Liberalismo e Anarchia: analogie e differenze

Negli ultimi anni si è potuto vedere come i movimenti per la libertà e quelli per l’anarchia si siano avvicinati, dando luogo a gruppi sempre più gremiti di libertari e simpatici anarco-capitalisti. Cosa li unisce? Cosa li differenzia?

Facciamo un passo indietro, perché è già avvenuto che il Liberalismo e un altro movimento si accostassero: in seguito alla Rivoluzione Francese il liberalismo si è trovato in stretto rapporto con il movimento per la democrazia ¹; entrambi chiedevano l’abolizione dei privilegi e lottavano per le costituzioni.

In quelle lotte i liberali e i democratici hanno condiviso il mezzo, tuttavia mantenendo due differenti fini da raggiungere: il liberalismo pone l’attenzione sulle funzioni del governo e sulla limitazione del potere, mentre per i movimenti democratici la questione centrale è quella di chi debba detenere il potere.

In parole povere: i democratici chiedevano che al Re si sostituisse il Popolo, conferendo alla volontà popolare la scelta dei governanti e, dunque, dei provvedimenti da adottare. Adatto alla situazione è Tocqueville, il quale ha egregiamente illustrato quali siano i problemi della democrazia pura e di come possa diventare facilmente una dittatura della maggioranza.

Torniamo al presente. Ora inizia ad essere più semplice riconoscere i liberali dai democratici, oggi conosciuti -causando molta confusione- come “liberals“; e quasi per ironia c’è la compensazione dall’altro lato, dove si iniziano a confondere i confini fra liberalismo e anarchia, causando non pochi problemi a chi si approccia al mondo della Libertà.

Chi mi sta leggendo ed è libertario sino all’estremo probabilmente storcerà il naso a questa citazione di Hayek ²:

Il liberalismo si distingue nettamente dall’anarchismo e riconosce che, se tutti devono essere quanto più liberi, la coercizione non può essere eliminata, ma soltanto ridotta al minimo indispensabile, per impedire a chicchessia di esercitare una coercizione arbitraria a danno di altri.

I movimenti anarchici tendono all’annullamento di tutte le leggi statali, mentre i liberali chiedono la loro minimizzazione a quelle necessarie e fondamentali. Ora sorgerebbe un’affermazione in contrasto alla mia nel lettore anarchico o volontarista: se si inizia a fare leggi in maniera arbitraria, benché minime, non si finisce più! E invece non è così o, meglio, sono sbagliate le premesse: le norme volute dal liberalismo non sono decise in maniera arbitraria o costruttivista, bensì sono suscettibili di essere scoperte, così come ogni legge nella Natura.

Il NAP (Non-Aggression-Pact: Principio di Non Aggressione) non è abbastanza per mantenere in piedi il comune vivere degli individui, è dunque necessario cercare le leggi intrinseche nelle relazioni degli esseri umani intraprese con altri o con l’ambiente circostante.

Un suggerimento, geniale ma al contempo evidente in sé, arriva sempre da Hayek³:

La fede nell’esistenza di norme di mera condotta, suscettibili di essere scoperte (e quindi non frutto di una costruzione arbitraria) poggia sul fatto che la grande maggioranza di queste norme è sempre assolutamente accettata.

Ovviamente ci si riferisce a norme individuali, sulle quali siamo veramente tutti abbastanza d’accordo: chi potrebbe ritenere lecito uccidere, rubare il frutto del lavoro di un altro o infrangerne le libertà?

Invece, quando si passa dal particolare (l’Individuo) all’universale (l’umanità, la collettività) il discorso si complica per ciascuno, poiché quel che si chiede sarà sovente in contrasto con le norme di mera condotta individuali: come si potrebbe sostenere la redistribuzione della ricchezza, l’espropriazione, l’imposizione di una volontà sulle altre?

Ecco, dunque, che se il lettore anarchico o estremamente libertario mi stava leggendo storcendo il naso, ora è probabile che guardi con meno diffidenza la mia posizione. Indubbiamente per molti anni, forse per qualche secolo, liberali e anarchici lotteranno fianco a fianco per il raggiungimento di fini comuni: la diminuzione della burocrazia, l’abbassamento del carico fiscale, l’emancipazione dallo Stato.

Alcuni sostengono che il liberalismo possa essere un passo verso l’anarchia, non ne escludo la possibilità, ma reputo sia altamente improbabile: per evitare la coercizione altrui sarà sempre necessaria una minima coercizione che imponga il rispetto delle norme di mera condotta.

Pertanto, se le differenze si fondano sia sui principi sia sugli obiettivi, l’applicazione dei principi di ambe le parti conduce ad una strada che pare essere la stessa lungo una buona parte del tragitto: oggi la libertà del cittadino è talmente limitata, sia nell’ambito civile sia in quello economico, ma persino in quello privato, che non si possono ignorare il positivismo giuridico, il dirigismo, il capitalismo di Stato, le sovvenzioni per categorie, il protezionismo, la diversificazione del trattamento fiscale a seconda di chi si è o cosa si fa e… la lista potrebbe continuare per altre centinaia di righe.

Alla luce di ciò, è indiscutibile e insindacabile la tacita alleanza fra liberalismo e anarchia, purché rimanga chiaro il confine fra i due campi d’idee, per dar semina della cultura insieme e cogliere i frutti da scagliare contro il collettivismo prima che questi distrugga definitivamente le nostre libertà.

1: Liberalismo, p.54, Friedrich Von Hayek
2: ibidem
3: ibidem

Il paradosso dei discriminati discriminanti

Il nove giugno 2018 è andata in scena la parata del RomaPride. Ormai una consuetudine consolidata, seppure è successo qualcosa di inusuale. Il corteo dei manifestanti Lgbtqi ha sfilato lungo le vie del centro della Capitale per cercare di far sentire la propria voce ad un’Italia leggermente sorda e immobile, per usare un eufemismo, ai diritti individuali, in questo caso riguardanti la sessualità con tutti i suoi corollari sociali, e alla loro tutela (con l’eccezione tanto agognata delle unioni civili su cui il Parlamento si è espresso nella scorsa legislatura).

Come ormai è tradizione, la parata è stata un momento di festa per i manifestanti i quali, con carri, maschere e molti colori hanno animato le vie capitoline. Fin qui tutto bene. Un momento di festa, non fine a sé stesso, che cerca di colpire non solo visivamente gli occhi di coloro che assistono ma cerca di smuovere anche le loro coscienze e di sensibilizzarle.

Ripeto: fin qui tutto bene; se non fosse che ad un certo punto l’associazione GayLib Italia, la quale aveva preso parte al Pride, viene cacciata dalla parata con delle motivazioni politiche ingiustificate (come riportato nel comunicato stampa dell’associazione https://goo.gl/fDmdSi). Un fatto piccolo e insignificante ai più, come si può notare dal fatto che la notizia non è stata riportata da nessuna testata giornalistica, ma che non deve passare inosservato e che vorrei fosse un punto di inizio per una riflessione sul tema dei diritti individuali, del ruolo dello Stato in questo rispetto e del ruolo e dei fini che le associazioni dovrebbero avere.

Innanzitutto, diamoci un po’ di coordinate: cos’è l’associazione GayLib Italia? La descrizione presente sulla pagina Facebook recita: “GayLib. Gay liberali e di centrodestra. Dal 1997 in prima linea per l’emancipazione e i diritti civili delle persone omoaffettive”. Fondata nel 1997 da Enrico Oliari, Alessandro Gobbetti e Marco Volante, in poche parole, GayLib nasce come alternativa politicamente liberale ai movimenti e alle associazioni Lgbtqi che, tradizionalmente, nello scacchiere politico si collocano a sinistra non solo in quanto “progressisti” ma anche e soprattutto come appartenenza politica. GayLib si presenta come alternativa non solo per il colore politico ma anche nell’approccio al tema dei diritti individuali.

Forse avete già intuito il motivo politico che ha portato alla “cacciata” di GayLib. Il comunicato stampa per mezzo delle parole di Daniele Priori, è chiaro: “Mi trovavo con una bandiera di GayLib alla testa del RomaPride. Un gruppo di attivisti del coordinamento organizzatore ha iniziato ad intonare Bella Ciao e ‘meglio froci che fascisti’ intimandomi di lasciare il corteo”.

Questa è la cronaca; permettetemi ora di riflettere politicamente sull’accaduto.

In primo luogo, vorrei soffermarmi su un problema che secondo me affligge il discorso intorno alle associazioni per i diritti individuali e in special modo quelli legati alla sessualità ovvero il fatto che siano associazioni politicizzate. È normale che le associazioni prendano un colore politico ben distinto ma ciò non le favorisce ed anzi è deleterio nonché sbagliato. Infatti, nel momento in cui le associazioni che si battono per i diritti individuali prendono una posizione politica ben precisa, avvicinandosi ai partiti o a loro esponenti, esse creano una spaccatura profonda e insanabile, come nel caso del RomaPride, con tutti coloro i quali non si identificano in quel partito o casacca politica.

Ciò sfavorisce il dialogo costruttivo e la mobilitazione delle persone ed inoltre, proprio per il fatto che le richieste e le lamentele giungano da uno schieramento politico piuttosto che da un altro (la distinzione associazione-schieramento politico è divenuta molto labile), coloro che devono prendere decisioni in merito, se sono dell’altro schieramento, saranno più restii ad avallare queste istanze. Questa nota è rivolta non solo alle tradizionali associazioni Lgbtqi di sinistra ma anche alla stessa GayLib (capisco la loro esigenza di essere un punto di riferimento per chi non si riconosce nella Sinistra, seppure la soluzione non sia delle migliori).

In secondo luogo, prendiamo in esame il ruolo che lo Stato dovrebbe avere riguardo queste questioni. Ormai, purtroppo, da lungo tempo lo Stato ha trovato terreno fertile nel campo dell’etica e anzi ci sono sostenitori di un vero e proprio “Stato Etico” alla Hegel. Come un “buon padre”, lo Stato si impegna a dirci cosa è possibile fare, cosa è sbagliato, con chi è giusto andare a letto e con chi è possibile sposarsi; per di più lo Stato si fa garante delle minoranze, cosa che gli riesce in maniera pessima, ignorando una delle più grandi verità che Ayn Rand ci ha donato: “la più piccola minoranza al mondo è l’individuo. Chiunque neghi i diritti dell’individuo non può sostenere di essere un difensore delle minoranze”.

Questa è una delle aberrazioni più fastidiose e nocive del sistema stato; uno Stato che si permette di regolare la vita dell’individuo fino al dettaglio è la morte dell’individuo stesso. Invece, esso dovrebbe ritirarsi da questa sfera, lasciare che gli individui possano esprimersi al meglio delle loro possibilità in tutti i campi e che possano decidere come e cosa fare della loro sessualità, del loro denaro e di tutti i loro averi. Purtroppo, lo Stato non gradisce questa soluzione, anzi la ignora completamente; per questo motivo, visto che non intende ridurre il suo perimetro, deve garantire a tutti la tutela della propria individualità: deve garantire a tutti gli individui di potersi sposare con chi vogliono e di poter decidere cosa è giusto per loro.

In questo momento esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B: alcuni possono fare determinate cose, altri sono impossibilitati. Ma qui si nasconde il pericolo: lo Stato non deve trattare le minoranze (sembra quasi inutile ricordare qual è la minoranza più piccola) come gruppi privilegiati e particolari accordando loro speciali diritti. Lo Stato deve avere come punto focale l’individuo e la sua salvaguardia. Oppure levarsi di torno.

Infine, dopo queste considerazioni, vorrei far notare agli amici del RomaPride il paradosso che hanno creato: una manifestazione di persone ingiustificatamente discriminate hanno ingiustificatamente discriminato (solo sulla base dell’appartenenza politica) altre persone che si sentono discriminate e che volevano far sentire la loro voce. Possono esserci solo “froci comunisti”? Come ciliegina sulla torta vi lascio alcuni dei punti del Romapride che in teoria facevano ben sperare ma che sono stati traditi in un battito di ciglia.

CHI SIAMO

Siamo un avamposto di opposizione e resistenza all’avanzata di vecchi e nuovi fascismi, l’incubo di chi vuole una società schiacciata nell’omologazione ed agisce soffocando chiunque non si voglia conformare.

Non vogliono omologazione, ma guai ad avere idee politiche diverse.

IN COSA CREDIAMO

In un lavoro socio-culturale per il superamento di schemi binari, stereotipi di genere e supremazia del modello di maschio, bianco, occidentale, abile, cattolico ed eterosessuale su cui è stata costruita la nostra società.

Vogliono superare gli schemi binari. Ma il binarismo fascista-comunista non gli interessa.

COSA RIVENDICHIAMO

Rivendichiamo la libertà di autodeterminazione delle persone perché tutti possano scegliere liberamente e consapevolmente per sé e per il proprio corpo senza l’ingerenza dello Stato, della Chiesa, delle religioni o di qualsivoglia moralismo.

Rivendicano la libertà di autodeterminazione ma non puoi autodeterminarti diversamente.

 

 

Perché non possiamo essere sia liberi sia uguali

Qualche tempo fa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto che i valori di Libertà e Uguaglianza “sono il fondamento della nostra società ed i pilastri su cui poggia la costruzione dell’Europa“. Non starò a sindacare sullo stile del Capo dello Stato, che vuole unire in un centro d’idee tutti i valori, come si è fatto per decenni nel suo ex partito, la Democrazia Cristiana.

Non posso che iniziare citando la Dichiarazione Universale: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali [ma la frase non finisce mica qui!] in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. »

Partire da questa premessa vuol dire accettare i principi di pari opportunità, uguaglianza di fronte alla legge, giustizia nella legge, tutela dalla discriminazione.

Ecco il primo contrasto:

  • per essere uguali serve che le leggi siano diverse per ciascuno, in modo tale da appianare le differenze;
  • per essere liberi serve che le leggi siano uguali per tutti, così come in Natura così nella società.

Difatti, vediamo ogni giorno la differenziazione delle leggi a seconda della ricchezza che si possiede, del lavoro che si ha, della propria provenienza e così via, al fine di garantire la giustizia sociale. Quest’ultima, una chimera inesistente e irraggiungibile. Inutile dire che questi sono i principi che differenziano liberalismo e socialismo.

Cercare di raggiungere l’uguaglianza, e dunque di trattare gli individui in modo diseguale per far sì che tutti siano uguali, non può portare altro che alla prevaricazione di chi è diverso, dunque alla discriminazione. Come sempre, i socialisti pensano in primo luogo a cosa hai e non a chi sei, discriminando a seconda della ricchezza. Questo genere di discriminazioni le troviamo anche nel nazismo, in cui le vittime erano i diversi, gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori. [Ultimamente, negli States, è uscita la moda di discriminare i bianchi, etero, capitalisti… ]

Non bisogna ignorare il fatto che siano entrambe discriminazioni e, in quanto tali, pregiudizievoli, perché il confine fra le due è veramente sottile.

In una gran parte del mondo civilizzato ci sono state leggi volte ad aggiungere diritti per categorie o a punire discriminazioni nei confronti di gruppi. Leggi per consentire l’ingresso degli omosessuali nelle forze armate (davvero serviva una legge per consentire il loro ingresso?), aggravanti per le discriminazioni di carattere razziale, regolamentazioni diverse per le unioni a seconda del genere. Quando, alla fine, basterebbe ricordare che i diritti umani valgono per ogni singolo individuo senza che sia categorizzato e schedato come un prodotto su Amazon.

Come si equilibra una società basata sull’uguaglianza? E una basata sulla libertà?

  • Il primo passo per raggiungere l’uguaglianza sostanziale è la distribuzione della ricchezza, un metodo che permette di dare a ciascuno ciò che necessita e fargli fare ciò che desidera senza dover pensare se riuscirà a sbarcare il lunario;
  • Il primo passo per raggiungere la Libertà è la distribuzione del potere al fine di limitare la coercizione e i monopoli, ciò avviene già naturalmente attraverso i meccanismi di mercato che permettono di far avere a ciascuno ciò che merita e di cercare la felicità attraverso le sole proprie forze.

Sono entrambe utopie?

No, nessuna delle due è una utopia. Abbiamo potuto guardare, con ammirazione o disdegno, la realizzazione di società fondate sulle due diverse premesse. Il problema si pone sui risultati della realizzazione: le società basate sull’uguaglianza hanno appiattito i propri cittadini ad essere oggetti governati, i cui diritti sono mere concessioni, così come talvolta il cibo deve essere calato dall’alto, sempre che ci sia; le società fondate sulla libertà sono, invece, il luogo migliore in cui conquistare la felicità e il benessere tramite il merito e il talento.

In conclusione, auspicare una società basata su libertà e uguaglianza è un pensiero ossimorico, poiché la prima consente a ciascuno di trovare la felicità con le proprie forze, mentre dalla seconda deriva la schiavitù con il pretesto di una felicità collettiva.

Perché non possiamo essere comunisti (nè socialisti)

Pochi giorni fa è ricorso l’anniversario della nascita di Karl Marx, un evento che è stato ampiamente celebrato in tutto il mondo occidentale, con citazioni, nuovi saggi, film e approfondimenti di vario genere. Al di là dell’aspetto ironicamente consumistico che hanno assunto molte di queste iniziative, l’occasione è stata utile per mostrare quanto il comunismo eserciti tuttora un fascino notevole e attiri proseliti e sostenitori. Sembra quasi che i fallimenti delle esperienze del socialismo reale siano stati dimenticati ed è impossibile non esserne preoccupati.

Personalmente, comprendo benissimo il fascino del marxismo. Cresciuto in una tradizione politica e culturale di sinistra, il comunismo e il socialismo sono stati per anni un mio punto di riferimento ideale pur avendone una conoscenza, in fondo, piuttosto superficiale. A 14 o 15 anni già sapevo che il socialismo reale si era rivelato un fallimento costoso e sanguinoso, ma non riuscivo a confutarne i principi: come si può ritenere sbagliata un’ideologia che vuole mettere fine all’ingiustizia che si osserva tutti i giorni nella società? Che spiega di mirare a un mondo diverso, dove nessuno soffra il freddo o la fame e dove l’aspettativa e la speranza di una vita migliore non siano condizionate dal Paese e dal ceto sociale in cui si nasce?

Sono arrivato per gradi a capire cosa c’era che non funzionava. Tanto per cominciare, lo studio della storia mi insegnava che l’umanità non aveva mai vissuto lunghi periodi di pace e benessere, sotto qualunque tipo di regime; e che gli episodi più feroci di ingiustizia o di violenza non erano per forza legati a dinamiche economiche, ma anche a divisioni etniche, politiche, religiose, ecc. Guardando poi alla storia del Novecento, la brutalità dello stalinismo o del maoismo rendevano evidente che l’ingiustizia in quei regimi non era stato affatto eliminata, anzi! Ed anche i Paesi socialisti meno violenti avevano una lunga storia di corruzione e di repressione della libertà. Se il marxismo funzionava, perché i regimi socialisti erano teatro di violenze e prevaricazioni? Ci si sarebbe aspettato che eliminando le disuguaglianze economiche la società sarebbe stata più giusta e libera, ma non sembrava che così fosse.

Ci doveva quindi essere, alla base dell’ingiustizia, qualcosa che andava oltre le differenze economiche. E l’osservazione della realtà intorno a me (anche solo la scuola e le sue dinamiche) ha fornito l’ultimo tassello: l’ingiustizia deriva dalla disparità di potere. Basta concedere una goccia di autorità a un individuo per generare oppressione e violenza, fisica o verbale che sia. Le disuguaglianze economiche o sociali possono contribuire, ma non sono il cuore del problema.

Marx non era uno sciocco e comprendeva il dilemma che ponevano gerarchia e potere; secondo la sua dottrina, dopo una fase iniziale di dittatura del proletariato l’umanità sarebbe passata allo stadio finale di società comunista, dove non ci sarebbero state più classi sociali né disparità economiche e di potere, e dove sarebbero state cancellate tutte le forme di ingiustizia.

Ci sono un paio di cose che non tornano in tutto ciò: punto primo, perché una tale società non è mai esistita? E poi, perché mai si dovrebbe passare da una dittatura per raggiungere questo felice stadio? Alla prima domanda, Marx rispondeva parlando delle sovrastrutture ideologiche, create dalla classe dominante, che dividevano o assopivano gli individui (“la religione oppio dei popoli”, come da famosa citazione). Alla seconda, con la necessità di eliminare appunto tale classe dominante e tutti i suoi ideologi e difensori, per livellare la società e cancellare ogni sovrastruttura.

Il problema è che le due risposte sono in realtà in contraddizione fra loro: la prima presuppone che gli uomini siano essenzialmente buoni e pronti a vivere in perfetta armonia ed uguaglianza; la seconda insegna che una parte degli uomini è assolutamente malvagia e decisa ad opprimere i propri simili. Se la prima risposta fosse vera, come potrebbero esistere disuguaglianze e ingiustizia? Perché la società umana non vive già in perfetta pace e fratellanza? Se fosse vera la seconda, come si concilia con la prima? E, più pragmaticamente, come si impedisce a questa minoranza di “malvagi” di sfruttare il resto dell’umanità?

Per rispettare le premesse logiche del marxismo, l’umanità deve essere composta di una massa di uomini buoni ma stupidi e di una minoranza di uomini intelligenti, alcuni cattivi e altri buoni. Solo in questo modo si può spiegare l’oppressione delle classi popolari e le possibilità di successo di una rivoluzione comunista. Il marxismo propone una visione estremamente elitista del mondo, ed incompatibile con la democrazia (o con l’anarchia).

L’unico modo, in una visione simile, di evitare che i “malvagi” opprimano i buoni è tenere i primi sempre sotto controllo. La società dovrà dunque essere dominata da una élite di uomini intelligenti e buoni, che soli possono proteggere la massa dai malvagi e garantire che la loro stessa stupidità non li danneggi: non vi potrà essere libertà, né uguaglianza di potere; ma, come abbiamo visto, in questo caso non potrà esservi neanche giustizia. E infatti i socialismi reali sono sempre state dittature, oppressive e corrotte come tutte le dittature.

Marx è stato un ottimo storico, ed un critico acuto del sistema capitalistico. Ma la sua visione politica è piena di contraddizioni e fallacie logiche e pone le basi per ingiustizia e oppressione; ed è per questo che deve essere rigettata interamente, anche a sinistra.

Egoismo individuale e bene collettivo: la favola delle api

Qual è il segreto per costruire una società prospera? Una società in un cui la ricchezza sia capillarmente diffusa, in cui l’individuo sia libero di realizzare a pieno il proprio potenziale?

Per secoli, filosofi e scrittori hanno descritto società ideali, utopie, che in genere presentano sempre lo stesso denominatore comune: lo Stato-Leviatano e l’individuo ridotto a uomo-massa. Che si tratti della Repubblica di Platone o della Città del Sole di Campanella, ci viene proposto sempre lo stesso arcaico punto di vista: l’individuo è egoista, corrotto, e solo uno Stato potente può salvarlo da sé stesso.

Ma se invece non fosse così? Se invece fossero proprio i vizi dell’uomo, primo fra tutti l’esecrato egoismo, la chiave per costruire una società più prospera e più giusta?

Questa non è solo una mia radicata convinzione, ma anche quella di Bernard de Mandeville, autore de “La favola della api“, il cui sottotitolo è “Vizi privati e pubbliche virtù“.

In questo breve apologo, Mandeville presenta un florido alveare, palesemente ispirato all’Inghilterra dell’epoca, in cui ogni ape persegue indefessa il proprio tornaconto. La ricerca di lussi sempre più grandi domina l’alveare, stimolando così il commercio, l’industria, la produttività ed il progresso scientifico. Tutte le api si adoperano per elevare la propria condizione, e così facendo sono inconsapevolmente responsabili per il benessere generale dell’alveare.

Alla fine, tuttavia, la prosperità dell’alveare giunge al termine quando il suo “vizio”, per mezzo di Giove, viene rimpiazzato dalla “virtù”. Questa riforma dei costumi abolisce il lusso e l’egoismo, sostituendoli con la frugalità e l’onestà. Insieme al “vizio”, però, viene meno il motore stesso dietro al progresso della società: i traffici commerciali vengono abbandonati, le arti e i mestieri regrediscono, in quanto le nuovi api “virtuose” sono ora soddisfatte di quanto già posseggono, e non si industriano più a migliorare le loro condizioni di vita, paghe della propria  “virtù”.

Questo genera una grave crisi che impoverisce l’alveare, portando alla morte di gran parte della sua popolazione, mentre le api sopravvissute si ritrovano a vivere in condizioni miserevoli rispetto al passato.

Come si evince da questo apologo, Mandeville è giunto, precedendo Smith, alle stesse conclusioni dell’economista scozzese. Questo perché il suo oggetto di studio è lo stesso di Smith, vale a dire l’Inghilterra del Settecento, luogo di nascita del capitalismo, della rivoluzione industriale e del Liberalismo.

Proprio la combinazione fra questi 3 fattori ha trasformato in poco più di un secolo l’Inghilterra, da Stato ai margini dell’Europa a prima iperpotenza della storia. Ma l’Inghilterra non è un esempio isolato: in ogni tempo ed in ogni luogo, queste forze hanno cambiato il destino di intere nazioni, a prescindere dalla loro ricchezze naturali: quale altra risorsa ha un Paese come la Svizzera, se non il carattere dei suoi abitanti?

Ma affinché tutto questo avvenga, è necessario un catalizzatore, qualcosa che dia agli individui la forza di andare avanti, incuranti delle sconfitte, senza mai perdere di vista l’obbiettivo finale: quel catalizzatore è, secondo me, una sana dose di egoismo. Non esiste a mio parere religione o ideologia politica in grado di fornire una motivazione più grande dell’amore per sé stessi connaturato in ognuno di noi.

Anzi, non è un caso che dietro a molti dei crimini più orrendi mai compiuti in nome di un credo religioso o politico vi sia un’intenzione altruistica: i nazisti di ieri, così come i jihadisti di oggi, sono mossi dalla certezza di contribuire alla creazione di un mondo migliore, e per questo fine altruistico sono pronti a sacrificare tutto, in primis il loro ego. Il problema è, per dirla con Asimov, che mentre il bene individuale è facilmente osservabile e misurabile, quello collettivo o dell’intera umanità comprende semplicemente troppe variabili, che neanche il cervello positronico di un robot può risolvere, figurarsi quello di un semplice essere umano.

Per questo, penso che l’unico modo per fare il bene sia quello di partire dal livello più basso possibile, non dall’umanità intera, non da una nazione, bensì dalla più piccola e bistrattata delle minoranze, l’individuo, facendoci guidare dal nostro ego verso l’ autorealizzazione.

10 aforismi di Ayn Rand per dare torto ai socialdemocratici

Libertà (f.): Non chiedere nulla. Non aspettarti nulla. Non dipendere da nulla.

Lontano dalle idee di libertà si collocano i socialdemocratici, i quali sostengono lo stato sociale. La loro idea di libertà è quella di dipendenza dal governo, dallo Stato mamma. Tutto il potere nelle mani dello Stato, evviva! Da ciascuno secondo la sua capacità, a ciascuno secondo le sue necessità! Ah, ma non era il marxismo? Sì, difatti i socialdemocratici sono marxisti in incognito.

Il grido dei socialisti e dei comunisti è il grido della tirannia, dell’autoritarismo e della dittatura, come vediamo in Venezuela e in Corea del Nord. Tutto è meglio espresso nella citazione precedente sul significato di libertà per Rand.

Chiunque creda che un alto tenore di vita sia il risultato dei sindacati e dei controlli governativi, si chieda: se avessimo una “macchina del tempo” e trasportassimo i leader sindacali degli Stati Uniti e i tre milioni -o più- burocrati del governo, indietro fino al X secolo, sarebbero in grado di fornire al servitore medievale la luce elettrica, i frigoriferi, le automobili e i televisori?

Rand capisce che la “classe dei parassiti” non ha valore produttivo, a parte ciò che può ottenere dagli altri.  L’innovazione prospera nel libero mercato grazie alla concorrenza, all’interesse personale e al capitalismo. La citazione precedente viene dal libro “Capitalism: The Unknown Ideal“.

Giuro sulla mia vita e sul mio amore per lei che non vivrò mai per il bene di un altro uomo, né chiederò a un altro uomo di vivere per il mio bene.

La citazione tratta da “La Rivolta di Atlante” è la massima espressione della virtù dell’ego individuale. Ne “La Fonte Meravigliosa” completa il precedente aforisma così: “L’ego è la fonte da cui fluisce tutto il progresso umano“.

Se non credessimo in noi stessi, come potremmo raggiungere la grandezza? Se ci troviamo a non fare altro che vivere per gli altri tutto il tempo, come possiamo costruire la ricchezza materiale necessaria per rendere possibile la carità? La citazione di Rand è uno schiaffo in faccia ai socialisti e ai collettivisti di tutto il mondo, che chiedono che l’individuo sia soggetto ai bisogni dello Stato.

L’uomo che condanna il denaro l’ha disonorevolmente ottenuto; l’uomo che lo rispetta lo ha guadagnato.

Coloro che sono più rumorosi quando si tratta di condannare il denaro, sono quasi sempre quelli che non l’hanno meritato, in primo luogo.

Corri per la tua vita quando qualcuno ti dice “il denaro è cattivo”. Questa frase è il campanello del lebbroso di un saccheggiatore che si avvicina.

I socialisti, naturalmente, non capiscono le basi dell’economia. Tutta la loro filosofia sta pervertendo le leggi della domanda e dell’offerta. Il denaro in un mercato libero è semplicemente uno strumento che può essere utilizzato nel bene e nel male. “Chi lo merita?” è ciò che conta. Le persone che dicono che il denaro è la radice di tutti i mali sono ignoranti. È come incolpare i cucchiai e le forchette per l’obesità delle persone.

Non esiste un lavoro schifoso, solo uomini schifosi a cui non importa farlo.

 

John Galt è Prometeo che ha cambiato idea. Dopo essere stato dilaniato per secoli dagli avvoltoi in pagamento per aver portato agli uomini il fuoco degli dei, ruppe le loro catene e ritirò il loro fuoco, fino al giorno in cui gli uomini ritirarono i loro avvoltoi.

Sempre da “La Rivolta di Atlante“, tale libro presenta una tremenda storia di ciò che accade quando la classe parassitaria non può più ignorare coloro le cui energie consumano, senza aggiungere nulla al loro valore.

Il denaro è il barometro delle virtù di una società. Quando viene scambiato, non per accordo, ma per costrizione, quando vedi che per produrre ricchezza, devi ottenere il permesso dagli uomini che non ne producono affatto – quando vedi che il denaro scorre verso coloro che negoziano, non con merci, ma con favori – quando vedi che un uomo è arricchito più con la forza che con il suo lavoro, e che le leggi non ti proteggono da lui, ma lo proteggono da te – quando vedi che la corruzione è premiata e che l’onestà è un sacrificio, devi sapere che la tua società è già condannata.

Possiamo vivere in un mondo in cui le persone vendono volontariamente i frutti del loro lavoro o in un mondo in cui si può ottenere il frutto del lavoro altrui senza che quest’altri diano il loro consenso. Sta a noi decidere.

Non c’è modo di governare uomini innocenti. L’unico potere che ogni governo ha è quello di agire con decisione contro i criminali. Bene, quando non ci sono abbastanza criminali, li si crea. Lo Stato dichiara che così tante cose sono un crimine che è impossibile vivere senza violare le leggi. Chi vuole una nazione di cittadini rispettosa della legge? Basta approvare leggi che non possono essere osservate o applicate, né interpretate in modo obiettivo, e si crea una nazione di trasgressori della legge, e quindi si beneficia della colpa.

Le leggi degli Stati Uniti sono così numerose che ognuno commette tre crimini al giorno, figuriamoci in Italia. Questo è anche il modo in cui il governo può applicare la legge selettivamente contro chiunque, in qualunque momento lo desideri. Ecco che lo Stato diventa tirannico.

La più piccola minoranza al mondo è l’individuo. Chiunque neghi i diritti dell’individuo non può sostenere di essere un difensore delle minoranze.

Infine, l’ultimo aforisma, è quello che vale di più: i socialdemocratici si propongono come tutori delle minoranze, ma lo fanno soltanto opprimendone altre. Non è una questione politica, è culturale: secondo loro è giusto prevaricare su taluni asserendo di farlo per il bene di altri. Si arriva al punto in cui le leggi ti dicono quello che puoi fare, anziché quello che non puoi fare. Ogni diritto è precluso, tranne quello di appartenere alla collettività e dipendere da essa.

Chi era Ayn Rand e perché leggerla

“Un Individuo  può sopravvivere in uno solo di due modi: o per mezzo del lavoro indipendente della propria mente o come parassita della mente altrui.
Il creatore agisce. Il parassita prende.
Il creatore fa fronte alla natura da solo. Il parassita attraverso un intermediario.
Scopo del creatore è la conquista della natura. Scopo del parassita la conquista degli uomini.
Il creatore vive per il lavoro proprio. Egli non ha bisogno degli altri. Il suo scopo principale è lui stesso.
Il parassita ha bisogno degli altri. Gli altri diventano il suo scopo principale.
[…]
Ci viene insegnato ad ammirare il parassita che distribuisce generosamente beni che non ha prodotto, senza preoccuparsi dell’uomo che li ha procurati.”

Questa citazione è parte del discorso finale di Howard Roark, protagonista de La Fonte Meravigliosa (The Fountainhead), uno dei più celebri scritti di Ayn Rand.

Chi è Ayn Rand?

Ayn Rand nacque a San Pietroburgo, in Russia, nel 1905, in una famiglia ebrea di media estrazione. Ha vissuto in ogni sua sfaccettatura la rivoluzione bolscevica, dovendo persino fuggire in Crimea con la sua famiglia dopo la confisca delle sue proprietà da parte del governo comunista.

Nel 1926, incoraggiata dai genitori che temevano per la sua incolumità, emigrò negli Stati Uniti, dove riuscì a lavorare come sceneggiatrice nell’industria cinematografica di Hollywood. Divenne una scrittrice e i suoi capolavori furono pubblicati a Broadway e usati nei film. Due dei suoi libri sono ancora oggi best-seller. Uno di questi, La Rivolta di Atlante (Atlas Shrugged) è stato considerato il più influente dopo la Bibbia, secondo un sondaggio del Congresso Americano.

La Rivolta di Atlante merita anche una certa attenzione poiché durante la crisi del 2008 è rimasto per varie settimane nella vetta della classifica dei libri più venduti, a ben sessant’anni dalla sua pubblicazione.

Ha creato una scuola filosofica completa e coerente con le sue idee, l’oggettivismo, che lei stessa ha definito come una filosofia per vivere sulla Terra. Morì a New York, dove visse fino al 1982, due anni dopo essere diventata la vedova di Frank O’Connor, un attore cinematografico, con cui fu sposata per più di 50 anni.

Perché amarla?

Ayn Rand, è di vitale importanza per tutti noi poiché è stata l’unica persona a difendere i diritti individuali inequivocabilmente e incontestabilmente. Il diritto alla libertà, alla proprietà e alla ricerca della felicità tramite l’autorealizzazione nel mondo reale, non in quello delle idee.

Nel romanzo da cui siamo partiti, La Fonte Meravigliosa, Rand critica quella gran fetta di società che promuove l’auto-sacrificio, il senso di colpa, l’invidia, la rinuncia alle proprie passioni e alla propria felicità.

Ecco altri aforismi tratti da quel libro che possono completare la visione di Ayn Rand nel migliore dei modi:

Il primo diritto sulla Terra è il diritto dell’io. Il primo dovere è quello verso sé stessi.

Il ‘bene comune’ di una collettività, una razza, una classe, uno Stato è sempre stato il pretesto e la giustificazione di ogni forma di tirannia.

“Come fai a decidere sempre senza tentennare?”
“E tu come fai a permettere che gli altri decidano per te?”

Hai mai sofferto vedendo che i tuoi amici apprezzavano tutto in te, tranne le cose per cui volevi essere apprezzato? E perché le cose che sono tutto per noi non sono nulla per gli altri?

[Dopo che un personaggio ha distrutto un oggetto] “Credevi che quel modellino non costasse nulla?”
“Balle! Tanto non lo paghiamo noi.”

Accettano tutto, tranne l’uomo che lotta da solo, che resiste da solo.

Ayn Rand non difendeva il capitalismo e il libero mercato perché pensava fossero il modo migliore di condurre una società, li difendeva poiché rappresentano l’unica garanzia alla libertà di ogni singolo Individuo.

Credeva nei diritti individuali, sosteneva che l’Individuo fosse la più piccola minoranza da tutelare sulla Terra. Ecco perché ragionare per categorie e per classi sociali non può che nuocere: non sempre ci sarà fratellanza nei confronti dell’Individuo che vuole cavarsela con le sue sole forze, non sempre ci sarà il giusto riconoscimento alla libertà di chi vuole agire.

Si difenderà sempre qualcuno a scapito di molti altri, talvolta ci sarà chi si ergerà a paladino di talune minoranze e questi non si farà scrupoli di schiacciare chi egli reputa non debba tutelato.

Lo scopo di questo articolo era di riuscire a trasmettervi almeno la millesima parte dell’amore che provo per Ayn Rand e per le sue idee, spero di esserci riuscito. E se così sarà, avrò reso questo mondo un posto migliore, anche se di poco.

Opere maggiori:

Narrativa

La Rivolta di Atlante: È la grande opera magna di Ayn Rand,  un panorama insormontabile della vita, con descrizioni accurate di tutti i personaggi umani che abitano questo mondo complesso in cui viviamo. Sotto forma di romanzo, tutta la sua filosofia in dettaglio espone attraverso una trama complessa, ricca e misteriosa le cause e le conseguenze del rovesciamento della moralità, della politica e dell’economia negli Stati Uniti in un futuro incerto. Indimenticabile, difficile, unico.

La Fonte Meravigliosa: la storia di un Individuo che cerca solo la propria autorealizzazione e non è disposto a compromessi, ma che per questo motivo si troverà più volte la società contro, a combatterlo per impedirgli di realizzarsi.

Ideale: novella e opera teatrale che tratta i valori degli esseri umani e di come questi non abbiano alcuna intenzione di lottare per essi.

Anthem: una distopia nella quale gli Individui sono senza identità, indipendenza e valori. In tutto il romanzo non si troverà la parola “io”, mancanza simbolo della perdita dell’individualità.

Noi vivi: Il tema di questo romanzo classico è la lotta dell’individuo contro lo stato. Tratta l’impatto della rivoluzione russa su tre esseri umani che chiedono il diritto di vivere la propria vita e cercare la propria felicità. Racconta l’appassionata storia d’amore di una giovane donna, che vive come una fortezza contro il male corruttore di uno stato totalitario.

Saggistica

La virtù dell’egoismo: raccolta di articoli di Ayn Rand e Nathaniel Branden, fra cui testi sui principi dell’egoismo razionale e della moralità oggettivista. Descrizione essenziale della natura del governo e delle sue forme di finanziamento volontario. Approcci al razzismo, tra le altre questioni importanti per il dibattito sulla libertà e la vita nella società.

For the New Intellectual: in questa opera si cerca di riformulare la cultura prevalente offrendo nuove formulazioni per questioni morali e filosofiche. Il tutto in ottica oggettivista.

Aronne Piperno, tu sei giudeo e i tuoi antenati hanno crocifisso Gesù Cristo

Aronne Piperno: Ma c’è quarche cosa che nun va?
Marchese del Grillo: Ma tutto Aronne mio! Tanto comincia a di’ nell’armadio che tu hai costruito io c’ho sbattuto un ginocchio che me so’ fatto pure male!
Aronne Piperno: Ma io che c’entro?…
Marchese del Grillo: Nun è una buona ragione questa?
Amministratore: Sì, Eccellenza!
Marchese del Grillo: E in più… tu sei giudeo e i tuoi antenati falegnami hanno fabbricato la croce dove hanno inchiodato nostro signore Gesù Cristo… posso essere ancora un po’ incazzato pe’ sto fatto?

Ecco una parte del dialogo fra l’ebanista ebreo Aronne Piperno e il Marchese del Grillo, protagonista dell’omonimo film, che ho avuto il piacere di vedere nonostante sia stato girato 15 anni prima della mia nascita.

Mi ha fortemente colpito questa scena, perché il Marchese tira fuori la storia che gli ebrei abbiano compiuto l’orrendo atto di aver crocifisso Gesù Cristo e che ne portino la colpa pur dopo molti secoli, tramandandosela di padre in figlio.

Questa assurda logica venne usata per opprimere gli ebrei, per renderli sempre colpevoli di qualcosa, un semplice pretesto per creare un capro espiatorio. Oggi diremmo che è assurdo, vero?

E invece c’è qualcun altro che lo fa, in un altro modo, ancora oggi.

Ad esempio, quante volte abbiamo sentito dire che è colpa nostra la tratta dei negrieri dall’Africa, lo sfruttamento dei beni naturali nell’oggi terzo mondo, il massacro degli Incas effettuato da Pizarro, lo sterminio dei pellerossa?

Dicono che siamo stati noi “Occidentali”. Che è una nostra colpa, che dobbiamo assumerci questa responsabilità. Quasi mi sorprende non ci abbiano accusato delle Guerre Puniche e chiesto un risarcimento per la ricostruzione di Cartagine.

Io, come tutti voi molto probabilmente, non ho mai fatto né voluto niente di cui sopra. Non ho causato quei problemi e non sarò io a pagarne il conto, ma se qualcuno è tanto solidale può dimostrarlo facendo uso del suo tempo, dei suoi soldi, della sua volontà senza imporre la sua idea sugli altri, completamente innocenti.

Chi pone questi ragionamenti accusatori? Chiaramente, i collettivisti, taluni che credono esista uno spirito rappresentante il popolo che lo guida in ogni sua azione, mentre le persone sono semplici porzioni di questo enorme spirito che agisce per tutti.

Sono sempre quelle le persone che fanno un mea culpa collettivo e decidono che gli altri debbano pagare quel che loro vogliono e sottostare ai dettami che loro ritengono giusti; questi collettivisti posseggono la verità assoluta in tasca, sanno cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma soprattutto sanno quali responsabilità dobbiamo assumerci tutti noi.

Chiariamoci, persone incapaci di assumersi le proprie responsabilità -tanto da voler distribuire il rischio di fallimento delle proprie iniziative agli altri, obbligandoli ad accettare con la forza- decidono che siamo noi i responsabili di qualcosa che non abbiamo fatto. In pratica, siamo tutti quanti degli Aronne Piperno, presi in giro dal Marchese del Grillo.

Fortunatamente per l’ebanista, il Marchese scherzava e voleva dimostrare come la giustizia fosse corrotta, sfortunatamente per noi i collettivisti sono molto seri e non ci sarà nessuno a testimoniare in nostro favore.

Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!

Il 30 marzo 1933, il ministro della Propaganda in Germania, Joseph Goebbels, mi convocò nel suo ufficio e mi propose di diventare una sorta di “Fuhrer” del cinema tedesco. Io allora gli dissi: «Signor Goebbels, forse lei non ne è a conoscenza, ma debbo confessarle che io sono di origini ebraiche» e lui: «Non faccia l’ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!». Fuggii da Berlino quella notte stessa.

Queste le parole di Fritz Lang, regista del film preferito di Adolf Hitler, ossia Metropolis.

Vorrei partire proprio da queste parole per andare a toccare un tema ben nascosto da certi critici del nazismo: la centralizzazione delle scelte. Eh sì, perché i più grandi critici del nazismo non mettono in dubbio il metodo, bensì i fini: molti non nascondono le proprie simpatie per l’idea di un Governo centralista e dirigista (come quello nazista), ma sono comunque convinti che “solo” i fini fossero sbagliati.

Decidere dall’alto quali persone debbano compiere certi lavori, quali lavori abbiano la priorità, quali persone debbano essere catalogate come più bisognose, quale sistema economico sia migliore, si rivela sempre un disastro, oltre che essere un insulto alla libertà umana.

Anche in un regime democratico potremmo ben vedere come tutto ciò porti al fallimento, se non a una vero e proprio governo della burocrazia e del clientelismo.

Ipotizziamo però che la trasparenza sia tale da rendere possibile ogni controllo, andiamo oltre: bisognerà che qualcuno prenda le decisioni, dopo essere stato eletto e aver opportunamente studiato il caso, dunque deciderà la strada giusta. Ipotizziamo allora che questa persona sia senza malizia, non voglia fare favori a nessuno e non lo faccia per interesse personale.

Questa persona (o questo insieme di persone) avrà un potere veramente ampio, con cui potrà cambiare profondamente la vita delle persone, perlomeno nel suo ambito di riferimento. Ecco che, con il seguito della maggioranza, porterà fino in fondo una riconosciutissima opinione, una semplice opinione, per raggiungere i più nobili obiettivi.

Diciamo che sono sempre i soliti: la pace, la prosperità, il benessere, la felicità, la ricchezza. Sono cose che vorremmo tutti, tranne qualche deviato. Ma davvero qualcuno sa come raggiungere la pace, la prosperità, il benessere, la felicità, la ricchezza? 

Nonostante le troppe assunzioni fatte, il corso degli eventi potrebbe non andare come desiderato. Oppure sì. In parole povere, è stato effettuato un lancio della moneta e tutto è andato per il verso giusto, oppure tutto è andato male.

Ora, però, facciamo un passo indietro: questa persona (o, di nuovo, questo insieme di persone) ha un enorme potere, dunque  può scegliere ciò che è il bene per tutti, ciò che tutti dovrebbero fare, ciò che tutti dovrebbero pensare.

Ovviamente, tutto ben votato dalla maggioranza, con dei fantastici schemi dimostranti che “se tutto fosse così, i risultati sarebbero strabilianti“, ossia partire da condizioni attualmente impossibili, raggiungibili attuando l’assurda pretesa di cambiare la natura delle persone (l’uomo è un legno storto, mai sentito?), educandole. In pratica 1984, anche se diranno che loro invece lo fanno per il tuo bene. Allora proprio come 1984.

Fa davvero acqua da tutte le parti: questo Leviatano ha una mano che oggi “po esse fero o po esse piuma”, se in democrazia sarà a discrezione degli umori del popolo considerando che la maggioranza, il 51%, potrebbe benissimo votare per la schiavitù del restante 49%, anche se non necessariamente una schiavitù formale come quella ai tempi delle piantagioni di cotone nell’Alabama.

Questo 51% -però- è rappresentato da un certo numero di persone, che potranno sempre decidere chi è ebreo e chi no, chi è amico e chi è nemico, chi va alla ghigliottina e chi merita un elogio sui giornali.

Un potere centralizzato non ha limiti. E i limiti sono importanti.

Vediamo un altro esempio: l’URSS negli anni ’20 diede l’incarico a Vavilov di occuparsi dell’Agricoltura nazionale, questi iniziò una catalogazione di tutte le piante e di tutti i metodi di coltura, un lavoro eccezionale, ma troppo costoso.

Vavilov fu parte del caso fortunato, quello in cui l’autorità centrale sceglie una persona che sa cosa fare e lo fa con metodo rigoroso e scientifico. Peccato che fu sostituito da Lysenko, uno di quei sostenitori della teoria lamarckiana secondo la quale le giraffe hanno allungato il proprio collo nel corso del tempo grazie agli imperterriti sforzi nel tentativo di raggiungere alberi molto alti.

Sembra una barzelletta, invece erano proprio così le scelte dell’Unione Sovietica: Lysenko ipotizzò che le piante potessero acquisire caratteristiche in base all’ambiente e al nutrimento che si dava loro. Non serve dire che portò alla fame milioni di persone per capire la vastità della sua anti-scientificità applicata in un ruolo scientifico.

Non esisterà mai qualcuno che saprà qual è il bene per noi, né che avrà le risposte a ogni problema. Ogni Individuo è un caso a sé, l’ordine spontaneo degli Individui in una società può permettere il progresso grazie a innumerevoli tentativi, fra i quali emergerà uno dei migliori, o almeno quello con le caratteristiche migliori secondo le esigenze dei consumatori. Questo è il meglio che si possa fare, ancora oggi, come migliaia di anni fa.

Per proseguire sulla strada dell’ordine spontaneo e della scienza non dovremo mai più permettere che qualcuno abbia il potere tale di decidere come vada governata l’intera società, o nelle parole del totalitario Goebbels, chi è ebreo e chi non lo è.

Milton Friedman sul socialismo

Traduzione e riadattamento dell’estratto di una conferenza

Il socialismo ha fallito perché la sua bontà è stata corrotta da uomini malvagi saliti al potere? È stato perché Stalin ha preso il posto di Lenin? Il capitalismo ha avuto successo nonostante i valori immorali che esso offre? Credo che la risposta a entrambe le domande sia negativa. I risultati sono sorti perché ogni sistema si è affidato ai valori che incoraggia, supporta e sviluppa nelle persone che vivono in quel sistema.

Ciò che ci interessa discutere dei valori morali qui, sono quelli che hanno a che fare con le relazioni tra persone. È importante distinguere due tipi di considerazioni morali: la moralità di ognuno di noi che interessa la nostra vita privata, come conduciamo noi stessi, come ci comportiamo, e ciò che è importante per i sistemi di governo, ovvero le relazioni tra le persone, e nel giudicare le relazioni tra persone non ritengo che il valore fondamentale sia fare del bene agli altri.

Il valore fondamentale non è fare del bene agli altri come tu vedi il loro bene. Non è obbligarli a fare del bene. Per come la vedo io, il valore fondamentale nelle relazioni tra persone è rispettare la dignità e l’individualità dei propri simili.

Trattare i propri simili non come un oggetto da manipolare per i propri scopi, ma come una persona che ha i propri valori e diritti, non da obbligare, non a cui fare il lavaggio del cervello. Questo mi pare essere un valore fondamentale nelle relazioni sociali.

Ogni volta che ci allontaniamo dalla cooperazione volontaria e proviamo a fare del bene usando la forza, i cattivi valori morali della forza trionfano sulle buone intenzioni. E capite bene l’importanza di ciò che sto dicendo perché la nozione fondamentale di una società capitalista è la cooperazione volontaria. La nozione fondamentale di una società socialista è, fondamentalmente, la forza.

Se il governo è il capo, se la società deve essere comandata dal centro, cosa produci? Alla fine dovrai ordinare alle persone cosa devono fare, fino a dove puoi spingerti? Torna indietro, portati ad un livello più mite.
Ogni volta che provate a fare del bene con i soldi degli altri dovete usare la forza. Come potete fare del bene con i soldi di qualcun altro se prima non glieli avete portati via? L’unico modo che avrete per prenderglieli è minacciare l’uso della forza: con un poliziotto o un esattore delle tasse che arriva e se li prende.

Tutto ciò spingerebbe ancora più avanti se davvero si vivesse in una società socialista, se non vi fosse un governo centralizzato, se ci fossero burocrati del governo a comandare cose che possono fondarsi in ultima istanza solo sulla forza, ma ogni volta che ricorrete all’uso della forza, anche per fare del bene, non dovete mettere in discussione i motivi delle persone, qualche volta possono essere dei malvagi, ma guardate i risultati che producono. Dategli il beneficio del dubbio, assumete che le loro intenzioni sia buone.

Sapete, c’è un articolo un antico detto a proposito della strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni, dovete guardare al risultato: ogni volta che usate la forza, i cattivi valori morali di essa trionfano sulle buone intenzioni.
Il motivo non sta solo nel celebre aforisma di Lord Acton, lo avrete sentito tutti: “il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente“. Questa è una ragione per cui cercare di fare del bene con metodi che includono la forza porta a cattivi risultati.

Le persone che sembrano avere buone intenzioni sono esse stesse corrotte, e potrei aggiungere, se non sono corrotte, vengono rimpiazzate da persone con cattive intenzioni che sono più efficienti ad ottenere il controllo sull’uso della forza.

Tuttavia, la ragione fondamentale è più profonda, il danno più grande è fatto quando il potere è nelle mani delle persone che sono convinte della purezza dei loro istinti e della purezza delle loro intenzioni.
Thoreau ha detto che la filantropia è una virtù sopravvalutata, la sincerità è anche una virtù molto sopravvalutata. Non ci hanno salvato dal riformatore sincero che sa cosa è bene per te ed intanto, te lo farà fare che ti piaccia o meno. E questo quando va per il meglio.

Non ho motivi di dubitare che Lenin fosse un uomo le cui intenzioni fossero sincere, forse non lo erano, ma lui si è completamente persuaso di avere ragione, ed era disposto ad utilizzare qualsiasi mezzo per il bene finale.
Ancora, è interessante comparare l’esperienza di Hitler e Mussolini, Mussolini è stato di gran lunga una minaccia inferiore per i diritti umani perché era un ipocrita.

Perché egli non credeva davvero in ciò che diceva, stava al gioco. Ha iniziato da socialista, è diventato fascista, era disposta a vendersi a chiunque avrebbe brillato di più. Come conseguenza vi furono almeno un po’ di protezioni dal suo governo autoritario. Ma Hitler era davvero un fanatico, egli credeva in ciò che faceva, e fece decisamente più male.