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La recente intervista di Putin al Financial Times[1] ha rilanciato un tema parecchio dibattuto negli ultimi anni: il liberalismo è destinato a essere ancora il modello politico di riferimento nell’epoca a venire? O, per dirla con le parole del presidente russo, “il liberalismo è diventato obsoleto”?
L’analisi di Putin, condivisa da diversi altri leader politici e intellettuali (Viktor Orban e Steve Bannon, ad esempio), si basa sull’idea che il liberalismo sia fallito politicamente per colpa del multiculturalismo e della globalizzazione e che l’unica via percorribile sia il ritorno a identità nazionali/culturali/religiose forti.
Il principio stesso della democrazia liberale (e rappresentativa) è messo in dubbio, perché i tempi di crisi richiederebbero leader determinati e con ampi poteri[2]; leader che non possono essere vincolati al rispetto dei diritti delle minoranze o al principio della separazione dei poteri.
Curiosamente, il presidente russo, e molti dei suoi epigoni[3], non si oppongono però alla globalizzazione come fenomeno economico, riconoscendone invece i vantaggi per il proprio Paese.
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Per rispondere a queste tesi bisogna per prima cosa fare chiarezza. È davvero così in crisi il liberalismo? La risposta è: dipende.
Certo, in alcuni Paesi recenti avvenimenti sembrano confermare la tesi putiniana: negli Stati Uniti, in Italia, nel Regno Unito i movimenti populisti hanno ottenuto successi straordinari, mettendo in difficoltà i partiti tradizionali.
Ma in molti altri (Australia, Canada, ma anche i Paesi del Nord Europa, o la Spagna) il modello della democrazia liberale continua a funzionare più che bene, pur con i normali problemi politici che ogni Stato può avere.
Ed infine, nei Paesi dell’ex-blocco sovietico il miglioramento dei diritti civili negli ultimi 30 anni è stato sostanziale; e a parte l’Ungheria, in nessuno di questi Paesi è davvero in crisi il modello democratico. Il quadro che emerge, insomma, è parecchio più sfumato di quanto il presidente russo vorrebbe farci credere. Ma non è questo il punto più importante.
Il vero punto è: qual è il modello alternativo? Prima di dare per morto e superato il liberalismo, ricordiamoci cosa ha portato all’umanità l’adesione a politiche democratiche: negli ultimi 2 secoli e mezzo, la popolazione umana è aumentata di quasi 10 volte, il reddito medio pro capite è più che decuplicato, la mortalità infantile è scesa dal 40% circa a meno del 3%, l’aspettativa di vita media è passata da 30-35 anni circa a oltre 70[4]… e la lista potrebbe continuare a lungo. Non c’è nulla di paragonabile a un miglioramento così generalizzato e radicale nella storia dell’umanità – forse solo la scoperta del fuoco può aver avuto un impatto simile per la nostra specie.
Come si può buttare a mare un sistema politico ed economico capace di ciò? Perché, siamo chiari: il capitalismo e il metodo scientifico moderni sono stati resi possibili dall’emergere di un sistema politico incentrato sulla libertà.
La libertà è l’ingrediente fondamentale per una civiltà capace di crescere e di raggiungere e mantenere alti livelli di benessere diffuso. E la libertà, contrariamente a quanto pensano Putin, Orban o Xi Jinping, non può essere solo economica.
Per citare Milton Friedman, “Historical evidence speaks with a single voice on the relation between political freedom and a free market” (“La storia è concorde nell’illustrare la relazione diretta tra libertà politica e libero mercato”)[5].
Le ragioni sono molteplici e qui mi limiterò ad accennarle: un sistema economico libero presuppone leggi chiare e certe, applicate a tutti indiscriminatamente; forti interessi economici contrapposti possono essere riconciliati più facilmente in un sistema dove tutti possono esprimere le proprie opinioni; e l’abitudine allo scambio alla pari nel mercato mal si concilia con una relazione rigidamente gerarchica nell’ambito politico.
Il sistema politico ed economico liberale ha condotto
l’umanità a livelli di progresso e benessere mai neanche lontanamente
avvicinati nella storia della nostra specie. Non sarà un piccolo gruppo di
autocrati e loro ammiratori a porvi fine.
[1] https://www.ft.com/content/670039ec-98f3-11e9-9573-ee5cbb98ed36
[2] Da cui
il concetto di democrazia illiberale esposto da Orban: https://budapestbeacon.com/full-text-of-viktor-orbans-speech-at-baile-tusnad-tusnadfurdo-of-26-july-2014/
(qui un’analisi in italiano https://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2015/02/24/la-democrazia-illiberale-di-viktor-orban)
[3] Si
vedano ad esempio le posizioni della Polonia sull’apertura della UE ai trattati
di libero mercato con altri Paesi, https://polandin.com/41508617/poland-heads-promarket-coalition-in-eu
[4] I dati sono tratti da Our
World in Data, World Bank, Groningen Growth and Development Centre
[5] Milton Friedman, Capitalism and Freedom, chap. 1 “The
Relation Between Economic Freedom and Political Freedom”, 1962
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