Spesso il liberalismo si concentra troppo sulla critica, assolutamente doverosa, al sistema marxiano tralasciando molti altri pensatori ugualmente contestabili e pericolosi per la società aperta.
Ve ne uno in particolare che, assieme a Platone, possiamo considerare il padre del pensiero collettivista e totalitario, un filosofo ricordato, oltre che per la sua smodata passione per le tripartizioni, anche per essere stato il punto di partenza della riflessione di Marx sulla società: stiamo parlando di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il massimo rappresentante dell’Idealismo tedesco nonché uno dei pensatori più celebri ed influenti del XIX secolo.
In questo articolo ci concentreremo principalmente sulla aberrante concezione politica anti-liberale e anti-democratica che Hegel affronta all’interno di due opere: l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1830)e i Lineamenti di filosofia del diritto (1821).
Fondamentalmente, si possono individuare tre aspetti critici principali della filosofia politica hegeliana:
- la visione collettivista e organicista;
- la divinizzazione dello Stato;
- storicismo e totalitarismo.
La visione collettivista e organicista
Per poter analizzare l’organicismo e il collettivismo che caratterizza la visione del filosofo bisogna introdurre un concetto essenziale del sistema hegeliano: l’eticità [Sittlichkeit].
Definta come la sintesi tra diritto astratto (tesi) e moralità (antitesi), l’eticità permette di superare la separazione, tipica della moralità, tra la soggettività che deve attuare il bene e il bene stesso: quest’ultimo, nella sfera morale-individuale, assume quindi l’aspetto di un dover essere mentre solo all’interno della dimensione etica-collettiva, per Hegel, riesce ad attuarsi concretamente.
L’eticità perciò rappresenta la moralità sociale, ovvero la realizzazione concreta del bene nelle istituzioni come la famiglia, la società e lo Stato. Hegel fa inoltre derivare il termine Sittlichkeit da un altro termine tedesco, Sitte, che vuol dire costume/usanza, alludendo come ogni individuo si trovi inserito in un determinato contesto storico-culturale che orienterà inevitabilmente le sue scelte. Per Hegel quindi qualsiasi individuo non può, anzi non deve, agire in modo autonomo e personale poiché esso si trova all’interno di un sistema di relazioni interpersonali e valori che devono essere rispettati: lo Stato etico diviene quindi il soggetto del bene e del male e ciò che sostiene e condiziona le scelte del singolo.
Hegel biasima l’individualismo liberale e borghese vagheggiando un ritorno consapevole alla bella eticità greca, all’unità sovra-individuale tra cittadino e Stato che caratterizzava appunto le poleis greche. Il filosofo perciò, come verrà in seguito contestato sul piano filosofico-esistenzialista da Kierkegaard, considera l’individuo sempre e solo in una relazione di appartenenza ad una collettività dimenticando l’unicità del singolo: per dirlo come Ludwig von Mises, è solo l’individuo che pensa, ragiona e agisce, non il popolo o qualsiasi altra collettività, che sono solo dei concetti astratti non dotati di alcuna volontà propria.
Spiegato il concetto di eticità, possiamo adesso parlare in dettaglio dello Stato etico hegeliano, ovvero la ri-affermazione dell’unità familiare superando e mantenendo la conflittualità della società civile.
Per Hegel lo Stato è la massima espressione etica nonché l’incarnazione suprema della moralità sociale e del bene collettivo: è il mezzo necessario, non tanto alla soppressione, quanto all’indirizzare tutti gli interessi individuali, i particolarismi, verso un qualche bene comune e collettivo; cito ad esempio un passaggio abbastanza celebre che riguarda la libertà di commercio:
Questo interesse [la libertà economica individuale] richiede libertà contro la regolamentazione dall’alto, ma più ciecamente ha radici in uno scopo egoistico, e quindi deve essere riportato [dallo Stato] all’universale e le sue pericolose convulsioni devono essere abbreviate e mitigate.
G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1821
Il bene comune tuttavia è un concetto vago ed indefinito che è stato usato in passato per giustificare scelleratezze di vario genere commesse dai vari regimi comunisti, fascisti e nazional-socialisti.
Gli individui hanno interessi spesso divergenti, ed è giusto così; può capitare però che essi si possano organizzare spontaneamente, dal basso diciamo, per raggiungere un obiettivo comune stabilito da loro stessi, che abbia per loro una qualche utilità.
Il bene comune dello Stato Etico, pianificato dall’alto, si raggiunge invece solo tramite un completo annullamento delle libertà individuali volto a coadiuvare gli sforzi dei singoli individui verso questo “bene” collettivo.
Per dirlo con le parole di Friedrich Von Hayek, la via che si percorre in quest’ultimo caso è quella della schiavitù, della pianificazione e dell’organicismo, in cui l’individuo è ridotto a singolo ingranaggio del tutto sacrificabile alla grande causa (il trionfo del proletariato per i socialisti, il trionfo della nazione e della razza per i fascisti e nazisti).
La divinizzazione dello Stato
La filosofia politica hegeliana può essere accusata di “statolatria”: Hegel definisce lo Stato “l’ingresso di Dio nel mondo” o “volontà divina”; possiamo allora ben comprendere che lo Stato Etico è considerato un’istituzione superiore, fondamentale per congiungere spirito soggettivo (l’individuo) e Assoluto, i cui burocrati e funzionari sono addirittura definiti come coloro “che hanno per occupazione gli interessi universali della situazione sociale”.
Tuttavia, l’apparato statale non è composto da individui illuminati (dalle anime auree come diceva Platone) ma bensì è formato da comuni esseri umani, dotati degli stessi difetti di me che sto scrivendo questo articolo o di te che lo stai leggendo. Una riflessione interessante, che sembra quasi una risposta alla citazione precedente, ci viene offerta da Bastiat nel suo pamphlet La legge (1850):
Poiché le tendenze naturali dell’umanità sono abbastanza cattive perché le si debba togliere la sua libertà, come è possibile che le tendenze degli organizzatori siano buone? I Legislatori [lo Stato] e i loro agenti non fanno parte del genere umano? Si credono di un altra pasta rispetto al resto degli uomini? […]Hanno dunque ricevuto dal cielo una intelligenza e delle virtù che li pongono al di fuori e al di sopra dell’umanità? Essi vogliono essere pastori e vogliono che noi siamo gregge
F. Bastiat, La Legge, 1850
La nuova impostazione organicista proposta rifiuta quindi la concezione liberale dello Stato, intesa come istituzione volta a garantire i diritti degli individui, visione che Hegel disprezza in quanto sarebbe garante dei soli particolarismi smettendo di essere il “ponte” tra individuo e Assoluto; egli scrive infatti:
Se lo Stato vien confuso con la società civile e la destinazione di esso viene posta nella sicurezza e nella protezione della proprietà e della libertà personale, allora l’interesse degli individui come tali è il fine estremo per il quale essi sono uniti.
G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1821
Lo Stato etico hegeliano è quindi fondato non tanto sugli individui quanto sull’idea di Stato ed è proprio quest’ultimo che fonda gli individui stessi, sia da un punto di vista storico-cronologico, visto che lo Stato nasce prima degli individui, sia da un punto di vista assiologico, poiché lo Stato è superiore agli individui come il tutto-universale è superiore alle parti e al particolare.
Hegel abbandona perciò sia il modello contrattualista, dato che ritiene l’idea che lo Stato nasca da un contratto tra individui come un insulto all’assoluta autorità e maestà dello Stato, sia la prospettiva giusnaturalista, dato che è impossibile che gli individui posseggano dei diritti prima dell’esistenza dello Stato stesso.
Storicismo e totalitarismo
Concludo questo articolo parlando del perché Hegel è ascrivibile tra i padri del pensiero totalitario. Per fare ciò, basta porsi una semplice domanda: “Come può uno Stato del genere sopravvivere?”.
Hegel essenzialmente sostiene che la sfera dello Stato non sia soggetta ad alcun tipo di limitazione:
Il benessere di uno Stato ha una giustificazione del tutto diversa che non abbia il benessere dell’individuo [e non può in alcun modo dipendere da quei pensieri universali che vanno sotto il nome di principi morali].
G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1821
Il filosofo tedesco, distaccandosi nettamente dalla tradizione kantiana, ritiene inoltre che non possa esistere un’organizzazione sovra-statale in grado di mantenere la pace tra Stati esaminando le loro pretese: da questo deriva anche l’abbandono del cosmopolitismo pacifista di Kant. In Hegel infatti troviamo l’esaltazione della guerra e della lotta come strumento di affermazione non solo necessario e inevitabile ma anche con un grande valore morale, dato che preservebbe il popolo dalla “fossilizzazione”.
Se ciò non dovesse aver ancora convinto, ci viene in soccorso Karl Popper, uno dei critici più duri della filosofia e metodologia hegeliana.
Il filosofo austriaco parte da una critica delle filosofie storiciste-oracolari, ovvero tutte quelle filosofie che hanno preteso di cogliere un senso oggettivo e globale della storia, secondo le quali essa tenderebbe verso un destino al quale gli uomini dovrebbero uniformarsi.
I principali esponenti di correnti di pensiero di questo tipo, secondo Popper, sono Eraclito, Comte, Platone, Marx ed ovviamente Hegel.
Accanto a critiche di natura epistemologica (ipotesi di un senso precostituito della storia, confusione tra leggi e tendenze) si affianca quella che è una contestazione squisitamente politica; per Popper nello storicismo è sempre annidata un’ideologia utopica e totalitaria, fatta di fanatismo e dogmatismo politico dove la collettività o lo Stato soffocano inevitabilmente l’individuo: se si ritiene infatti che la storia possegga un senso e una direzione oggettivi, coloro che si ritengono i portavoce del suo destino non avranno alcuna esitazione a liquidare, anche fisicamente, chiunque si opponga ad essi ed alla direzione che la storia deve prendere:
“Marx ed Hegel sostituirono […] alla Natura divinizzata la Storia divinizzata […]. “I criminali che si oppongono vanamente al corso della storia” prendono il posto dei peccatori contro Dio; e impariamo che non Dio, ma la Storia (delle “Nazioni” o dei “Popoli”) sarà il nostro giudice.
K. R. Popper, Congetture e Confutazioni, 1963