiera di comportamenti che un uomo può assumere sono molteplici e vari, ma il discrimine fondamentale è il rispetto del NAP. Cosa ancora più importante è la differenza con i comunisti: nell’idea libertaria non è contenuta nessuna pretesa di cambiamento radicale dell’uomo. Essa è una analisi realistica e come tale non prospetta né promuove un cambiamento nello spirito o nell’essenza dell’uomo, non prospetta l’avvento di nessun “Uomo Libertario”.

Per le loro posizioni, a volte i libertari sono etichettati come di destra, quando promuovo ad esempio il libero mercato, la libertà di contratto, i diritti di proprietà, e a volte come di sinistra come quando promuovo la libertà sessuale, l’aborto, libertà di stampa. Il fatto è che alla base di tutte queste prese di posizioni vi è il rispetto dei diritti di proprietà individuali, rimarcati dal NAP. Questa strenua difesa della libertà e dei diritti porta, se si vuol essere coerenti fino in fondo con i principi suesposti, ad una applicazione della legge morale a tutti, anche allo Stato, ricollegando quindi politica e morale. Per questo motivo libertario è sinonimo di anarchico.

Lo Stato è l’oggetto di critica di tutto il manifesto, l’obiettivo polemico verso cui Rothbard si scaglia continuamente: lo Stato è un ente che si basa sulla coercizione, sulla violenza, sulla minaccia, sul furto e sull’omicidio di massa. Infatti, se noi applichiamo coerentemente il NAP allora dovremmo considerare la tassazione un furto, la coscrizione obbligatoria un rapimento organizzato e la guerra un omicidio di massa.

Per Rothbard lo Stato è un prodotto storico ed umano che nel corso della storia si è imposto, apparentemente, come unica alternativa al “caos dell’anarchia dello stato di natura”, come unico ente razionale ordinatore della realtà. Ma esso non ha diritto di imporsi sulla libertà delle persone ed inoltre è anche causa di inefficienze e sprechi, per non parlar dell’incalcolabile numero di morti dovuti alle guerre condotte nel nome dell’interesse nazionale e del bene comune. La provocazione di Rothbard è questa: se un ladro vi dicesse che la rapina che sta commettendo su di voi è per il bene di molte altre persone, voi sareste portati a non ritenere ciò un furto? Non è forse così che funziona la tassazione?

Lo Stato viene paragonato ad una gang, ad un gruppo di banditi che si sono imposti su un territorio nel quale si sostentano con la rapina e l’estorsione sistematica, praticano la schiavitù (coscrizione obbligatoria) e l’omicidio di massa, ma il tutto è effettuato per il bene dei cittadini. Inoltre, Rothbard critica la propaganda, la manipolazione continua delle coscienze, perseguita grazie alle feste laiche e alle celebrazioni dell’ideale nazionale e patriottico che portano gli individui a ritenere che il potere dello Stato sia inevitabile, supremamente giusto e buono.

Ovviamente, come si può intuire dalle affermazioni precedenti, l’obiettivo del libertarismo è l’instaurarsi di una società libertaria, quindi anarchica, priva dello Stato, nella quale gli individui possano essere, finalmente, realmente liberi.

(continuerà nella Parte 2 che uscirà nei prossimi giorni)