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Cosa è e cosa NON è il Liberalismo

Da quando sono entrato ne “L’Individualista Feroce”, ho letto con estremo interesse i numerosi commenti scritti sotto i nostri post. Tralasciando i commenti caustici e odiosi di certi utenti, che avevano il solo scopo di denigrare non solo le nostre idee, ma anche noi stessi, non ho potuto fare a meno di notare una certa confusione, per non dire ignoranza, su cosa sia effettivamente il liberalismo. Sia chiaro, il termine ignoranza è inteso nel senso letterale del termine, il semplice non-sapere, dunque scevro da qualsiasi accezione dispregiativa.

Tale ignoranza non deve sorprendere, poiché sono anni che dal dibattito pubblico italiano sono scomparsi rappresentanti del liberalismo classico. Parlando per esperienza personale, quando ti definisci liberale la gente tende a fraintendere il tuo pensiero, semplicemente perché non sa cosa significhi effettivamente.

Ebbene questo articolo ha l’ambizione (forse la presunzione) di voler dare una definizione chiara di questa idea che è il liberalismo, ricordando sempre che esso non è un dogma, ma una serie di principi guida.

Prima di tutto ritengo opportuno fare una distinzione semantica di concetti fra loro correlati, ma differenti, che troppo spesso vengono usati come sinonimi.

  • Liberalismo: Atteggiamento etico-politico dell’età moderna e contemporanea, tendente a concretarsi in dottrine e prassi opposte all’assolutismo, fondate essenzialmente sul principio che il potere dello Stato debba essere limitato per favorire la libertà d’azione del singolo individuo. Dal rischio assolutistico e totalitaristico di uno Stato, deriva l’opposizione liberale allo Statalismo. Uno dei principali teorici del Liberalismo fu Ludwig Von Mises.
  • Liberismo: Il liberismo è una teoria economica che sostiene e promuove la libera iniziativa e il libero mercato come unica forza motrice del sistema economico, con l’intervento dello Stato limitato al più alla realizzazione di infrastrutture di base (ponti, strade, ferrovie, autostrade, gallerie, edifici pubblici etc.) a sostegno della società e del mercato stesso. La sottolineatura è stata inserita per evidenziare un concetto poco noto ai detrattori del liberismo. Noi consideriamo lo Stato un attore fondamentale per il coordinamento dell’attività economica di un Paese. Lo Stato fa da supporto all’economia, non ne è il motore.
    Per la verità, il termine Liberismo fu coniato da Benedetto Croce per indicare la teoria economica afferente al Liberalismo, ma per questo fu criticato da diversi esponenti del liberalismo classico fra cui Von Hayek, Einaudi e Antonio Martino, i quali sostenevano che i concetti sopra esposti fossero parte integrante e non scindibile del concetto di Liberalismo.
  • Libertarismo: Libertarismo, dal francese libertaire, è un termine che indica un ideale e una filosofia-politica che considera la libertà come valore fondamentale, anteponendo la difesa della stessa ad ogni autorità o legge. Il libertarismo mira, cioè, ad una forte limitazione o ad una eliminazione del potere dello Stato e di tutti quegli enti che limitano o avversano la giustizia sociale e la libertà individuale e politica.
  • Capitalismo: è un concetto molto vago sul quale nessuno è mai riuscito a dare una definizione che fosse in grado di mettere d’accordo tutti. Impropriamente usato come sinonimo di liberismo, il termine capitalismo nasce con un’accezione dispregiativa per indicare un’economia in cui è prevista la proprietà privata dei mezzi di produzione da parte di individui o società e che compra e vende beni capitali e fattori di produzione, senza alcun tipo di controllo statale.
  • Neoliberismo: si indica un orientamento di politica economica favorevole ad un mercato privo di regolamentazione e di autorità pubblica ovvero in balia delle sole forze di mercato. Si differenzia dal liberalismo classico per la quasi totale esclusione dello Stato, in qualità di attore economico.
  • Liberal: Termine anglo-sassone, adottato negli USA negli anni ’50-’60 da coloro che rivendicavano e promuovevano posizioni socialiste. Come ovvio, i Liberal americani e i Liberali Classici sono su posizioni completamente opposte, nonostante i nomi simili. I Socialisti americani adottarono il termine molto più morbido di liberal, a causa della repressione su chiunque si dichiarasse apertamente socialista o ancor peggio comunista in quel periodo, e in special modo durante la campagna “terroristica” del Senatore McCarthy.

Noi de “L’Individualista Feroce” ci definiamo Liberali classici (e dunque anche Liberisti, secondo l’accezione di Einaudi e Hayek). Crediamo nel libero mercato, nella concorrenza leale, nella difesa e protezione dei diritti dei consumatori e affidiamo all’autorità pubblica, e alla legge che da essa scaturisce, il compito di difendere le libertà individuali, anche quelle economiche. In termini più semplici, il pensiero liberale si può riassumere in: “La mia libertà finisce dove comincia quella degli altri. La libertà degli altri finisce dove comincia la mia”.

Ora vorrei spiegare cosa non è il liberalismo, passando per una serie di esempi o luoghi comuni che puntualmente vengono attribuiti a esso:

  • “Voi Liberali volete distruggere il Welfare e lasciare la gente ad arrancare nel Far West”: No, non siamo contrari al Welfare, nel modo più assoluto. Noi siamo critici verso un sistema di Welfare pubblico che, a parole, dice di essere per tutti, ma che in realtà, molto spesso, offre un servizio infimo e costoso, tanto che molte persone sono costrette a usufruire del welfare privato, per avere quel servizio per il quale già pagano il sistema pubblico. Noi liberali vorremmo semplicemente poter intavolare una discussione su un riassetto del sistema, anche considerando la possibilità di demandare al privato l’erogazione di alcuni servizi, smettendo di considerare l’argomento un tabù. L’obiettivo di questa discussione sarebbe trovare il sistema più efficace ed efficiente possibile per il consumatore finale. P.S. Onestamente non ho ancora capito questa storia del Far West, che più volte viene ripresa.
  • “La politica neoliberista ha mandato in rovina il paese”:  Non è vero, ciò che ha rovinato questo paese sono state le politiche dissennate del “tassa e spendi” degli anni ’70 e ’80, e continuate poi successivamente senza discontinuità, basate su un’errata interpretazione, o meglio portando come giustificazione, le teorie economiche keynasiane. È vero che Keynes sostenesse l’intervento dello Stato nei momenti più critici per l’economia (crisi del ’29, dopoguerra ecc.), ma è anche vero che persino lui invitava ad un progressivo abbandono dell’intervento statale, nel momento in cui si fosse innescata la ripresa economica. In Italia invece, nonostante il boom economico già in atto, si è continuato a spendere esponenzialmente senza alcun riguardo per la tenuta dei conti pubblici e senza alcuna parsimonia da “buon padre di famiglia”. Soprattutto non era spesa per investimenti pubblici che nel lungo periodo avrebbero portato grande utilità al paese, ma era solo spesa ingente di breve periodo, con poco o nullo impatto sullo sviluppo economico. L’aumento di debito pubblico in fase di espansione economica ha fatto sì che, quando si è arrivati alla recessione del 2009-2010, i margini di spesa che si potevano sfruttare fossero strettissimi, proprio nel momento in cui ne avremmo avuto più bisogno. La Germania nel 2003 aveva una situazione di conti pubblici molto peggiore a quella che noi abbiamo attualmente, ma con una politica economica rigorosa (effettivamente “lacrime e sangue”) è riuscita a sistemarla, diventando la potenza economica che è adesso. La medicina fu amara, ma il paziente ne aveva bisogno. Affrontando adesso il discorso Austerity, vorrei fare alcune precisazioni: le politiche cosiddette di austerità, hanno il solo scopo di ridurre il deficit e rendere il debito pubblico sostenibile nel tempo. Questo si può fare in due modi, distinguendo così fra quelle che io chiamo Austerity buona e Austerity cattiva: il primo modo prevede la riduzione, riformulazione ed efficientamento della spesa pubblica, che nel lungo periodo può e deve portare alla riduzione delle tasse. Il secondo modo, invece, prevede l’aumento delle tasse e il successivo aumento della spesa pubblica. Entrambi i metodi passano in primis per una politica fiscale restrittiva e poi per una politica fiscale espansiva, successivamente. La differenza è che nel secondo caso i margini di manovra sono molto più stretti, poiché non si possono aumentare troppo le tasse, a meno di non causare sconquassi a livello economico e sociale, e dunque non si può neanche aumentare troppo la spesa, specialmente quando è già molto alta come quella italiana. Inutile ricordare cosa scelse di fare il “mitico” Governo Monti, che non solo scelse il metodo meno efficace, ma riuscì a farlo anche male. Riassumendo, le politiche “tassa e spendi”, portate ancora avanti dal governo attuale, hanno sconquassato i conti pubblici senza avere una proporzionata crescita di PIL, e successivamente, poiché ridimensionare la spesa pubblica in questo paese è un tabù assoluto (basti vedere che fine hanno fatto i commissari alla Spending Review e le loro relazioni), si è optato per delle politiche fiscali folli, in continuità con il passato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
  • “La Riforma Fornero è una politica liberista che ha creato un sacco di danni”: Dato che so già che arriverà un commento di questo tenore, faccio che rispondere subito. Si stima che circa 2/3 della spesa pubblica italiana sia destinata al sistema pensionistico. Questo è di fatto un problema di non semplice soluzione. La Riforma Fornero fu un tentativo di rimodulare il sistema previdenziale che, come tutti sanno, è uno dei grandi problemi di questo paese. Sebbene tale riforma potesse essere lodevole nell’intento, gli effetti sul lungo periodo sono stati disastrosi e soprattutto fu incapace di scalfire minimamente il problema del sistema previdenziale. Fu una riforma raffazzonata, pasticciata e fatta di fretta. La riforma del sistema previdenziale è un passaggio obbligato per il risanamento dei conti pubblici e per il rilancio dell’economia, ma non riteniamo che questo sia il metodo. Mi permetto anche di aggiungere che, oltre che prendersela con la Fornero, bisognerebbe anche prendersela anche con coloro che hanno creato il problema in primis, e cioè coloro che per anni hanno sostenuto un sistema previdenziale retributivo.
  • “Voi liberali vi curate solo degli interessi delle multinazionali”:  Questo è uno dei punti preferiti dei detrattori del liberalismo. Questa frase è palesemente falsa. I liberali si curano degli interessi di TUTTE le imprese, piccole o grandi che siano, poiché riteniamo che siano il vero motore della prosperità economica e sociale di un paese, e allo stesso tempo difendiamo a spada tratta i diritti dei consumatori. Su quest’ultimo punto non transigiamo. Fra queste imprese, difendiamo anche gli interessi delle multinazionali o big corporation, nazionali e non, e riteniamo stupido scagliarsi contro queste aziende, e ora intendo spiegare perché. Qualche dato giusto per orientarsi (fonte ISTAT, periodo di riferimento 2014): In Italia sono attive circa 13569 imprese a controllo estero, contro le 22388 controllate italiane all’estero. Le multinazionali estere contribuiscono per il 27,4% dell’export italiano, un fatturato di circa 524 mld €, valore aggiunto per 97 mld e un contributo all’ R&D del 23,9% e danno lavoro a circa 1,2 mln di persone. A discapito della vulgata comune, in media, i dipendenti delle multinazionali sono trattati molto meglio e hanno stipendi e condizioni di lavoro migliori rispetto ai loro omologhi di imprese nazionali. Per quanto riguarda, invece, quelle multinazionali che si trasferiscono all’estero, in paesi dove la considerazione per i diritti dei lavoratori, civili e umani è scarsa, riteniamo che sfruttare queste condizioni da parte di queste imprese sia un errore, se non un atto criminale. Ogni qual dove si violino i diritti delle persone, tale violazione va perseguita giudiziariamente se possibile, o attraverso azioni di protesta. La violazione dei più elementari diritti umani e civili non può essere tollerata in alcun caso.
  • “Le multinazionali si trasferiscono all’estero per pagare meno tasse”. Verissimo, dato che in Italia abbiamo un Total Tax Rate di circa il 62%, non si capisce perché dovrebbero volontariamente restare in Italia, quando possono legalmente trasferirsi altrove e pagare di meno. Se invece di sbraitare ci rendessimo conto di questo e decidessimo di ridurre e semplificare le tasse sulle imprese, non solo avremmo un effetto benefico per le imprese nazionali e per l’economia tutta, ma diventeremmo anche un paese attrattivo per queste multinazionali che a quel punto si trasferirebbero molto volentieri in Italia.
  • “I liberisti sfruttano e schiavizzano i dipendenti”: Ho in parte già risposto poco sopra, ma intendo approfondire. A tal proposito mi viene in mente un pezzo di cronaca letto tempo fa: la vicenda girava intorno un grande negozio di elettronica di consumo e riguardava una dipendente che, durante il turno di lavoro, chiese al titolare di potersi assentare per poter andare in bagno. Il titolare rispose di no, nonostante le ripetute richieste della dipendente, la quale alla fine non riuscì più a trattenersi e finì per farsela addosso, con sua grande vergogna, davanti ai clienti. Sotto la notizia lessi parecchi commenti dello stesso tenore: “maledetti neo liberisti, capitalisti, sfruttatori dei lavoratori ecc.”. La vicenda è vergognosa e sfortunatamente ricalca numerose situazioni lavorative, ma dare la colpa ai liberali e alle nostre idee è sbagliato. Il titolare, e chiunque si comporti così verso i propri dipendenti, non è un liberale, è semplicemente un coglione. Andando più nello specifico, questo comportamento non attiene al liberalismo poiché il violare i diritti dell’individuo è assolutamente contrario alle nostre idee. Noi aborriamo comportamenti di questo tipo, che sia il titolare del piccolo negozio, l’imprenditore, l’amministratore delegato ecc. ad adottarli. Non solo, un comportamento del genere è classificabile come mobbing e DEVE essere denunciato. Noi siamo a favore delle imprese, degli imprenditori E dei dipendenti, i quali devono essere trattati in modo giusto, equo e rispettoso.
  • “Voi liberisti state dalla parte delle Banche” Altro punto che piace molto ai nostri detrattori. Non è vero, noi riteniamo importantissimo il ruolo delle banche e di tutti gli intermediari finanziari all’interno del quadro legislativo, ma lo interpretiamo come supporto all’economia. Bisogna fare finanza per l’economia e non finanza per la finanza. La finanza deve essere l’olio lubrificante e non il motore dell’economia. Noi liberali rifiutiamo il concetto di “Too Big to Fail”, anche se riconosciamo che a volte, per il bene del paese, costi meno salvare la banca, ma allo stesso tempo pretendiamo che i manager che hanno portato al dissesto della banca vengano processati penalmente, e che vengano tolti loro tutti i requisiti di onorabilità necessari per sedere nuovamente in consigli di amministrazione di banche o imprese. Le banche sono a tutti gli effetti imprese non dissimili dalle altre e, se gestite malamente/criminalmente, fatti salvi i depositi e i conti correnti, bisogna avere il coraggio di far chiudere loro i battenti.

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