Pensieri sulla burocrazia - di Ludwig von Mises - Istituto Liberale Italiano Skip to content
DALL·E 2024-08-13 20.36.35 - A realistic image representing the burden and boredom of bureaucracy with a 16_9 ratio. The scene should show a person sitting at a desk, overwhelmed

Pensieri sulla burocrazia – di Ludwig von Mises

L’effetto della burocratizzazione si manifesta chiaramente nel suo rappresentante: il burocrate. In un’impresa privata, le assunzioni di lavoro non sono un dono caritatevole, ma una transazione commerciale da cui entrambe le parti, datore di lavoro e dipendente, traggono beneficio.

Il datore di lavoro si impegna a pagare un salario corrispondente al valore del lavoro svolto. Se non lo fa, rischia di perdere il proprio dipendente per un concorrente che lo paghi meglio. L’impiegato, per non perdere il proprio lavoro, deve a sua volta sforzarsi di adempiere ai doveri della sua posizione abbastanza bene da valere il suo salario. Poiché l’impiego non è un favore, ma una transazione commerciale, l’impiegato non deve temere di essere licenziato se vittima di pregiudizi soggettivi. Per l’imprenditore che licenzia, per ragioni di natura personale, un impiegato utile che vale veramente la sua paga, nuoce solo a sé stesso e non al lavoratore, che può trovare una posizione simile altrove.

È quindi conveniente affidare al direttore di ogni reparto l’autorità di assumere e dirigere gli impiegati. Questo perché sotto la pressione del controllo esercitato sulle sue attività dalla contabilità in entrata e in uscita, egli deve fare in modo che il suo reparto fatturi il più possibile, e quindi è obbligato, nel suo stesso interesse, a non perdere i migliori impiegati. Se per dispetto licenzia qualcuno che non avrebbe dovuto allontanare, dunque se le sue azioni sono motivate da ragioni personali e non oggettive, allora è lui stesso a subirne le conseguenze.

In un’organizzazione burocratica le cose sono molto diverse. Il contributo produttivo del singolo dipartimento, dunque del singolo dipendente, anche di chi ricopre una posizione dirigenziale, è immerso in un terreno fertile per favoritismi e favoreggiamenti personali, sia nella nomina che nella remunerazione. Il fatto che l’intercessione di persone influenti svolga un ruolo molto importante nelle assunzioni della pubblica amministrazione non è dovuto ad una particolare bassezza morale da parte dei responsabili delle assunzioni, ma al fatto che non esiste un criterio oggettivo a priori per determinare quanto un individuo sia qualificato per una determinata posizione. Naturalmente, è il più competente che dovrebbe essere assunto, ma la domanda è: Chi è il più competente? Un certo grado di discrezionalità è necessariamente impiegato nel confrontare le qualifiche di diversi individui.

La crescita del clientelismo

Al fine di mantenere questo entro i limiti più stretti possibili, si inseriscono condizioni formali per la nomina e la promozione. Il raggiungimento di una particolare posizione viene fatto dipendere dall’adempimento di certi requisiti formativi, dal superamento di esami e da un determinato periodo di lavoro in altre posizioni; la promozione dipende dunque dagli anni di servizio precedenti.

Naturalmente, tutti questi espedienti non sostituiscono in alcun modo la possibilità di trovare il miglior candidato disponibile per ogni posto di lavoro attraverso il calcolo di profitti e perdite. Sarebbe inopportuno sottolineare che la frequenza scolastica, lo studio e l’anzianità non offrono la minima garanzia che la scelta sia giusta. Anzi, il sistema impedisce fin dal primo momento a persone preparate e competenti di occupare posizioni in linea con le proprie competenze e capacità. Non è mai avvenuto che una persona realmente competente sia salita al vertice seguendo un iter prestabilito di studio e di promozione a tempo debito, secondo modalità predefinite. Anche in Germania, che ha una pia fede nei propri burocrati, l’espressione “un perfetto funzionario” è usata per indicare una persona dal carattere debole e inefficiente, per quanto ben intenzionata.

Il marchio caratteristico della gestione burocratica è quindi che le manca la guida fornita dal calcolo di utili e perdite nel giudicare il proprio successo in relazione alle spese sostenute ed è quindi obbligata, al fine di compensare a questa mancanza, a ricorrere all’espediente del tutto inadeguato di subordinare la gestione degli affari e l’assunzione del proprio personale a una serie di direttive formali. Tutti i mali che comunemente vengono imputati alla gestione burocratica sono il risultato di questa fondamentale carenza.

Un’impresa pubblica che si prefigge l’obiettivo di massimizzare i profitti può ovviamente fare uso del calcolo monetario fintanto che la maggior parte delle imprese è di proprietà privata e quindi esiste ancora un mercato e si formano i prezzi di mercato. L’unico ostacolo al suo funzionamento e sviluppo è il fatto che i suoi dirigenti, in quanto funzionari dello Stato, non hanno l’interesse personale per raggiungere il successo o evitare il fallimento dell’impresa, che invece è un aspetto fondamentale delle imprese private. Non si può quindi permettere al direttore di agire liberamente e in modo indipendente nel prendere le decisioni cruciali.

Ma, di fatto, solo raramente un’impresa pubblica mira semplicemente al profitto e mette da parte tutte le altre considerazioni. Normalmente si pretende che un’impresa pubblica tenga conto di determinate esigenze “nazionali”. Ci si aspetta, per esempio, che nella sua politica di approvvigionamento e vendita favorisca la produzione nazionale a discapito di quella straniera. Si esige dalle ferrovie statali che fissino una linea di prezzi finalizzata a una specifica politica commerciale da parte del governo, che costruiscano e mantengano linee infruttuose, semplicemente per promuovere lo sviluppo economico di una certa zona, e che ne gestiscano altre per ragioni strategiche o simili.

Quando tali fattori giocano un ruolo nella gestione di un’impresa, ogni controllo con metodi di contabilità industriale e con il calcolo dei profitti e delle perdite è fuori questione. Il direttore delle ferrovie statali che presenta un bilancio sfavorevole alla fine dell’anno può dire: “Le linee ferroviarie sotto la mia supervisione hanno sicuramente operato in perdita se rigidamente comparate alle imprese private in cerca di mero profitto: ma se si prendono in considerazione fattori come la nostra politica economica e militare nazionale, non si deve dimenticare che hanno realizzato molto, anche se ciò non rientra nel calcolo di profitti e perdite”. In tali circostanze, quando si giudica il successo di un’impresa il calcolo di utili e perdite non ha alcun valore, cosicché – anche a prescindere da altri fattori della stessa natura – deve necessariamente essere gestita in modo tanto burocratico quanto, per esempio, l’amministrazione di una prigione o di un ufficio delle imposte.

La burocratizzazione delle imprese private

Nessuna impresa privata, per quanto possa essere grande, potrà mai diventare burocratica fintanto che sia interamente e unicamente gestita sulla base del profitto. La ferma adesione al principio imprenditoriale del massimo profitto rende possibile a qualsiasi impresa, anche la più grande, di stabilire con precisione il ruolo svolto da ogni movimento e dall’attività di ogni dipartimento in vista del risultato totale. Focalizzarsi sull’obiettivo finale permette all’impresa di aggirare i mali della burocratizzazione.

La burocratizzazione delle imprese private che vediamo in corso ovunque oggi è il risultato dell’interventismo, che le costringe a prendere in considerazione fattori che, se fossero libere di organizzare autonomamente la propria attività, non giocherebbero alcun ruolo all’interno dei loro affari. Se un’impresa deve prestare attenzione ai pregiudizi politici di ogni tipo per evitare di essere continuamente perseguita da vari organi dello stato, non sarà più in grado di basare i propri calcoli sul solido terreno di utile e perdita. Giusto per fare un esempio, immaginiamo che alcuni enti pubblici statunitensi, per evitare conflitti con l’opinione pubblica e con gli organi legislativo, giudiziario e amministrativo dello Stato, decidano di non assumere cattolici, ebrei, atei, darwinisti, uomini di colore, irlandesi, tedeschi, italiani e tutti gli immigrati appena sbarcati. In uno stato interventista, ogni impresa ha la necessità di adeguarsi agli ordini delle autorità per evitare pesanti sanzioni.

Il risultato è che queste e altre questioni estranee al principio di ricerca del profitto della gestione imprenditoriale iniziano a giocare un ruolo sempre più importante nella gestione degli affari, mentre il ruolo giocato dal calcolo e dalla gestione dei costi diminuisce sempre di più, e l’impresa privata comincia a imitare la gestione delle imprese pubbliche, adeguandosi al loro elaborato apparato di regole formalmente prescritte. In una parola, si burocratizza.

Pertanto, la progressiva burocratizzazione delle grandi imprese non è affatto il risultato automatico e inesorabile dello sviluppo dell’economia capitalista. Non è altro, invece, che la conseguenza necessaria dell’adozione di una politica interventista. In assenza di interferenza dello Stato negli affari, anche le aziende più grandi potrebbero essere gestite con spirito commerciale esattamente come le piccole imprese.

Traduzione a cura di Laura Pizzorusso

Fonte: https://www.cato.org/sites/cato.org/files/serials/files/regulation/1985/9/v9n5-8.pdf?queryID=c72ba5cc5b55e62f7ba6cac911721184

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