Scienza e Libertà: un rapporto complesso - Istituto Liberale Italiano Skip to content

Scienza e Libertà: un rapporto complesso

Un breve excursus filosofico attraverso Comte, Mill e Bergson

Quando l’anno scorso, durante l’ennesimo scontro con un antivaccinista convinto, Roberto Burioni, per mettere a tacere l’insulso complottista, affermò che “la scienza non è democratica”, provai una certa estasi. Quella semplice frase, concisa ed efficace, rappresentava ai miei occhi il trionfo della Scienza e della Ragione sull’oscurantismo digitale 2.0, che sta cercando di mettere in dubbio uno dei più grandi successi della medicina moderna. Tuttavia, nel corso del tempo, ho avuto modo di ragionare sul significato profondo di quella frase. “La scienza non è democratica”.

Ho dunque realizzato di trovarmi totalmente d’accordo con questa affermazione se con essa si intende che in una discussione di argomento medico-scientifico, la mia opinione non può avere lo stesso valore di quella di un virologo del livello di Burioni. In medicina il mio “voto” non può (e non deve) contare quanto quello di una persona altamente qualificata; quindi in questo senso la Scienza non è assolutamente democratica.

Tuttavia, dietro al fatto che, giustamente, la Scienza non sia democratica si annida un problema che già Kant, quasi tre secoli fa, aveva dibattuto: quale Libertà può restare all’uomo in un sistema rigidamente deterministico? Ci sono infatti soltanto due modi di porsi nei confronti della Scienza:

  • Accettarla come Verità assoluta, incontestabile ed immutabile porta necessariamente alla naturale tendenza della Scienza a voler spiegare, e quindi determinare, ogni singolo aspetto della Vita umana: dalla coscienza, al destino del singolo individuo, che viene così privato di ogni libertà di azione e morale
  • Accettarla come momentanea interpretazione della realtà che ci circonda, sempre aperta al cambiamento, all’evoluzione e a nuove teorie, secondo la tradizione humiana-kantiana per cui le leggi scientifiche hanno valore solo ipotetico e probabile, permette al singolo di riconquistare la sua libertà, e conseguentemente sottopone la Scienza al giudizio morale

Positivismo e Riduzionismo

Nella seconda metà dell’800 Auguste Comte, discepolo di Henri de Saint-Simon, concepì quell’insieme di dottrine filosofiche che passarono alla storia con il nome di Positivismo. Egli era convinto che il progresso della razza umana sarebbe stato possibile solo affidandosi ciecamente alla Scienza, e riponeva in essa così tanta fede che negli ultimi anni della sua vita arrivò a fondare una “Chiesa positivista” con un suo catechismo. Per Comte il ruolo di una persona nella società era determinato biologicamente dal suo DNA, la coscienza e la psiche umana erano riducibili a semplici processi chimici a livello del cervello, le donne erano indiscutibilmente inferiori agli uomini perché un cervello femminile pesa meno di uno maschile, e aveva come massima ambizione scoprire una legge scientifica in grado di ridurre l’uomo, i suoi pensieri, la sua volontà e le sue azioni, a fenomeni fisici riconducibili alla Legge di gravitazione universale. Il Positivismo comtiano, e ancora di più quello tedesco, abbracciò di conseguenza il Riduzionismo materialistico e la sua dottrina:

  • Tutto è materia misurabile quantitativamente
  • Spirito, Morale e Metafisica non hanno più alcun valore
  • Ogni fenomeno può essere quantitativamente spiegato dalla Scienza
  • L’individuo è biologicamente determinato nella sua condizione (sono di questi anni degli studi di Lombroso, Darwin, Dalton e Spencer)

È evidente come dal punto di vista sociale non resti più alcuna Libertà. Se tutto è determinabile e determinato scientificamente, l’individuo non ha alcuna possibilità di scelta. La società teorizzata da Comte, convinto oppositore della democrazia, è uno dei primi esempi di Tecnocrazia capitalista-statalista (pre-keynesiana, giusto per intenderci), alla cui guida ci sarebbe dovuta essere una élite di scienziati.

John Stuart Mill e la libertà individuale

Contemporaneo di Comte e padre del liberalismo inglese moderno, John Stuart Mill ebbe come punti di riferimento la tradizione empiristica inglese di Bacone, Berkeley, Locke, Hume e l’Utilitarismo di Bentham. Mill, che pure riconosceva alle scienze un grandissimo valore, sottolineò, in aperto contrasto con le teorie di Comte, la necessità di arrivare alla Scienza attraverso un processo di induzione che partisse dai fatti. A suo avviso infatti, non possono esistere leggi scientifiche definitive, poiché l’Induzione si basa sull’esperienza, che può sempre essere contraddittoria. Pertanto, la soluzione all’apparente dicotomia tra Scienza e Libertà fu trovata da Mill nella Statistica. Essa infatti permette di postulare assiomi generali validi per gruppi di individui numerosi, senza escludere la possibilità di libertà individuale del singolo. Un esempio. Si consideri la frase: “è statisticamente provato che ogni anno a Londra vengano smarrite dal servizio postale circa 10.000 lettere”. L’asserzione statistica permette di formulare un’affermazione che descrive in modo efficace, probabile, e non deterministico, la realtà dei fatti. Tuttavia, non è detto che le 10.000 lettere perse ogni anno appartengano sempre alle stesse 10.000 persone; in questo modo la libertà individuale è garantita, ma il quadro complessivo della società è efficacemente descritto in termini probabilistici.

Bergson e il Naturalismo

Filosofo della reazione anti-positivistica di inizio ‘900, il pensiero di Henri-Louis Bergson fu talmente affascinante da meritare il Nobel per la Letteratura nel 1927. Egli rifiutò radicalmente sia il Meccanicismo darwiniano e positivistico, sia il Finalismo delle nuove correnti spiritualistiche del suo tempo, per teorizzare un nuovo approccio al problema della Vita: il Naturalismo bergsoniano. Bergson, proprio per difendere la libertà umana e il valore intrinseco della vita dal martello del Riduzionismo positivistico, sottolineò come la Scienza, in tutta la sua grandezza, fosse completamente incapace di spiegare i due aspetti più importanti dell’essere umano: la Vita, e la Coscienza. Esse sono due Unità, indivisibili, e pertanto non indagabili dalla Scienza, che con il metodo analitico finirebbe per distruggerle, dal momento che la somma di parti distinte non permette di ricostruire né la Vita, né la Coscienza. Bergson non nega a priori il valore della Scienza, ma critica aspramente la tecnica sterile, che senza il controllo dell’uomo risulta potenzialmente distruttiva. Per concludere, ricordiamo come Bergson abbia rigettato del tutto anche ogni Finalismo; nella sua filosofia l’Universo è animato da uno “slancio vitale” che deriva dalla Vita stessa, Unità originaria di cui l’uomo è Coscienza. Questa “evoluzione creatrice” crea costantemente e in modo imprevedibile, tuttavia senza un fine o un progetto definito, in un costante passaggio dal complesso al semplice, dalla Vita alla materia.

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