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Italia, vuoi crescere?

L’Italia è un paese che ha un grande problema da risolvere se non vuole diventare l’Argentina: la responsabilità.
Chiede tanto, ma vuole dare poco in cambio. Vuole essere rispettato, ma non rispetta mai gli altri.
Si lamenta, ronfa e dà la colpa al prossimo per i propri errori.
Un paese che sembra un vecchio che dopo una vita rampante e piena di alti e bassi, regredisce e torna bambino.
Un bambino viziato, arrogante e presuntuoso che non vuole crescere, ma al massimo decrescere.
Ma analizziamo un po’ questo bambino.

ZERO CRESCITA

Questo paese ha dimenticato come crescere e come un anziano, regredisce.
La crisi del 2008 ha lasciato un profondo segno, dal quale non ha mai recuperato pienamente.
Ma questa è una situazione diffusa? Neanche per sogno.

L’aggregato dell’area euro è cresciuto molto più del Bel Paese, per non parlare della cattiva Germania.
Perchè questo?
Sostanzialmente l’economia italiana è estremamente rigida, ed ha dei grandi problemi strutturali che potremo sintetizzare come:

1) Enorme imposizione fiscale, con un total tax rate verso le imprese al 64%. Il più alto in Europa.
2) Scarsa produttività del tessuto imprenditoriale, costituito al 95% da micro-imprese a bassa liquidità e poco innovative, che non riescono a stare al passo nel contesto globale.
3) Burocrazia asfissiante, con 238 ore all’anno necessari alle imprese per pagare le tasse.
4) Processi lunghi, con mancanza di certezza del diritto.
5) Settore pubblico inefficiente, costoso e sprecone.
6) Sistema pensionistico da furto intergenerazionale.

Tutto ciò crea un’economia stagnante, che non ha la forza di crescere come dovrebbe, nella quale la classe politica non riesce ad adottare una visione di lungo termine atta alla crescita e alla prosperità del paese.
Classe politica che piuttosto preferisce puntare sul consenso di breve termine attraverso mancette elettorali molto costose, che trasferiscono soldi dalla parte più produttiva del paese a quella meno produttiva.
Ma se da una parte non cresciamo, da un’altra parte cresciamo più di tutti.
Questa parte è il debito pubblico.

DEBITI ALLE STELLE

Il debito PIL italiano a gennaio 2020 è pari al 135,7 del PIL. Solo 15 anni prima, era pari al 105%. Colpa della crisi? In parte.
Negli anni ’80 l’Italia ha accumulato deficit di bilancio sistematicamente oltre il 10%, proseguiti con una moderazione e tentata stabilizzazione dei conti pubblici durante gli anni ’90 in previsione dell’entrata nella moneta unica.
Stabilizzazione che durante il governo Berlusconi II è stata accantonata con nuovi incrementi di spesa pubblica (alla faccia delle rivoluzione liberale), e che ha gettato le basi per l’esplosione del debito pubblico durante la crisi del 2008:

Ma non è finita qui.
L’Italia grazie alle politiche espansive della BCE, ha potuto godere di interessi bassissimi sul debito culminate nel 2019 con 1,2% sul decennale a Gennaio 2020.
Da ricordare che nel 1990 il rendimento del decennale era il 13%. Giusto una lieve differenza.
Tutto ciò con la promessa di guadagnare tempo prezioso per fare quelle giuste riforme per risolvere i problemi strutturali del paese.
Ma cosa ha fatto l’Italia?

Si è macchiata del più grande moral hazard della storia recente.
Approfittando dei rendimenti bassi, dal Governo Renzi in poi ha cominciato a spendere in assistenzialismo a scarsissimo moltiplicatore con gli unici effetti di trasferire soldi da settori produttivi a settori non produttivi tra cui:

1) Quota 100, con costo di 5 miliardi all’anno e in un paese con la più grande spesa pensionistica di Europa. Pari al 16% del PIL.
2) Bonus Renzi da 80 euro, con un costo di quasi 10 miliardi all’anno, che nel 2020 sono diventati 100 euro.
3) Reddito di cittadinanza, creato per reinserire in un mercato del lavoro senza lavoro disoccupati, che poi sono finiti per sedersi sul divano nella vana speranza di ricevere un’offerta di lavoro. Costo 9 miliardi.

Sono 24 miliardi totali, quasi la metà degli interessi che paghiamo per il debito pubblico.
Tutto ciò solo per una classe che insegue il consenso come un ragazzo insegue il like su Facebook.

CULTURA STATALISTA

Inutile prenderci in giro, questa classe politica non si è originata dal nulla.
Gli italiani l’hanno scelta, approvata e voluta, nonostante il PIL pro capite nel periodo 2008-2018 sia cascato di un ben 12%.
Viviamo in un paese in cui tutto è pubblico, tutto è controllato dalla politica, e l’iniziativa privata viene gambizzata.
Ma qual è il problema della politica?
La politica non ha la cosiddetta “skin in the game“.
Non investendo soldi propri ma quelli dei contribuenti, non ha la percezione del rischio. E quando non esiste una mentalità seria e lungimirante si getta in politiche strampalate di puro consenso, fiduciosa che anche nel caso le cose dovessero andare male non pagherà alcuna conseguenza.
Tanto la colpa sarà sempre dei Governi precedenti.
Fallimento dopo fallimento la situazione economica peggiora, più persone diventano povere e chiedono aiuto. Qui i politici intervengono propagandando il proprio ruolo di protettore dei più deboli, gettando la colpa al mercato inefficiente, alla globalizzazione, alla mancanza di sovranità monetaria. Perchè solo più Stato può risolvere questi problemi.
Le persone abboccano, e inizia il culto dello Stato. Chiedono più Stato!
Tanto la colpa è sempre degli altri, mentre i politici aumentano il proprio potere.

LA COLPA E’ DEGLI ALTRI!

L’Italia è la patria di un socialismo surreale intriso a costante de-responsabilizzazione delle proprie azioni. E’ sempre colpa dell’olio della Tunisia, del Parmesan americano, del riso cambogiano e non ci si chiede come sia possibile che un paese avanzato come questo possa entrare in concorrenza diretta con prodotti di così scarso appeal.
Una delle spiegazioni è molto semplice.
Gli stati avanzati che crescono di più -perfino la Cina, la patria del capitalismo di Stato- si sono concentrati su settori tecnologici ad alto valore aggiunto, che permette salari maggiori e introiti superiori, così da non entrare in competizione di prezzo con paesi non sviluppati su settori chiave della propria economia.
Ciò è saggio, perchè i paesi in via di sviluppo si occupano di settori a basso valore aggiunto e a bassi salari, mentre gli stati avanzati si concentrano sull’innovazione e il progresso a elevati salari.
Invece, l’Italia è ancora nostalgica delle svalutazioni competitive e dei salari bassi in modo da far concorrenza spietata al Botswana.

Alla faccia del Made In Italy.

UNO SGUARDO AL PRESENTE

Tutto ciò fatto fino ad ora ha portato alla situazione attuale, affrontando una delle più grandi crisi economiche e sanitarie dei tempi moderni con armi spuntate e totalmente impreparati.
La mancanza di lungimiranza, l’arroganza, è culminata con questo momento.
Ma non giriamoci intorno.
Quest’anno il debito italiano arriverà in automatico al 150% del PIL, ma più probabilmente supererà il 160%. Con un PIL che probabilmente perderà al 10%.
Avremo bisogno del MES? degli Eurobond? Questo lo lasciamo ad altre analisi, ma una cosa è certa.
Ci sarà un momento per ricostruire, un momento nella quale si avrà forse l’ultima occasione per adottare tutte quelle riforme che vadano verso un’unica soluzione:

Il libero mercato, e la riduzione del perimetro dello Stato.

Solo così questa splendida terra potrà tornare a crescere come è riuscita ormai troppi anni fa.
Ma ciò non basta.
Perchè certe idee divengano permanenti, questo paese deve smetterla di essere quell’anziano arrogante tornato un po’ bambino, che scarica tutte le proprie responsabilità alla Germania di turno(con la quale è stata alleata in una certa guerra, non dimentichiamolo mai), o al Parmesan di turno.
Questo paese deve ritrovare la responsabilità, perchè è terreno fertile per la crescita.

Altrimenti come un cane tornerà a mordersi la coda.

Fonti e approfondimenti:

Pensioni, Istat: nel 2018 la spesa sale a 293 mld (+2,2%). Uno su 3 ha meno di mille euro. – Sole 24 ore.
Fisco Italia, in tasse il 59% dei profitti delle imprese. – Sole 24 ore.
Coronavirus: fino al 10% delle aziende in default. – Cerved.
Bonus 80 euro – Sole 24 ore.
Pil pro capite Italia -12 punti da 2008 – ANSA.
Principali tassi interesse del 1990.
Andamenti e prospettive finanza pubblica 2001-2005.

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