«Ogni religione vanta i suoi particolari istituti di beneficenza. Così la Chiesa cattolica è ricca delle sue antiche fondazioni dell’età di mezzo, siccome il protestantesimo e il giudaismo hanno di che venire in aiuto dei propri correligionari. Le nuove istituzioni della previdenza invece non conoscono che una sola famiglia, i cui membri, senza distinzioni di credenze, si associano, nell’intento di assicurarsi l’assistenza, mediante mutue guarentigie. (…) Le istituzioni di mutuo soccorso, come sono in oggi costituite, rappresentano un’idea tutta moderna, spontanee come la libertà, libere come l’industria. Benevole, senza pratiche di vieta religiosità, aliene la più parte da interessi che non sieno contemplati negli statuti, esse hanno a fine principale e diremmo meglio esclusivo l’assistenza scambievole fra soci, regolata sulle leggi dell’aritmetica sociale, e con tale misura, per cui non si chiede al socio più di quanto può dare, né lo si aiuta oltre il limite di una savia e benintesa economia»
Pietro Maestri, introduzione a “Statistica del Regno d’Italia. Società di mutuo soccorso. Anno 1862”, MAIC
Con queste parole Pietro Maestri, che reggeva la direzione generale di statistica del neonato Regno d’Italia, descriveva il nascente fenomeno delle Società di Mutuo Soccorso (SMS), un fenomeno squisitamente privatistico, fondato sulla solidarietà tra lavoratori. Le SMS erano associazioni ad adesione libera e volontaria i cui soci si impegnavano a versare una quota periodica (mensile, generalmente) per creare un fondo con il quale sussidiare i lavoratori che si trovavano temporaneamente impossibilitati a lavorare per malattia, disoccupazione, infortuni. Le SMS potevano essere generali (o territoriali) quando riunivano tutti i lavoratori di determinate aree geografiche senza distinzione di mestiere o professione; o di categoria (o professionali) quando riunivano lavoratori appartenenti a una determinata categoria lavorativa. Le SMS generali erano particolarmente diffuse nei piccoli centri, dove una SMS di categoria avrebbe raccolto ben pochi soci e sarebbe stata di fatto poco funzionante. Occasionalmente, alcune mutue si preoccupavano anche di pagare sussidi alle vedove o ai vedovi dei lavoratori venuti a mancare sul lavoro. Altre ancora, di proporzioni più grandi generalmente, organizzavano persino attività di formazione extra lavorativa o aprivano delle scuole destinate ai soci o ai figli dei soci.
Nonostante siano storicamente associate alle rivendicazioni socialiste (poi vedremo il motivo) le SMS nacquero grazie al liberalismo. Il liberalismo, anzi, fu essenziale per il proliferare dell’associazionismo operaio. Come si può osservare dalla mappa sottostante, le SMS nell’Italia preunitaria erano diffuse quasi esclusivamente in Piemonte, ossia l’unico stato in cui era garantita la libertà di associazione dallo Statuto Albertino. E il pensiero liberale permeò fortemente l’orientamento e gli scopi delle SMS.
Particolarmente attivo nella diffusione dell’associazionismo e del mutualismo fu il giurista ed economista liberale Luigi Luttazzi, veneziano ebreo. Luttazzi era preoccupato che il socialismo, già diffuso in gran parte d’Europa, si diffondesse anche in Italia, rivendicando un welfare statale. Attraverso la diffusione del mutualismo, Luttazzi intendeva avviare l’Italia verso un welfare privato che migliorasse la condizione dei lavoratori e impedisse al socialismo di diffondersi. Scrisse:
«L’uomo florido di salute viene incolto da subitanea malattia, abbandona il lavoro, e più non gli resta che la pietà degli altrui rimedi! Ma se egli è membro di una società di mutuo soccorso nel dì fatale del bisogno egli può chiedere come un diritto d’aiuto che altrimenti gli sarebbe concesso come un’elemosina e così non prova “sì come sa di sale lo pane altri”. Da ciò si intende come le società di mutuo soccorso debbano sciogliere il terribile problema del proletariato e come ad esse sia riserbato l’onore di trasformare la carità»
In verità, almeno nei primi anni del Regno d’Italia, le SMS non ebbero pretese particolarmente stataliste. Molte di esse avevano ispirazione mazziniana o garibaldina, erano politicamente schierate per lo stato unitario e vedevano se stesse come strumenti per contribuire all’unificazione.
Si prenda ad esempio il caso della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Avellino, la prima mutua sorta in Irpinia nel 1861. Nel suo statuto di fondazione si leggeva:
«Perché le libertà nuove siano usate e volte a non fallibile scopo, è indispensabile, che nutrite di esse le forze vive del popolo si sviluppino al doppio calore della moralità e dell’istruzione, dalla quali la vita pratica e la intellettuale possano derivare e confortarsi di scambievoli aiuti. […] Niuno è poi che non vegga come e quanto di tale istruzione [la società operaia] possano avvantaggiarsi le classi più laboriose e meno sorrise dalla fortuna, avvegnachè, oltre i benefizii che promanano dalla istruzione e dalla educazione, noverar si debbano quelli che al canuto operaio fanno la povertà sopportevole, od una sventura disarcebano, o sono compenso a què generosi che sull’Altare della Patria la vita il sangue ed ogni più cara cosa volontariamente offerirono»
Il tono particolarmente patriottico potrà far storcere il naso a qualcuno, ma si noti prima di tutto che lo statuto della mutua avellinese non invocava in alcun modo l’aiuto statale. Tutto ciò che la mutua chiese al comune in cui sorse fu la concessione di un edificio in cui stabilire la sede, ma nella mentalità dei fondatori non vi era alcuna pretesa che lo stato organizzasse una cassa di previdenza sociale né costruisse scuole: desideravano soltanto la libertà di poterlo fare da sé. Difatti, già il 7 ottobre 1861 (qualche mese prima la sottoscrizione dello statuto), la società avellinese aveva inaugurato una scuola per i figli dei soci e una scuola domenicale per gli adulti.
Il fenomeno delle mutue fu particolarmente diffuso nell’Italia postunitaria. Questi sono numeri tratti da varie statistiche del Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio (MAIC):
Come si può osservare vi fu una fortissima espansione del mutualismo in tutta la penisola nel giro di tre decenni. Molte mutue, va anche calcolato, non si diedero mai uno statuto ufficiale né inviavano rapporti al MAIC, ragion per cui venivano escluse dal censimento annuale. Rimasero invariate comunque le differenze tra un nord particolarmente industrializzato e già avvezzo a questo forma di associazione, e un sud ancora prettamente agricolo e poco incline a consociarsi:
Le ragioni del divario erano molteplici. Nel sud Italia prevalevano ancora le Opere Pie e le Confraternite religiose che svolgevano un’opera capillare di assistenzialismo e previdenza. Inoltre, la maggiore povertà dei contadini e degli operai meridionali li rendeva poco avvezzi a investire in forme di assicurazione di cui non erano certi di aver bisogno. Anche le scuole delle SMS, a dirla tutta, al sud faticavano a trattenere gli studenti, e questo fu un problema anche della successiva scuola statale. In una nota del 1887 della già citata SMS avellinese si legge:
«Il numero [degli alunni] però diminuì verso la fine del mese di marzo ultimo scorso, poiché vari alunni di condizione agricoltori e braccianti si allontanarono per attendere ai lavori campestri»
Ad ogni modo, nel corso della seconda metà dell’Ottocento le SMS influenzarono pesantemente la cultura italiana. L’appartenenza alla propria Società era molto sentita dai soci, tanto che uno degli obiettivi di ogni SMS era quello di provvedersi di un proprio stemma, una propria bandiera, e addirittura delle spille da dare a soci particolarmente meritevoli. Ai soci era spesso richiesta anche una certa condotta morale. Non era raro che si chiedesse di non ubriacarsi, di non dilapidare il patrimonio, di partecipare alle funzioni religiose e così via: un socio non doveva mettere in cattiva luce l’intera società con i suoi comportamenti. In caso di violazioni di questi codici morali si potevano avere sanzioni o addirittura l’espulsione. La funzione sociale delle SMS era sentita anche da chi non vi apparteneva, ad esempio dai grandi industriali o ricchi professionisti, che spesso e volentieri sovvenzionavano le mutue divenendone membri onorari.
[…] la diffusione del mutualismo nell’Italia liberale fu un fenomeno di tutto rilievo, sia come diffusione, sia come importanza economica. Il numero delle società e dei soci crebbe costantemente fino all’inizio del ‘900. Come si vede, il picco maggiore si ebbe, dopo gli anni iniziali, negli anni ‘80 dell’Ottocento: in coincidenza con il dibattito rinnovato sul mutualismo, con l’istituzione del riconoscimento giuridico, e anche con il nascente interesse del movimento operaio e socialista verso queste istituzioni. […] Il patrimonio aumentò più che proporzionalmente al numero dei soci. Solo in minima parte questo è spiegabile con l’inflazione (assai moderata) di quel periodo. Si può quindi concludere che il mutualismo aveva conosciuto in quegli anni un notevole sviluppo sul piano economico, nel suo complesso. Si trattava di uno sviluppo che veniva in parte mascherato dal fatto che si basava non su poche realtà importanti e appariscenti, ma su una miriade di piccole o piccolissime società in attivo. Le SMS erano infatti passate da 443 a ben 6347 fra il 1862 e il 1904; la media degli iscritti per società era diminuita però da 191 a 14629. Il patrimonio medio per società, nel contempo, era solo raddoppiato; ma il patrimonio medio per socio era passato da 18 ad 85 lire (oltre quattro volte).
Luigi Tomassini, Il mutualismo nell’Italia liberale (1861-1922)
A ciò va aggiunto, per onestà intellettuale, che molte SMS tendevano a fallire nel giro di pochi anni, soprattutto nel sud Italia. Il fenomeno aveva molteplici cause. Per Erminio Fonzo era attribuibile all’uso personalistico dei fondi che facevano alcuni amministratori disonesti, soprattutto nelle SMS più piccole che non avevano un vero e proprio statuto e raccoglievano soci nelle fasce più ignoranti della popolazione. Secondo Tomassini, va anche aggiunto che, soprattutto nel sud Italia, vi fu un intenso fenomeno emigratorio; e in più, molte SMS tendevano a tentare di incrementare il loro fondo investendone una parte in attività economiche o in azioni: quando l’investimento andava bene, il patrimonio della società aumentava; quando andava male, la società rischiava il fallimento o comunque aveva difficoltà economiche. Chiaramente, innumerevoli gestioni (migliaia sul territorio nazionale, come abbiamo visto poc’anzi) significava anche innumerevoli risultati diversi. Essendo un fenomeno nascente era normalissimo che dall’immenso arcipelago di piccole SMS sarebbero emerse poi società più salde e più grandi, con una migliore gestione. Ma non ci fu il tempo per tutto ciò, come vedremo.
Come ogni associazione e fenomeno sociale, anche le mutue furono coinvolte dalla politica. All’inizio dell’articolo si è accennato alle rivendicazioni socialiste. Verso la fine dell’Ottocento, molte mutue italiane fecero proprie le battaglie operaie dell’epoca, tra le quali la riduzione dell’orario di lavoro e l’aumento dei salari, trasformandosi in proto-sindacati. Chiedevano allo stato di fornire previdenza sociale ai lavoratori, organizzavano scioperi, corsi di formazione politica e agitazioni. L’ideologia socialista non tardò a infiltrarsi nelle SMS, conquistandone spesso la dirigenza e avviando una vera e propria campagna politica contro le SMS cosiddette “borghesi”, cioè quelle che includevano anche datori di lavoro, che beneficiavano di contributi di “borghesi”, o che erano state fondate da industriali.
Per i socialisti, le SMS erano divisive poiché offrivano servizi differenti ai lavoratori. Nella loro ottica le pensioni e i sussidi dovevano essere uguali in tutta Italia. Il primo successo dell’ideologia socialista si ebbe nel 1898 con la legge n. 80 del 17 marzo che istituì un’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni; una successiva legge emanata il 20 aprile 1898 istituiva invece una “Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai”, una sorta di mutua statale su base volontaria. Proprio a causa della sua base volontaria, la Cassa rischiò di fallire, poiché quasi tutti i soci delle SMS preferivano restare con le loro società piuttosto che iscriversi alla Cassa statale.
Un primo forte indebolimento delle SMS si ebbe quando l’iscrizione alla Cassa statale divenne obbligatoria per molte categorie di lavoratori. Fu così che si passò dai quasi 150.000 iscritti del 1904 agli oltre mezzo milione di iscritti nel 1914. Il secondo duro colpo arrivò col fascismo. Nella sua ottica accentratrice, il regime fascista non poteva assolutamente permettere alle SMS di divulgare idee repubblicane, democratiche, liberali o socialiste, né di essere un punto di aggregazione e di riferimento per milioni di cittadini. Lo stato doveva essere l’unico padre-padrone. Durante gli anni del fascismo le SMS furono ridotte sempre più a una funzione integrativa del welfare statale; molte furono sciolte per manifesta contrarietà ai principi fascisti; molte altre morirono semplicemente per mancanza di soci, poiché la prima guerra mondiale e successivamente la seconda avevano ridotto il numero di lavoratori che potevano iscriversi.
Dopo quasi un secolo, le SMS erano divenute una realtà marginale della previdenza sociale. Tuttavia l’esperienza italiana dalla metà dell’Ottocento agli anni del fascismo dimostra come sia assolutamente falso pensare che in assenza di un coordinamento statale non possa esistere alcuna forma di associazionismo che si occupi di previdenza e assistenza. Anzi, i valori di solidarietà che ispirarono le SMS erano più forti e concreti che mai, e ben meno divisivi della solidarietà forzata dello stato contemporaneo.
Fonti e approfondimenti:
- «L’unione fa la forza». Società di mutuo soccorso e altre organizzazioni dei lavoratori a Napoli dall’Unità alla crisi di fine secolo. Erminio Fonzo
- Le società di mutuo soccorso italiane e i loro archivi. Ministero per i beni e le attività culturali, 1999
- Le società di mutuo soccorso in Irpinia (1861-1900). Erminio Fonzo
- Le origini delle società operaie. Libertà di associazione e organizzazioni operaie di mutuo soccorso in Piemonte nei primi anni dopo lo Statuto 1848-1861. Emilio R. Papa